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Il nemico alle porte

Le “democrazie occidentali” più che le forze fondamentaliste sembrano interessate a combattere contro la Russia. I “fatti ucraini”, sotto questo aspetto, non hanno bisogno di troppi commenti. L'alleanza coltivata dalle “democrazie occidentali” con i nazisti ucraini in funzione anti-russa sembra far riemergere l'incubo dello scenario spagnolo del 1936. Senza, per altro, dimenticare l'appoggio fornito, in un recente passato alla guerriglia cecena e ai suoi miliziani molti dei quali, una volta sconfitti in patria, sono finiti a ingrossare le fila del terrorismo islamista [88]. In Siria, inoltre, ogni giorno la possibilità che si giunga a un qualche “incidente” dalle conseguenze irreparabili tra le diverse forze militari occidentali e i soldati russi non è una semplice ipotesi di scuola. Ma perché la Russia, in maniera persino ossessiva, è diventata l'obiettivo principale di gran parte dei gruppi imperialisti? Contro di lei sono infatti schierati gli Stati Uniti e i suoi più stretti alleati, tutti i potentati arabo-sunniti, la UE, anche se con alcuni distinguo al suo interno. Perché tanta avversione verso la Russia? Perché, per i vari blocchi imperialisti, la Russia deve essere rimossa? Perché contro la Russia sono mobilitate tutte le forze possibili, basti pensare all'ultimo Nobel per la letteratura, la cui prima dichiarazione dopo il premio è stata una non celata accusa verso il governo russo [89] o a uno scrittore di fama internazionale come Daniel Silva, i cui libri vantano tirature da milioni di copie, il quale riesce a rendere corresponsabili lo “zar Putin” e il “macellaio di Damasco” (Assad) addirittura complici del furto di un Caravaggio [90]? Perché una propaganda anti-Russia costante e a trecentosessanta gradi fino ad arrivare, come riportano con non poco afflato tutte le testate giornalistiche internazionali, a ipotizzare l'esclusione della Russia alle prossime Olimpiadi poiché i suoi atleti sarebbero oggetto del “doping di stato” ? Che cos'è la Russia?

Partiamo con il rispondere a quest'ultima domanda. La Russia è un regime nazionale-borghese, fortemente autoritario, sicuramente più vicino a Termidoro e Bonaparte, piuttosto che a Marat o Robespierre. A pelle è difficile nutrire troppe simpatie per Putin e il gruppo dirigente che esercita il potere in Russia. Tuttavia non è questo il punto. Ciò che realmente conta è il ruolo oggettivo e la funzione che un determinato governo in una situazione storica determinata obiettivamente assolve. Churchill o De Gaulle, tanto per ricordare esempi non proprio irrilevanti, non erano certo, sotto l'aspetto soggettivo, personalità politiche progressiste, le simpatie di Churchill per Mussolini non erano, tra l'altro, neppure un mistero, eppure nessuno sano di mente potrebbe negare la funzione oggettivamente democratica e progressiva svolta da questi due conservatori. Ed è esattamente ciò che, sul piano storico-politico, deve essere esclusivamente preso in considerazione. Sotto tale profilo, allora, non si può che rilevare il ruolo progressivo che la Russia, forse suo malgrado, finisce attualmente con l'incarnare. Dobbiamo, cioè, osservare la funzione che la Russia attuale gioca in rapporto all'imperialismo. Questo è ciò che conta. Facciamo un passo indietro, ripensiamo al crollo dell'URSS e allo scenario che, immediatamente dopo, si è delineato per le nazioni che facevano parte del “blocco sovietico”. Ciò che immediatamente le forze imperialiste si prefigurarono era una colonizzazione di quei territori. Un progetto che sembrava potersi realizzare senza troppa fatica e che, in parte, è sicuramente riuscito. Sono stati soprattutto gli Stati Uniti ad avere buona sorte in tale progetto. Oggi, infatti, gran parte degli stati un tempo appartenenti al “Patto di Varsavia” sono ridotti a vassalli della potenza statunitense. Il fanatismo pro-Nato [91] dei governi instauratisi in molti paesi dell’Est Europa dopo la fine dei governi comunisti, è cosa sin troppo nota, così come, paradigmatico quanto sta accadendo in relazione alla “questione profughi”, dove il riaffiorare in molti di questi paesi di politiche apertamente naziste mostra come il dissolversi del “blocco sovietico” non sia stato altro che la vittoria sul piano internazionale delle forze più reazionarie e antidemocratiche presenti tra le consorterie imperialiste internazionali. Dall'Ungheria, alla Bulgaria, dalla Polonia all'Ucraina oggi a unificare le classi dominanti, più che il richiamo a una cultura e a una tradizione nazionale, sono le retoriche filonaziste coltivate tra gli anni '30 e '40 del secolo scorso. In questi paesi “democrazie occidentali” e “fascismi locali” marciano di comune accordo.

