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machina

Diario della crisi - Crisi, transizione e accumulazione

Il fantasma di Elisabeth Sutherland

di Giovanni Giovannelli

0e99dc 5a24d4f3d68347b8aef25161c8a3b8aamv2In questa fase di transizione del capitalismo, che conosce la distruzione del fordismo e la finanziarizzazione dispotica dell'economia come strategia di potere assolutamente consapevole da parte delle classi dominanti, la violenza e la guerra diventano forza produttiva e vettore di produzione di plusvalore e di accumulazione di capitale. In questa ottava puntata del «Diario della crisi» - progetto nato dalla collaborazione tra Effimera, Machina-DeriveApprodi e El Salto - Gianni Giovannelli riflette su come la povertà, l'espropriazione e la privazione dei diritti diventino vere e proprie leve di valorizzazione, il cui fine ultimo è quello di togliere ogni autonomia e di mettere fuori legge ogni alternativa per le classi lavoratrici e povere dell'Unione Europea e dell'intero pianeta.

Il testo è pubblicato in contemporanea su Effimera e El Salto, tradotto in spagnolo.

Fury, rage madness in a wind
sweet through America
(William Blake, America, X)

Dentro l’attuale transizione ̶ durante il passaggio, cioè, dal vecchio modo di produzione fordista all’attuale struttura economica finanziarizzata ̶ assistiamo, in sequenza, variegata ma continua, all’attuazione di scelte istituzionali e di decisioni imprenditoriali che concretano un progetto di accumulazione originaria, naturalmente aggiornato e contestualizzato, così da poter essere lo strumento con il quale il nuovo assetto capitalistico intende ottenere un dominio pieno e incontrastato, piegando alle proprie esigenze di profitto gli abitanti di ogni territorio.

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sinistra

Società del controllo, quarta rivoluzione industriale, guerra, percorsi del capitale per uscire dalla crisi

di Nicola Casale

L'articolo che segue è stato scritto come contributo al dibattito nell'ambito del movimento che si è opposto alla gestione autoritaria della pandemia, agli obblighi vaccinali e al green pass. Il suo fine è di cercare di riconnettere i fili degli accadimenti per individuarne origine e scopi. Perciò tratta in modo molto sintetico questioni che meriterebbero argomentazioni molto più diffuse.

9788865480090 0 536 0 75Tra coloro che si sono opposti alla gestione autoritaria della pandemia, ai vaccini e al GP, si è fatta spazio la consapevolezza che non siamo di fronte solo alla folle distorsione di pratiche sanitarie, ma a un disegno più grande che si ripromette una revisione complessiva di tutti i caratteri della vita sociale, economica, politica, culturale, ecc.

L'aspetto che viene colto da tutti è che stiamo transitando velocemente verso una società del controllo. Una società in cui chi detiene il potere possa controllare ogni aspetto della vita di tutti i cittadini al fine di imporgli comportamenti conformi a quanto da esso deciso.

Il progetto si articola attraverso il ricorso a emergenze continue: una prima pandemia, cui altre sicuramente seguiranno, l'emergenza bellica per difendersi dall'aggressivo e disumano mostro russo e liberare il mondo dalla minaccia della dittatura comunista che s'irradia dalla Cina, l'emergenza climatica causata dall'anidride carbonica di origine antropica, l'emergenza idrica per la siccità indotta dai cambiamenti climatici, l'emergenza della crisi finanziaria ed economica, e così via. Le singole emergenze e la loro combinazione sono utilizzate per disciplinare i comportamenti individuali e sociali contrabbandando il disciplinamento come necessario per il bene comune. E sono utilizzate anche per imporre nuovi prodotti di consumo, come le terapie geniche, e nuovi prodotti che cambiano le relazioni sociali, come le tecnologie della comunicazione, la digitalizzazione, la moneta digitale.

Ognuna di queste emergenze è creata in modo artificioso.

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ilpungolorosso

La tempesta bancaria negli Stati Uniti e in Europa, e la lotta di classe

di Tendenza internazionalista rivoluzionaria

Per favorire la lettura e la comprensione di questo testo che deve, inevitabilmente, trattare questioni ostiche e usare termini tecnici, è stata aggiunta, alla fine, una legenda. (Red.)

crisi bancaria immagineNon si era ancora placata la tempesta Credit Suisse, che si è aperta un’altra voragine, protagonista il colosso del credito tedesco e mondiale Deutsche Bank. La crisi di quest’ultima è indubbiamente legata alle modalità con le quali è avvenuta l’incorporazione di CS in UBS, su cui diremo qualcosa nel corso di questo scritto.

In ogni caso, al momento, il bank run, la corsa affannosa agli sportelli delle banche per ritirare i propri soldi prima che venga giù il diluvio, sembra essersi placata.

Negli USA, un intervento deciso e tempestivo del Tesoro, della FED e della FIDC (l’Ente che ha il compito di garantire i depositi bancari fino a 250.000 dollari) ha costruito un cordone sanitario attorno a SVB, Signature e First Republic Bank, che sembra reggere.

Nel vecchio continente, la caduta rovinosa di Credit Suisse, neutralizzata con un’operazione straordinaria dalle molte implicazioni, non ha trascinato, per adesso, altri istituti. Le Borse hanno così ripreso fiato, recuperando in parte quanto avevano perduto nei giorni del panico.

Tutto a posto, dunque? Hanno ragione coloro che, al di là dell’Atlantico, vantano la tenuta delle norme “post Lehman Brothers”? E, in Europa, coloro che, Lagarde in testa, sottolineano il controllo più stringente della vigilanza bancaria nell’UE, la forte “resilienza” degli istituti di credito europei, la loro solidità patrimoniale, il “modello differente di business” che li contraddistinguerebbe da quelli USA? In altre parole, sono giustificate le dichiarazioni ufficiali improntate allo scampato pericolo, alla capacità mostrata di soffocare per tempo ogni contagio, a dispetto delle preoccupazioni che, qua e là, trapelano fra coloro che non hanno responsabilità diretta nella gestione economica?

