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perunsocialismodelXXI

A proposito del cosiddetto capitalismo woke

di Carlo Formenti

Carl Rhodes: Capitalismo woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia, Fazi Editore, 2023

nike kaepernick ansa.jpegLeggendo il libro dell’australiano Carl Rhodes, esperto di teorie dell’organizzazione e docente dell’Università di Sidney (Capitalismo woke. Come la moralità aziendale minaccia la democrazia, Fazi editore) è difficile non rendersi conto di un paradosso: scritto con l’intenzione di denunciare i veri obiettivi politici che si nascondono dietro la svolta “progressista” di alcune grandi imprese multinazionali, finisce invece per svelare (sia pure involontariamente) le ragioni per cui la sinistra “politicamente corretta”, con la quale Rhodes si identifica, ha poche chance di contrastare gli obiettivi in questione.

Partiamo dal senso del termine woke, ormai di uso comune nel mondo anglofono ma che non tarderà a diffondersi in un’Europa sempre più “americanizzata”. Coniato dagli afroamericani nel contesto dei movimenti per i diritti civili degli anni Sessanta, e rilanciato nel corso delle mobilitazioni del movimento Black Lives Matter, nato per protestare contro gli assassinii a sangue freddo di cittadini neri ad opera di poliziotti bianchi (sistematicamente impuniti), è stato adottato anche dalle altre componenti della nuova sinistra Usa con il significato di essere attento, sensibile e ben informato rispetto a ogni genere di discriminazione e ingiustizia razziale o sociale (in particolare Rhodes elenca temi come sessismo, razzismo, ambientalismo, diritti LGBTQI+ e disuguaglianza economica, quest’ultima lasciata non a caso per ultima, ma su ciò tornerò più avanti).

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cumpanis

La Guerra del Trent’anni del XXI Secolo

di Fulvio Bellini*

Le similitudini tra la Guerra del Trent’anni e l’attuale scontro dal carattere strategico tra fronte imperialista in crisi e fronte antimperialista in ascesa

Immagine per home articolo Guerra dei Trentanni.jfif Premessa: sono le guerre (purtroppo) che mutano i paradigmi

In questi giorni si sta concretizzando un fatto evidente fin dall’inizio: il velleitarismo della tanto proclamata controffensiva ucraina di primavera. Alcuni osservatori stanno supponendo che si vada incontro ad una fase di negoziazione tra le parti, che sono Stati Uniti e Russia, non certamente l’Ucraina che è uno stato fantoccio, e tanto meno la NATO che un’organizzazione che coordina le attività dell’esercito imperiale, attualmente quello americano, con le forze armate ausiliarie dei vassalli, come è sempre stato fin dai tempi antichi.

Ovviamente vi è la speranza che questi negoziati inizino presto, ma non è detto che ciò accada e non è detto neppure che il ritorno alla diplomazia chiuda lo stato di ostilità globale, anzi vi sono elementi che giocano in senso contrario come cercherò di spiegare nel presente articolo. I conflitti militari sono importanti nella storia dell’uomo perché, fino alla determinazione di nuovi modi di composizione dei conflitti tra le potenze, che indubbiamente l’introduzione dell’arma atomica sollecita, sono le guerre che stabiliscono chi siano i vincitori, i vinti e le regole del gioco a beneficio dei primi. Quando il premier italiano Giorgia Meloni dichiara pomposamente davanti al Congresso americano il 27 luglio scorso che: “L’Occidente è unito e difende le regole”, intende quelle scaturite dalla Seconda Guerra mondiale, le ultime stabilite e vigenti. Ma di quali regole si parla? Nel 1945 i benefici dei vincitori si tradussero in norme ascrivibili al cosiddetto diritto internazionale il quale, non bisogna mai scordarlo, non ha nulla a che fare con il cosiddetto diritto delle genti (Ius gentium), e tantomeno con criteri di giustizia, che al contrario sono spesso contraddetti: il rapporto tra Stato d’Israele e palestinesi è più che sufficiente per dimostrare questo assunto.

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effimera

DIARIO DELLA CRISI | Sulla presunta crescita dell’economia italiana. Guardare la luna o il dito?

di Andrea Fumagalli e Roberto Romano

0e99dc 602882de8e744fdab9467ecd97828bd2mv2In questa tredicesima puntata del “Diario della crisi” – progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina-DeriveApprodi ed El Salto – Andrea Fumagalli e Roberto Romano analizzano i fattori che hanno trainato l’economia italiana negli ultimi due anni per capire se si tratta di percorsi di crescita sostenibili frutto della ristrutturazione strategica dell’economia o se sono dovuti all’impatto di specifiche misure economiche, alcune delle quali (reddito di cittadinanza, aiuti all’edilizia sostenibile) sono in fase di smantellamento da parte del governo di Giorgia Meloni. A fare da sfondo a questo quadro è l’incapacità dei governi di trovare modelli di sviluppo minimamente adeguati alla gravissima crisi sociale e ambientale sistemica e al permanere di gravissime e intrattabili situazioni di disuguaglianza.

* * * * *

Premessa

Negli ultimi mesi, i giornali mainstream e pro-governo hanno più volte sottolineato come a partire dalla ripresa post-sindemia l’economia italiana abbia avuto un andamento di gran lunga migliore dei principali partner europei, a partire dalla Germania e della Francia. Più recentemente, la prima ministra Meloni ha affermato con tono trionfale davanti alla platea di Assolombarda che l’economia italiana ha raggiunto livelli di crescita e occupazionali come mai negli anni precedenti. L’occupazione ha addirittura raggiunti i livelli del 2009.

Marco Fortis, in più articoli fotocopia, pubblicati a distanza di poche settimane, su Il Riformista e su Il Sole 24 ore, si lascia andare a manifestazioni di puro entusiasmo: “Negli ultimi tre anni l’economia italiana ha letteralmente battuto ogni previsione e spiazzato ogni genere di “gufi” e di profeti di sventura, salvo qualche ostinato irriducibile.