Anche in Russia, almeno all'inizio, le cose sembravano andare nella giusta direzione. Durante l'epoca Eltsin, una sorta di “Quisling all'americana”, la svendita e la colonizzazione dell'intera ricchezza dell'ex Unione Sovietica sembrava cosa fatta [92]. Con Eltsin la Russia, come nazione, stava cessando di esistere. È in tale scenario, che è bene tenere sempre a mente, che la borghesia nazionale (e nazionalista) russa, della quale Putin ne è la cristallizzazione politica, passa al contrattacco e vince. Sotto la guida di questa borghesia la Russia riacquista la sua dimensione nazionale e diventa uno stato sovrano a tutti gli effetti. Il processo di colonizzazione è prima bloccato, quindi arginato e liquidato. La borghesia russa non ha e non vuole padroni. Da animale morente pronto a essere trasformato in boccone piuttosto ghiotto, la Russia è ritornata a essere l'orso che, come per gran parte della sua storia, è stato il grande punto interrogativo per tutto l'occidente. E di questo punto interrogativo, l'attuale leadership russa, ne è l'emblema a tutti gli effetti. Rimandiamo a un altro momento una più accurata disamina della questione, limitandoci a riportare in nota alcune linee guida del problema [93], anche perché, ai fini dell’attuale testo pare sensato focalizzare l’attenzione su di un altro aspetto.

A nostro avviso ciò che va sottolineato nel contesto, il suo aspetto veramente centrale, è il fatto che la Russia sia il solo stato governato da una borghesia nazionale in grado di reggere botta, sul piano militare, alle potenze imperialiste. Ciò rischia di scompaginare per intero il punto d'approdo del pensiero strategico imperialista. Questa linea di pensiero, e la cosa sembrava quanto mai realistica osservando gli scenari di guerra delineatisi a partire dalla Prima guerra del Golfo del 1991, ha ipotizzato una guerra dove la dimensione industriale e di massa veniva posta definitivamente in archivio: venuto meno il conflitto tra i blocchi, la guerra, per le potenze imperialiste, sarebbe diventata qualcosa che riguardava solo gli specialisti [94]. Perciò, viste le modalità assunte dalla forma-guerra, le popolazioni dei paesi imperialisti non si sarebbero neppure più accorte che i loro governi fossero impegnati in un conflitto. A combattere, per gli eserciti statuali, sarebbero stati solo professionisti e volontari o soldati appartenenti a una qualche agenzia privata. I famigerati contractor o, più prosaicamente, i nuovi mercenari [95]. Questa prospettiva strategica escludeva il coinvolgimento diretto delle popolazioni dei paesi imperialisti nelle operazioni militari. Nessun cittadino occidentale, nel contesto della fase imperialista globale, ovvero qualcuno costretto attraverso la leva obbligatoria, avrebbe più corso il rischio di tornare a casa avvolto nel classico “sacco nero”. Nessuna madre, zia, fidanzata ecc. avrebbe più potuto chiedere conto di quella morte, non voluta, ai governi. Tra esercito e nazione, secondo questa prospettiva, non esisteva più alcuna relazione. I morti in guerra, tra l'altro abbastanza rari, d’ora in avanti sarebbero stati solo i professionisti, coloro che scelgono deliberatamente il mestiere del soldato e, con questo, tutti i rischi correlati. Nel caso dei mercenari gran parte dei quali, specialmente i meno professionalizzati (la fanteria del XXI secolo), non appartengono al mondo occidentale, il problema non si sarebbe neppure posto. Dunque, secondo la visione strategica affermatasi con la guerra fredda nelle potenze occidentali, la guerra era tornata, definitivamente, ad essere, come prima della Grande rivoluzione, un affare privato tra i governi [96]. Tutto ciò veniva