Il modo di produzione informatico
di Daniela Danna
Le parole di Marx a proposito dei cambiamenti del modo di produzione colpiscono oggi, agli inizi di aprile 2020, come una sassata: “A un determinato stadio del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, ovvero – ciò che ne è semplicemente l’espressione giuridica – con i rapporti di proprietà nel quadro dei quali fino ad allora si erano mosse. Da forme di sviluppo delle forze produttive, questi rapporti si convertono in loro catene. Arriva così un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica, l’intera immensa sovrastruttura si trascina più o meno rapidamente nel cambiamento”1.
Oggi per accomodare le nuove forze produttive è necessaria la fine della sfera della privatezza, della privacy in inglese, l’espressione con cui si intende la capacità dei singoli di sottrarsi allo sguardo degli altri, e nuove enclosures nell’ambito delle trasmissioni elettromagnetiche.
Le forze di produzione si sono infatti sviluppate (o “evolute”, come in altre traduzioni) rendendo possibile il controllo a distanza dei lavoratori. “Evolute” lo si può dire naturalmente nel senso di rendere possibili profitti maggiori, questo è in un sistema capitalistico l’unico senso del loro “sviluppo”, cioè della direzione che economia e società stanno prendendo, direzione voluta e guidata dalla classe dominante.
A differenza di Marx oggi vediamo chiaramente che questa evoluzione non ha niente a che fare con il progresso. Anche la terminologia “forze di produzione” è profondamente errata. Alla luce degli studi sull’ecologia2 gli unici veri produttori di materia sono le piante, mentre gli esseri umani possono “produrre” solo trasformando e distruggendo, sia l’energia impiegata, sia i materiali, che ben prima dell’obsolescenza spesso programmata dei prodotti che ne derivano, causano un aumento di entropia, di degradazione della terra, dell’aria, delle acque e del suolo con i loro scarti, la cui gestione non si “internalizza” nei costi di produzione dal momento che li annullerebbe (Kapp 1950, Hornborg 2001 e 2016). Il controllo a distanza sui lavoratori è infatti ottenuto con un flusso di dati (con l’informatica, ovvero l’informazione automatica, trattata da macchine), flusso che viene trasmesso attraverso frequenze di campi elettromagnetici che interferiscono con le funzioni vitali di esseri umani, animali e piante. Il controllo totale su ciò che i salariati fanno è ottenuto con una tecnologia progressivamente invasiva, che culminerà con il pieno dispiegamento di trasmettitori e antenne di quinta generazione, il 5G, già implementato a Wuhan, la prima città al mondo completamente sorvegliata tramite onde elettromagnetiche, con 8.000 antenne attivate alla fine del 2019. Il presidente della Commissione Federale per le Comunicazioni statunitense (FCC) ha dichiarato che il business del 5G è una priorità nazionale da miliardi di dollari (Orlando e Marinelli 2019, 64). In obbedienza a direttive europee (vedi nota 7 a p. 4), il Ministero dello Sviluppo Economico italiano ha emanato il 5.10.2018 un decreto che stabilisce il nuovo Piano Nazionale di Ripartizione delle Frequenze (PNRF), che definisce “l’uso efficiente” dello spettro elettromagnetico e la transizione alla tecnologia 5G.
La sovrastruttura religiosa non richiede grandi cambiamenti: è la guerra contro la Natura della specie umana, che fa da sfondo al modo di produzione capitalistico (Sacchetti 1986). Le nuove forze di produzione hanno invece bisogno di una nuova sovrastruttura giuridica. Il controllo a distanza dei lavoratori è stato già approvato dal governo Renzi nella sua opera di distruzione dello Statuto dei Lavoratori, ed è legale l’appropriazione dei dati che gli utenti dei servizi web vi immettono, in quanto il Regolamento generale (UE/2016/679) sulla protezione dei dati personali ne proibisce solo la vendita a terzi, non l’accumulazione da parte di Microsoft, Google, Facebook, Amazon, Netflix etc, nonché delle migliaia di più o meno conosciute app. È però ora necessario l’innalzamento delle soglie di legge per l’irradiazione elettromagnetica da radiofrequenze – soglie che sono invece già troppo alte, anche perché basate solo sugli effetti termici (acuti: eccessivo riscaldamento, cioè bruciature) e mai su quelli biologici (continui e a lungo termine: interferenze con l’attività cellulare) dell’elettricità e dei campi elettromagnetici che genera (Levis [2004], Giuliani e Soffritti 2010, Pall 2018). In particolare vengono danneggiate la respirazione a livello cellulare, la funzione riproduttiva e quella neurologica. Inoltre l’impiego di campi elettromagnetici per le comunicazione diminuisce le capacità cerebrali, come dimostrano sia gli esperimenti su animali che i risultati delle esposizioni in vivo di persone e animali (Independent Expert Group on Mobile Phones 2000, Sage e Burgio 2018, Kostoff 2020)3. Gli effetti dei campi elettromagnetici generati dalla semplice corrente elettrica sono sempre estremi in quella parte della popolazione chiamata “elettrosensibile”. L’elettrosensibilità non è una malattia, ma una sorta di avvelenamento provocato da alterazioni dell’ambiente da cui nessun essere vivente è immune. Le sofferenze e le morti degli “elettrosensibili”4 non provocano alcun allarme sociale e politico:
Per i campi elettromagnetici, i governi non stanno attuando né politiche di precauzione, né politiche di prevenzione, nonostante la ricerca scientifica abbia ormai accertato che le esposizioni a radiofrequenza sono responsabili di numerosissimi effetti biologici. La legge italiana non prevede alcuna richiesta di autorizzazione alle ASL prima dell’installazione di un’antenna, addirittura i ripetitori vengono considerati “opere di urbanizzazione primaria”, come fossero tubature dell’acqua potabile o impianti fognari indispensabili per la vita umana (Orlando e Marinelli 2019, 176).
