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giap3

Terrorismo, migranti, foibe, marò, fascismo…

Appunti sul vittimismo italiano

di Wu Ming 1

colpevoleHo cominciato a prendere questi appunti ormai molti mesi fa, dopo aver letto in sequenza il libro di Federico Tenca MontiniFenomenologia di un martirologio mediatico. Le foibe nella rappresentazione pubblica dagli anni Novanta a oggi (KappaVu, 2014) e il pamphlet Critica della vittima di Daniele Giglioli (Nottetempo). I due libri sono complementari. Tenca Montini e Giglioli affrontano gli stessi nodi di fondo. Il primo lo fa analizzando un case study molto significativo, ricostruendo genesi, sviluppo e affermazione, nel corso degli anni Novanta e degli anni Zero, del discorso sulle «foibe». Discorso quintessenzialmente vittimistico, perfettamente coerente con l’autonarrazione deresponsabilizzante spesso riassunta nell’espressione «Italiani brava gente»; Il secondo, invece, fotografa la tendenza egemone dei nostri tempi, la centralità della «vittima» nell’immaginario italiano e occidentale contemporaneo.

Quella che era partita come riflessione ispirata dalla lettura quasi contemporanea dei due saggi, si è gonfiata come un torrente a fine inverno e ha trascinato a valle detriti di polemiche di cronaca, storiografiche e di costume.


Rimuovere tutte le premesse tranne una

Ovviamente, le vittime sono sempre esistite. Quelle vere e quelle presunte. Anche il vittimismo – il “fare la vittima”, l’atteggiarsi a vittima – non è una novità, e si manifesta da sempre in tutto il mondo.

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megachip

Metamorfosi neo-capitalistica

di Andrea Pesce

Da Pier Paolo Pasolini a Guy Debord. La società dello spettacolo e la metamorfosi neo-capitalistica in attività contemplativa

ricordi-2-600x416Il senso della vista gode da millenni il privilegio di essere il più studiato e citato nelle riflessioni dei più grandi filosofi. Aristotele nella Metafisica lo elegge a senso privilegiato dall'uomo in quanto "noi preferiamo la vista a tutte le altre sensazioni, non solo quando miriamo a uno scopo pratico, ma anche quando non intendiamo compiere alcuna azione. E il motivo sta nel fatto che questa sensazione, più di ogni altra, ci fa acquistare conoscenza e ci presenta con immediatezza una gran quantità di differenze".

Il vedere quindi implica, secondo lo Stagirita, l'entrare in contatto con l'alterità, con un qualcosa che non è parte di noi (in senso corporeo, materico) ma, allo stesso tempo, in intimo rapporto con noi: le cose che percepiamo attraverso l'occhio, penetrano nel nostro cervello e, in molti casi, permangono come traccia indelebile nella nostra memoria. Paradossalità dello sguardo: ciò che non può vederci è ciò che ci caratterizza, così come colui che vede non può scorgere il suo occhio che osserva.

Se è vero, come voleva Aristotele, che la filosofia nasce dalla meraviglia di fronte ai fenomeni naturali e l'interrogarsi dinanzi ad essi, risulta inevitabile il nascere di una disciplina che si occupi di queste faccende: l'estetica.

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alfabeta

Classico e anticlassico

Michele Emmer

scuola-manifestazione-scontri-20141009180149“La nostra tradizione scolastica ci lascia il modello prestigioso del liceo classico, un modello pedagogico che non teme confronti internazionali, tuttora insuperato (pur se bisognoso di alcuni adeguamenti)… Il vecchio liceo classico rappresenta tuttora il modello esemplare di tutti i possibili tipi di liceo proprio perché, come nessun altro corso di istruzione secondaria, è coerentemente incentrato su una particolare dimensione del sapere. Per aiutare gli allievi a diventare autonomi, a pensare, giudicare e operare con la testa propria, non c’è che una possibilità: farli arrivare a possedere quantomeno una chiave di lettura della realtà, ma a possederla sul serio (in quanto chiave culturale, non puramente didattica), in modo tale cioè da dominarla in tutte le sue possibilità e di essere in grado di usarla personalmente e non per delega. Un corso di istruzione liceale è tale nella misura in cui persegue una formazione piena, sufficientemente approfondita e criticamente fondata, attiva e non puramente recettiva, in un ambito omogeneo di sapere. Molti classicisti ritengono che solo il sapere fondato sugli studi classici sia in grado di assicurare una formazione critica, non specialistica ma universale e umanistica, in forza della quale i giovani attingono quell’indipendenza intellettuale e morale che li rende soggetti autonomi e non ingranaggi standardizzati di una società alienante. Questa opinione è errata nella premessa da cui muove, e cioè che solo gli studi classici possono assicurare una formazione autonoma e critica.”