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lantidiplomatico

Due città, due insurrezioni e la profezia di List che si realizza

di Alastair Crooke per Strategic Culture

720x410ciuhnhyt0Il caos che gli "esperti" occidentali si aspettavano, "con libidinosa eccitazione", si sarebbe scatenato in Russia ("con la certezza che i russi... avrebbero ucciso i russi" e con Putin "probabilmente nascosto da qualche parte") – è arrivato.... ma è esploso in Francia - dove non era previsto - con Macron e non Putin alle corde.

C'è molto da riflettere da questa interessante inversione delle aspettative e degli eventi – da un racconto di due insurrezioni molto diverse:

Sabato pomeriggio, dopo che Prigozhin aveva raggiunto Rostov, negli Stati Uniti si è diffusa la notizia che il leader della Wagner aveva raggiunto un accordo con il Presidente Lukashenko per porre fine alla sua protesta e andare in Bielorussia. Si è così conclusa una vicenda sostanzialmente incruenta. Non c'è stato alcun sostegno per Prigozhin, né da parte della classe politica né da parte dell'esercito. L'establishment occidentale è rimasto sbigottito; le sue aspettative sono state inspiegabilmente distrutte nel giro di poche ore.

Altrettanto scioccanti per l'Occidente sono stati i video provenienti da Parigi e dalle città di tutta la Francia. Auto in fiamme, stazioni di polizia ed edifici comunali in fiamme, polizia attaccata e negozi ampiamente saccheggiati. Erano scene, come se fossero state prese dalla "Caduta di Roma imperiale".

Alla fine, anche questa insurrezione è svanita. Tuttavia, non è stato come l'ammutinamento di Prigozhin, conclusa con una dimostrazione di sostegno allo Stato russo in sé e al Presidente Putin in persona.

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sbilanciamoci

Capitale e lavoro: un conflitto di struttura

di Roberto Romano

La relazione tra capitale e lavoro varia nel tempo e a seconda dei Paesi. Negli ultimi anni il nostro è l’unico Paese tra i fondatori dell’Unione europea in cui il risultato lordo di gestione (cioè i profitti) è sistematicamente più alto del reddito da lavoro in rapporto al Pil

092231923 8d67054e d748 49fa bdca 43bf8263df4bIl conflitto capitale-lavoro ha una storia molto lunga. Nel tempo è cambiato il contenuto di sapere e saper fare di capitale e lavoro1; sostanzialmente il primo come il secondo sono figli della società che evolve nei diritti, nella percezione del ben-essere e, soprattutto, dei diritti di seconda generazione descritti da Norberto Bobbio2. Questi diritti sono ancora oggi un asse importante della società moderna. Certamente sono indeboliti, ma la spesa pubblica per i cosiddetti “beni di merito” (scuola, sanità, previdenza e assistenza in caso di perdita del posto di lavoro) sono una parte cospicua della spesa pubblica. I “beni di merito” dovrebbero e potrebbero essere più elevati se passasse l’idea (giusta) che le tasse sono un diritto, ma l’attuale dimensione della spesa pubblica rimane comunque importante.

Il capitale ha tratto certamente giovamento dell’intervento pubblico; anche il lavoro ha beneficiato dell’attivismo dello Stato, almeno storicamente, ma la recente struttura del capitale nazionale ed europeo registra una difficoltà di sistema importante.

 

La contabilità nazionale

La contabilità nazionale è fondamentale per analizzare il flusso del reddito sia dal lato della domanda e sia dal lato dell’offerta, così come è fondamentale per studiare la ripartizione dello stesso reddito tra i diversi soggetti economici. La contabilità nazionale, inoltre, permette di osservare la ripartizione del reddito. Il reddito nazionale è costituito dalla somma dei redditi da lavoro (salari e stipendi – W – al lordo dei contributi sociali), dalla rendita (R) per l’affitto di proprietà (terreni, case, ecc.), dai profitti (P) che comprendono tutte le remunerazioni non altrove classificate (interessi, dividendi, ecc.):

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acropolis

Una critica alle teorie sulla finanziarizzazione delle corporation non finanziarie

di Francisco Paulo Cipolla e Paolo Giussani

Da Countdown vol. V/VI Studi sulla crisi, ed. Asterios

d24226ae4f849465fdebaafaa7239c8b Ioannou The Forgoten Guard of Athens 20231. Introduzione

I fenomeni a supporto delle interpretazioni secondo cui le corporation non finanziarie si stavano trasformando sempre più in imprese dominate da interessi finanziari sono stati i profitti in crescita delle attività finanziarie rispetto a quelli dell’economia reale (Kripnner 2005, Stockhammer 2004); il trasferimento nel sistema finanziario di una quota sempre maggiore di profitti sotto forma di interessi, i dividendi e il riacquisto di azioni (Duménil e Lévy 2004, p.74; Lazonick); una percentuale sempre maggiore dello stock di asset finanziari rispetto a quelli reali. Queste tendenze vengono incentivate sempre più una volta osservato l’aumento dei profitti nel sistema finanziario rispetto ai profitti totali dell’economia (Magdoff e Sweezy 1987 p.98; Harvey 2011, p.50) o per il volume infinitamente più grande delle operazioni finanziarie rispetto all’effettiva produzione di ricchezza.

Senza trascurare la sfida che questi fenomeni rappresentano per la nostra comprensione, in questo lavoro ci limiteremo ad analizzare i processi che vengono considerati come prove della finanziarizzazione delle corporation non finanziarie. Questa evidenza verrà illustrata in seguito attraverso grafici che replicano la maggior parte delle serie più comuni che si trovano nella letteratura specifica. Tuttavia, poiché si tratta di aggiornamenti relativi ad un periodo più recente, il semplice passare del tempo fa luce su alcune tendenze che si sono presentate come prove della finanziarizzazione.