Ma se l’elettricità e la trasmissione di dati inquinano e distruggono, a differenza del fumo degli scarichi – dalle ciminiere ai tubi di scappamento –, degli sversamenti liquidi, dei materiali tossici dispersi nell’ambiente, l’inquinamento elettromagnetico o elettrosmog non si vede né si percepisce in altro modo prima di cadere malati, a eccezione come detto delle persone denominate “elettrosensibili”, coloro che più facilmente vengono danneggiate dai campi elettromagnetici artificiali. Con l’invasione e l’alterazione di magnetosfera e ionosfera – la parte più bassa della magnetosfera, in cui origina il circuito elettrico globale terrestre – sorge un pericolo per la vita stessa: siamo esseri in cui l’elettricità scorre a bassissima intensità per regolare le funzioni più disparate, dalla respirazione all’udito, alla protezione del cervello dalle sostanze tossiche e nocive che il sangue può apportarvi etc. Siamo esseri con una regolazione elettrica delle funzioni vitali, comune a tutta la vita su questo pianeta. Sono pluridocumentati gli impatti delle onde radio oggi esistenti sull’orientamento e sulla riproduzione degli uccelli, e le antenne degli insetti non sono altro che sensori per l’elettromagnetismo.
Il gruppo di scienziati Bioiniziative dichiara che non vi sono valori al di sotto dei quali si annullino gli effetti biologici delle onde elettromagnetiche non ionizzanti5, e ha proposto una soglia massima di 0,5-0,6 V/m. Il limite in Italia per le irradiazioni da radiofrequenze è invece di 6 V/m6, mentre: “L’installazione del 5G va verso il superamento di tali valori precauzionali di oltre tre volte con possibili effetti epidemiologici sulla popolazione” (Orlando e Marinelli 2019, 84). Si tratta di un limite fissato preoccupandosi solo degli effetti termici senza riconoscere quelli biologici, attivi a valori molto più bassi. Tale limite per di più già stato “rilassato” dal governo Monti con il Decreto sviluppo (DL 179/ 2014) che ha elevato la media di misurazione del campo elettromagnetico da 6 minuti a 24 ore, accrescendolo “in pratica da 6 a 20-40 V/m”, come scrivono Orlando e Marinelli (2019, 214). L’aumento dell’esposizione consentita è avvenuto per mettere in opera la quarta generazione di cellulari, senza altre ragioni discernibili: “La misurazione su una media di sei minuti, infatti, aveva precise ragioni biologiche determinate dal fatto che sei minuti è il tempo necessario ai tessuti viventi a compensare gli effetti del riscaldamento prodotto dal campo elettromagnetico” (Orlando e Marinelli 2019, 86)7.
La rete 5G esige un’infrastruttura materiale, fatta di antenne a terra fittamente distribuite e di satelliti che irradiano dallo spazio:
La vera grande novità del 5G è l’utilizzo di frequenze molto alte, superiori a 24 GHz, denominate “onde millimetriche”, che non sono mai state usate prima in ambito commerciale. Queste onde hanno una portata minore e non riescono a superare le barriere fisiche, come muri, edifici, alberi e arredi urbani, ma garantiscono una banda molto ampia che permette una maggiore velocità di trasferimento dei dati e una minore latenza. Si utilizzano, altresì, le nuove antenne array, diverse dalle attuali, che […] producono un fascio elettromagnetico focalizzato, per rispondere in modo puntuale alle richieste di connessione derivanti da particolari aree (Orlando e Marinelli 2019, 62).
Il 5G è allo stadio sperimentale in 120 piccoli comuni italiani, oltre che in alcune città: “Le aree di riferimento per la sperimentazione sono quelle delimitate dai confini amministrativi delle seguenti aree: area metropolitana di Milano, Prato, L’Aquila, Bari, Matera”, perché ce lo chiede l’Europa8. Si prevede la triplicazione delle antenne esistenti: da 60.000 a 180.000, per non parlare della miliardificazione dei dispositivi collegati nell’IoT (Internet of Things, l’internet delle cose)9. Le cavie stavolta sono i cittadini-sudditi10 – benché molte associazioni “Stop 5G” che lottano contro questa imposizione esistano in Italia e nel mondo (Martucci 2018, 130 segg.) e abbiano ottenuto anche qualche successo giudiziario11 e molte delibere di comuni che rifiutano le nuove installazioni12.