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poliscritture

Le disobbedienze dimenticate di Franco Fortini

di Ennio Abate

disbbedienze-fortini0001-721x1024Pubblico il testo riveduto della relazione che ho tenuto ieri sera alla Libreria di Via Tadino a Milano per il ciclo “Ragionamenti su Fortini” curato da Paolo Giovannetti. In questa rilettura a distanza di decenni degli articoli pubblicati da Fortini su «il manifesto» ho voluto soprattutto dare un’idea del loro contenuto, della sua passione politica, della ricchezza degli spunti presenti nei due volumetti e dello stile di una scrittura “di servizio” ma formalmente curatissima. Da qui l’abbondanza e la puntualità delle citazioni e la riduzione al minimo del commento. Contro le troppo facili e affettive “attualizzazioni” ho insistito a usare i verbi al passato e tentato di parlare a chi di Fortini sa poco o nulla. I numeri tra parentesi si riferiscono alle pagine dell’edizione 1997. [E.A.]

 

Parto da alcuni dati. Gli articoli apparsi su “il manifesto” e raccolti sotto il titolo di «Disobbedienze» in due volumi: 1972-1985 (Gli anni dei movimenti); 1985-1994 (Gli anni della sconfitta) sono più di 120. Molti si addensano in particolari anni (1975-‘77; 1990-‘94). E grande è la varietà dei temi. Quelli sulla funzione degli intellettuali o la critica alle cautele ipocrite della Sinistra. Delle vere schede critico-politiche su letterati e critici riesaminati a distanza di tempo e sulla base di ricordi personali. (Ne troviamo su Ariosto, Manzoni, Pavese, Noventa, Adorno,Asor Rosa, Pasolini, Contini, Landolfi, Luperini). Alcuni toccano il cinema (il documentario di Michelangelo Antonioni sulla Cina; Bergman di Sussurri e grida; Straub) de I cani del Sinai) e la poesia. Ma i principali riflettono direttamente su «questioni di frontiera»: la crisi dell’Urss letta anche attraverso la lente dei samizdat del dissenso; il movimento del ’77; il lottarmatismo (la «falsa guerra civile»); il caso Moro; il processo del 7 aprile; la guerra del Golfo.

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informatica libera

Un ventennio con Linux

Retrospettiva apertamente di parte

Francesco Reinerio

«I’m really honored to be the joint recipient of this year’s Millennium Technology Prize. This recognition is particularly important to me given that it’s given by the Technology Academy of Finland. Thank you to the International Selection Committee and the TAF Board. I’d also like to thank all the people I’ve worked with, who have helped make the project not only such a technical success, but have made it so fun and interesting

137835-tux-kzkggaara collectionLinus Torvalds, classe ’69, un omone finlandese con gli occhiali e la riga nei capelli, sfoggiava il lontano 13/06/2012 a Helsinki un elegante frac, uguale a quello portato dal pinguino Tux di sua invenzione, la nota mascotte di Linux, e pronunciava queste ed altre dichiarazioni in perfetto inglese velato da inflessione scandinava.

Il Nostro era intento a ricevere il Millennium Technology Prize, noto volgarmente come “premio Nobel per la tecnologia”, in virtù del suo merito individuale nella creazione e rilascio continuo del kernel (it. nócciolo) di Linux, il nucleo in continuo aggiornamento che funziona, mediante innumerabili sistemi operativi, nel 5% di tutti i calcolatori esistenti a mondo, pari a circa 40 milioni – somma irrisoria numericamente rispetto a quella di macchine Microsoft, ma superiore qualitativamente: Linux conduce infatti da tempo nel mondo dei servers, ad esempio dei terminali di calcolo e di stoccaggio di scuole e università, ed è montato dai 5001 supercalcolatori più prestativi al mondo, grazie alla sua manovrabilità, stabilità ed apertura del suo codice, vale a dire trasparenza ed illimitata modificabilità.