reso possibile dalla sproporzione tecnica esistente tra le forze combattenti imperialiste e gli eserciti dei paesi aggrediti. Basti pensare alla potenza di fuoco degli Scud in dotazione alle forze armate irachene, 300 Km di gittata, di scarsa precisione e dotati di una testata di 1.000 Kg rispetto ai missili da crociera statunitensi i quali, oltre ad avere una precisione pressoché assoluta, una carica esplosiva incommensurabilmente più potente (possono essere armati anche con ordigni nucleari), hanno una gittata di circa 1.500 Km, per non dire dei missili intercontinentali il cui uso parsimonioso è dovuto unicamente ai costi. Tale prospettiva è stata confermata anche nel caso dell’aggressione alla Libia di Gheddafi. Nel momento in cui le forze occidentali sono entrate apertamente nel conflitto, l'apparato di difesa libico, neppure troppo arretrato, è stato polverizzato. In pochi giorni tutte le infrastrutture legate alla logistica, alle comunicazioni e alla difesa aerea dello stato libico sono andate in frantumi. Da qui, l’annientamento dell’apparato bellico è stato un gioco da ragazzi. Supportate dal cielo le “forze ribelli” potevano avanzare liquidando velocemente ogni resistenza filogovernativa per quanto strenua potesse rivelarsi. Lo strapotere della tecnica rendeva, inoltre, la guerra non solo facile ma del tutto impalpabile tra le popolazioni dei governi imperialisti. Nessuna ricaduta concreta si riversava su di loro. Nonostante dal 1991 a oggi sia persino difficile tenere il conto delle guerre intraprese dai governi delle potenze occidentali, nessuna di queste ha inciso significativamente sullo stile di vita delle nostre popolazioni. Questo non solo perché missili, aerei, carri armati e colpi di artiglieria non ci hanno sfiorato ma anche perché nessuna massiccia riconversione produttiva in funzione della guerra si è resa necessaria. Nel corso della Seconda guerra mondiale la gran massa della popolazione americana non è mai stata sfiorata dagli eventi bellici sul proprio territorio ma non per questo la guerra le è rimasta, nella vita di tutti i giorni, estranea. In parte perché i soldati erano al fronte ma, ancor più, perché l'insieme della macchina produttiva statunitense era stata riconvertita in funzione dello sforzo bellico. Basti pensare, solo perché si tratta del dato quantitativo più eclatante, alla “massa industriale” utilizzata per il D- Day. Gran parte delle circa 5.500 navi e degli 11.500 aerei, ai quali occorre aggiungere un numero imprecisato di mezzi da sbarco, carri armati, cannoni, munizioni ma anche vettovagliamento e tutto ciò che è utile a far vivere e combattere il soldato, apparso sulle coste della Normandia, proveniva dalla macchina produttiva americana [97]. La produzione di e per la guerra non poteva che coinvolgere gran parte della popolazione statunitense benché nessun aereo tedesco o giapponese potesse mai presentarsi minacciosamente sopra il loro cielo [98]. Scenari simili sono del tutto estranei alle vicende belliche consumatesi dal 1991 in poi tanto che, per il pensiero strategico occidentale la guerra nel suo significato “novecentesco”, come guerra di massa, ha cessato di esistere. Ciò trova una puntuale conferma nel modo stesso in cui i conflitti sono nominati. Operazione di polizia o operazione umanitaria, il modo con il quale sono state denominate le situazioni di conflitto recente, indicano esattamente la cornice concettuale che fa da sfondo all'impiego della forza nell'era contemporanea [99]. La questione fondamentali che si pone oggi è che la Russia sta facendo saltare tutto l’impianto del pensiero imperialista affermatosi con la fine della Guerra Fredda.