Naturalmente il controllo ora tecnicamente possibile non ha solo questo aspetto economico, cioè l’uso dei dati per rendere più efficienti non solo le comunicazioni ma la “produzione” di merci (beni e anche, soprattutto servizi), cioè per poter abbassare i costi in rapporto ai prezzi di vendita, ma ha anche un aspetto politico. Il quadro generale è sempre quello in cui i lavoratori perdono sempre più potere contrattuale e influenza sulle sorti della società, sottoposti da decenni a crescente concorrenza tra loro a causa dell’economicità dei trasporti su lunga distanza (globalizzazione) e dell’abbattimento (accettato dagli Stati nell’Organizzazione mondiale del commercio) delle barriere legali alla circolazione delle merci, nonché della continua riduzione di lavoro vivo rispetto alle macchine che è nella logica dello sviluppo capitalistico, evidente nell’applicazione dei mezzi informatici di produzione13. L’informatizzazione, o digitalizzazione, accelera la concentrazione della proprietà dei mezzi di produzione, e ha già proiettato nell’empireo delle aziende più grandi del mondo i gestori di dati14 – non solo per l’importanza della pubblicità e della persuasione agli acquisti che la conoscenza della psicologia degli individui rende possibile (tema su cui si concentra Zuboff 2019, pur descrivendo anche l’interesse degli apparati di Stato per i dati personali), ma anche perché è di interesse non solo economico ma evidentemente politico la possibilità di conoscere di ogni persona dotata di smartphone o analoghi sistemi di trasmissione (ad esempio i chip sottopelle), la posizione, i discorsi o le comunicazioni via dati, l’interazione con altri esseri umani o con sensori della rete (telecamere fisse o mobili su droni, rilevatori di emissioni infrarosse), i parametri vitali e quant’altro le app possono raccogliere e trasmettere, con o senza la volontà di chi le usa15.
Vi è quindi una sinergia tra interessi economici e politici delle classi dominanti nell’uso delle nuove tecnologie informatiche – la rete e l’accesso continuo ad essa degli individui dotati di smartphone (e anche di computer o tablet), degli animali o delle cose dotati di RFID (Radio-Frequency Identification, chiamato anche microchip), degli smart meter16, smartTV e progressivamente di tutte le merci, ognuna con il suo piccolo trasmettitore per effettuare la comunicazione tanto pubblicizzata tra cartone del latte, frigo e negozio, tra bidone e camion della spazzatura, tra lampioni e passaggio dei cittadini. I primi impianti di RFID (identificatori a radiofrequenza) sono già stati inseriti in esseri umani.
Marx con “modo di produzione capitalistico” intendeva un’organizzazione sociale, una stratificazione, delle norme di produzione e distribuzione del prodotto sociale in base a una legittimità, legale e ideologica. L’impiego da parte di Marx dell’espressione “modo di produzione” è stato criticato (Cohen 2001) sia per incoerenza nelle varie parti della sua opera, sia perché indica per lo più modi di appropriazione e redistribuzione (parziale) del surplus. I modi di produzione sono più propriamente relativi all’interfaccia società-natura, e si possono classificare in caccia e raccolta; orticoltura; metodo taglia-e-brucia; pastorizia; agricoltura e infine industria – intendendo l’applicazione alla produzione delle macchine che utilizzano tutt’ora come principale fonte energetica i combustibili fossili17, risparmiando lavoro umano e permettendo la produzione di beni anche ad alto contenuto tecnologico, di cui le società agricole erano prive (Lenski 2005). In quest’ultima accezione il modo di produzione non è mai unico in un determinato sistema sociale e periodo storico, ma diversi modi si sovrappongono, a partire dal lavoro prestato gratuitamente nelle famiglie, che continua la tradizione delle società contadine in un contesto di sempre maggiore importanza sociale del lavoro salariato.
Uso il termine “modo di produzione” e non “società informatica” (Zuboff 2019) o altro per sottolineare come il cambiamento sociale derivi proprio dalle forze produttive, da quella che chiamiamo economia del denaro equivalente universale (ciò giustifica il fatto che il lavoro gratuito nella teoria marxiana del capitalismo non sia considerato produttivo).