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controlacrisi

"Rimbocchiamoci le maniche e ricominciamo dalla battaglia culturale"

Vittorio Bonanni intervista Luciano Canfora

lucianocanfora-421x300Classicista di fama internazionale, esponente di spicco della sinistra italiana, già iscritto a Rifondazione comunista e al Pdci, docente presso l’Università di Bari, Luciano Canfora è uno degli intellettuali più prestigiosi e controcorrenti che il panorama italiano può vantare. Quest’anno ha partecipato in qualità di condirettore all’edizione 2014 di FestivalStoria, ospitata presso i locali dell’Università di San Marino, dedicata questa volta al tema “Auri Sacra Fames”. Il denaro, motore della Storia? e che chiude oggi i battenti. A lui abbiamo chiesto di riflettere su questo concetto il quale se per certi versi appare scontato di fatto non trova mai o quasi mai riscontro esplicito nelle discussioni politiche o culturali sia a livello nazionale che internazionale.

 

Professor Canfora, fermo restando che già sappiamo, come sosteneva Marx, che l’economia è la struttura portante della storia dell’umanità, e con essa il denaro e l’avidità dell’uomo, si può intravedere un’epoca dove però questo aspetto ha prevalso più di altri momenti?

Una storia dell’umanità in sintesi l’ha già raccontata Lucrezio, il poeta latino del tempo di Cicerone e di Cesare, a metà del primo anno Avanti Cristo.

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eschaton

L’eterogenesi del lieto fine

Jane Austen tra teologia ed economia

Raffaele Alberto Ventura

C’è un detto fra i nostri antenati:
che tutte le risoluzioni più insensate e pazze
tornano sempre a nostro vantaggio.
Aristofane, Le donne al parlamento

laurence-in-pride-and-prejudice-laurence-olivier-5123266-1024-768Care amiche di Cosmopolitan, da tempo mi sollecitate perché io risponda alle vostre domande. In amore è opportuno pianificare una strategia? Cosa accade alla divina Provvidenza dopo la morte di Dio? Qual è il rapporto tra Hegel e Darwin, tra la teodicea e la cibernetica, tra Adam Smith, Elisa di Rivombrosa e Terminator? Per rispondere a queste domande apparentemente sconnesse dobbiamo partire da Jane Austen: dal testo, un corpus di esperimenti sociologici in forma di romanzi, e dal contesto, un periodo di transizione da un universo finalistico a un mondo autoregolato. Scopriremo che l’amore è informazione, che i difetti sono la nostra arma migliore e che forse dobbiamo tutto a una centenaria disputa teologica.

Ma cominciamo dal testo, ovvero dal più celebre romanzo di Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio, pubblicato nel 1813: storia di una ragazza che rifiuta l’avvilente caccia al marito cui si dedicano le sue sorelle e poi finisce per innamorarsi, far innamorare e infine sposare il più ricco dei mariti ricchi, il fascinoso signor Darcy. Si capisce l’attrattiva che può esercitare questa parabola sul pubblico femminile: Elizabeth Bennet è brillante, volitiva, anticonformista, e senza fare nessuna concessione alla sua dignità di donna culturalmente emancipata ottiene comunque il risultato ottimale d’accasarsi e pure bene.

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poliscritture

Nota sulla psicoanalisi lacaniana

di Roberto Bugliani

lacan-062Questo impegnativo articolo di Roberto Bugliani  – una versione ridotta di un suo vecchio saggio, “Psicoanalisi e idealismo”, pubblicato decenni fa in Le parole di Mefisto, Contraddizione edizioni, Roma 1990 – riprende e sviluppa un suo commento (qui) seguito alla citazione che avevo fatto nell’articolo sui rapporti tra Zanzotto e Fortini di due passi di un saggio di Roberto Finelli (qui).  Le questioni teoriche erano affrontate da Lacan in uno stile caratterizzato sicuramente da una  notevole “oscurità” e complessità di linguaggio, perché egli si rivolgeva innanzitutto agli “addetti ai lavori” (agli psicanalisti accusati di essere diventati «manager delle anime»). Ebbero tuttavia una risonanza notevole nei movimenti seguiti al ’68. Oggi possono parere ancora più ostiche, ma vale la pena di tornarci su e di spenderci un po’ di studio.