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sollevazione2

Crisi energetica, facciamo il punto

di Leonardo Mazzei

manca la russiaÈ bene fare il punto sui costi dell’energia, in particolare su quelli del gas e dell’elettricità. Sul tema circola infatti un’ingannevole narrazione, quella secondo cui tutto starebbe andando ormai per il meglio. Ma è davvero così? Assolutamente no.

Siamo in guerra, dunque la propaganda non deve stupirci, ma in questo campo (quello di chi la spara più grossa) l’Occidente batte la Russia dieci a uno. Moreno Pasquinelli si è già occupato del comico trionfalismo di un russofobo come Federico Rampini, che tre giorni prima dell’inizio di una grave crisi bancaria (vedi il crac di due banche americane e le enormi difficoltà di un colosso come Credit Suisse), scriveva che “l’apocalisse della crisi economica era un’allucinazione”. Un tempismo davvero fantastico! Cosa non farebbero certo scribacchini pur di dimostrare quanto sono servi!

Ma quello del bretellato Rampini è solo un caso tra tanti. Il succo del messaggio che si vorrebbe far passare è che tutto va bene, l’Occidente è forte e la guerra fa male solo all’economia russa. È all’interno di questo refrain che assume una grande importanza il discorso sull’energia. Sul tema, la propaganda dei media occidentali è martellante. I prezzi del gas stanno scendendo – essi dicono – dunque la strategia Ue-Nato sta funzionando, possiamo fare a meno della Russia e vivremo felici e contenti.

Ovviamente, la realtà è assai diversa. Vediamolo in tre punti, cercando di ristabilire altrettante verità.

 

  1. Il calo dei prezzi e il crollo dei consumi: è davvero una buona notizia?

La prima verità che va ristabilita è quella sul prezzo all’ingrosso del metano, da cui dipende in larga parte lo stesso costo dell’energia elettrica.

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noinonabbiamopatria

Sul fallimento delle banche: altro che fine della storia!

di Noi non abbiamo patria

fallimentodellebancheLa moneta non figlia valore
Rosa Luxemburg

Sono tempi complicati per chi si sforza di sostenere l’eternità del modo di produzione capitalistico, descritto come il migliore dei mondi possibili. Soprattutto per l’Occidente che, ci piaccia o no, è stato il fulcro del movimento storico e unitario dell’accumulazione mondiale combinato, seppure diseguale.

Dalla California alla Svizzera importanti e solidi istituti bancari falliscono, oppure con i conti in rosso si tenta disperatamente di salvare.

Si dice che i due eventi tra loro non hanno nulla in comune, che le vicende della Silicon Valley Bank, Silvergate Bank e di fondi di investimento californiani a questi collegati e la crisi della Credit Suisse (che non è solo il secondo istituto bancario Svizzero, ma anche uno dei più importanti centri di deposito finanziari per gli investimenti di capitale in Europa) abbiano in comune solo la coincidenza dei tempi.

Intanto, scrive il Sole 24 Ore che “la serenità non si compra. Tantomeno la fiducia. Così non bastano i 300 miliardi di dollari iniettati dalla Federal Reserve nelle banche statunitensi, sommati ai 200 miliardi di liquidità arrivati sull’economia a stelle e strisce dal Conto di disponibilità del Tesoro Usa, sommati ai 50 miliardi di franchi iniettati dalla Banca centrale svizzera al Credit Suisse per ripristinare la fiducia sui mercati. Non bastano. E neppure le parole rassicuranti del presidente Biden…“. [https://www.ilsole24ore.com/art/i-tre-motivi-cui-300-miliardi-fed-non-bastano-calmare-borse-AEk0cE6C]

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micromega

Per fermare le speculazioni, le banche in crisi vanno nazionalizzate

di Enrico Grazzini

Le continue crisi bancarie e finanziarie occidentali sono causate della privatizzazione del sistema bancario e della sua tendenza alla speculazione e al profitto. Le banche dovrebbero essere nazionalizzate in caso di crisi

finanza02Perché il crollo delle banche? Le banche fanno finanza e speculano con i soldi dei risparmiatori. Per superare la crisi occorre nazionalizzare le banche in crisi e separare nettamente il credito dalla finanza.

Di fronte alla semplice ma fondamentale domanda sul perché in Occidente scoppiano continue gravi crisi bancarie e finanziarie che mettono in pericolo tutto il sistema economico capitalista, la risposta è una sola: perché il sistema bancario è ormai del tutto privatizzato e punta solo al profitto e alla speculazione. Nei cosiddetti trenta Gloriosi, dal 1945 al 1975, il sistema bancario europeo e italiano era sostanzialmente pubblico e a direzione pubblica, e le crisi bancarie si contavano sulle dita di una mano ed erano limitate e circoscritte. Non scoppiavano continue e sempre più gravi crisi sistemiche. Le banche facevano credito alle industrie nazionali. Il risparmio nazionale serviva allo sviluppo del Paese e la fuga dei capitali speculativi era proibita. Anche nei paesi anglosassoni con sistema bancario completamente privato le banche erano regolamentate come servizio pubblico: era loro impedito di entrare nel mercato finanziario. In Europa il credito – in gran parte pubblico – ha reso possibile la ricostruzione post-bellica e il miracolo economico italiano e tedesco. Lo sviluppo economico europea di allora cresceva con tassi di aumento pari a quelli cinesi. In Italia le principali banche nazionali – Comit, Credito Italiano e Banca di Roma – erano pubbliche e facevano capo all’IRI. Il credito nei Trenta Gloriosi del dopoguerra, con tutti i suoi difetti e gli scandali, era orientato allo sviluppo della produzione nazionale nell’interesse nazionale. E con la produzione cresceva l’occupazione e il benessere.