Il modo di produzione informatico18, che ora fa irruzione nella storia, resta capitalistico, impiantandosi sulla separazione dei lavoratori dai mezzi di produzione e sul “libero” mercato. Libero naturalmente finché non diventa oligopolistico o monopolistico per sua naturale evoluzione, tanto più nel caso delle piattaforme informatiche, in cui “il vincitore prende tutto” per il risparmio di tempo e la necessità di concentrare in un unico luogo virtuale l’informazione e la sua gestione che fanno incontrare domanda e offerta di un determinato bene. E inoltre continua a basarsi sul denaro equivalente universale – il fiat money generato dalle banche (centrali, ma anche locali con le regole stabilite da quella centrale, convertita in privata in questa epoca neoliberale) e prestato a interesse, con l’unica novità delle monete virtuali emesse da aziende o autoprodotte con grande potenza di calcolo – e sulla protezione della proprietà privata delle persone giuridiche19 che funzionano a termini di legge con l’obiettivo del profitto, cioè di ottenere dal denaro D impiegato nella produzione, attraverso la vendita delle merci M, una quantità di denaro maggiore D’. Il circuito D-M-D’, piuttosto una spirale crescente, continua ad essere sciaguratamente applicato anche all’agricoltura, all’allevamento, alla pesca – cioè ai nostri prelievi diretti dal mondo vivente, che non possiamo trattare come una macchina senza degradarlo.
Tutto questo è ancora il capitalismo come lo abbiamo conosciuto finora (a sua volta l’incarnazione storica più recente del patriarcato). Qual è dunque l’attuale rottura di continuità, in che senso si può parlare di un rivolgimento così profondo da modificare il modo di produzione capitalistico come è stato finora, meritando un nome – o per lo meno un aggettivo – nuovo? Tutte le grandi innovazioni infatti, le diverse ondate della rivoluzione industriale, dalla macchina a vapore alla costruzione della rete ferroviaria, dalla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa all’applicazione del motore a scoppio, dal computer agli attuali progetti di saturare l’etere con le trasmissioni di miliardi di oggetti, hanno rivoluzionato la vita delle persone pur rimanendo all’interno del modo di produzione capitalistico. Certo, se cambiano le tecniche non cambia il modo di produzione: siamo ancora nel capitalismo. Ma il fatto nuovo è che con l’informatica del 5G, con l’internet delle cose di cui l’industria canta le lodi, sta avvenendo un salto quantitativo e qualitativo sia nell’interazione umana che in quella che abbiamo direttamente con l’ambiente naturale da cui dipende la nostra sopravvivenza. Da una parte il modo di produzione capitalistico informatico per poter dispiegare completamente il suo potenziale economico e politico esige la progressiva riduzione di tutti i contatti umani su cui non si possono raccogliere dati. L’incontro faccia a faccia, il contatto umano diretto è in concorrenza con quello informatico. Dall’altra l’impatto biologico delle nuove trasmissioni sarà enorme. Si può dire che l’aspirazione sia questa: “Non solo le persone, ma tutta la natura viene sostituita da pulsazioni elettriche”, come scrive Arthur Firstenberg (2020, p. 964/1460 del formato epub), ricercatore e medico mancato a causa di un incidente con i raggi X, autore di un preziosissimo studio storico sull’elettricità e i suoi effetti biologici.
Anche il modo di produzione informatico, essendo capitalistico, tende alla sostituzione del lavoro vivo con quello delle macchine, aumentando quindi i consumi energetici. Ma è doppiamente energivoro proprio per la sua natura informatica, cioè di automazione nella gestione delle informazioni. Nel 2011 si stimava che internet rappresentasse tra il 2 e il 4% delle emissioni mondiali di carbonio (Vereeken et al. 2011), mentre il consumo di elettricità legato alle reti di comunicazione era nel 2007 dell’1,3% dei consumi totali, salito all’1,8% nel 2012, in crescita del 10% all’anno (Lambert et al. 2012). Secondo Carr (2006) il consumo di energia di un avatar di Second Life era circa 1.752 kWh all'anno, a confronto di una media mondiale per gli umani di 2.436 kWh, equivalente al consumo medio di un abitante del Brasile. Tutti questi dati, questa trasformazione dell’esistenza umana in impulsi elettromagnetici, devono naturalmente venire immagazzinati per poter essere disponibili all’analisi e al controllo, e questo avviene nei server di proprietà delle più grandi aziende che offrono servizi via web. All’energia, già considerevole, necessaria alla conversione di parole pronunciate, lettere sulla tastiera, in dati e alla trasmissione degli stessi si aggiunge così l’energia, addirittura maggiore, necessaria per riceverli e riutilizzarli (mentre l’immagazzinamento può avvenire anche su supporti non elettricamente attivi). E questo dà il colpo di grazia alle speranze di riduzione dei consumi di energia fossile riducendo i consumi energetici generali20.
La vendita delle frequenze di trasmissione elettromagnetica è un ennesimo uso privato di beni comuni – comuni non soltanto alla specie umana ma a tutte quelle viventi. Sono le odierne enclosures – recinzioni –, analoghe a quelle delle terre comuni dei proprietari terrieri inglesi che ne scacciarono i contadini e i paesani, privatizzandole per dedicarle al pascolo delle proprie greggi. Le odierne enclosures sono l’appropriazione privata a fini di profitto di qualcosa che gli esseri viventi hanno usato nelle loro funzioni vitali per miliardi di anni dalla comparsa della vita sulla Terra, ora privatizzate e consegnate all’inquinamento della trasmissione sempre più massiccia di dati.
