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La globalizzazione degli assassini nelle scuole

di Anselm Jappe

La sparatoria avvenuta al liceo Tocqueville di Grasse ha messo purtroppo fine ad un'altra "eccezione francese". Finora, la Francia era stata risparmiata dalle sparatorie nelle scuole, a fronte delle diverse decine che avevano avuto luogo negli ultimi vent'anni, soprattutto negli Stati Uniti, in Germania ed in Finlandia.

Quel che le assomigliava di più, in Francia, era stato il massacro del consiglio comunale di Nanterre, avvenuto per mano di Richard Durn nel Marzo del 2002, con motivazioni vagamente politiche. Secondo quanto abbiamo potuto leggere, l'autore della sparatoria di Grass, diciassettenne, si è ispirato al massacro di Columbine (Colorado), avvenuto nel 1999. Ma, fortunatamente, è riuscito solo a ferire qualche persona, e non è arrivato a portare a termine il risultato tipico di questo genere di sparatotia scolastica: il suicidio.

Tuttavia, questo atto ha riprodotto, quanto meno nelle sue intenzioni, il ben noto schema dell'omicidio scolastico, e bisogna conoscere tale schema, poiché l'aspetto imitativo è molto alto in questo settore.

Nella sua forma più tipica, un individuo entra in una scuola (o in una università) e fa fuoco per uccidere le persone presenti; di solito finisce per suicidarsi, dopo che è stato circondato dai poliziotti.

Si è assistito ad un'ondata di questi omicidi a partire dagli anni 1990. Quello avvenuto al liceo Colombine (15 morti) è il più noto, e costituisce in un certo qual modo una "caso paradigmatico", ed un modello per altri aspiranti assassini.

 

Lasciare il mondo con un botto

Di solito, l'autore è maschio, giovane, a volte giovanissimo, ed è cresciuto in una famiglia "tranquilla". Non lo si conosce per episodi di violenza, non ha mai avuto problemi di rilievo con la legge, ed ha sempre mostrato un carattere tranquillo. Poco socievole, trascorre molto tempo nella realtà virtuale di Internet e dei videogiochi. Dal momento che si sente escluso dalla vita sociale e che si sente in difficoltà rispetto alle esigenze scolastiche o lavorative, non vede davanti a sé alcun futuro attraente. Il suo mondo interiore si fa sempre più cupo, dominano il risentimento e la depressione. Dal momento che non vede più altre vie d'uscita, concepisce il progetto di uscire da questo mondo con fracasso, con un'azione eclatante che porti via insieme a lui più persone possibili.

Pregusta quel giorno di gloria preparando con cura il suo gesto, arrivando perfino a parlarne scrivendolo su un diario, o su Internet, o facendo addirittura delle vaghe allusioni a suoi compagni di classe.

Spesso prepara minuziosamente delle "liste di morti". Il suo gesto non è spontaneo, e non si tratta di un acesso di collera che esplode inaspettato. è meditato a lungo e "a freddo". Quando arriva il giorno, di solito "posta" un messaggio su Internet oppure lascia qualche altra forma di testamento.

Spesso, il luogo scelto è dove il killer ha subito quel che lui sente come una serie di umiliazioni: il liceo o l'università. Arriva su posto, comincia a sparare, freddamente; poi, sovente, passa da un'aula all'altra e abbatte, senza parlare, quelli che ci trova.

Raramemte cerca di scappare; continua fino al momento in cui viene ucciso dalla polizia, oppure rivolge l'arma contro sé stesso. Altri sono riusciti a suicidarsi dopo il loro arresto: quasi tutti gli omicidi scolastici diventano un "suicidio allargato".

Questi massacri, pur rimanendo un fenomeno molto raro, colpiscono fortemente la sensibilità collettiva. Spesso si sottolinea il fatto che in numerosi omicidi si trovi un immaginario di estrema destra, razzista, antisemita, omofobo e misogino, come nel caso dell'adoloscente di Grasse. Ma essi non partecipano mai a delle attività organizzate - il futuro assassino vive isolato e non frequenta nessuno in maniera regolare, così come non si entusiasma realmente per niente.