Quanto accaduto in Siria e subito dopo in Ucraina ne sono l'esemplificazione. L'intervento russo in Siria ha bloccato sul nascere l'intervento militare occidentale, così come in Ucraina, con la “operazione Crimea” e il sostegno alle Repubbliche popolari ha impedito che si consumasse il golpe ordito da Kiev su mandato europeo e statunitense. Perché le forze imperialiste hanno dovuto ripiegare? Per il semplice motivo che la Russia è in grado di controbilanciare la potenza tecnica da esse messa in campo. Palesemente diventa inutile lanciare un missile, se l'avversario è in grado di vederlo e attivare un conseguente mezzo di difesa tale da polverizzarlo. Inutile utilizzare gli aerei se l'avversario è in grado di abbatterli. In questo modo il risultato rimarrà sempre inchiodato sullo zero a zero. E questo, molto realisticamente, non in una singola partita ma per l'intero campionato. Il pareggio, però, non può essere la forma permanente in cui si ascrive il conflitto. Da quella situazione di stallo ad un certo punto occorrerà uscire. Ciò comporterà un'inevitabile crisi del modello concettuale elaborato dal pensiero strategico occidentale poiché, se la tecnologia si azzera, a combattere devono essere nuovamente gli uomini e questo da entrambi i lati del conflitto. Fino ad ora, dagli anni ’90 in poi, abbiamo assistito a conflitti declinati all'interno di un rapporto sostanzialmente asimmetrico. Da una parte pochi uomini con molti mezzi, dall'altra molti uomini con scarse risorse tecnologiche e logistiche. L'elemento umano ha continuato a contare solo da un lato, quello perdente. Tra i “materiali” e gli uomini, i primi mostravano di avere buon gioco. Ma se i “materiali” si riequilibrano tutto cambia. Proprio il gioco del calcio ci consente un felice paragone con quanto si sta profilando dentro gli scenari bellici.

Con ogni probabilità molti ricorderanno due grandi allenatori del recente passato: Arrigo Sacchi e Nevio Scala. Pur con qualche tenue differenza entrambi sostenevano la centralità del modulo, dello schema e dell'applicazione tattica sulle qualità del giocatore. Una volta appropriatisi dello schema e della tattica chi andava a ricoprire un ruolo diventava inessenziale. In un certo qual modo, possiamo dire che Sacchi e Scala non facevano che “riscoprire”, sul piano calcistico, il soldato automa proprio dell'esercito di Federico II [100]. Questo modello ha in effetti funzionato tanto che Milan e Parma hanno ottenuto, per anni, degli ottimi risultati. Ha funzionato ma non in eterno. Nel momento in cui tutte le altre squadre sono state in grado di elaborare un contro-schema, in grado di annullare i moduli di Sacchi e Scala, l'arguzia tattica ha cessato di farla da padrone. Poiché, in definitiva, il modulo contro modulo finiva col delineare una situazione di impasse senza fine si è dovuti ripiegare, per forza di cose, all'antico. Pur mantenendo uno schema tattico, il che per altro è sempre esistito, si è dovuto nuovamente contare su l'uno contro uno, sulla giocata, sull'inventiva ecc. In poche parole l'elemento umano è ritornato a essere centrale. Trasportato dal rettangolo di gioco allo scenario di guerra che significato assume tutto ciò? Con ogni probabilità che, anche in questo caso, l'elemento umano torna a ricoprire un ruolo determinante. Ma, a differenza che nel gioco del calcio, in guerra mutare paradigma non è particolarmente semplice anche perché, alla forma – guerra, corrisponde sempre una determinata forma-stato. Ripensare l'elemento umano nella forma guerra, ossia rimodellare la guerra sulla popolazione, significherebbe ribaltare per intero tutto quel modello politico, sociale ed economico - ciò che comunemente è definito neoliberismo - che è esattamente la “visione del mondo” di tutte le élite globali [101]. Nel modello statuale neoliberista non vi è più spazio per l'elemento umano: tradotto in termini politici, ciò significa che la popolazione (cioè le classi sociali subalterne) non è più oggetto di interesse per le élite governative. Se nel calcio è facile reinnestare il numero dieci, decisamente più complessa è l'operazione che dovrebbe riconsegnare alle masse un ruolo preminente nella vita politica e sociale dopo che proprio sulla loro esclusione si è costruito il modello politico e sociale delle nostre società. Per di più, di questo problema fondamentali, le attuali classi dominanti sembrano avere scarso sentore. Il loro “pensiero strategico”, come dimostrano le imminenti esercitazioni Nato nel nostro Paese, sembra continuare a puntare sulla guerra d’élite. Sulla formazione e il rafforzamento di corpi e strutture iperspecialistiche, in grado di colpire ovunque e in tempi celeri, ma dai ranghi assolutamente ridotti come la recente Trident Juncture. Il tutto accompagnato da un ipertecnologizzato apparato bellico. In poche parole l’imperialismo, in tutte le sue componenti appartenenti al mondo occidentale, sembra tendere a non modificare la linea di condotta politico-militare sino ad ora perseguita ma ad enfatizzarla ancora di più. E la Russia, dentro questa strategia, rappresenta il pericolo più grande e pertanto deve essere rimossa.