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jacobin

Cosa accade alle banche. E cosa potrebbe accadere

di Marco Bertorello, Danilo Corradi

L'intreccio tra finanza ed economia reale, la crisi del digitale, il ruolo delle banche centrali e l'incidenza dell'inflazione: analogie e differenze tra Svb e Lehman Brothers

svizzera jacobin italia 1536x560Agatha Christie in una celebre battuta sosteneva che «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Attualmente nel giallo dello stato di salute del sistema bancario globale e, di conseguenza, di quello economico-finanziario, siamo arrivati in pochi giorni già alla coincidenza. Il fallimento della Silicon Valley Bank (Svb) e il successivo crollo in borsa di Credit Suisse richiamano immediatamente il crack di Lehmann Brothers, cioè il fallimento bancario che accese la crisi finanziaria globale del 2008. A distanza di quindici anni, come di riflesso, il ricordo e le paure tornano a quella vicenda, quando le autorità statunitensi non intervennero, lasciando fallire l’istituto. L’automatismo è in parte giustificato, se si considerano le fragilità dell’attuale sistema finanziario e l’importanza del fattore fiducia, ma ad alcune analogie corrispondono anche differenze importanti che restituiscono un quadro complesso ed estremamente dinamico.

 

Sarà una nuova Lehman?

Molti analisti hanno messo in luce le differenze, rassicurando ed escludendo che il fallimento di Svp sia l’inizio di una nuova crisi sistemica. Questa visione indubbiamente poggia su alcuni elementi di verità.

Dopo la crisi del 2008 i meccanismi precauzionali sono aumentati. I vari accordi quadro raggiunti a Basilea svolgono una funzione di deterrenza richiedendo alle banche maggiore capitalizzazione e liquidità. L’Europa, nel tempo, si è dotata di sistemi di controllo più rigidi.

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effimera

Diario della Crisi | Do you remember Lehman Brothers?

Il fallimento della banca dell’innovazione e l’enigma delle grandi dimissioni

di Christian Marazzi

Wall streetIl recente fallimento della Silicon Valley Bank, la «banca dell’economia globale dell’innovazione», squaderna questioni e domande decisive. In questa nuova puntata del «Diario della crisi», Christian Marazzi spiega in modo illuminante che cosa sta accadendo e la posta in palio, analizzando il ruolo della banca centrale, l’effetto dell’aumento dei tassi di interesse sui Titoli di Stato, il possibile precipitare degli investimenti delle start-up di tecnologia climatica legati alla Svb. In un contesto in cui, negli ultimi anni, i salari sono cresciuti più lentamente dell’inflazione e i salari reali aggregati sono di fatto diminuiti, l’autore spiega come il problema di fondo della politica della Fed sia il suo essere monetarista, tutta incentrata cioè sull’offerta di moneta, e non, come dovrebbe essere, sull’andamento della domanda di moneta. Sotto le politiche della Fed, dunque, sembra riaffacciarsi l’enigmatico spettro dei comportamenti del lavoro vivo e delle «grandi dimissioni».

* * * *

Non solo start-up

A un primo livello d’analisi, il fallimento della Silicon Valley Bank (la «banca dell’economia globale dell’innovazione») appare come una tipica crisi da bank run, da corsa agli sportelli causata dal panico dei depositanti, per lo più «startupper» nel settore digitale, per recuperare quanta più possibile liquidità da una banca, la loro, sull’orlo del crac. «Per capire – scrive Paolo Mastrolilli su «la Repubblica» di domenica 12 marzo, riassumendo la narrazione generale – bisogna partire dall’origine della crisi. Prima del Covid, alla fine del 2019, i depositi presso la Svb erano triplicati, da 62 a 189 miliardi di dollari, grazie all’esplosione delle start-up tecnologiche.

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ilpungolorosso

Sul fallimento della Silicon Valley Bank, annessi e connessi…

di Michael Roberts

wall street 4847634 340 1Pubblichiamo qui di seguito un articolo di Michael Roberts sul fallimento della Silicon Valley Bank [ne abbiamo ricevuto la traduzione da Antonio Pagliarone, che ringraziamo – n. (*)], che evidenzia alcuni dei problemi di fondo legati a questa ennesima crisi bancaria. Commentando le dichiarazioni ufficiali di vari esponenti dell’establishment finanziario e istituzionale a vario titolo implicati nell’affaire (dichiarazioni quasi tutte tese a minimizzare l’accaduto e illustrarne il preteso carattere circoscritto), Roberts si chiede: il crollo di SVB è davvero un caso singolo?

I fatti hanno già fornito una prima risposta. Il crollo di SVB, infatti, ha trascinato con sé, in contemporanea, Silvergate, e si è poi esteso alla newyorchese Signature Bank e all’ex filiale inglese di SVB, “comprata” dal gigante britannico HSBC al prezzo di saldo di una sterlina, una volta constatato il suo fallimento virtuale.

Ad accompagnare questi fallimenti, una scia di pesanti tonfi in Borsa e di difficoltà finanziarie ha colpito First Republic Bank, Western Alliance, Charles Schwab e altri istituti, sia americani che europei.

A leggere i commenti più o meno ufficiali della stampa specializzata e degli “addetti ai lavori”, con alcune sporadiche eccezioni, sembra di ritornare indietro nel tempo. È tutto un susseguirsi di “rassicurazioni” sulla “ben maggiore solidità” delle banche attuali rispetto a quelle del big crash del 2008, sulla dimensione “di nicchia” del business di SVB, per questo incapace di innescare problemi di carattere sistemico e così via.

