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essere comunisti

A chi non si rassegna

di Vladimiro Giacché

Alberto Burgio, Senza democrazia. Un’analisi della crisi, DeriveApprodi, Roma, 2009, pp. 286, euro 15.

conflitto1Sulla gravità della crisi economica mondiale in corso sussistono ormai ben pochi dubbi. Gli stessi confronti con la depressione iniziata nel 1929 mostrano un declino dei principali indicatori economici addirittura peggiore di allora. Commisurata con l’eccezionalità della situazione che stiamo vivendo, la qualità media delle opere dedicate alla crisi è a dir poco deludente. Abbiamo avuto una vera e propria panoplia di libri e libretti sulla casta dei banchieri privati e sulle loro colpe, sugli errori dei banchieri centrali, delle società di rating, e così via. Si direbbe che la stessa letteratura “scientifica” abbia scelto di seguire la strada imboccata da quella giornalistica: ossia di offrirci ricostruzioni degli eventi a carattere scandalistico e moralistico – quindi parziali ed elusive. Data questa diagnosi della malattia, non può stupire che le terapie proposte oscillino tra un vago keynesismo pre-reaganiano, il richiamo al rafforzamento delle autorità di sorveglianza dei mercati finanziari e l’asserita necessità di eliminare le mele marce che avrebbero guastato il buon funzionamento dei mercati. Siamo ben lontani, insomma, dal ricchissimo dibattito sul capitalismo che si aprì dopo la crisi del 1929.

I motivi di questa povertà di analisi e di proposta possono essere agevolmente ricondotti all’appiattimento della teoria economica sul “pensiero unico” liberista e sulla sua variante “new labour”. Non desta meraviglia, quindi, che la migliore ricostruzione della crisi oggi disponibile al lettore italiano provenga da Alberto Burgio, ossia da uno studioso marxista che quell’appiattimento rifiuta. Il suo Senza democrazia. Un’analisi della crisi rappresenta un esempio riuscito di come tesi interpretative forti consentano di decifrare una quantità impressionante di dati empirici sugli ultimi decenni di storia dell’economia e della società. Decenni, e non anni: perché il punto di forza dell’analisi di Burgio sta proprio nella capacità di andare alle radici della crisi attuale, che affonda nel trentennio liberista e può essere compresa solo se la si intende come l’esplodere delle contraddizioni maturate in questo ampio arco di tempo.

Correttamente, Burgio individua nella liberalizzazione dei movimenti di capitale, oltreché nell’attacco sferrato al lavoro, l’elemento fondante del modello reaganiano (e poi thatcheriano) che apre nel 1980 il lungo inverno del liberismo. “La formazione di un mercato mondiale dei capitali (autonomo rispetto alle capacità regolative di molte Banche centrali e della maggioranza dei governi) genera enormi capitali finanziari ‘liberi’ a caccia di impieghi profittevoli” su scala mondiale. Burgio fa bene a porre in luce le pesanti conseguenze di questo per la democrazia: nasce una vera e propria “corporatocrazia”, che si muove al di sopra delle leggi dei singoli paesi, ed anzi le plasma a sua misura, grazie al perpetuo ricatto di far vela verso territori più ospitali. I capitali fluttuanti si fanno aprire mercati sempre più vasti e scardinano la proprietà pubblica delle imprese, alla ricerca dei rendimenti che soltanto i monopoli naturali dei servizi pubblici appaiono in grado di garantire. Il copione è sempre lo stesso: necessità di ridurre il debito pubblico (secondo le ricette del FMI) e quindi privatizzazioni. Ovviamente, tutto questo è coperto dalla retorica dell’“efficienza”, che solo il privato garantirebbe. La verità è più prosaica: le privatizzazioni comportano un drammatico abbassamento del salario sociale, e in qualche caso – come nei Paesi dell’ex Unione Sovietica – anche delle aspettative di vita.

Nel mondo dei capitali liquidi il lavoro (che nel frattempo è stato convinto – anche dai partiti socialdemocratici – a non concepirsi più come “controparte” del capitale, bensì come suo “collaboratore subordinato”) è destinato a vedere pesantemente ridotta la propria quota del prodotto sociale: e infatti gli ultimi decenni evidenziano un fortissimo travaso di ricchezza dal lavoro al capitale. Ma a questo punto le strade di Europa e Stati Uniti divergono. Mentre in Europa si comprimono in misura più decisa i consumi dando origine, già molti anni prima dello scoppio della crisi attuale, a gravi problemi di domanda interna (particolarmente incisiva l’analisi qui dedicata da Burgio all’Italia), negli Stati Uniti “la finanziarizzazione della ricchezza determina la costruzione di un nuovo blocco sociale”: i lavoratori vengono in qualche modo associati al grande banchetto della finanza, grazie all’utilizzo sempre più spregiudicato di una politica monetaria accomodante (resa possibile dal ruolo di valuta internazionale di riserva del dollaro), a successive bolle finanziarie e a forti incentivi al debito personale. Come è noto, è stato proprio uno di questi strumenti di debito (i mutui subprime) a fare da detonatore alla crisi. La gigantesca bolla del debito e della finanza è quindi scoppiata, originando la peggiore crisi dal 1929 e scuotendo dalle fondamenta l’edificio del turbocapitalismo liberista. Come si vede, la ricostruzione della crisi offerta da Burgio ha il pregio di evidenziarne il carattere consequenziale rispetto alle politiche invalse da decenni. O, per usare un’efficace espressione dell’autore, il suo essere conseguenza di “quanto ha funzionato” e non di incidenti di percorso contingenti.

A questo punto ci troviamo ad un bivio. Per usare le parole di Burgio: “lo svolgimento della crisi può condurci a uno spaventoso incremento dei poteri autoritari, alla proliferazione di regimi antidemocratici, all’esasperazione delle pulsioni razziste, come accadde in Europa negli anni Trenta del Novecento. Ma è anche possibile che le grandi forze del cambiamento ritrovino un ritmo comune e riescano a unire le proprie potenzialità, che restano enormi”.

La cifra di questo momento – conclude Burgio – è l’incertezza, non la rassegnazione”. Il merito maggiore di questo libro è rappresentato dal fatto di offrire solidi argomenti a chi non si rassegna.

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