La Russia è l'unico stato in grado di opporsi alle logiche e alle mire delle potenze imperialiste. È a partire da ciò che, forse, diventa facilmente comprensibile la suicida linea di condotta perseguita dalle “democrazie occidentali” nei confronti delle forze imperialiste a matrice fondamentalista: una linea ambigua e sostanzialmente morbida, che va dalla dura condanna a parole, alla tolleranza e al finanziamento delle stesse nei contesti dove possono rivelarsi utili alleate tattiche. La Russia è, di fatto, il nemico principale di tutte le forze imperialiste, vecchie e giovani. Certo, anche numerosi altri governi sono nel mirino delle potenze imperialiste ma questi, in virtù della loro debolezza militare, possono essere rimossi, in prospettiva, senza troppi clamori attraverso quella pratica ormai ampiamente collaudata delle “rivoluzioni colorate”. Di fatto solo la Russia è in grado di essere “garante” anche dei governi e degli stati che mantengono la propria indipendenza e sovranità nazionale. Basti pensare alla differenza tra quanto accaduto in Libia e quanto si sta verificando in Siria. Nei confronti della Libia la Russia non ha preso parola e lo stato libico è stato annientato. La solidarietà che l'Unione africana e dei paesi dell'Alba hanno mostrato nei confronti della Libia, al saldo degli eventi politici e militari,è risultato pressoché nullo. A conti fatti, il peso che questi paesi possono vantare sulle dinamiche internazionali, è oggi, purtroppo, pari a quello che una qualunque organizzazione politica antagonista nostrana è in grado di esercitare sulle politiche governative. Non ci vuole molto a comprendere, allora, che la rimozione della Russia, oltre ad aprire le porte alle forze imperialiste di un paese dalle risorse energetiche, industriali e militari non poco appetibili, avrebbe un possibile effetto domino sul piano internazionale.

Debellata la Russia nessuna forza statuale sarebbe più in grado di arginare i piani di conquista delle forze imperialiste. Governi e stati indipendenti non potrebbero più coltivare un'alleanza politica-militare con nessuna forza in grado di contrastare militarmente l'imperialismo. A partire da questo dato di fatto è possibile spiegare la naturale convergenza tra vecchi e nuovi imperialismi. I nuovi imperialismi sono gli unici in grado di mettere in campo, grazie all'ideologia di massa che li accompagna, l'elemento umano necessario a combattere lo stato-nazione russo. Per quanto non omogenee e differenziate, e spesso anche in conflitto tra loro, tutte le forze imperialiste convergono nell'attaccare sia gli stati indipendenti governati da una borghesia nazionale, sia quelli decisamente indirizzati in chiave socialista. La Russia, di questo insieme di realtà, ne rappresenta il sistema nervoso centrale.

 

Che fare?

Al termine di questa sintetica esposizione è giunto il momento di domandarsi, in quanto comunisti, Che fare?. Per prima cosa dobbiamo riconoscere la nostra oggettiva debolezza. Oggi, in virtù di questa, noi possiamo solo prendere atto delle contraddizioni esplosive interne all'imperialismo e lavorare in divenire [102]. Una situazione che, fatte le tare del caso, ricorda quella in cui si ritrovarono Lenin e i bolscevichi nel 1914 [103]. Anche in quel contesto lo scenario per i comunisti non si mostrava particolarmente roseo. Con la sola eccezione dei bolscevichi e di piccoli e ininfluenti gruppi, nessuna forza politica “socialdemocratica” era in grado non solo di influenzare gli eventi ma neppure di comprenderli. Solo la lucidità teorica e analitica di Lenin rese possibile, attraverso un lavorio certosino, di piegare il macello imperialista a vantaggio del proletariato. Solo l'elaborazione di una teoria politica in grado di comprendere e anticipare il cuore del politico si mostrò in grado di stare sul filo del tempo [104].