Il punto centrale dello scritto di Bugliani è quello allora molto controverso della scientificità della psicanalisi. La sua tesi, vicina almeno nella conclusione a quella di Finelli,   è che Lacan radicalizzi «la negazione d’un qualsiasi nesso tra la ricerca scientifica e la scoperta freudiana». E spezza perciò l’impostazione dialettica del rapporto Io-Es stabilito da Freud: «il discorso lacaniano non solo non intende rafforzare l’Io, ma lo fa addirittura svanire nel “luogo d’essere” (Heidegger amava dire che il linguaggio è la casa dell’essere)». (E.A.)
 
 
“La teoria di Freud [...] resta il nostro filo conduttore”; così esordisce Lacan nel suo seminario Psychologie et métapsychologie del 1954 costituente la “nuova fase” del suo rétour à Freud, in cui definisce “la nozione freudiana dell’io” una vera e propria “rivoluzione copernicana“[1].

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carmilla

Essi sfruttano

“Il Capitale” di Marx come romanzo fantahorror

di Luca Cangianti

theyIlCapitale di Marx è un romanzo fantahorror. All’origine dell’opera c’è infatti il tentativo di dimostrare, attraverso un lungo viaggio dialettico, che i fenomeni non spiegati dalle teorie economiche convenzionali sono conseguenze di una più profonda e invisibile realtà: “Ogni scienza sarebbe superflua”, ricorda il filosofo, “se l’essenza delle cose e la loro forma fenomenica direttamente coincidessero” (Marx, 1981, III, 930).

Noël Carroll ha individuato due grandi insiemi nei quali far rientrare le trame fantahorror: quello delle narrazioni basate sul disvelamento di una realtà nascosta e quello connotato dalla tracotanza dello scienziato folle che si spinge verso le zone proibite del possibile. Come esempi di quest’ultimo gruppo possiamo ricordare: Frankenstein, Il dottor Jekyll e il signor Hyde, L’isola del dottor Moreau. Il Capitale, invece, mostra interessanti analogie con il primo tipo di struttura, che secondo Carroll si articola in quattro fasi: l’inizio, la scoperta, la conferma e il confronto (Carroll, 1990, 97 e sgg.).

Facciamo un esempio. Il film di John Carpenter Essi vivono (Usa, 1988) inizia con l’arrivo di John Nada in una Los Angeles devastata dalla crisi economica. Tutto sembra procedere nella calma più deprimente se non fosse per una serie di strani messaggi pirata che periodicamente si inseriscono nei programmi dell’onnipresente televisione.

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paroleecose

Jervis contro il sentito dire

Psicoanalisi, psichiatria e politica

di Francesca Borrelli

cropped-no stavanger anotherplace 1998 0011Per quanto la formazione di un intellettuale nato negli anni ‘30 sia tutt’altro che remota nel tempo, l’eco dei suoi maestri sembra già oggi, e purtroppo, inassimilabile al senso comune, come fosse un rumore di fondo più che un marcatore di significato. E’ dunque con una certa avidità che si ripercorrono molte della pagine dedicate ai ricordi che Giovanni Jervis trasse dal lavoro di Ernesto De Martino, di Raniero Panzieri, di Sebastiano Timpanaro, e persino di uno psichiatra solo di poco più giovane di lui come Ronald Laing, figure evocate in una collezione di scritti edita di recente con il titolo Contro il sentito dire. Psicoanalisi, psichiatria e politica (a cura di Massimo Marraffa, Bollati Boringhieri, pp. 280, euro 18,00). Gli anni in cui Jervis terminava gli studi superiori e si orientava verso la psichiatria furono anni cruciali: nel 1950 lo svizzero Roland Khün aveva scoperto gli effetti antidepressivi dell’imipramina, denunciando come fonti della sua fondamentale ricerca non tanto la medicina quanto la filosofia di Heidegger e la riflessione psicopatologica di Binswanger. Contemporaneamente alla corsa delle case farmaceutiche verso i profitti dei rimedi psicotropi, si feceva strada una concezione dei farmaci come sostanze relazionali, i cui effetti non sono scindibili dalla funzione terapeutica della parola;

