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Partito a vocazione subalterna

di Carlo Clericetti

Può stupire che gli scissionisti del Pd dichiarino da subito l'intenzione di allearsi col loro ex partito, ma in fondo sono figli della stessa cultura, della quale si propongono al massimo di temperare gli eccessi liberisti. Così, però, l'area di sinistra, che "vale" circa il 10%, risulterà frazionata e quindi non in grado di richiamare chi si è rivolto ad altri partiti o all'astensionismo

Negli ultimi anni siamo stati abituati a leader che dichiaravano che il loro partito era "a vocazione maggioritaria". Altre formazioni si propongono invece di dare una testimonianza: sanno cioè che non riusciranno mai a diventare maggioranza, ma ritengono più importante diffondere le loro idee che scendere a compromessi con chi le ha diverse. Oggi è forse la prima volta che si dà vita a un partito (per ora un movimento, ma già con i suoi gruppi parlamentari)"a vocazione subalterna". I suoi esponenti non hanno usato queste parole, ma il senso è indubbiamente quello.

Parliamo della formazione appena nata da una doppia scissione, una dal Pd e una da Sel. I suoi esponenti hanno dichiarato il loro proposito di allearsi in un prossimo futuro con il Pd, nonostante che si propongano di rappresentare quelle istanze progressiste che il partito di Renzi ha da tempo abbandonato. Proprio a causa di questo hanno deciso di dividere le loro strade. Oddio, dividere è forse un termine esagerato: non si è mai vista una coppia che divorzi in cui quello che ha preso l'iniziativa proclami, mentre ancora sta uscendo dalla porta, la sua intenzione di tornare prossimamente insieme. Senza altra chiara ed esplicita condizione che il cambio del leader.

E allora che senso ha la scissione?

Il nuovo partito (chiamiamolo così anche se ancora non lo è; intanto è stato appena deciso il nome, Democratici e progressisti, d'ora in poi Dp) si rivolge a quegli elettori che votavano Pd e lo hanno abbandonato a causa della sua virata a destra. Questi elettori sono andati per la maggior parte ad aumentare il numero degli astensionisti, e in parte minore si sono rivolti ad altri partiti, soprattutto 5S. I Dp pensano di poterli attrarre con una proposta più progressista. Se gli riuscirà, si proporranno come alleato al Pd, ma in cambio di che? Naturalmente molto dipenderà da quanti risponderanno al suo appello. Ma ipotizziamo pure che siano abbastanza da non farlo essere del tutto irrilevante: le loro richieste al Pd sarebbero presumibilmente simili a quelle che da minoranza interna facevano a Renzi quando si discuteva di legge elettorale, riforma costituzionale, Jobs act, "Buona scuola" e via dicendo. Ora, a parte che quelle richieste sono rimaste in massima parte inascoltate, si trattava di modifiche tendenti a limitare il danno, non certo a cambiare radicalmente quelle leggi e quella linea politica. Meglio di niente? Francamente, si fa davvero fatica a pensarlo. Verrebbe da dire "proprio niente".

E' plausibile che come alleati esterni si riesca ad ottenere di più? Il problema è che - se anche fosse - sarebbe appunto una piccola limitazione del danno. E una cosa del genere dovrebbe riconquistare i delusi dalla sinistra?

Il fatto è che gli esponenti della ex-sinistra Pd vengono pur sempre da una storia durante la quale la sinistra ha subito l'egemonia del pensiero dominante. L'analisi di quanto è accaduto nell'ultimo quarto di secolo - dalla globalizzazione al ruolo del settore pubblico, da certi assetti istituzionali come quelli relativi al ruolo della banca centrale fino alla costruzione dell'Unione europea e alle sue conseguenze - si ferma a una critica degli "eccessi" (di disuguaglianze, di sempre minore protezione del lavoro, di poteri non controllati democraticamente), ma non propone un modello alternativo perché, appunto, ritiene sbagliati solo gli eccessi. E' per questo che Enrico Rossi, uno degli esponenti più importanti dei Dp, quando in un'intervista gli è stato chiesto se gli scissionisti si sarebbero aggregati con Sinistra italiana, ha avuto un moto spontaneo di fastidio, come a dire: "Quelli lì? Ma quelli sono estremisti anti-sistema!". Non l'ha detto, ovviamente, ma la sua espressione faceva capire proprio questo. Ed è sempre questa impostazione che fa considerare il Pd un partito di centro-sinistra occasionalmente deviato da Renzi: ma la conquista del partito da parte di Renzi è solo il risultato di una evoluzione (o meglio involuzione) iniziata molti anni or sono, che ne ha spostato la collocazione sulle posizioni della destra liberista. Sia gli scissionisti che altri rimasti nel Pd (da Cuperlo a Orlando a Rosi Bindi, molti quadri e molti militanti) si sentono soggettivamente lontani da quella ideologia, ma proprio questo è il problema di un'analisi che non arriva a ridiscutere dalle basi.

Un recente sondaggio Swg attribuisce all'area alla sinistra del Pd il 9,4%, un dato che sostanzialmente concorda (al di là del peso attribuito alle varie componenti) con un'analisi fatta in base al voto sul referendum costituzionale. E' plausibile che i più forti in quest'area saranno Dp e Sinistra italiana. Il raggruppamento di Giuliano Pisapia non è chiaro al momento dove si collocherà, se si unirà ai Dp o finirà per confluire nel Pd: molto dipenderà dalla legge elettorale con cui si andrà a votare. Comunque sia, considerando anche la dispersione di voti verso altri piccoli partiti, ai due soggetti principali resterebbe da spartirsi più o meno un 8%: sia che finisca 4 a 4 o 5 a 3, sarebbero comunque troppo piccoli per esercitare qualsiasi influenza, e forse addirittura per entrare in Parlamento (dipenderà dalle soglie). Questo sarà quindi un altro effetto della presenza dei Dp: dividere ulteriormente quel che resta dell'area di sinistra, dove non ci sarà una forza con una consistenza sufficiente a conferirle un peso politico. Per di più, la presenza di un solo partito con una chiara linea alternativa al quella del Pd eserciterebbe probabilmente un'attrazione verso chi non vota più o si è rivolto ad altri partiti. Se invece ci saranno più soggetti, l'appeal sarà minore o inesistente, perché si capirà subito che non saranno in grado di incidere.

Su questa prospettiva gli scissionisti del Pd dovrebbero riflettere. C'è da dubitare, purtroppo, che lo faranno. La loro cultura, in fondo, è quella del percorso fatto negli anni dal Pd, che Renzi ha solo portato alle estreme conseguenze.

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