In prima istanza dobbiamo domandarci in che modo possiamo essere internazionalisti. In che modo, cioè, possiamo pensare di essere una forza in grado di stare dentro alle cose. Su questo aspetto occorre essere estremamente franchi e concreti. Dobbiamo assumere per intero l'asserzione leniniana di tenere sempre a mente la condizione storica concreta, evitando di andare alla ricerca di un modello “ideale” che mai si darà. Analizzare gli attori politici reali e, sulla base di ciò, trarne tutte le conseguenze operative del caso. Il fatto che, questi attori politici, non rappresentino i nostri interlocutori ideali non ha e non può avere grande importanza. Ciò che in realtà conta, e ha valore alla scala della storia, non è la realtà in sé ma il suo divenire. In altre parole si tratta di cogliere le possibilità che, all'interno di una situazione storicamente determinata, si prefigurano per il proletariato. In tali scenari, come direbbe Ellroy [105], non è escluso che si possano avere strani compagni di letto. Questo non da oggi.

Prendiamo un episodio storico sul quale, ancora prima di Schmitt [106], non poco hanno ragionato Engels e Marx [107]: la guerra di guerriglia antinapoleonica messa in atto dal popolo spagnolo. Quella forma guerra ha rappresentato un vero e proprio modello per le classi sociali subalterne finendo con il diventare, nel tempo, l'incubo delle classi dominanti. Questo è un fatto. Eppure, senza il corposo aiuto inglese, quella guerriglia sarebbe velocemente tramontata. Cosa sta a significare tutto ciò? Forse che l'Inghilterra, che nella lotta contro la Francia napoleonica mirava all'egemonia politica ed economica sul Continente e al mantenimento del controllo dei mari, era al contempo la fucina della futura guerra rivoluzionaria? Evidentemente no. L'Inghilterra perseguiva i suoi obiettivi, ben più reazionari di quelli che governavano l'agire delle armate napoleoniche, eppure, suo malgrado, favorì il sorgere di un modello politico-militare divenuto velocemente il modello di combattimento per eccellenza dei subalterni. Questo cosa sta a significare? “Semplicemente” che le contraddizioni interne al mondo reale producono effetti che, il più delle volte, sfuggono ai suoi stessi artefici. In questo senso, allora, dobbiamo considerare la politica estera russa come un nostro alleato. Per questo dobbiamo appoggiare tutte le forze che, come in Siria e in Ucraina, si battono contro i molteplici volti dell'imperialismo. In politica occorre sempre riconoscere chi è il nemico principale, ossia dove si collochi il cuore del politico. Nel contesto attuale il nemico principale non è sicuramente Putin anzi, proprio in quanto esponente di una borghesia-nazionale in aperto conflitto, politico e militare, con tutte le forze imperialiste, il governo russo è oggettivamente amico di tutte le forze democratiche e progressiste. È così difficile pensare che, pur con tutte le tare del caso, Ucraina e Siria ricordino non poco il contesto spagnolo del 1936? Certo, rispetto ad allora, le forze che maggiormente si oppongono all'imperialismo sono di natura borghese ma non è forse questo l'effetto di una pressoché totale indifferenza verso quei fronti da parte delle cosiddette forze antagoniste e di sinistra? Non è forse l'accademismo e/o l'estremismo verbale, ovvero la ricerca del conflitto puro e incontaminato, all'origine della scarsa presenza di forze autenticamente comuniste all'interno di quei conflitti [108]? Si può forse immaginare che, una linea di classe e proletaria, si materializzi improvvisamente dal nulla quando non si smuove un dito perché ciò accada oppure, come è già accaduto, quando la sinistra e l'antagonismo europeo non trovano niente di meglio da fare che innamorarsi di ogni rivoltoso scoprendo solo tardivamente che, quelle rivolte, erano organizzate dai nazisti, come in Ucraina, o dai fondamentalisti come in Siria? Oggi, piaccia o no, le borghesie nazionali in conflitto con gli imperialismi sono nostre alleate e con loro occorre lavorare. Forse non si potrà essere alleati, ma sicuramente co-belligeranti. La lotta al nazifascismo qualcosa dovrebbe avere insegnato.

