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lettera22

Onore a Vanity fair

Paola Caridi

La rivista patinata fa uno scoop di tutto rispetto, e trova i documenti che provano quello che i reporter aveva già capito: gli USA sostenevano un coup contro Hamas, e si sono ritrovati che Hamas ha fatto un coup contro Fatah

hamasGERUSALEMME – “Niente è più inedito dell’edito”, diceva Mario Missiroli. Lo hanno ripetuto, poi, generazioni di giornalisti italiani. Per dimostrare che il mestiere lo conoscevano. O meglio, conoscevano almeno il catalogo dei miti del cronista. Il vecchio direttore del Corriere della Sera era comunque una persona seria e un grande giornalista. E quella frase, di fondo, voleva dire una cosa semplice: che non serve andare a cercare le carte segrete per comprendere la realtà.

L’insegnamento di Missiroli dev’essere tornato in mente, ieri, a molti dei reporter che seguono il conflitto israelo-palestinese, e soprattutto a quelli che si sono trovati tra Tel Aviv e Ramallah negli anni della transizione dall’autorità di Yasser Arafat all’ANP di Mahmoud Abbas.

In pochi, però, si sarebbero immaginati che a confermare la citazione celebre sarebbe stato un pezzo su Vanity Fair. Che accusa senza peli sulla lingua George W. Bush, Condoleeza Rice ed Elliott Abrams di aver concertato un “piano B” per armare Fatah, detronizzare il governo democraticamente eletto di Hamas e far ritornare il potere all’ANP vecchia maniera. Col risultato, paradossale, di rafforzare Hamas, sconfiggere Fatah almeno a Gaza, e ritrovarsi in un vicolo cieco.

Non perché la rivista patinata della Condè Nast si occupi solo di amenità, VIP e tutto ciò che è decisamente, pervicacemente, incredibilmente snobbish.

Vanity Fair è più attenta di quanto si pensi alla realtà, e ha anche il coraggio di pubblicare reportage investigativi importanti. Ma la fama, si sa, è dura a essere superata da uno sguardo obiettivo. Tutti siamo deboli e, insomma, uno scoop di questo tipo ce lo saremmo aspettati dal Washington Post dei bei tempi andati. Quelli del Watergate, Ça va sans dire.

Onore al merito. Onore a Vanity Fair, che lancia lo scoop il giorno in cui Condoleezza Rice arriva in Medio Oriente, costringendola a commentare l’inchiesta. Onore all’autore, David Rose, che come si fa nei libri di storia ha sostenuto con fior di documenti ciò che i giornalisti sul campo sapevano dal primo momento. Perché le indiscrezioni erano all’ordine del giorno. Perché Israele e Palestina sono – in fondo – villaggi dove si sa, se non tutto, almeno l’essenziale. Perché appunto, come diceva il vecchio Missiroli, “niente è più inedito” di quello che si vede coi propri occhi. Se soltanto si tengono gli occhi aperti.

Così, David Rose, giornalista di Vanity Fair, ma anche autore di importanti libri-inchiesta compreso uno su Guantanamo, ha confermato quello che Alaistair Crooke aveva già abbondantemente accennato, anche in questo caso su pagine eterodosse come quelle della London Review of Books il 18 giugno, pochi giorni dopo il colpo di mano a Gaza.

Compiuto in realtà, si sapeva, non per prendere il potere, ma per evitare che lo prendessero Mohammed Dahlan e la sua Forza di sicurezza preventiva, armata col benestare del generale Keith Dayton, l’aiuto di Egitto e Giordania, e l’ok degli israeliani. Vanity Fair ha anche confermato quello che Alvaro de Soto aveva denunciato quando aveva sbattuto la porta e si era dimesso da inviato dell’Onu nell’area nel maggio del 2007, poche settimane prima del coup di Gaza. Non prima di aver scritto una cinquantina di pagine al vetriolo, casualmente rinvenute e pubblicate dal Guardian, che denunciavano senza peli sulla lingua la politica americana. Disposta, diceva in sostanza de Soto, a scatenare una guerra civile palestinese, pur di concludere in anticipo la storia del governo di Hamas.

David Rose conferma tutto questo, e tutto il resto adombrato nei tanti articoli, nei tanti reportage, nelle tante conversazioni di quei mesi. E lo fa con il confortante sostegno dei documenti e delle testimonianze di prima mano. Come quelle rilasciate da una miriade di gole profonde che il reporter pluripremiato di Vanity Fair si è andato a cercare. Il quadro che traccia parla dell’ennesimo errore di valutazione di un’amministrazione americana. Che ha puntato su di un cavallo, ritenuto forte e soprattutto utilizzabile, com’era Mohammed Dahlan, ex uomo forte a Gaza, ex responsabile della sicurezza. Dahlan doveva guidare Fatah a Gaza, sconfiggere Hamas, ed essere l’uomo degli americani nell’ANP. Gaza è stata persa, Hamas ha vinto, gli americani hanno continuato a puntare su di lui in Cisgiordania.

Non solo. Vanity Fair descrive, in una ventina di pagine, il modo in cui Washington ha reiterato gli errori commessi – citazione - con l’Iran-Contra, la Baia dei Porci e l’operazione della CIA contro Mossadeq in Iran, che spianò poi la strada alla rivoluzione islamica di Khomeini. Se fosse vero tutto che ciò che Rose scrive, sarebbe un concentrato di errori di valutazione, di finanziamenti triangolati, di incapacità di capire il Medio Oriente che ha condotto al cul de sac nel quale israeliani e palestinesi si trovano ora.

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