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effimera

Le rivolte delle banlieues francesi

di Salvatore Palidda

Una potente continuazione delle grandiose mobilitazioni contro la scellerata riforma delle pensioni imposta dal neofascismo di Macron

Francia9j5Durante le grandiose mobilitazioni contro la scellerata riforma delle pensioni imposta dal neofascismo di Macron, alcuni avevano rimproverato i giovani delle banlieues di non parteciparvi. È vero -ma non del tutto – che il “mondo” dei giovani delle banlieues non è abituato a convergere nelle mobilitazioni sindacali e anche politiche come quelle dei gilets gialli o delle lotte contro il job act francese e altre della sinistra antagonista. Da notare che solo ora le sinistre della NUPES hanno sostenuto quasi unanimemente le attuali rivolte, ma i sindacati non hanno detto nulla. In realtà le banlieues sono da sempre un “mondo a parte”, emarginato da tutti (ricordiamo che lo stesso si può dire di certe zone periferiche di grandi città italiane come Milano, Roma ecc. – vedi libro di Pietro Saitta).

Le rivolte delle banlieues si ripetono sin dal 1979 nel quartiere della Grappinière, à Vaulx-en-Velin, vicino Villeurbanne (nei pressi di Lione) e di fatto hanno memoria delle storiche violenze poliziesche in Francia. Non è casuale: finito il periodo dei “trenta gloriosi” (gli anni della ricostruzione postbellica e del boom economico), la Francia paga il prezzo che la stragrande maggioranza dei lavoratori e della popolazione ha sopportato con costi umani e materiali immani per questo “progresso”. Decine furono le bidonville sparse in tutte la Francia (fra queste quella celebre raccontata da Abdelmalek Sayad, in Una Nanterre algerina) e i quartieri di case popolari quasi sempre dormitori invivibili, luoghi di indigenza, bollati dai criminologi come fucine di devianza minorile e criminalità. La Francia aveva preteso mirare alla prosperità a tutti i costi e pretendeva anche la creazione di dispositivi e strutture per forgiare una posterità che avrebbe dovuto assicurare il ricambio dei genitori manodopera mantenuta a livelli salariali e di qualifica bloccati (i famosi OS-à-vie, cioè operai comuni a vita, soprattutto immigrati nordafricani ma anche in parte autoctoni francesi –de souche).

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effimera

Diario della crisi | La borsa sulla vita. Crisi della riproduzione sociale e reinvenzione del quotidiano

di Cristina Morini

binga copertinaIn questo dodicesimo contributo per il Diario della crisi (pubblicato congiuntamente su Effimera, Machina e El Salto), Cristina Morini riflette sul significato della riproduzione sociale e della sua crisi. Nel capitalismo contemporanee, dove piattaforme tecnologiche e app organizzano la messa a valore della vita, la riproduzione sociale va oltre la famiglia e la cura di partner e figli. Essa definisce nuovi legami produttivi ai quali ci viene chiesto di adattarci, posti tra il biologico e il sociale, tra i corpi e la relazione che intrattengono tra loro e il mondo circostante. Ma proprio la centralità che oggi assume, nell’essere perno della valorizzazione contemporanea, la pone in costante crisi. Più gli atti della vita (cura, linguaggio, relazione) si avvicinano a diventare una merce qualunque, oggetto di mercificazione e di scambio economico, diretto o indiretto, più essi perdono di significato nella rete delle relazioni sociali, erotiche, nei collegamenti solidali tra viventi. La svalorizzazione si manifesta su tre livelli in particolare: crisi dei sistemi sanitari nazionali (la dismissione del corpo malato); crisi della riproduzione biologica (crisi demografica); crisi della riproduzione ambientale. La crisi della riproduzione sociale rappresenta la summa delle crisi di fronte alle quali oggi ci troviamo anche poiché rischia di indurre una trasformazione antropologica. Per questo sono fondamentali una politica della vita e una reinvenzione del quotidiano, come insegna il femminismo. Da qui dobbiamo ripartire.

*****

Muta la razza, muta ormai la specie, tra poco tali volti saranno appena percepiti e, percepiti, anch’essi imperdonabili, tanto estranei al contesto, al sistema che li racchiude.

Cristina Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987

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lafionda

Capitalismo di crisi e automatismi del declino – viva il capitalismo!

di Fabio Vighi

medium 2023 06 20 61650cda41Le sabbie mobili del “capitalismo di crisi” ci stanno inghiottendo. Profonde mutazioni nel codice della macchina del capitale alimentano nuove forme di controllo e devastazione. Il cambio di paradigma è conseguenza del raggiungimento del limite interno del modo di produzione capitalistico, per cui una crisi non inaugura più un nuovo ciclo espansivo; piuttosto, serve a nascondere l’impotenza di sistema favorendone la transizione autoritaria. Ciò che muta, dunque, è la funzione epistemica della crisi, che – così come un’emergenza geopolitica, climatica, o epidemiologica – è funzionale alla gestione del declino socioeconomico. Non possiamo farci illusioni: il motore del modo di produzione si è ingolfato da tempo, e le “distruzioni creative” di Schumpeter si portano appresso solo macerie. La dipendenza dal credito del capitalismo ultra-finanziarizzato determina accentramento di denaro e potere nelle mani di pochi soggetti e, insieme, la graduale demolizione della domanda reale, e del legame sociale che essa sostiene. A questo serve la nuova “industria delle emergenze”: propagare un flusso di shock che autorizzino la gestione centralizzata di un modello di valorizzazione economica sempre più stagnante, e dunque sempre più iniquo e violento.

L’implosione di sistema prosegue indisturbata, tra apatia, disorientamento, e false contrapposizioni manipolate dall’alto. Le voci critiche condividono un fondo di nostalgia per un mondo che sta evaporando nel nulla da cui era nato: quella “società del lavoro salariato” che il capitale stesso rende obsoleta. Giovani youtuber che fatturano 200mila euro all’anno filmandosi su una Lamborghini mentre distruggono una famiglia che viaggia con la Smart sono l’emblema dell’inevitabile perversione del modello di società del lavoro in cui ancora ci illudiamo di vivere.