Così, le motivazioni politiche appaiono come delle razionalizzazioni di qualcosa più fondamentale: un odio sconfinato, "disincarnato", senza limiti. Da dove proviene?

Anche un utilizzo "eccessivo" dei videogiochi violenti fa parte del profilo - tipico - ma sarebbe difficile attribure a tale utilizzo tutta la colpa, dal momento che la grande maggioranza degli utenti non arriva affatto ad un passaggio all'azione.

Quel che dev'essere spiegato è proprio questo passaggio all'azione. Probabilmente, ci troviamo assami meno di fronte ad un aumento delle pulsioni di morte in quanto tali e ci troviamo piuttosto davanti ad una diminuzione dei meccanismi che ne ostacolano la realizzazione. La novità non consiste necessariamente nell'odio, ma nel gran numero di persone che sono disposte a morire per soddisfare quest'odio, senza trarne alcun altro vantaggio.

Si può dire che l'evoluzione sociale degli ultimi decenni ha eliminato in numerosi individui gli anticorpi necessari ad arginare le "passioni tristi" che, se non sono sempre solo i prodotti della società capitalista, hanno però sicuramente prosprerato come fiori velenosi su un cadavere in decomposizione.

Il sentirsi impotente rispetto alla propria vita può portare a dei sentimenti di onnipotenza, fino ad arrivare all'idea di essere, anche solo per un quarto d'ora, il giudice supremo, quello che dispensa la vita e la morte - come fa il killer nella scuola. Spesso è la mancata conferma del desiderio "normale" di essere riconosciuto che può spingere ad atti estremi.

 

Psichicamente "frigidi"

Il psicologo e sociologo Götz Eisenberg, il quale viene considerato in Germania come uno dei migliori conoscitori di questo fenomeno (al di là del Reno, battezzato col nome di "amok"), non vede in questo un'irruzione misteriosa ed incomprensibile di un elemento totalmente estraneo alle "nostre" vite, ma la punta estrema di una società "fredda", governata dal principio di razionalità economica e che sottomette ben presto i bambini piccoli alle sue esigenze.

Scrive Götz Eisenberg: « Non c'è qualcuno o qualcosa che li opprime in maniera evidente, ma è stato rubato loro ciò che è più importante: cresccono così degli esseri umani psichicamente frigidi che non sanno chi è colpevole del loro malessere senza nome, nè verso chi possono dirigere la loro rabbia accumulata. (...) L'odio e l'amok nascono dal freddo, dalla mancanza di relazioni con l'oggetto, dall'indifferenza e dal vuoto che cresce.»

Queste patologie non sono solo individuali, ma costituiscono le forme estreme di comportamenti considerati come "normali" dalla società contemporanea. Nella quale ciascuno deve subordinare la sua personalità reale, le sue inclinazioni ed i suoi gusti alle esigenze della valorizzazione delle merci, del lavoro, del denaro, del successo.

La vita è sottomessa alla razionalizzazione totale, il minimo atto deve servire a qualcosa e dev'essere produttivo. Tutto si piega alle esigenze dell'efficienza e a guadagnare tempo, al''efficienza: cercare dei partner sessuali per mezzo delle app dello smartphone e "gestire il proprio capitale-salute", seguire dei corsi di meditazione per affrontare meglio il lavoro ed imbottirsi di anfetamine per poter passare ad un esame di ammissione in una grande scuola.

Questa sensazione permanente di insufficienza dell'individuo rispetto alle aspettative sociali, porta spesso al risentimento.

Può assumere forme collettive, diventare razzismo o fondamentalismo religioso. Ma può anche prendere una strada ancora più breve e suscitare il desiderio di "far saltare tutto in aria". O ancora - e questo è successo spesso in Francia, recentemente - le due strade si sovrappongono e si uccide o ci si uccide nel nome di qualche ideologia. In ogni caso, come dice il teorico tedesco Robert Kurz, l'omicida-suicida finisce «per gettare via la sua vita come un fazzoletto di carta usato».


articolo apparso su Le Monde del 23 marzo 2017.

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