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L’antitrumpismo come l'antiberlusconismo: gli abbagli della sinistra

di Rete dei Comunisti

Ci risiamo. Gli appelli al ‘fronte comune’, all’Union sacrée contro il nuovo inquilino della Casa Bianca Donald Trump e il "despota" Putin, sembrano recuperare e riecheggiare gli appelli di qualche anno fa contro Silvio Berlusconi e il berlusconismo.

Allora il capitalismo europeista italiano animò una martellante campagna contro quello che veniva descritto come un nemico della democrazia, convincendo le sinistre a rinunciare alla propria funzione, al proprio ruolo, al conflitto stesso per imbarcarsi in alleanze che, una volta alla guida del paese, applicarono programmi di “austerità” e di smantellamento delle garanzie democratiche ben più incisivi e draconiani rispetto a quelli promossi da un personaggio che pure non brillava per sensibilità democratica. La stragrande maggioranza della sinistra politica, votandosi al suicidio, s’incaricò, di fatto, di fare il lavoro sporco per conto di quei centri di potere e di quegli spezzoni della incipiente borghesia transnazionale europea che consideravano Berlusconi ed il suo blocco sociale un ostacolo all’accelerazione del processo di integrazione imperialista continentale. La narrazione, l’inganno dell’antiberlusconismo che per anni ha rappresentato il leit motiv della propaganda europeista e del discorso della cosiddetta sinistra radicale ha preparato una stagione assai peggiore. Berlusconi e i suoi erano sicuramente pericolosi, ma i governi ‘tecnici’ frutto del golpe bianco realizzato dai meccanismi di governance dell’Unione Europea e poi gli esecutivi Renzi e Gentiloni sono stati assai più motivati ed efficaci nel portare avanti l’agenda ‘lacrime e sangue’ di Bruxelles e Francoforte, contando anche sulla complicità o quantomeno sulla tolleranza di numerose forze sociali e sindacali. Un chiaro esempio di questa narrazione tossica lo abbiamo avuto con l'intervento del commissario europeo Moscovici al Senato italiano la scorsa settimana.

Oggi, dopo l’avvento del miliardario Trump negli Stati Uniti, lo sperimentato modello dell’antiberlusconismo rivive nei discorsi dell’establishment di una Unione Europea che tenta di canalizzare contro un nemico esterno e i suoi presunti addentellati interni le ansie, i timori e la rabbia dei settori popolari e delle classi medie schiantate da anni di gestione liberista e repressiva della crisi. Il tutto con l’adesione convinta non solo della maggior parte delle sinistre – diventate nel frattempo assai più deboli e compromesse - di nuovo disarmate rispetto ad un quadro globale in rapido mutamento, ma anche di spezzoni consistenti del cosiddetto ‘movimento’ incapace di sviluppare una propria linea conflittuale rispetto alle forme che il capitalismo e l’imperialismo assumono qui ed ora: l’Unione Europea.

Che la vittoria di Donald Trump abbia riportato nelle città americane una certa effervescenza sociale e abbia riattizzato il conflitto – anche se occorre distinguere tra le mobilitazioni genuine e le strumentalizzazioni da parte del Partito Democratico, delle multinazionali che rimpiangono il modello di competizione/concertazione dell’era Obama e delle reti manovrate dal miliardario George Soros – è non solo comprensibile ma anche positivo.  Quello che abbiamo cercato di smontare nella conferenza che abbiamo organizzato lo scorso 4 marzo a Roma, è lo schema secondo cui, in Italia ed in Europa, si concentri tutta l’attenzione sui misfatti dell’amministrazione Trump tacendo quasi del tutto su quelli delle istituzioni europee. Che le sinistre debbano addirittura sostenere una maggiore integrazione politica e militare continentale per contrastare “l’uomo nero” che siede alla Casa Bianca è davvero inaccettabile.

Una tendenza speculare a quella di alcuni settori campisti della sinistra più o meno “ortodossa” che incapaci di pensare una propria strategia indipendente di rottura, da una parte si affidano all’uomo forte di turno – prima Putin, ora addirittura Trump, descritto come un campione dei diritti degli operai statunitensi (!) – ma dall’altra in fondo pensano che una Unione Europea più unita, più forte, più aggressiva nel panorama internazionale, magari alleata della Russia e perché no della Cina, possa rappresentare un utile e auspicabile contraltare alla prepotenza a stelle e strisce. Sia nella prospettiva delle sinistre ‘radicali’ europeiste che in quelle del campismo post-ortodosso scompare ogni prospettiva indipendente e di classe, ogni giudizio di merito sulla natura del progetto imperialista europeo, ogni capacità di pensare il movimento di classe come forza indipendente e di rottura non solo nei confronti del nemico principale – l’imperialismo statunitense declinante ma per questo non meno pericoloso – ma anche e soprattutto nei confronti delle aspirazioni imperialiste delle classi dirigenti europee. Classi dirigenti – anzi, dominanti – europee che, investite da una crisi di egemonia non dissimile da quella che ha portato alla sconfitta della candidata dell’establishment Hillary Clinton, tentano ora di rilegittimarsi chiamando alla crociata contro coloro che, all’interno e all’esterno dell’Ue, mettono a rischio il rafforzamento e la coesione di un progetto che finora si è costruito all’insegna dello smantellamento della democrazia formale, della cancellazione dei diritti sociali e di cittadinanza, dell’aumento dello sfruttamento dei lavoratori e dei lavoratrici, della guerra e della repressione.