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effimera

Diario della crisi | Industria bellica S.p.A.: come fabbricare la guerra infinita

di Rossana De Simone

Prima parte

capa normandiaLa prima parte dell'articolo di Rossana De Simone e entra «nel laboratorio segreto della produzione» degli armamenti. Corroborando l’analisi con dati presi dai più importanti report governativi, l’articolo spiega come è proprio il settore delle armi, nello stretto intreccio tra aziende della difesa e sicurezza e Stati, uno dei pezzi più importanti che sta trainando il tentativo di ricostruire una base industriale, soprattutto negli Stati Uniti, e come questo aspetto influenzi direttamente lo svolgersi della guerra in Ucraina.

* * * *

Il 16 agosto 2021, parlando dalla Casa Bianca, il presidente americano Joe Biden si è rivolto al mondo per spiegare il collasso in Afghanistan e la fuga degli americani: «Non rimpiango il ritiro. L’Afghanistan non è negli interessi USA».1

Con il suo discorso Biden ha voluto riaffermare che era necessario voltare pagina e pensare alle nuove minacce, a Cina e Russia. Dopo vent’anni di guerra globale, serviti per prendere in mano le redini dell’ordine mondiale e per sostituire l’islam radicale al comunismo come minaccia alla pace mondiale, negli Stati Uniti e nel mondo si è cominciato a discutere delle numerose operazioni militari, che hanno distrutto un paese dopo l’altro, e del declino dell’occidente nell’egemonia globale.

Dei 21mila miliardi di dollari2 di spese militari effettuate dal 2001 al 2022, che hanno portato alla militarizzazione della politica interna (in nome della sicurezza), 16mila miliardi sono andati alle forze militari (compresi 7200 miliardi per le società private di sicurezza), 3mila miliardi ai programmi per i veterani, 949 miliardi alla sicurezza interna e 732 miliardi alle forze dell’ordine federali.

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resistenze1

È in atto una "de-globalizzazione"?

di Prabhat Patnaik*

Pignatelli ottobre 2019defMolti economisti parlano oggi di un processo di "de-globalizzazione" in atto; altri parlano del fatto che il regime neoliberista di un tempo non esiste più. Certo, nulla rimane uguale per sempre: come diceva il filosofo greco Eraclito "Non si può entrare due volte nello stesso fiume"; qualche cambiamento nell'ordine neoliberale è quindi inevitabile con il passare del tempo. Ma il punto vero è: la cornice analitica utilizzata per comprendere la realtà economica del mondo contemporaneo, al fine di cambiarla, è diventata obsoleta e quindi necessita di una seria revisione?

La "globalizzazione", va ricordato, non ha mai significato che i diversi Paesi del mondo si riunissero volontariamente per creare un ordine globale che fosse reciprocamente vantaggioso. Oggi quasi 50 Paesi del mondo sono oggetto di "sanzioni" di vario tipo; ad essi viene impedito con la forza di accedere a beni essenziali, tra cui in alcuni casi medicinali salvavita, dal mercato globale. E il numero non era molto inferiore un decennio fa, quando la "globalizzazione" era universalmente riconosciuta come in pieno svolgimento.

La "globalizzazione" ha quindi sempre avuto un significato molto diverso da quello che le viene comunemente attribuito. Significava l'avvento di una fase del capitalismo in cui il capitale, compresa soprattutto la finanza, si era globalizzato aprendo le economie alla sua circolazione illimitata; aveva così limitato la capacità dello Stato nazionale di intervenire in modi che la finanza non approvava; e questo capitale globalizzato aveva goduto dell'appoggio, nelle sue operazioni globali, soprattutto degli Stati metropolitani, e di altri Stati per difetto. Questi Stati metropolitani, in particolare gli Stati Uniti, decidevano su quali Paesi imporre sanzioni, e gli altri si allineavano.

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neronot

Sansone, i filistei e l'Europa di Breivik

di Franco «Bifo» Berardi

Grecia, Spagna, Turchia… La vittoria etno-nazionalista è irreversibile. Ma è una vittoria scritta sull’acqua

SANSONE BIFO 3L’irreversibile

Tra gli innumerevoli eventi deprimenti di questo anno 2023, quello forse più triste è la conclusione del processo costituente cileno. Talmente triste che mi pare nessuno ne voglia parlare, come se avessimo dimenticato quel che il Cile ha rappresentato nel passato lontano e in quello recente: dopo l’estallido dell’autunno 2019 avevamo (flebilmente) sperato che fosse possibile cancellare il lascito pinochettista del nazi-liberismo. Ma come ogni altro tentativo di riforma democratica, anche quello di Boric si è rivelato un fallimento. Il peso dell’eredità coloniale e del razzismo, il peso della disperazione dei marginali hanno reso ingovernabile quel processo e consegnato la vittoria al discendente politico di Pinochet.

Poi sono venute le elezioni turche in cui il progetto ultra-reazionario di restaurazione del Califfato vince sull’opposizione di un avversario che si presentava come democratico, ma poi proponeva misure di tipo razzista contro i rifugiati siriani.

Poi le elezioni greche, in cui stravince Mitsotakis, rappresentante dell’alleanza tra dittatura finanziaria europea e oligarchia locale. Tsipras paga il prezzo della delusione seguita al referendum del 2015, e con la sconfitta di DIEM25 sprofonda l’illusione di democratizzare l’Europa, come se fosse possibile democratizzare il cuore di tenebra del suprematismo razzista e colonialista.

Infine il franchismo riconquista la Spagna.

Nella primavera del 2022 il governo Sanchez siglò un accordo infame con il Marocco: un tradimento del popolo saharoui in cambio del contenimento carcerario dei migranti africani. Sperava di ingraziarsi così i nazionalisti spagnoli, e come al solito non ha funzionato.

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sinistra

Guerra e Rivoluzione” di Carlo Formenti. Appunti di lettura

di Piero Pagliani

111 1024x12911. Nel panorama delle analisi italiane sulla guerra si devono segnalare il volume di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli, “La guerra capitalista” (Mimesis), quello di Raffaele Sciortino, “Stati Uniti e Cina allo scontro globale” (Asterios) e infine quello di Carlo Formenti, in due volumi, “Guerra e rivoluzione”.