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effimera

Diario della crisi | Guerra e moneta

di Maurizio Lazzarato

dollaro 1200x500Il quinto appuntamento del Diario della crisi – progetto nato dalla collaborazione di «Effimera», «Machina» ed «El Salto» – è dedicato alla questione della guerra. A occuparsene è Maurizio Lazzarato, con un testo che costituisce l’introduzione al suo nuovo volume di prossima pubblicazione per DeriveApprodi: Guerra e moneta. Imperialismo del dollaro, neoliberalismo, rotture rivoluzionarie. L’autore, a partire dai limiti della riflessione e delle ipotesi del pensiero critico sul tema, analizza quello che lui definisce «imperialismo del dollaro», spiazzando decisamente il campo rispetto all’identificazione tra capitalismo e neoliberalismo. Il testo, offrendo una lettura in chiave genealogica e di prospettiva della guerra in corso, aggredisce l’attualità senza scadere nelle convulsioni della cronaca; al contempo, presenta diversi spunti di discussione attorno a cui allargare e approfondire il dibattito sulla crisi contemporanea

******

* La guerra (e tutte le sue variazioni, guerra di classe, di razza, di sesso, neocoloniale ecc.) è il regime di verità del capitalismo.

* Il capitalismo non si può in nessun caso identificare con il neoliberalismo. Il misfatto di confondere i due è stato operato per primo da Michel Foucault, creando una catastrofica confusione teorica e politica nel pensiero critico che non ha fatto che aggravarsi con il passare del tempo. Il capitalismo si è sbarazzato della governamentalità neoliberale, come un secolo primo aveva fatto con il liberalismo classico, a cui ha preferito, per difendere gli interessi delle classi proprietarie, populismi, nuovi fascismi, guerre civili e da ultimo la guerra.

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labottegadelbarbieri

Dietro ed oltre la guerra in Ukraina

di Giorgio Ferrari

Ad un anno esatto dallo scoppio della guerra in Ucraina Giorgio Ferrari scrive un articolo che è la prosecuzione di Comparazione tra due guerre: l’annullamento della dialettica e l’inversione della storia.  Si tratta di un ragionamento su cosa si cela (anche) dietro questa
guerra, ma soprattutto è un ragionamento sull’Occidente, la sua costruzione e i suoi valori

Immagine1 1okjLe argomentazioni svolte precedentemente (Comparazioni tra due guerre - L’annullamento della dialettica e l’inversione della storia)i, per quanto circoscritte ad una analisi comparata tra gli avvenimenti che precedettero la II guerra mondiale e quelli che hanno portato all’attuale guerra in Ucraina, forniscono già un esempio della presunzione e del manicheismo di cui è pervaso il pensiero dominante.

C’è un solo aggressore, la Russia, ed un solo aggredito, l’Ucraina; quest’ultima è la vittima, l’altra è il carnefice. Di più non è consentito dire, pena l’iscrizione tra i seguaci di Putin con tutte le dannazioni conseguenti che in questi mesi sono state utilizzate dalla stragrande maggioranza degli organi di informazione, i quali hanno fornito un’informazione monotonica sullo svolgimento del conflitto con descrizioni raccapriccianti della barbarie russa.

Sono talmente tanti ed estremi i giudizi nei confronti della Russia, che si è superato un punto di non ritorno per cui viene da chiedersi se sarà mai possibile, un domani, ripristinare una qualche relazione con questo paese; se, insomma, non sia questo dell’Occidente, un atteggiamento risolutivo volto a precludere una qualsivoglia soluzione del conflitto che non sia la capitolazione della Russia e/o la sua disgregazione.

 

Lo scontro di civiltà

Il secolo scorso, improvvidamente definito “breve” da Hobsbwan, non sembra avere una fine. L’ultimo suo lascito, quello del 1989, grava ancora sul presente nonostante i numerosi tentativi di esorcizzarlo.

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neronot

Abbiamo perso?

di Franco «Bifo» Berardi

Anche se gruppi di umani sopravviveranno, l’umanità non può sopravvivere. Una riflessione sulla sconfitta in compagnia di Amitav Ghosh, Swimmers e il documentario Rai su Lotta Continua

BIFO LC 1Nei giorni di Lutzerath, mentre qualche migliaia di ragazzine e ragazzini col cappuccio di lana calato sulle orecchie giocava a nascondino con la polizia dello Stato tedesco per impedire l’apertura di una miniera di carbone, ho visto Lotta Continua il documentario Rai di Tony Saccucci.

È pieno di immagini straordinarie sulle lotte Fiat, e offre prospettive diverse, anche contraddittorie, sulla storia di quella organizzazione e sul panorama sociale degli anni successivi al ’68.

Voglio precisare che non ho partecipato all’esperienza di Lotta Continua, perché dal 1967 mi riconoscevo nelle posizione di Potere Operaio, ma voglio anche precisare che fin da quegli anni mi sentivo spesso più vicino allo spontaneismo di Lotta Continua che al severo tardo-leninismo che dopo l’autunno del ‘69 prese il sopravvento in Potere Operaio.

Tra le tante cose interessanti mi ha colpito una frase di Vicky Franzinetti: “Noi abbiamo perso, e chi perde ha un debito immenso verso le generazioni successive.”

Mi ha fatto pensare, mi sta facendo pensare.

“Abbiamo perso.” Frase problematica. Avremmo potuto vincere? E come avremmo potuto vincere? Trasformandoci in forza politica parlamentare (tentativo peraltro compiuto e fallito) o prendendo le armi in centomila fino al bagno di sangue? O forse avviando un processo di secessione pacifica di un’intera generazione? Più o meno le abbiamo tentate tutte, queste strade, e nessuna era all’altezza del problema.