Le nuove forze di produzione si stanno dispiegando, con la costruzione e l’installazione di antenne per il 5G che verranno messe a 50-100 metri di distanza le une dalle altre per ovviare ai disturbi alla trasmissione degli ostacoli (edifici, alberi, arredi urbani), mentre si lanciano satelliti che copriranno ogni angolo del pianeta con le loro emissioni. Dal 2001 al 2017 solo le aziende Iridium e Globalstar hanno offerto servizi di telefonia satellitare, e i satelliti artificiali di ogni tipo in orbita attorno al pianeta erano “solo” 1.100 (Firstenberg 2020, 972/1460, segg.). Il loro numero era già raddoppiato alla fine del 2019, ma secondo i progetti (la sola azienda SpaceX ha richiesto il lancio di 42.000 satelliti, più di un terzo autorizzati) si conteranno presto a decine di migliaia:
Il 17.3.2016 la FCC ha autorizzato il Progetto Loon di Google, che prevede l’installazione di palloni aerostatici a 100 km da cui si irradierà la connessione ad Internet senza fili, senza nemmeno il dovere di notificare preventivamente la popolazione nelle aree irradiate, a dispetto di qualsiasi logica volta alla protezione dei diritti umani e dell’ambiente. Maggiori informazioni sul sito: http://www.google.com/loon/ .
La FCC ha autorizzato anche SpaceX a lanciare 11.936 satelliti per fornire servizi globali di banda larga satellitare in ogni angolo del mondo. Di questi 7.518 satelliti opereranno a un’altezza di circa 210 miglia e irradieranno la Terra con frequenze estremamente alte (tra 37,5 GHz e 42 GHz per trasmissioni dallo spazio alla Terra e da 47,2 a 51,5 GHz per trasmissioni dalla Terra allo spazio, quindi non propriamente Wi-Fi ma onde millimetriche. Una flotta più piccola di 4.425 satelliti di SpaceX orbiterà intorno alla Terra a un’altezza di circa 750 miglia e sarà destinata a lavorare su frequenze comprese tra 12 GHz e 30 GHz. Maggiori informazioni sul sito http://spacex.com/. Lo scorso 24 maggio [2019] SpaceX ha lanciato i primi 60 satelliti in orbita.
La SpaceX è di proprietà di Elon Musk, il miliardario americano proprietario di Tesla, la casa delle auto elettriche sportive e gran turismo, intorno alle quali c’è controversia proprio perché comportano un’esposizione a campi elettromagnetici di bassa frequenza.
Tra le tante aziende interessate allo sviluppo della connettività wireless dallo spazio ci sarebbero anche OneWeb, con un piano di lancio di 2.000 satelliti a 1.200 km da terra e 2.560 satelliti a 8.500 km (www.oneweb.world), la Boeing con un piano di lancio di 2.956 satelliti a 1.000 km, la Samsung, Telesat Canada, LeoSat (http://leosat.com/), Iridium Next (www.iridium.com), Astrocast, O3b Networks [ora assorbita da SES, nda], Kepler Communications, ViaSat, Globalstar, Karousel LLC, Space Norway, Audacy Corp e altre (Orlando e Marinelli 2019, 72-3).
Il conflitto tra forze di produzione e rapporti di produzione è arrivato, la rivoluzione sociale è in corso (“rivoluzione” nel senso di cambiamento radicale, ma non certo in positivo) con la più stupida delle scuse, che tuttavia si è fatta strada nelle coscienze come un coltello21 nel burro grazie all’impressionabilità di persone già atomizzate, già assuefatte a un’esistenza solo virtuale, già pervase dalla cultura della guerra contro la Natura, diventata ora guerra a un virus che ci attacca22.
Dicono infatti che sia in corso una pandemia, dovuta al covid-19, un virus parente di quello della Sars. I morti solo per polmonite interstiziale causata dal covid-19 sono stati in Italia 31 (trentuno) su un campione di 12.550 su 16.654 deceduti (ISS 2020a)23. La dozzina di migliaia di persone decedute di cui la stampa e i politici parlano come di “morti per coronavirus” avevano molte altre patologie, in media 2,7 a testa includendo l’ipertensione arteriosa – e quindi almeno 1,7 a testa se la escludiamo (ne soffriva il 72%). Il covid-19 ha dimostrato di essere più che altro un’infezione opportunistica che può uccidere solo persone già malate, già debilitate da altre malattie gravi o allo stadio terminale, e indebolite dall’età avanzata. L’età media dei deceduti positivi al covid-19 è di 78 anni (ISS 2020a).