In estrema sintesi l'analisi di Brancaccio, Giammetti e Lucarelli ci presenta un conflitto inquadrabile come uno scontro interimperialistico tra i debitori in declino e i creditori in ascesa, mosso dalla tendenza ineliminabile del capitalismo alla concentrazione.

Considerare, come fanno gli autori, anche il cosiddetto “socialismo di mercato con caratteristiche cinesi” come un tipo nuovo di imperialismo ha suscitato critiche e perplessità, a mio avviso legittime, tra cui quelle, pur differenti, di Sciortino e Formenti.

L'interpretazione di Brancaccio e coautori si colloca nella scia di una lettura “classico marxista” della realtà economica e sociale e anche, si potrebbe dire, “classico leninista”, dove con “classico” intendo un approccio logico che seppur ben fondato su poderose categorie fatica ad adeguarsi ai processi storici e quindi è in difficoltà a cogliere lo snodo politico della crisi.

È utile capire la natura di questo tipo di errore.

Lo scorso ottobre in un articolo apparso su Sinistrainrete (“La caduta. Lineamenti e prospettive del prossimo futuro”) ho presentato il conflitto globale in corso, di cui l'Operazione Militare Speciale in Ucraina è la parte ad oggi più drammatica - ma l'attacco proxy e a volte diretto degli Usa alla Siria non è stato meno drammatico - come un contrasto tra due “modi di essere” nello spazio economico globale:

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machina

Diario della crisi - Dalla gestione della crisi al sistema di guerra

di Stefano Lucarelli

0e99dc 72b9bccd6cc14d81b830f9082c214be3mv2In questa decima puntata del Diario della crisi - progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina-DeriveApprodi ed El Salto - Stefano Lucarelli riflette sull'inopportuno susseguirsi di crisi che, spiazzando ed eliminando le cause e dunque le possibilità d’intervenire sulle conseguenze di quelle precedenti, fanno sì che gli effetti di queste ultime si accumulino e si articolino con quelli delle prime in modo sempre più intrattabile. L'economia dell'attenzione è quindi legata alla formazione di un potere politico sempre più autoritario, che ci invita a pagare il «prezzo della libertà» (Josep Borrel) e ad accettare la creazione di circuiti economici definiti in termini strettamente geopolitici (friend-shoring) legati all'opzione della guerra come orizzonte normalizzato. Le politiche economiche, monetarie e fiscali sono di conseguenza concepite dalle attuali classi dirigenti secondo questi parametri reazionari, con assoluta indipendenza dai loro effetti nocivi sulle classi lavoratrici e povere. Nel frattempo, l'Unione Europea segue docilmente il disegno delle classi dominanti egemoniche globali, imprigionata nella propria impotenza nazionalista.

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1. Esistono dei collegamenti fra la Pandemia e il nuovo scenario militare ̶ uno scenario in cui la guerra appare sempre più vicina all’Europa, e diviene una parte via via più rilevante dell’insieme informativo che condiziona le scelte politiche, ma anche le scelte di chi subisce le politiche?

Non si tratta di una domanda oziosa se in ballo c’è la comprensione del fenomeno della crisi. Redigere un diario della crisi significa innanzitutto non arrendersi alla logica degli shock esogeni, gli eventi del tutto inattesi che non dipendono dalla responsabilità di nessuno. A tal riguardo appare molto interessante l’editoriale che Kamran Abbasi, editor in chief del British Medical Journal ha redatto il 16 Marzo 2022.

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maggiofil

Crisi bancaria negli USA: ci risiamo?

di Toni Iero

xxl mPremessa

Ci aspetta il decoupling, ossia il “disallineamento di sistema”? Quelli che si erano illusi che con la globalizzazione il mondo fosse diventato per sempre “uno” si devono ricredere perché invece corre velocemente verso il “due”, verso il West and the Rest, l’Occidente contro il Resto, come dal titolo di un del libro di Niall Ferguson. Colpa certamente della guerra russo-ucraina, ma pure degli alti tassi d’interesse della Federal Reserve che manda in default le banche e spinge il dollaro alla “de-dollarizzazione”.

Per capirci qualcosa pubblichiamo l’articolo di Toni Iero appena comparso sulla rivista bolognese “Cenerentola” (Aprile 2023, n. 262) [Giorgio Gattei].

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Il recente fallimento di Silicon Valley Bank (SVB) ha riportato alla memoria quello avvenuto nel settembre del 2008 della Lehman Brothers. Fino a che punto si tratta di episodi simili? Siamo di fronte ad un’altra tempesta finanziaria in grado di scuotere i sistemi economici mondiali? Cominciamo col dire che, in realtà, il dissesto di SVB ha origini diverse da quello che travolse la Lehman. Circa quindici anni fa, la banca d’affari americana venne messa in ginocchio dall’insolvenza dei clienti cui aveva prestato il suo denaro. Oggi la banca californiana è stata colpita dal ritiro di ingenti quantità di dollari depositati sui suoi conti correnti. Nel primo caso il problema sorse dal lato dell’attivo (prestiti), questa volta dal lato del passivo (depositi). Per chiarire, in estrema sintesi, una banca raccoglie denaro (conti correnti, depositi) e lo presta (finanziamenti alle imprese, mutui), guadagnando sulla differenza dei tassi di interesse applicati (quello su conti correnti e depositi è, usualmente, molto minore di quello sui prestiti).

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effimera

Diario della crisi | Il panico finanziario da contagio digitale

di Christian Marazzi

contatto dio e adamo2In questa nona puntata del «Diario della crisi» – progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina DeriveApprodi ed El Salto – Christian Marazzi propone un’ipotesi importante: ci troviamo di fronte a una crisi da sovrapproduzione digitale che, se da una parte si spiega a partire dagli effetti del rovesciamento delle politiche monetarie, cioè dall’aumento dei tassi d’interesse per combattere l’inflazione da profitti, dall’altra rimanda alla saturazione della domanda, non solo perché i redditi reali sono fermi o addirittura decrescono, ma anche e forse soprattutto perché la digitalizzazione ha raggiunto la soglia di assimilazione sociale e umana. Nel passaggio da una politica monetaria espansiva a una restrittiva, sostiene l’autore, la lotta politica attorno al tetto del debito pubblico americano, potrebbe essere la classica goccia che fa traboccare il vaso.