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effimera

Diario della crisi | Appunti per una critica del diritto prossimo venturo

di Gianni Giovannelli

1943 sciopero 3 virIn questo secondo appuntamento del Diario della crisi – rubrica nata dalla collaborazione tra Effimera, Machina e il periodico El Salto – Gianni Giovannelli analizza la crisi del diritto. L’autore sostiene che non si tratta di una generica stretta repressiva limitata al diritto penale, bensì di una trasformazione più complessiva delle norme ordinamentali, civili, amministrative, lavoristiche, marittime, militari, interstatuali. Soprattutto in una situazione di approfondimento della crisi, viene mostrato come le differenti forme di dissenso diventino immediatamente criminali. Perciò analizzare le trasformazioni del diritto è un importante angolo prospettico attraverso cui ripensare le armi della critica.

Fu un linguaggio del dispotismo
e della tirannia il dire che la sola
regola della legislazione è la volontà
del legislatore.
Gaetano Filangieri
(La scienza della legislazione, I, III
Napoli, Raimondi, 1780)

Costituisce un dato di fatto, oggettivo e incontestabile, che siano in corso mutamenti profondi nella legislazione italiana e che questi mutamenti trovino un puntuale riscontro anche negli altri territori del pianeta, perfino a prescindere dalle diverse strutture politico-istituzionali. Non si tratta di una generica stretta repressiva limitata al diritto penale, come un esame soltanto superficiale potrebbe indurre a credere; la trasformazione – di questo si tratta come ogni giorno appare sempre più evidente – si estende all’insieme complessivo delle norme ordinamentali, civili, amministrative, lavoristiche, marittime, militari, interstatuali.

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altraparola

L’età delle catastrofi

di Roberto Finelli

durer 3Un’epoca della modernità s’è evidentemente conclusa. Il capitalismo è infatti divenuto capitalismo universale. Ma pandemia e guerra stanno lì a dimostrare quanto la sua modernità, che almeno dal XVI° sec. ha significato crescita progressiva della ricchezza e allargamento dei beni primari a masse sempre più estese della popolazione, si sia venuta ormai estenuandosi.

Potremmo definire “età delle catastrofi” il periodo storico nel quale l’umanità si accinge ad entrare, o meglio nel quale è già entrata a partire dalla globalizzazione dell’economia neoliberale che s’è iniziata storicamente con l’implosione dell’Unione Sovietica e la diffusione dell’economia a dominanza di capitale all’intero pianeta. Nel giro di trent’anni il neoliberismo, vale a dire il capitalismo come espansione illimitata del capitale, nella sua forma di capitale produttivo, capitale finanziario e capitale commerciale, ha mostrato dopo un decennio di diffusione e sviluppo, tutti i suoi intrinseci limiti, per proporsi, nell’orizzonte di un passaggio egemonico dagli Stati Uniti alla Cina, come sintesi di tre catastrofi che sempre più si apprestano e stanno per attraversare e devastare la vita del XXI° secolo.

Tale nuova età delle catastrofi si configura attraverso la compresenza del suo agire su tre livelli distinguibili ma pure riconducibili a facce di una stessa realtà.

    1. La catastrofe ecologica.
    2. La catastrofe geo-politica.
    3. La catastrofe antropologica della mente.

 

1. La catastrofe ecologica

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badialetringali

Il patto suicida

Lettere al futuro n. 8

di Marino Badiale

21072019 6 Motivi Che Spingono Una Persona Al Suicidio1. Il patto sociale nelle società premoderne e nella modernità.

In questo scritto espongo alcune riflessioni sulla situazione dello “spirito del tempo”. Il punto di partenza è la convinzione che la società attuale sia indirizzata verso un rovinoso crollo di civiltà, che sarà causato dal concorrere di una serie di crisi concomitanti, fra le quali la più significativa in questo momento è la crisi climatica. Ho argomentato tale mia convinzione in interventi passati [1] e non mi soffermerò su di essa in questo scritto, che è piuttosto dedicato ad esaminare le conseguenze di questa situazione sul piano della cultura e delle ideologie.

Il punto di partenza è una considerazione del tutto generale (e piuttosto banale): in ogni società umana che presenti un gruppo sociale dominante e uno o più gruppi sociali subalterni, esiste una qualche forma di “patto sociale”, non sempre chiaramente esplicitato, per il quale i ceti subalterni accettano il dominio dei ceti dominanti. Nessun dominio stabile può basarsi esclusivamente sulla forza bruta, ma deve prevedere un momento nel quale le istanze dei ceti subalterni sono considerate e almeno parzialmente soddisfatte; ovviamente questo avviene entro limiti ben precisi, compatibilmente cioè con la perpetuazione del potere e dei privilegi dei ceti dominanti [2]. Naturalmente, niente garantisce che il patto sociale funzioni: può succedere che i ceti dominanti falliscano nel tener fede al patto, per incapacità propria o per cause di forza maggiore (disastri naturali, sconfitte militari). Ma in tal caso il loro dominio è messo seriamente in pericolo, e se non viene ripristinato e reso storicamente efficace un patto sociale soddisfacente, i ceti dominanti vengono abbattuti e sostituiti da altri ceti dominanti.

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cumpanis

Il fascismo del XXI Secolo

di Fulvio Bellini*

IMMAGINE ARTICOLO BELLINILa struttura in crisi: lo Stato in mano alla sola borghesia

In svariati passaggi delle opere di Karl Marx si parla di struttura e sovrastruttura, e in premessa del presente articolo, si desidera ricordare che questi concetti sono attuali, che abbracciano ideologie e politica, e che spiegano il titolo di questo scritto. Come noto, la descrizione sintetica ma limpida di struttura e sovrastruttura il filosofo di Treviri ce la pone nella prefazione del testo Per la critica dell’economia politica del 1859: “Nella produzione sociale delle loro esistenze, gli uomini inevitabilmente entrano in relazioni definite, che sono indipendenti dalle loro volontà, in particolare relazioni produttive appropriate ad un dato stadio nello sviluppo delle loro forze materiali di produzione. La totalità di queste relazioni di produzione costituisce la struttura della società, il vero fondamento, su cui sorge una sovrastruttura politica e sociale e a cui corrispondono forme definite di coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona il processo generale di vita sociale, politica e intellettuale. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. Ad un certo stadio di sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in conflitto con le esistenti relazioni di produzione o – ciò esprime meramente la stessa cosa in termini legali – con le relazioni di proprietà nel cui tessuto esse hanno operato sin allora. Da forme di sviluppo delle forze produttive, queste relazioni diventano altrettanti impedimenti per le stesse. A quel punto inizia un’era di rivoluzione sociale. I cambiamenti nella base economica portano prima o dopo alla trasformazione dell’intera immensa sovrastruttura”.