Le città di Bergamo e Brescia sono state particolarmente colpite, insieme alle loro province di cui ospitano circa e rispettivamente un decimo e un sesto degli abitanti. Non sono al momento disponibili i dati provinciali, ma l’Istat (2020) certifica che a Bergamo i decessi nel periodo 1-28 marzo 2020 sono quasi quadruplicati rispetto al 2019: da 123 a 597. Ma Bergamo è una città di 122.000 abitanti. A Brescia nel periodo 1-28 marzo 2020 i decessi da 177 sono diventati 460, più di una volta e mezzo (nel periodo 1-21 marzo erano invece praticamente raddoppiati). Ma Brescia ha quasi duecentomila abitanti. E a Codogno, l’epicentro della terribile pandemia? Vi è stata addirittura una quasi quintuplicazione dei decessi nelle prime tre settimane di marzo, proporzione poi scesa al 463,2% in più nel periodo 1-28 marzo: da 19 a 107 decessi. Ma anche se a Codogno la proporzione è più alta, i suoi abitanti sono quasi 16.000. Anche a Milano nello stesse settimane di marzo è aumentata la mortalità: da 1.100 a 1.551, con un aumento del 41%. Le cifre assolute diventano ragguardevoli. Ma Milano ha 1,4 milioni di abitanti, la proporzione è inferiore a quella di tutti gli altri tre comuni. Insomma, il covid-19 non è stato proprio la peste manzoniana. Giustamente il governatore lombardo Fontana ha mostrato come mettersi la mascherina prima sugli occhi e poi sulla bocca.
Certo, molti malati con il covid-19 avrebbero potuto essere salvati se il sistema sanitario nazionale non fosse stato sistematicamente sottofinanziato riducendone i posti letto e le possibilità di terapie intensive (con ventilazione meccanica o intubamento) che permettono di superare la fase critica di questa malattia e guarire. La sanità è stata “affamata” come tutte le strutture del welfare state conquistate con la lotta dal movimento dei lavoratori dopo il “miracolo economico”. Qualunque malattia è molto più pericolosa se mancano medici, posti letto negli ospedali, attrezzature. Mi chiedo che cosa possa essere più importante del mantenimento della salute, per qualunque società umana. In nome e a vantaggio di che cosa si sono operati tagli e non aumenti nei finanziamenti a questo settore pubblico?
E così, come rimedio allo strazio del sistema sanitario nazionale, il 31 gennaio viene dichiarato lo stato di emergenza con una semplice delibera del Consiglio dei ministri (27/2020). Le classi dominanti prendono il coltello in mano. L’8 marzo con un semplice Decreto del presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) si adottano in Lombardia e altre 15 province del Nord e Centro Italia, estendendole il giorno dopo al resto d’Italia con un altro semplice DPCM, misure che restringono le libertà di movimento e di associazione dei cittadini24 – contro la Costituzione che per l’introduzione di tali limitazioni richiede una legge votata dal parlamento secondo un principio di proporzionalità alla gravità delle minacce alla salute pubblica25. Le misure vengono estese I media reggono il gioco fomentando il panico con la diffusione a pioggia di cifre che confondono i “contagiati” (parola che già procura allarme) con gli ammalati, gli ammalati con dei condannati a morire in guerra, i morti con coronavirus con i morti di coronavirus.
Si è deciso di introdurre misure di grave limitazione alle libertà costituzionali, di cui non si vede la fine, perché il sistema sanitario nazionale, spezzettato in 21 soggetti locali diversi e poco comunicanti tra loro, e decimato da decenni di tagli, non avrebbe potuto reggere l’impatto – invece di isolare o convincere a isolarsi i relativamente pochi soggetti a rischio.
Si è chiuso un Paese fatto in gran parte di piccole e medie imprese, che tanto più difficilmente riapriranno quanto più a lungo saranno costrette a stare ferme. Ma nel frattempo non si prepara il paradiso della decrescita felice, una società solidale che prende decisioni benefiche per se stessa e per la Natura da cui dipende, riconvertendo le nocività della crescita capitalistica in uno stato stazionario sostenibile. Si prepara solo un’ulteriore concentrazione del capitale, esito di tutte le crisi economiche, perché i più grandi possono resistervi più a lungo od ottenere più facilmente il credito di cui abbisognano per farlo. Si prospetta anche il trasferimento allo Stato dell’aumentato debito privato (dixit Draghi), per ridurre poi ulteriormente beni comuni e funzioni statali, con l’austerità as usual.