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Marzo, la serpe esce dal balzo

Gillian Tett, giornalista del «Financial Times», ha vissuto in presa diretta alcune delle crisi finanziarie e bancarie più importanti degli ultimi trent’anni, come quella scoppiata in Giappone nel 1997 e 1998, a seguito della bolla immobiliare degli anni Ottanta, o quella del 2007 e 2008, la crisi finanziaria globale dei subprime e della Lehman Brothers[1]. Facendo tesoro di quelle esperienze, ha analizzato l’ondata di panico che ha incalzato le banche nel corso del mese di marzo, dalla Silicon Valley Bank a Credit Suisse, passando dalla First Republic, mettendo in evidenza una serie di caratteristiche ricorrenti, ma anche di discontinuità significative.

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maggiofil

La guerra capitalista

Francesco Pezzulli intervista a Stefano Lucarelli

In vista della serata del Maggio filosofico del prossimo Giovedì 11/05/2023 pubblichiamo di seguito un’intervista di Francesco Pezzulli a Stefano Lucarelli sul libro “La guerra capitalista”, che ha scritto insieme a Emiliano Brancaccio e Raffaele Giammetti

39b177c3 2091 477f 9e26 124fac1992b6 xlNel testo appena pubblicato di cui sei autore insieme ad Emiliano Brancaccio e Raffaele Giammetti (La guerra capitalista, Mimesis, 2022 https://www.mimesisedizioni.it/libro/9788857592336), scrivete che «la guerra capitalista è la continuazione delle lotte di classe con mezzi nuovi e più infernali». Puoi illustrarci i termini della questione e come mai giungete a questa conclusione?

Noi siamo partiti da un fatto: la cosiddetta «legge» di centralizzazione dei capitali in sempre meno mani, originariamente teorizzata da Marx, può essere verificata empiricamente. Se ci pensi si tratta di un tema che è stato sempre messo in secondo piano dagli studiosi contemporanei di Marx, ma che in realtà oggi è molto più rilevante rispetto, per esempio, alle riflessioni sulla caduta tendenziale del saggio di profitto. L’analisi della centralizzazione dei capitali tutto sommato era restata sullo sfondo anche nelle analisi critiche del processo di globalizzazione diffusesi soprattutto nella seconda metà degli anni Novanta. E comunque non era mai stata analizzata con gli strumenti adeguati. Oggi in effetti – come mostriamo nel libro – trova una conferma nei dati. È curioso che l’attenzione su questa «legge» tendenziale e sistemica sia stato posto, dopo la crisi globale del 2007-2008, proprio dagli analisti del mondo finanziario sulle pagine del «Financial Times» o di «The Economist», o persino dagli stessi magnati dell’Alta Finanza, coloro che – per dirla con Warren Buffet – si sentono vincitori della guerra fra le classi sociali.

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resistenze1

La fine di un'epoca

di Greg Godels - zzs-blg.blogspot.com

ups and downs economyCome mai il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization - WTO) e la Banca Mondiale, tre delle istituzioni economiche internazionali più prestigiose, prevedono un futuro nero per l'economia globale?

La Banca Mondiale, con toni lugubri, «mette in guardia sulla possibilità di un'imminente "decennio perduto" per la crescita economica».

Nel gennaio di quest'anno, la Banca Mondiale ha ridotto le sue previsioni di crescita per il 2023 all'1,7%, rispetto alla sua proiezione del 3% del giugno 2022. Per collocare questa percentuale in prospettiva, va ricordato che durante l'era della globalizzazione rampante, prima del crollo del 2007-2009, la crescita a livello mondiale era in media del 3,5% annuo. Dopo la crisi il livello medio della crescita si è attestato sul 2,8%. E dopo soli tre mesi dalla sua proiezione di gennaio, la Banca Mondiale prevede un intero decennio di aspettative di crescita ridotte. Come riferisce il Wall Street Journal: «Nel prossimo decennio occorrerà uno sforzo immane in termini di politiche collettive per riportare la crescita ai livelli medi precedenti».

Analogamente, il WTO prevede che il volume del commercio mondiale aumenterà soltanto dell'1,7% quest'anno, rispetto alla crescita media del 2,8% registrata dopo il 2008.

Facendo eco all'allarme lanciato in aprile dalla Banca Mondiale, il FMI ha annunciato le sue peggiori previsioni di crescita a medio termine dal 1990.

In altre parole, tutte e tre le principali organizzazioni internazionali hanno diffuso previsioni negative, per non dire catastrofiche, riguardo all'economia globale.

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machina

Diario della crisi - Crisi, transizione e accumulazione

Il fantasma di Elisabeth Sutherland

di Giovanni Giovannelli

0e99dc 5a24d4f3d68347b8aef25161c8a3b8aamv2In questa fase di transizione del capitalismo, che conosce la distruzione del fordismo e la finanziarizzazione dispotica dell'economia come strategia di potere assolutamente consapevole da parte delle classi dominanti, la violenza e la guerra diventano forza produttiva e vettore di produzione di plusvalore e di accumulazione di capitale. In questa ottava puntata del «Diario della crisi» - progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina-DeriveApprodi e El Salto - Gianni Giovannelli riflette su come la povertà, l'espropriazione e la privazione dei diritti diventino vere e proprie leve di valorizzazione, il cui fine ultimo è quello di togliere ogni autonomia e di mettere fuori legge ogni alternativa per le classi lavoratrici e povere dell'Unione Europea e dell'intero pianeta.

Il testo è pubblicato in contemporanea su Effimera e El Salto, tradotto in spagnolo.