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lantidiplomatico

'Dalla Quarta Rivoluzione industriale' al 'Grande Reset'

Il pensiero di Karl Schwab e la crisi del capitalismo

di Leonardo Sinigaglia

720x410c50ihbnjhuygfcdseNegli ultimi due anni si può dire che Karl Schwab abbia per molti sostituito la figura di George Soros come personificazione di ogni tendenza negativa, o percepita come tale, del nostro mondo. Dal’inizio dell pandemia del Covid-19, Schwab, con le sue idee sull’occasione propizia per un “Grande Reset”, è diventato nelle ricostruzioni dei più critici nei confronti delle politiche pandemiche nientemeno che il “regista” di ciò che si stava sviluppando sotto i nostri occhi.

Questa visione regala a Schwab gradi di potere e autorevolezza che forse non gli appartengono, e si concentra sulla descrizione dell’economista tedesco come il vertice di un gruppo di “incappucciati” dediti alla dominazione globale e alla creazione di un futuro distopico. Ma chi è Klaus Schwab? E in che relazione sono le sue analisi e le sue proposte col nostro mondo e coi suoi processi?

La figura di Schwab è ovviamente connessa all’organizzazione da lui fondata, il World Economic Forum. Anch’essa sconosciuta ai più prima del 2020, la sua natura ancora una volta è ricondotta a qualcosa di ‘occulto’, una setta di individui estremamente potenti dediti al perseguimento dell’orizzonte “transumano”.

Ma cos’è veramente il WEF, al di là di preoccupazioni e ricostruzioni più o meno veritiere, è lo stesso Schwab a dirlo, e in maniera brutalmente onesta: “[...] the international organization for public-private cooperation”[1], ossia “l’organizzazione internazionale per le cooperazione fra soggetti pubblici e privati”.

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effimera

Diario della crisi | Chi paga l’inflazione da profitti?

di Christian Marazzi

Candy Store 1200x816Questa rubrica prende avvio oggi grazie alla collaborazione tra due realtà editoriali che si propongono di favorire la discussione e la critica politica: Effimera e Machina. Ad esse si aggiunge il periodico online El Salto che tradurrà e divulgherà i testi di questa sezione in spagnolo. Le uscite, con cadenza quindicinale, avverranno in contemporanea sui tre siti.

Il tema che vogliamo trattare non è nuovo. Il concetto di crisi ha sempre innervato la critica al capitalismo, nelle sue diverse declinazioni, da quello fordista a quello bio-cognitivo al nuovo volto dell’accumulazione consentita dalle piattaforme. In questo momento, tuttavia, riteniamo di essere in presenza non solo di una crisi di natura sociale ed economica ma di una molteplicità di crisi. Siamo cioè in presenza di una convergenza di diverse tipologie di crisi, che innervano tessuti e realtà anche molto dissimili fra loro: l’ambiente e la riproduzione-sociale, la cultura e la comunicazione, la politica e la rappresentanza, solo per citare alcuni esempi eclatanti.

Ci troviamo a sfidare un contesto complesso e variegato, al cui interno il sistema di produzione capitalistico sta mostrando in modo evidente la sua natura predatrice e distruttiva. La guerra, da questo punto di vista, rappresenta solo la rivelazione manifesta di queste crisi.  È necessario perciò comprenderne la natura profonda, interrogarle e cogliere gli elementi di “squilibrio traumatico” che possono comportare. Krisis (Κρίση) nel greco antico significa “scelta”. Per noi “scegliere” significa “cambiare”. Il diritto alla scelta, all’autodeterminazione è uno strumento possibile per iniziare ad immaginare un nuovo cambiamento. Un cambiamento in grado di cogliere tutti questi aspetti.

I contributi che seguiranno saranno caratterizzati così da una natura multidisciplinare, in grado di cogliere i diversi aspetti critici che vi si nascondono e che raramente sono posti in primo piano.

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contropiano2

“Diamo a Marx quel che è di Marx”, ma davvero

di Redazione Contropiano - Carmelo Ferlito

marx davvero 600x300Una recensione “ultraliberista” di un testo dichiaratamente marxista consente, non paradossalmente, di chiarire meglio il concetto di “legge scientifica” e perché, pur essendoci chiare differenza tra la fisica e la critica dell’economia politica, si possa parlare di “legge” in entrambi i casi.

Scrive infatti Carmelo Ferlito – in riferimento a La guerra capitalista di Brancaccio, Giammeti e Lucarelli – “La parte sul conflitto imperialista appare come la più debole all’interno di un volume altrimenti molto interessante e sorgente di numerosi spunti per un dibattito serio sulla dinamica del capitalismo contemporaneo. Infatti, gli autori non riescono ad ingabbiare il legame tra concentrazione e guerra nella stessa logica convincente che invece caratterizza la prima parte sul legame tra concorrenza e concentrazione.”

In estrema sintesi, mentre il legame scientifico tra concorrenza e concentrazione del capitale appare logicamente e scientificamente comprovato, nel libro dei tre studiosi, quello tra crisi e guerra sarebbe ai suoi occhi una “forzatura ideologica”, un tributo quasi fideistico ad una concezione del mondo non scientifica.