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conness precarie

Buoni o cattivi padri? Non è questa la fine

Note su psicoanalisi e patriarcato

di Pietro Bianchi

buoni-o-cattivi-padriLe note che seguono – che avviano la mia collaborazione con ∫connessioni precarie – prenderanno spunto da un intervento pubblicato su questo sito da Gerolamo Cardini, dal titolo Cattivi maestri e cattivi padri. Appunti di una pedagogia per orfani. Il carattere provvisorio e del tutto insufficiente di queste brevi riflessioni dipende dal fatto che è mio interesse primario in questo momento provare ad aprire un confronto su un tema – quello dell’intreccio tra psicoanalisi, politica e trasmissione dei saperi – che considero di grande rilevanza politica, soprattutto in questa congiuntura. Proporrò dunque delle tesi che sono ben lontane da ogni definitività ma che proprio per il loro carattere provvisorio necessitano di essere discusse e confrontate, anche criticamente, in un modo il più possibile allargato. Mi scuso quindi se, a beneficio della discussione, sarò eccessivamente ‘tranchant’ in alcuni punti o se alcuni passaggi sembreranno richiedere uno sviluppo ulteriore. Mi propongo in ogni caso di ritornare in modo più approfondito su alcune delle questioni più rilevanti.


Nel suo testo Cardini sviluppa una riflessione di grande interesse riguardo al problema della trasmissione dei saperi, dell’educazione e più in generale di una pedagogia che si ponga ancora l’obiettivo di trasformare l’esistente.

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doppiozero

Wu Ming. L'armata dei sonnambuli

Enrico Manera

anatraL'uscita di L'armata dei sonnambuli di Wu Ming, il nuovo romanzo del collettivo bolognese che ha già avuto tre ristampe in poche settimane, è l'occasione per ragionare su un'officina letteraria che è anche un cantiere di riflessione sociale e politica vasto e ramificato, fortemente radicato in rete e su Giap in particolare. Un factory che ha ormai quindici anni – da quando cioè Q conquistava l'attenzione dei lettori con un romanzo storico ambientato durate la riforma protestante che era anche un vero e proprio western teologico.

Da allora romanzi di gruppo e opere soliste hanno messo in scena conflitti e creato cortocircuiti in diversi ambiti, dalla Resistenza di Asce di guerra alla questione di Trieste e del confine orientale con 54, alla Rivoluzione americana e alla questione nativo-americana di Manituana; dal jazz radicale di New thing al post-umanesimo apocalittico e forestale di Guerra agli umani alla narrativa di non fiction di tema post-coloniale di Timira e Point Lenana; e intanto hanno aperto la cassetta degli attrezzi ai lettori discutendo problemi e sviscerando interessi e ossessioni culturali, con New Italian Epic o Anatra all'arancia meccanica (ma questa è una carrellata e non un elenco completo).

In questi anni Wu Ming ha travalicato i confini italiani, con diverse traduzione all'estero, e ha prodotto una folta comunità di lettori radicata in ambiti differenziati, una readership intergenerazionale che ha reagito chimicamente alla commistione di alto e basso: una voluta collisione di densità storica e concettuale e storytelling pop, risolta in uno stile anche eclettico ma riconoscibile, che produce oggetti narrativi di non/fiction di alta qualità.

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micromega

Scaramouche siamo noi

di Luca Cangianti

1945 pablo picasso 1037 il carnaio"L'Armata dei Sonnambuli" (Einaudi Stile Libero, pp. 792, € 21,00) è il nuovo romanzo storico di Wu Ming ambientato durante la rivoluzione francese. Nel corso di un susseguirsi avvincente di eventi si affrontano le dinamiche che ricorrono in ogni grande episodio di conflittualità sociale.

La testa del tiranno che rotola nel cesto, le gerarchie che implodono, il tempo che perde la sua linearità, il sovrapporsi di possibile e impossibile, la violenza, la festa, l'amore senza freni, il collasso del dominio patriarcale, l'emergenza e l'eroismo, ma anche la viltà, l'opportunismo, la stanchezza, il riflusso, la disillusione e la crudeltà senza limiti del nemico sconfitto che torna a colpire. È la rivoluzione che arde nelle pagine dell'Armata dei Sonnambuli, l'ultimo romanzo storico di Wu Ming, e dunque anche il suo doppio orrifico: la reazione.