Fury, rage madness in a wind
sweet through America
(William Blake, America, X)

Dentro l’attuale transizione ̶ durante il passaggio, cioè, dal vecchio modo di produzione fordista all’attuale struttura economica finanziarizzata ̶ assistiamo, in sequenza, variegata ma continua, all’attuazione di scelte istituzionali e di decisioni imprenditoriali che concretano un progetto di accumulazione originaria, naturalmente aggiornato e contestualizzato, così da poter essere lo strumento con il quale il nuovo assetto capitalistico intende ottenere un dominio pieno e incontrastato, piegando alle proprie esigenze di profitto gli abitanti di ogni territorio.

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sinistra

Società del controllo, quarta rivoluzione industriale, guerra, percorsi del capitale per uscire dalla crisi

di Nicola Casale

L'articolo che segue è stato scritto come contributo al dibattito nell'ambito del movimento che si è opposto alla gestione autoritaria della pandemia, agli obblighi vaccinali e al green pass. Il suo fine è di cercare di riconnettere i fili degli accadimenti per individuarne origine e scopi. Perciò tratta in modo molto sintetico questioni che meriterebbero argomentazioni molto più diffuse.

9788865480090 0 536 0 75Tra coloro che si sono opposti alla gestione autoritaria della pandemia, ai vaccini e al GP, si è fatta spazio la consapevolezza che non siamo di fronte solo alla folle distorsione di pratiche sanitarie, ma a un disegno più grande che si ripromette una revisione complessiva di tutti i caratteri della vita sociale, economica, politica, culturale, ecc.

L'aspetto che viene colto da tutti è che stiamo transitando velocemente verso una società del controllo. Una società in cui chi detiene il potere possa controllare ogni aspetto della vita di tutti i cittadini al fine di imporgli comportamenti conformi a quanto da esso deciso.

Il progetto si articola attraverso il ricorso a emergenze continue: una prima pandemia, cui altre sicuramente seguiranno, l'emergenza bellica per difendersi dall'aggressivo e disumano mostro russo e liberare il mondo dalla minaccia della dittatura comunista che s'irradia dalla Cina, l'emergenza climatica causata dall'anidride carbonica di origine antropica, l'emergenza idrica per la siccità indotta dai cambiamenti climatici, l'emergenza della crisi finanziaria ed economica, e così via. Le singole emergenze e la loro combinazione sono utilizzate per disciplinare i comportamenti individuali e sociali contrabbandando il disciplinamento come necessario per il bene comune. E sono utilizzate anche per imporre nuovi prodotti di consumo, come le terapie geniche, e nuovi prodotti che cambiano le relazioni sociali, come le tecnologie della comunicazione, la digitalizzazione, la moneta digitale.

Ognuna di queste emergenze è creata in modo artificioso.

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ilpungolorosso

La tempesta bancaria negli Stati Uniti e in Europa, e la lotta di classe

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

Per favorire la lettura e la comprensione di questo testo che deve, inevitabilmente, trattare questioni ostiche e usare termini tecnici, è stata aggiunta, alla fine, una legenda. (Red.)

crisi bancaria immagineNon si era ancora placata la tempesta Credit Suisse, che si è aperta un’altra voragine, protagonista il colosso del credito tedesco e mondiale Deutsche Bank. La crisi di quest’ultima è indubbiamente legata alle modalità con le quali è avvenuta l’incorporazione di CS in UBS, su cui diremo qualcosa nel corso di questo scritto.

In ogni caso, al momento, il bank run, la corsa affannosa agli sportelli delle banche per ritirare i propri soldi prima che venga giù il diluvio, sembra essersi placata.

Negli USA, un intervento deciso e tempestivo del Tesoro, della FED e della FIDC (l’Ente che ha il compito di garantire i depositi bancari fino a 250.000 dollari) ha costruito un cordone sanitario attorno a SVB, Signature e First Republic Bank, che sembra reggere.

Nel vecchio continente, la caduta rovinosa di Credit Suisse, neutralizzata con un’operazione straordinaria dalle molte implicazioni, non ha trascinato, per adesso, altri istituti. Le Borse hanno così ripreso fiato, recuperando in parte quanto avevano perduto nei giorni del panico.

Tutto a posto, dunque? Hanno ragione coloro che, al di là dell’Atlantico, vantano la tenuta delle norme “post Lehman Brothers”? E, in Europa, coloro che, Lagarde in testa, sottolineano il controllo più stringente della vigilanza bancaria nell’UE, la forte “resilienza” degli istituti di credito europei, la loro solidità patrimoniale, il “modello differente di business” che li contraddistinguerebbe da quelli USA? In altre parole, sono giustificate le dichiarazioni ufficiali improntate allo scampato pericolo, alla capacità mostrata di soffocare per tempo ogni contagio, a dispetto delle preoccupazioni che, qua e là, trapelano fra coloro che non hanno responsabilità diretta nella gestione economica?

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sollevazione2

Crisi energetica, facciamo il punto

di Leonardo Mazzei

manca la russiaÈ bene fare il punto sui costi dell’energia, in particolare su quelli del gas e dell’elettricità. Sul tema circola infatti un’ingannevole narrazione, quella secondo cui tutto starebbe andando ormai per il meglio. Ma è davvero così? Assolutamente no.

Siamo in guerra, dunque la propaganda non deve stupirci, ma in questo campo (quello di chi la spara più grossa) l’Occidente batte la Russia dieci a uno. Moreno Pasquinelli si è già occupato del comico trionfalismo di un russofobo come Federico Rampini, che tre giorni prima dell’inizio di una grave crisi bancaria (vedi il crac di due banche americane e le enormi difficoltà di un colosso come Credit Suisse), scriveva che “l’apocalisse della crisi economica era un’allucinazione”. Un tempismo davvero fantastico! Cosa non farebbero certo scribacchini pur di dimostrare quanto sono servi!

Ma quello del bretellato Rampini è solo un caso tra tanti. Il succo del messaggio che si vorrebbe far passare è che tutto va bene, l’Occidente è forte e la guerra fa male solo all’economia russa. È all’interno di questo refrain che assume una grande importanza il discorso sull’energia. Sul tema, la propaganda dei media occidentali è martellante. I prezzi del gas stanno scendendo – essi dicono – dunque la strategia Ue-Nato sta funzionando, possiamo fare a meno della Russia e vivremo felici e contenti.