A noi, e a tutta l’umanità, crediamo, risulta abbastanza chiaro che molte crisi economiche, specie se di dimensione sistemica, si sono “risolte” con la guerra e la relativa distruzione del “capitale in eccesso” (industrie, infrastrutture, esseri umani, ecc). Dunque un legame tra i due processi (crisi e guerra) ci deve essere. La dimostrazione scientifica non è altrettanto semplice, se la si vuole svolta alla maniera della fisica o della biologia.

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Al capezzale del Capitale

di Tomasz Konicz

koniczParte prima. La politica monetaria è sull'orlo della bancarotta?

**Una sintesi delle contraddizioni della politica di crisi borghese, vista nell'attuale fase di stagflazione (Prima parte di una serie sull'attuale scoppio della crisi)

Possiamo dire di avere ancora dei soldi? Ovvero, detto in altri termini: Riuscirà finalmente la politica a tenere sotto controllo l'inflazione? All'inizio di novembre, dopo molti mesi di inflazione in costante aumento, il New York Times aveva percepito un barlume di speranza per la politica monetaria [*1]. Secondo gli ultimi dati, l'inflazione negli Stati Uniti si è ora leggermente moderata, il che è «una notizia gradita tanto alla Federal Reserve quanto alla Casa Bianca». Secondo i dati, l'inflazione ha rallentato, dall'8,2% di settembre al 7,7% dello scorso ottobre; le previsioni parlavano del 7,9%. Anche l'«inflazione di base», che esclude gli aumenti dei prezzi dell'energia e dei generi alimentari, ha subito un rallentamento, passando in quello stesso periodo dal 6,6 al 6,3%. Aumentare i tassi di interesse da parte della Federal Reserve statunitense, che quest'anno ha portato il tasso di riferimento dallo 0,25% al 4%, sembra perciò avere avuto un effetto [*2]. E in termini monetari, il punto finale non è stato ovviamente ancora raggiunto. I banchieri centrali della Fed, hanno dichiarato che i tassi di riferimento dovranno essere portati a un livello compreso tra il 4,75 e il 5,25%, per poter riportare finalmente l'inflazione sotto controllo [*3] Nel rapido aumento dei tassi - il più rapido dalla lotta contro la stagflazione nei primi anni '80 [*4] - non è prevista alcuna «pausa», hanno dichiarato i funzionari della Fed ai media statunitensi [*5].

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L’emergere del paradigma produttivista

intervista a Dani Rodrik

Per l’economista di Harvard l’era dell’iperglobalizzazione sta tramontando: gli imperativi della sicurezza nazionale hanno già cominciato a dettare nuove regole economiche globali. Credendo di perseguire gli stessi obiettivi, stiamo coltivando linee di confronto – lo dimostra quello apertosi in questi giorni tra Bruxelles e Washington. Come evitare che il nuovo paradigma sia peggiore del vecchio?

76391b0fd3c86f3c398963dd5eae6193 XLDalla pandemia di Covid-19, molti esperti, accademici e politici annunciano il declino del neoliberismo e della globalizzazione. Secondo te, quali sono le cause di questo cambiamento di percezioni?

Il discorso su quella che ho chiamato iperglobalizzazione si è davvero dissipato. Ciò è particolarmente visibile dopo la pandemia e, ancor di più, dopo la guerra in Ucraina, con le sue ramificazioni geopolitiche, e con il rafforzamento della competizione con la Cina. Ma queste cause immediate e molto visibili vanno collocate nel loro contesto, quello di un decennio che già vedeva farsi evidenti le debolezze ei problemi legati al neoliberismo e all’iperglobalizzazione.

Penso che per molti versi la crisi finanziaria globale sia il punto in cui è iniziata. Non ha portato a un cambiamento fondamentale nel discorso, ma ha messo in moto alcune forze che sono all’origine di questa dissoluzione del discorso neoliberista. Questo è veramente il punto di svolta nel commercio e nella finanza globali. Dopo la crisi finanziaria, la Cina, ad esempio, è diventata molto introversa in termini di commercio, e in una certa misura ciò è accaduto anche in India più di recente. Così, se consideriamo i due Paesi che sono stati i veri motori dell’espansione del commercio mondiale e degli investimenti, il loro atteggiamento, le loro politiche e il loro reale orientamento nei confronti dell’economia mondiale hanno subito una netta evoluzione nell’ultimo decennio. Molte cose erano quindi già in movimento prima della pandemia.

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lantidiplomatico

Le élite sono il nuovo Mago di Oz

di Carlo Freccero

wef meeting bonoC'è una sorta di paradosso che riguarda i grandi progetti, utopici o distopici, in corso di realizzazione oggi: sono al centro della scena, ma nessuno è in grado di vederli. La pandemia prima ed oggi la guerra, hanno creato all'inizio un certo sconcerto, ben presto riassorbito dalle logiche di una “nuova normalità”. Purtroppo tutto sembra congiurare contro di noi, ma secondo la logica corrente si tratta di un susseguirsi di fortuite coincidenze. Possibile che in un periodo storico così breve si concentrino casualmente una pandemia, una guerra, la carestia, la crisi climatica, l'esaurimento delle risorse alimentari ed energetiche? Certamente, ci risponde il mainstream, perché noi abbiamo abusato delle ricchezze del pianeta moltiplicandoci incessantemente, vivendo al di sopra delle nostre possibilità, consumando le risorse a disposizione delle altre specie e delle generazioni future. Per ogni obiezione c'è una risposta scientifica e filantropica pronta a ribadire che la colpa del disastro è solo nostra, cioè di quel 99% della popolazione del pianeta che deve dividersi le risorse residue dopo che le élites ne hanno privatizzato la parte migliore. Una massa che perde o ha già perso il suo potere contrattuale, perché il lavoro umano non ha più valore, in quanto viene progressivamente sostituito dai robot e dall'intelligenza artificiale. Oggi non solo i lavoratori non vogliono più fare la rivoluzione, ma si cospargono il capo di cenere.