Di tali misure estreme non si annuncia peraltro la fine ma la periodica ripresa ogniqualvolta questo o un altro virus faranno la loro comparsa – del tutto prevedibile, per come è fatto il nostro mondo in cui le malattie contagiose esistono, e nessuna “guerra” può spazzarle via. Nell’ottica del modo di produzione informatico le ricette più interessanti per uscire dall’emergenza costruita in modo così totalitario sono il distanziamento sociale prolungato e la digitalizzazione dell’Italia (e del resto del mondo), includendovi la possibilità di sorveglianza dei positivi al virus, applicata in altri paesi e di cui si discute, incredibilmente per un paese che si dice democratico. Il primo ministro Conte ha dichiarato alla Camera (informativa del 25.3.2020) che tra le principali soluzioni alla crisi c’è proprio la digitalizzazione del paese a partire da scuole e università. Non sappiamo se il primo ministro ignori che l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (è parte dell’OMS) ha classificato come “possibili cancerogeni” per l’uomo le radiofrequenze da 30kHz a 300 GHz – questo contro il parere degli esperti che le considerano sicuramente cancerogene (ad esempio Hardell e Carlberg 2015). Lo standard di sicurezza assai lasso dell’OMS è di 61 V/m per le radiofrequenze artificiali (il limite italiano, ricordo, è di 6 V/m), da confrontare con il fondo naturale di radiofrequenze pulsate che sono provenienti dalle stelle: solo 0,002 V/m. La vita sul pianeta si è evoluta con questo “rumore di fondo”, e non è possibile che si adatti nell’arco di pochi anni a un aumento come quello richiesto dal 5G – e come detto anche i valori esistenti sono già pericolosi per la salute degli esseri umani e degli altri esseri viventi. Possono rompere le catene di DNA anche nell’apparato riproduttivo. Le cellule di Schwann, che costituiscono la guaina mielinica che isola il sistema nervoso dal campo elettrico terrestre, si mutano in tumori a causa delle radiofrequenze che emanano i cellulari26 e della pulsazione della corrente alternata, non esistente in natura27. La digitalizzazione sembra una ben strana soluzione a un problema di salute.
Mentre l’inquinamento elettromagnetico non si vede, il coronavirus ci è stato mostrato in ogni salsa, per dare un volto al nemico. La guerra è qualcosa che la Natura sta facendo a noi tramite il virus, non vi è alcuna possibilità che la Natura ci dia i mezzi per combatterlo, ad esempio nello stato di buona salute che deriva anche dall’avere rapporti sociali buoni. Noi siamo deboli, anzi siamo inermi perché la medicina non ci protegge: non esistono un vaccino né una pillola che sconfiggano il virus! Esso è onnipotente, basta entrarvi in contatto per ammalarsi e rischiare di morire, non importa la sua concentrazione28. Il virus è portato dalle altre persone, che sono alleate del nemico e di cui dobbiamo a tutti i costi evitare la vicinanza. Non vale la pena di rischiare la vita per incontrare gli altri.
Qualcos’altro era rimasto simile e comune anche nelle forme precedenti di capitalismo: l’antica definizione dell’essere umano come zoon politikon, animale politico, e aspirante alla libertà. Stanno cambiando i rapporti sociali in generale, non solo quelli di produzione, spinti a forza nel telelavoro, con il telecontrollo dei lavoratori come nei magazzini di Amazon. La rivoluzione (o involuzione) sociale comincia ora che si è raggiunta una massa critica di persone in possesso di smartphone e/o computer (all’equipaggiamento delle rimanenti potrà provvedere lo Stato, in nome della riduzione delle disuguaglianze); si è verificato che una buona fetta di esse volentieri riversa i propri dati nella rete, e non si preoccupa di proteggere né la propria privacy, né la propria salute minata dalla trasmissione a onde elettromagnetiche29; si è verificato che anche nell’era interattiva del Web 2.0 le persone si fanno manipolare dai mezzi di comunicazione di massa (la cui proprietà è sempre più concentrata: Santoro 2017); si è infine verificato, vista l’invocazione dal basso di norme “anticontagio” sempre più stringenti, che le persone – come ha ottimamente descritto Agamben (2020) – non valutano la propria libertà e le proprie relazioni sociali dirette (e nemmeno la possibilità di andare a passeggiare, usando i piedi, la bicicletta, i mezzi pubblici o l’automobile) più dell’obbedienza rassicurante a un potere superiore presunto salvifico. Non valutano la libertà e le relazioni sociali dirette nemmeno più del rischio minimo di ammalarsi di una malattia che si può superare se si è in buona salute, quindi si percepiscono deboli, inermi, destinati a soccombere (ma solo se incontrano il virus, altrimenti sono immortali – come icasticamente ha sintetizzato Fulvio Grimaldi30). È già una “massa atomizzata”, ovvero non è più una massa: risponde uniformemente ai comandi ma quasi per decisione individuale, accettando il distanziamento sociale. Ma quello che si vuole ideologicamente imporre è l’improvvisa accelerazione dell’avvento del modo di produzione capitalistico informatico, in cui il rapporto tra umani è sostituito dal contatto tra umani e macchine, e tra macchine stesse, il più possibile per obbligo di legge come da manuale dello “Stato innovatore” (Mazzucato 2014). La socialità umana diretta non serve più al modo di produzione informatico, diventa una “scatola nera” pericolosa perché può contenere trasmissioni di dati (cioè conversazioni, progetti, raggruppamenti) non controllate – se avvengono lontano dai sensori elettronici. La socialità umana va sostituita con il distanziamento sociale, con la comunicazione via web. Si pensa persino di poter applicare l’informatica alla didattica, quando gli studi ne hanno già dimostrato gli effetti negativi sull’apprendimento (Spitzer 2019, OECD 201531). Ma questa non è una preoccupazione della classe dominante.