Ovviamente, la realtà è assai diversa. Vediamolo in tre punti, cercando di ristabilire altrettante verità.

 

  1. Il calo dei prezzi e il crollo dei consumi: è davvero una buona notizia?

La prima verità che va ristabilita è quella sul prezzo all’ingrosso del metano, da cui dipende in larga parte lo stesso costo dell’energia elettrica.

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noinonabbiamopatria

Sul fallimento delle banche: altro che fine della storia!

di Noi non abbiamo patria

fallimentodellebancheLa moneta non figlia valore
Rosa Luxemburg

Sono tempi complicati per chi si sforza di sostenere l’eternità del modo di produzione capitalistico, descritto come il migliore dei mondi possibili. Soprattutto per l’Occidente che, ci piaccia o no, è stato il fulcro del movimento storico e unitario dell’accumulazione mondiale combinato, seppure diseguale.

Dalla California alla Svizzera importanti e solidi istituti bancari falliscono, oppure con i conti in rosso si tenta disperatamente di salvare.

Si dice che i due eventi tra loro non hanno nulla in comune, che le vicende della Silicon Valley Bank, Silvergate Bank e di fondi di investimento californiani a questi collegati e la crisi della Credit Suisse (che non è solo il secondo istituto bancario Svizzero, ma anche uno dei più importanti centri di deposito finanziari per gli investimenti di capitale in Europa) abbiano in comune solo la coincidenza dei tempi.

Intanto, scrive il Sole 24 Ore che “la serenità non si compra. Tantomeno la fiducia. Così non bastano i 300 miliardi di dollari iniettati dalla Federal Reserve nelle banche statunitensi, sommati ai 200 miliardi di liquidità arrivati sull’economia a stelle e strisce dal Conto di disponibilità del Tesoro Usa, sommati ai 50 miliardi di franchi iniettati dalla Banca centrale svizzera al Credit Suisse per ripristinare la fiducia sui mercati. Non bastano. E neppure le parole rassicuranti del presidente Biden…“. [https://www.ilsole24ore.com/art/i-tre-motivi-cui-300-miliardi-fed-non-bastano-calmare-borse-AEk0cE6C]

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micromega

Per fermare le speculazioni, le banche in crisi vanno nazionalizzate

di Enrico Grazzini

Le continue crisi bancarie e finanziarie occidentali sono causate della privatizzazione del sistema bancario e della sua tendenza alla speculazione e al profitto. Le banche dovrebbero essere nazionalizzate in caso di crisi

finanza02Perché il crollo delle banche? Le banche fanno finanza e speculano con i soldi dei risparmiatori. Per superare la crisi occorre nazionalizzare le banche in crisi e separare nettamente il credito dalla finanza.

Di fronte alla semplice ma fondamentale domanda sul perché in Occidente scoppiano continue gravi crisi bancarie e finanziarie che mettono in pericolo tutto il sistema economico capitalista, la risposta è una sola: perché il sistema bancario è ormai del tutto privatizzato e punta solo al profitto e alla speculazione. Nei cosiddetti trenta Gloriosi, dal 1945 al 1975, il sistema bancario europeo e italiano era sostanzialmente pubblico e a direzione pubblica, e le crisi bancarie si contavano sulle dita di una mano ed erano limitate e circoscritte. Non scoppiavano continue e sempre più gravi crisi sistemiche. Le banche facevano credito alle industrie nazionali. Il risparmio nazionale serviva allo sviluppo del Paese e la fuga dei capitali speculativi era proibita. Anche nei paesi anglosassoni con sistema bancario completamente privato le banche erano regolamentate come servizio pubblico: era loro impedito di entrare nel mercato finanziario. In Europa il credito – in gran parte pubblico – ha reso possibile la ricostruzione post-bellica e il miracolo economico italiano e tedesco. Lo sviluppo economico europea di allora cresceva con tassi di aumento pari a quelli cinesi. In Italia le principali banche nazionali – Comit, Credito Italiano e Banca di Roma – erano pubbliche e facevano capo all’IRI. Il credito nei Trenta Gloriosi del dopoguerra, con tutti i suoi difetti e gli scandali, era orientato allo sviluppo della produzione nazionale nell’interesse nazionale. E con la produzione cresceva l’occupazione e il benessere.

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jacobin

Cosa accade alle banche. E cosa potrebbe accadere

di Marco Bertorello, Danilo Corradi

L'intreccio tra finanza ed economia reale, la crisi del digitale, il ruolo delle banche centrali e l'incidenza dell'inflazione: analogie e differenze tra Svb e Lehman Brothers

svizzera jacobin italia 1536x560Agatha Christie in una celebre battuta sosteneva che «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Attualmente nel giallo dello stato di salute del sistema bancario globale e, di conseguenza, di quello economico-finanziario, siamo arrivati in pochi giorni già alla coincidenza. Il fallimento della Silicon Valley Bank (Svb) e il successivo crollo in borsa di Credit Suisse richiamano immediatamente il crack di Lehmann Brothers, cioè il fallimento bancario che accese la crisi finanziaria globale del 2008. A distanza di quindici anni, come di riflesso, il ricordo e le paure tornano a quella vicenda, quando le autorità statunitensi non intervennero, lasciando fallire l’istituto. L’automatismo è in parte giustificato, se si considerano le fragilità dell’attuale sistema finanziario e l’importanza del fattore fiducia, ma ad alcune analogie corrispondono anche differenze importanti che restituiscono un quadro complesso ed estremamente dinamico.

 

Sarà una nuova Lehman?

Molti analisti hanno messo in luce le differenze, rassicurando ed escludendo che il fallimento di Svp sia l’inizio di una nuova crisi sistemica. Questa visione indubbiamente poggia su alcuni elementi di verità.

Dopo la crisi del 2008 i meccanismi precauzionali sono aumentati. I vari accordi quadro raggiunti a Basilea svolgono una funzione di deterrenza richiedendo alle banche maggiore capitalizzazione e liquidità. L’Europa, nel tempo, si è dotata di sistemi di controllo più rigidi.