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Note
[1] Per una buona discussione su questi aspetti nodali della teoria marxiana si veda in particolare, E. V. Il'enkov, La dialettica dell'astratto e del concreto nel Capitale di Marx, Feltrinelli, Milano 1961
[2] Cfr., F. Romero, Storia della guerra fredda. L'ultimo conflitto per l'Europa, Einaudi, Torino 2009
[3] Sul concetto di dominanza, cfr. N. Poulantzas, Potere politico e classi sociali, Editori Riuniti, Roma 1975
[4] Un declino che, come ben argomenta B. Cartosio, L'autunno degli Stati Uniti. Neoliberismo e declino sociale da Reagan a Clinton, ShaKe Edizioni, Milano 1998, si delinea a partire dagli anni '70 del Novecento.
[5] Per una discussione su questo tema si veda, Rete “Noi saremo tutto”, a cura di, Come rompere la gabbia dell'Unione Europea, bordeaux edizioni, Roma 2014; Contropiano Rivista, Rompere la gabbia dell'Unione Europea, Roma 2014
[6] In realtà la questione non si limita a Europa e Stati Uniti. Oltre all'Europa anche i BRICS tendono a emanciparsi dal dollaro come moneta di scambio universale. Ciò non fa che rendere sempre più incerto lo scenario politico internazionale a conferma dell'obiettivo declino della potenza statunitense.
[7] Cfr., Limes, Rivista di geopolitica, A che ci serve la Nato, , N. 4/1999
[8] Cfr. Rete dei Comunisti, Il vicolo cieco del capitale. A che punto è la crisi sistemica? Roma 2012
[9] Non poco significativo al proposito è l'incidente diplomatico tra Germania e USA in seguito alla scoperta dell'atto spionistico consumato dagli USA ai danni di Angela Merkel.
[10] Con ogni probabilità il testo che meglio coglie l'insieme di questo passaggio è M. Foucault, Nascita della biopolitica, Feltrinelli, Milano 2005.
[11] Nel contesto non entriamo nel merito della realtà latino-americana, dei paesi dell’Alba e le permanenti tensioni con il mondo imperialista. Su questo scenario si può vedere, G. Colotti, Talpe a Caracas. Cose viste in Venezuela, Jaka Book, Milano 2012.
[12] Cfr. Limes, Rivista di geopolitica, Le guerre islamiche, N. 9, Milano 2015.
[13] Come ricorda Winston Churchill: “In tempo di guerra la verità è così è preziosa che deve essere sempre accompagnata da un velo di menzogna”.
[14] Questo ci sembra essere uno dei nodi centrali, sempre attuale, della teoria politica leninina. Ciò è particolarmente e ampiamente argomentato in V. I. Lenin, Che fare?, in Id. Opere, Vol. 5, Editori Riuniti, Roma 1958.
[15] Su questo aspetto rimane centrale, F. Engels , K. Marx, L'ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1967.
[16] K. Marx, Il capitale. Critica dell'economia politica, Editori Riuniti, Roma 1989.
[17] V. I. Lenin, L'imperialismo, in Id., Opere, Vol. 22, Editori Riuniti, Roma 1966.
[18] Cfr., G. Arrighi, Il lungo XX secolo, Il Saggiatore, Milano 1996
[19] Sugli scenari strategici della Prima guerra mondiale, cfr., B. H. Liddel Hart, La Prima guerra mondiale 1914-1918, Rizzoli, Milano 1968.
[20] La “guerra lampo” non fu un invenzione dei nazisti, si veda al proposito James C. Corum, Le origini del Blitzkrieg, Hans von Seeckt e la riforma militari tedesca 1919-1933, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia 2004. La novità che essi vi apportarono consistette nell'impiego, al posto dell'artiglieria, dei bombardieri in picchiata in supporto all'avanzata dei carri armati.