La trama è ambientata in Francia nel biennio 1793-95 che va dalla decapitazione di Luigi XVI al dilagare della controrivoluzione termidoriana, e intreccia quattro linee narrative. Nella prima Marie Nozière, magliara e ragazza madre, prende progressivamente coscienza della più profonda e radicata delle oppressioni, quella patriarcale, fino al rifiuto blasfemo della propria prole che inevitabilmente la conferma nel ruolo di donna produttrice di forza lavoro ed erogatrice di cura: "ogni volta che ti guardo", dice al figlio "è come guardare il tempo di prima. Quando ero serva".

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alfabeta

Sulla difficoltà di leggere

Giorgio Agamben

promolettura 011Il testo che proponiamo qui è tratto dalla raccolta di saggi di Giorgio Agamben Il fuoco e il racconto, che la casa editrice Nottetempo manda in libreria venerdì 16 maggio. Si tratta della trascrizione, finora inedita, dell’intervento presentato alla tavola rotonda Leggere è un rischio durante la Fiera della piccola e media editoria di Roma, nel dicembre 2012.

Vorrei parlarvi non della lettura e dei rischi che essa comporta, ma di un rischio che è ancora piú a monte, cioè della difficoltà o dell’impossibilità di leggere; vorrei provare a parlarvi non della lettura, ma dell’illeggibilità.

Ciascuno di voi avrà fatto esperienza di quei momenti in cui vorremmo leggere, ma non ci riusciamo, in cui ci ostiniamo a sfogliare le pagine di un libro, ma esso ci cade letteralmente dalle mani. Nei trattati sulla vita dei monaci, questo era anzi il rischio per eccellenza cui il monaco soccombeva: l’accidia, il demone meridiano, la tentazione piú terribile che minaccia gli homines religiosi si manifesta innanzitutto nell’impossibilità di leggere.

Ecco la descrizione che ne dà san Nilo: Quando il monaco accidioso prova a leggere, s’interrompe inquieto e, un minuto dopo, scivola nel sonno; si sfrega la faccia con le mani, distende le dita e va avanti a leggere per qualche riga, ribalbettando la fine di ogni parola che legge; e, intanto, si riempie la testa con calcoli oziosi, conta il numero delle pagine che gli rimangono da leggere e i fogli dei quaderni e gli vengono in odio le lettere e le belle miniature che ha davanti agli occhi finché, da ultimo, richiude il libro e lo usa come un cuscino per la sua testa, cadendo in un sonno breve e profondo.

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lostraniero

I buoni, i cattivi e i quasi buoni

E. Ferrara incontra Luca Rastello

I-Buoni-E-I-Cattivi-coverIl romanzo I buoni di Luca Rastello inaugura una collana di Chiarelettere dedicata alla narrativa: non libri sentimentali, psicologici o di intrattenimento – ha spiegato l’editore – ma racconti e testimonianze controversi, filtrati dalla fantasia per permettere agli autori di raccontare in libertà quanto sta loro a cuore. La letteratura può osservare la realtà lucidamente, senza farsene travolgere. Può essere incisiva e quando ci riesce influenza l’immaginario più di mille denunce. Ci sono poi vicende sulle quali la storia si avvita perché esprimono cambiamenti che travalicano gli individui e che si riferiscono ai modelli culturali, ai gruppi sociali o ai cicli economici e istituzionali. È impossibile fornirne spiegazione o fare bilanci mentre sono in corso, si può al più provare a raccontarle. È quanto ha sempre fatto Rastello, con narrazioni dirette e vissute. Il suo primo libro, La guerra in casa (Einaudi 1998), divenne un riferimento per la cooperazione internazionale e diede voce ai dubbi sul ruolo del volontariato dopo la guerra in Jugoslavia. Piove all’insù (Bollati Boringhieri 2006) è un ritratto dell’Italia schizofrenica degli anni settanta vissuta da un adolescente attraverso il conformismo dei genitori. Binario morto (Chiarelettere 2013) scritto con Andrea De Benedetti, racconta con ironia e sofferenza le bugie del Tav. Io sono il mercato (Chiarelettere 2009) è la storia (vera) di un narcotrafficante: uno sguardo criminale sul mondo.