La disciplina da covid-19 impone di considerarci gli uni con gli altri come potenziale fonte di contagio, nemmeno fosse tornata la peste, che aveva una letalità del 60-80% degli infettati, e non assai al di sotto del 12,2%, che è il tetto massimo che si ottiene rapportando tutti i morti con covid-19 ai soli infettati scoperti32. Essendo il covid-19 probabilmente molto più presente nella popolazione, il rapporto deve ulteriormente diminuire.
Peraltro il covid-19 attacca polmoni e cuore, facendo leva sull’indebolimento della funzione respiratoria, e quindi cardiaca, che i campi elettromagnetici causano in tutti gli esseri viventi (e quindi anche negli umani), soprattutto chi vive nelle aree più sviluppate e inquinate. Non può essere stato un caso che la malattia si sia sviluppata inizialmente a Wuhan, con le sue 8.000 antenne. L’indebolimento della funzione respiratoria cellulare, e quindi l’indebolimento di polmoni e cuore, era strettamente collegato alle ondate di influenza del 1889, 1918 (spagnola), 1957 (asiatica), 1968 (influenza di Hong Kong), che Arthur Firstenberg (2020) ha persuasivamente documentato essere cominciate al momento della messa in funzione prima della corrente alternata, e poi di sempre nuove tecniche di comunicazione a distanza: il telegrafo, il radar, i satelliti artificiali.
Poco lungimirante è il fatto che nessuno – ovvero nemmeno le classi dominanti, che evidentemente si pensano immortali o immortalizzabili – sia escluso da questo attacco alla vita stessa, per l’interferenza sui processi vitali dei campi elettromagnetici di tutte le generazioni fino al 5G che si sommano ai radar, alle onde radio e tv, e ad altri tipi di antenna. Scrive Arthur Firstenberg (2020, 977/1460) “Non puoi contaminare il circuito elettrico globale con milioni di segnali elettronici modulati, pulsati senza distruggere tutta la vita”.
Non appaiono molte alternative all’interno dell’attuale sistema capitalistico, la cui doppia logica è nel settore privato la realizzazione di sempre maggiori quantità di denaro (profitto) pena l’uscita delle aziende dal mercato con la bancarotta, e nel sistema interstatale33 un’altra particolare forma di concorrenza – la corsa agli armamenti preparatoria di guerre – sempre allo scopo di imporre all’avversario o nemico la cessione di risorse per vantaggi economico-politici. La spirale D-M-D’ (obiettivo a livello micro, dal risparmiatore all’azienda multinazionale), la crescita del PIL (obiettivo aggregato a livello macro) e la corsa agli armamenti e all’informazione a fini di dominio producono una spinta convergente ad adottare il modo di produzione informatico.
Per Shoshana Zuboff (2019) il capitalismo della sorveglianza costituisce una minaccia alla natura umana come il capitalismo industriale dell’Otto e Novecento lo è stato nei confronti della Natura. Ma le minacce non si sostituiscono l’una all’altra, si accumulano. E a questo punto della storia che si rivela in tutta la sua chiarezza e pericolosità l’obiettivo del capitalismo di trasformare tutto ciò che al mondo esiste in denaro, sviluppando le sue “forze produttive”. Se come ha scritto Gerard Cohen (2001, x) “la storia è fondamentalmente la crescita del potere produttivo umano, e le forme sociali ascendono e declinano nella misura in cui permettono o impediscono questa crescita”, allora la storia dovrà per la prima volta prendere una strada diversa, perché l’ennesima distruzione creatrice dell’internet delle cose, sommata per di più a tutte le altre nocività del capitalismo passete e presenti, ci sta portando a sfidare l’intera Natura in un duello finale. Con questa antica idea dell’antagonismo tra specie umana e Natura, il modo di produzione informatico – se sarà implementato – terminerà con l’omicidio-suicidio di colui che nella coppia si crede il padrone, riflettendo su immensa scala i rapporti patriarcali tra i sessi, in cui si può agire una simile aberrazione.
Il capitalismo della sorveglianza è anche un “movimento che cerca di imporre un nuovo ordine collettivo basato sulla sicurezza assoluta” (Zuboff 2019, 22/1717), ovvero sulla sua illusione: una parte di un sistema non può ergersi a controllore del tutto (Bateson 1976). L’uomo non può controllare la Natura da cui dipende. “Inseguire la conoscenza totale” (Zuboff 2019, 43/1717) non è impresa umanamente possibile: questo tipo di conoscenza finisce per distruggere il suo oggetto – come si fa abitualmente con le cavie da laboratorio.
Scriveva Marx (1859, 9) a proposito della società borghese: “Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana”. E con il modo di produzione informatico si chiuderà dunque la storia della società umana, e probabilmente anche quella delle forme di vita più complesse del pianeta. Questa volta il rimedio non può essere solo la lotta di classe contro chi ci sta spingendo alla catastrofe, ma anche la lotta contro le stesse forze di produzione – o meglio di distruzione – come lo è stata quella luddista.