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senso comune

Contro le “soluzioni”

Tommaso Nencioni

“Di fronte a un problema , i populisti cercano subito un colpevole, mentre i riformisti, testardi, cercano soluzioni” [dalla mozione di Matteo Renzi per le primarie del Partito Democratico]

Va preso sul serio Matteo Renzi quando traccia questa linea di confine tra “riformisti” e “populisti”. Va preso sul serio perché ha ragione. In questo distico, tratto dalla mozione che accompagna il rignanese nella sua nuova scalata al Partito Democratico, è infatti condensata tutta l’essenza del riformismo dell’ultimo ventennio, e allo stesso tempo la ragione dell’emergere del populismo come risposta necessaria al fallimento di quel riformismo.

Per i riformisti, tanto per cominciare, non esistono conflitti, ma “problemi”. La società non è contraddistinta, pertanto, da contrapposizioni sociali o ideologiche, da rapporti di forza squilibrati tra gruppi sociali, da disegni egemonici. Saltano fuori, ogni tanto, delle disfunzioni – i problemi, appunto – riguardanti gruppi di individui e non blocchi sociali. La politica è il luogo dove vengono elaborate “soluzioni” a questi “problemi”. Queste soluzioni avrebbero un valore oggettivo, così come oggettiva sarebbe la natura dei problemi da risolvere.

Prendiamo la grande restaurazione oligarchica messa in campo dai “riformisti” a partire dal momento in cui essere “riformisti” è diventato un obbligo del personale politico. Questa ha preso le mosse dall’individuazione – del tutto arbitraria, ma fatta passare come oggettiva – di due problemi: un’inflazione troppo alta ed un debito pubblico troppo elevato. Sono state pertanto individuate due soluzioni: politiche monetarie restrittive; privatizzazioni e tagli allo stato sociale. Ed effettivamente, almeno nel corso degli anni Novanta, le “soluzioni” si sono rivelate all’altezza dei “problemi”. Con effetti collaterali dirompenti nella società, tuttavia: crisi finanziarie, esplosione della disoccupazione, impoverimento dei lavoratori, fine del sostegno sociale ai ceti subalterni.

Con un corollario, non secondario: se il compito dei politici è quello di trovare “soluzioni”, queste vanno a loro volta delegate agli “esperti”, perché il popolo ignorante ed egoista non sarebbe strutturalmente in grado di legiferare per il bene comune. E quindi l’oligarchia non solo ha beneficiato delle soluzioni, ma tra le sue fila è stato anche selezionato accuratamente il personale capace di individuarle. Non è certo un caso che la fase più acuta di impoverimento delle classi basse e di maggiore accumulazione di ricchezza e potere da parte di quelle alte si sia verificato in un’epoca in cui a legiferare sono stati chiamati pressoché soltanto gli esponenti di queste ultime. O da queste ultime i politici “riformisti” sono stati largamente remunerati a missione compiuta – i leader riformisti degli anni ’90, da Clinton a Blair a Schroeder, esaurito il loro mandato, si sono tramutati in percettori di cachet astronomici per opere di consulenza alle grandi corporation.

La crisi scoppiata nel 2008, e che dura senza prospettive di uscita, ha fatto pulizia di questa grande illusione oligarchica. Abbasso le “soluzioni”! Non esistono “soluzioni” per “problemi” posti a tavolino dalle élites, che le élites stesse possano poi risolvere a proprio esclusivo vantaggio. Esistono conflitti, e nei conflitti i popoli pongono i loro problemi e mentre si muovono gettano anche le basi per risolverli. Ed esistono anche “colpevoli”, che vanno individuati. Occorre stabilire delle frontiere in un gioco politico democratico, altrimenti sotto le spoglie della tecnica prende campo un nuovo regime elitario. All’ombra della metafora del “siamo tutti sulla stessa barca” è stata compiuta una delle più grandi restaurazioni oligarchiche della storia. Quando il Titanic affondò, a morire furono soprattutto i poveri della terza classe.

Il campo del riformismo è un cumulo di macerie – non solo elettorali. La dicotomia tra riformismo e populismo è una falsa dicotomia. La lotta è tutta nel campo populista, laddove si elaboreranno le risposte di domani ai grandi conflitti di oggi. Accettare la sfida populista significa cogliere l’occasione perché queste risposte siano di natura democratica e inclusiva.

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