L’operazione del quotidiano “La Repubblica”, da questo punto di vista, può essere considerata esemplare. Nel corso del vertice di Versailles e a pochi giorni dalle celebrazioni del sessantesimo anniversario della firma del Trattato di Roma, i leader dei quattro paesi più importanti in termini di popolazione e di Pil dell’UE si incontrano decidendo di imprimere un’ulteriore accelerazione al processo di integrazione europeo, attraverso il meccanismo delle cooperazioni rafforzate – la cosiddetta “Europa a due velocità” – già sperimentato all’epoca dell’introduzione dell’Euro come moneta unica alternativa al dollaro sul piano internazionale. Un rilancio e un’accelerazione – al quale tutti gli altri partner dovranno volenti o nolenti adeguarsi se non vorranno essere abbandonati, soli e indifesi, alla tenaglia della competizione globale tra grandi potenze e blocchi geopolitici sovranazionali – che riparte esplicitamente dal dato militare: aumento delle spese per la difesa, finanziamenti pubblici al complesso militare-industriale anche al di fuori dei vincoli di bilancio, creazione di meccanismi di gestione centralizzata di quello che sarà l'esercito europeo, proiezione internazionale immediata a partire dalle missioni militari europee già esistenti in Mali, Repubblica Centrafricana e Somalia (ovviamente in contrasto con le mire sull’Africa di Stati Uniti e Cina…). Mentre tutta la stampa mainstream e la vulgata prevalente a sinistra descrivono l’Unione Europea come ad un passo dal baratro, schiantata dalle contraddizioni e dalla mancanza di una visione politica comune, i paesi che contano decidono di rilanciare utilizzando forme di integrazione più adatte al contesto e alle condizioni attuali.

Ma il quotidiano di riferimento del Pd e del suo blocco di interessi rimuove completamente questo evento, che pure giornali padronali come “Il Sole 24 Ore” e “La Stampa”, entusiasticamente, evidenziano. E Repubblica si concentra su una denuncia nei confronti dei “partiti euroscettici che hanno truffato Strasburgo” e di “quei populisti senza morale che tradiscono i propri elettori”; con un linguaggio e categorie 'anticasta' il giornale del Partito Democratico rimuove il dato strutturale per concentrarsi interamente su aspetti etici e morali, opportunamente ingigantiti e manipolati, puntando il dito contro alcuni aspetti di corruzione e di malcostume che minerebbero l'integrità e l'efficienza del Parlamento Europeo. Cioè di un organismo che, come è noto, all'interno dell’architettura istituzionale europea è poco più di una ‘foglia di fico’. Repubblica annuncia quello che sarà il leit motiv della propaganda europeista dei prossimi mesi: occorre stringersi a coorte a difesa dell’Unione Europea, dei suoi valori, delle sue aspirazioni contro i nemici interni – i populisti – e contro i competitori esterni, la Cina e la Russia ma sempre più anche gli Stati Uniti di Trump. D'altronde la Casa Bianca afferma esplicitamente di lavorare allo sfaldamento dell'Ue oltre che all'accerchiamento della Cina.

Questa prospettiva, questa operazione – l'Union Sacrée europea - che va denunciata e respinta, a partire dalla mobilitazione nazionale del 25 marzo a Roma, nel corso della quale sarà possibile gridare ai quattro venti che i 28 capi di stato attesi a Roma non sono benvenuti e che le classi popolari non hanno nulla da festeggiare. Nelle prossime settimane la Rete dei Comunisti sarà impegnata a sviluppare momenti di analisi e di dibattito nei vari territori insieme a tutte le realtà disponibili, a partire dalle riflessioni sul passaggio di fase storica in cui siamo immersi – e di cui l'elezione di Trump a scapito della candidata dell'establishment Usa Hillary Clinton, è forse il segnale più netto, insieme all'affermazione della Brexit in Gran Bretagna e del No alla controriforma costituzionale di Renzi - riprendendo e contestualizzando i ragionamenti alla base del forum di dicembre, “Il vecchio muore ma il nuovo non può nascere”, i cui atti verranno pubblicati tra pochi giorni nel nuovo numero della rivista Contropiano.

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