Ma se recuperassimo un po' di lucidità, dovremmo chiederci se la catastrofe che stiamo attraversando sia semplicemente il frutto della nostra irresponsabilità, oppure faccia parte di un RESET, un azzeramento volontario da parte delle élite, di un sistema economico già fallito, proprio a causa delle élite stesse.

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antropocene

Procedere verso l'utopia o precipitare verso il disastro?

di Michael Roberts

Il peana al capitalismo di un grande economista sottace le gravi disuguaglianze, le guerre e la devastazione ecologica

Capitalism1Bradford DeLong è uno degli economisti keynesiani e storici dell’economia più importanti del mondo, professore di Economia all'Università della California, Berkeley. DeLong è stato vice segretario aggiunto del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti nell'amministrazione Clinton, sotto Lawrence Summers. È un tipico democratico liberale nella politica statunitense e un keynesiano classico in economia.

Recentemente ha pubblicato un libro intitolato Slouching Toward Utopia. An History of the Tweintieth Century. Si tratta di un lavoro ambizioso che mira ad analizzare e spiegare lo sviluppo dell'economia capitalistica in quello che considera il suo periodo di maggior successo, il XX secolo.

In particolare, DeLong afferma che il capitalismo come forza progressiva per lo sviluppo dei bisogni dell'umanità è decollato solo dal 1870 fino alla Grande Recessione del 2008-9, che ha completato quello che lui chiama il «lungo ventesimo secolo». Quali sono le ragioni che hanno consentito al capitalismo di garantire una crescita economica più rapida e un salto di qualità nel tenore di vita dal 1870 in poi? Secondo DeLong, la comparsa di tre fattori «la globalizzazione, il laboratorio di ricerca industriale e la moderna impresa». Questi fattori «hanno dato avvio a cambiamenti che hanno cominciato a trarre fuori il mondo dalla terribile povertà che era stata la sorte dell'umanità nei precedenti diecimila anni, sin dalla scoperta dell'agricoltura». La crescita si deve quindi all'espansione del capitale e delle economie di mercato dall'emisfero settentrionale al resto del mondo, all'introduzione di nuove tecnologie e scoperte scientifiche e alle moderne aziende che le hanno sviluppate per il mercato.

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sfero

L'era delle distopie

di Andrea Zhok

20221112T104707 cover 16682500276351) Rotte di collisione

L’epoca contemporanea presenta una riedizione potenziata di quel sistema di contraddizioni che ha caratterizzato il sistema capitalistico sin dagli inizi. Il problema strutturale connesso al modo di produzione capitalistico è dato dal suo carattere “monotonico crescente di tipo esponenziale”, ovvero dalla sua tendenza intrinseca ad alimentare processi di “feedback positivo”, di “interesse composto”, di crescita illimitata. Detto altrimenti: il meccanismo del capitale, vivendo in funzione del proprio incremento, tende a spingere tutti i fattori di produzione sempre costantemente in una medesima direzione, creando perciò uno squilibrio sistematico. Il sistema spinge perciò la crescita indefinita della produzione, la crescita indefinita dell’accumulazione di capitale al vertice, la crescita indefinita dello sfruttamento delle persone, la crescita indefinita dello sfruttamento della natura.

Questo è ciò che il vecchio linguaggio marxiano chiamava “contraddizioni del capitalismo”. Ciascuna di queste tendenze entra in sistematico conflitto con gli ordinamenti in equilibrio a livello sociale, umano, ambientale: cresce la forbice tra vertice e base della piramide sociale, cresce sia il consumo che lo scarto delle risorse, cresce la liquefazione degli organismi collettivi (famiglie, comunità, stati, ecc) e delle identità personali. Mentre il mondo e la vita possono essere concepiti sul modello organico dei sistemi a “retroazione negativa”, che ripristinano e correggono le rotture dell’equilibrio, il capitalismo opera come una proliferazione illimitata ed incontrollata, letteralmente come un cancro ontologico.

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carmilla

Il nuovo disordine mondiale / 19: First Strike?

di Sandro Moiso

un mondo miglioreNon si tratta di stabilire se la guerra sia legittima o se, invece, non lo sia. La vittoria non è possibile.
La guerra non è fatta per essere vinta, è fatta per non finire mai. (George Orwell)

Boom! Scoperta e ‘dichiarata’ l’acqua calda: gli Stati Uniti, nell’ultima versione della loro dottrina militare (detta, in onore dell’attuale presidente, “Biden”), potrebbero usare per primi l’arma nucleare.
E questo, secondo alcuni commentatori disattenti alla storia militare e politica dell’ultimo secolo, potrebbe costituire soltanto ora il detonatore per una Terza guerra mondiale.

Ancora una volta occorre dunque sottolineare e ricordare ciò che, da più di un decennio, l’autore va affermando in testi, articoli e interventi sulla questione della guerra: elemento ineliminabile di una società fondata sullo sfruttamento di ogni risorsa ambientale e umana, sulla concorrenza più spietata sia a livello economico che sociale e sulla spartizione imperialistica del mercato mondiale e dei territori di importanza strategica (sia dal punto di vista geopolitico che economico-estrattivistico).

Tanto da spingerlo a rovesciare, come già aveva fatto con largo anticipo Michel Foucault nel corso degli anni ’70, la celebre affermazione di Karl von Clawsevitz nel suo contrario, ovvero che sarebbe proprio la politica a costituire nient’altro che la continuazione della guerra con altri mezzi1. Con buona pace di chi ancora oggi, pur proclamandosi antagonista e antimperialista, pensa che le logiche della politica istituzionale possano (o almeno dovrebbero) sfuggire alle logiche della guerra e dei suoi sfracelli.