[21] Sulla strategia prima diplomatica e poi militare della Germania, la potenza che “pianificò” con maggiore lungimiranza la guerra, cfr., L. H. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einuadi, Torino 1962.
[22] Una buona disamina dell'importanza assunta dalla “battaglia di Mosca” per le sorti complessive del Secondo conflitto mondiale si veda, D. M. Glantz, J. House, La grande guerra patriottica dell'Armata Rossa 1941-1945, Libreria Editrice Goriziana, Bologna 2010.
[23]Cfr., P. Herde, Pearl Harbour, Rizzoli, Milano 1986
[24] Come buona esemplificazione di ciò, F. Fukuyama, La fine della storia e l'ultimo uomo, Rizzoli, Milano 2003
[25] Una riprova di come, una volta rinunciato, per decifrare la realtà, al marxismo la caduta nel grottesco sia immediatamente dietro l'angolo. Rifondazione comunista, di fronte all'irrompere della crisi sistemica del modo di produzione capitalista, si mostrò non meno attonita e stupita delle altre forze politiche. Una volta entrati nel campo della borghesia si è costretti, per forza di cose, a condividerne anche i limiti concettuali.
[26] Il video dell'intervento di Putin è reperibile on linea sul sito La Repubblica del 28 settembre 2015.
[27] Sulla questione della decisione rimangono fondamentali i testi di C. Schmitt raccolti nel volume, Le categorie del “politico”, Il Mulino, Bologna 1972.
[28] L'Italia, sotto tale aspetto, ne rappresenta una buona esemplificazione, si veda al proposito l'importante lavoro di R. Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Einaudi, Torino 1974.
[29] Sulla complessità delle vicende relative alla Germania del secondo dopoguerra si veda, E. Collotti, Storia delle due Germanie 1945-1968, Einaudi, Torino 1968.
[30] Una buona ricostruzione di ciò rimane, H. Thomas, Storia della guerra civile spagnola, Einaudi, Torino, 1963.
[31] Cfr. H. Thomas, Storia della guerra civile spagnola, cit.
[32] Il conflitto del Vietnam è stato uno degli elementi di maggiore radicalizzazione della lotta politica negli Stati Uniti. Cfr., Weatherman, Praterie in fiamme, Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano 1977
[33] Sulle ricadute tra la popolazione francese della guerra d'Algeria cfr., E. Quadrelli, Algeria 1962-2012. Una storia del presente, La casa Usher, Firenze 2012
[34] Cfr., C. Schmitt, Teoria del partigiano, Adelphi, Milano 2005
[35] In realtà la brutalità della dominazione operata dalle forze coloniali e imperialiste democratiche non si presentò così diversa da quella fascista. Cfr., H. Arendt, “Razza e burocrazia” in Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Torino 1996.
[36] Samuel, P., Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale. Il futuro geopolitico del pianeta, Garzanti, Milano 2000
[37] Vale la pena, in questo contesto, “ricordare” il senso centrale che, per il movimento comunista, rivestono le questioni filosofiche le quali sono ben distanti dal rappresentare un puro vezzo intellettuale o una particolare propensione per l'accademismo. La battaglia di partito nell'ambito filosofico è stata centrale non solo nella elaborazione teorica di Marx (basti ricordare, a parte la produzione specificatamente filosofica, il famoso capitolo sul feticcio della merce del Primo libro del Capitale) ed Engels, ma è stata costantemente tenuta a mente da Lenin il quale, proprio alle ricadute pratiche della filosofia, ha dedicato non poche energie. Alla luce di ciò diventa pertanto necessario ricordare V. I. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, in Id. Opere, Vol. 14, Editori Riuniti, Roma 1963; Quaderni filosofici, Vol. 38, Editori Riuniti, Roma 1969; Il significato del materialismo militante, Opere, Vol. 33, Editori Riuniti, Roma 1967. Per un ottimo approfondimento di queste tematiche si vedano i lavori di G. Lukács, Storia e coscienza di classe, Mondadori, Milano 1973; Il giovane Hegel e i problemi della società capitalista, Einaudi, Torino 1960.
[38] Paradigmatico e delucidante il ben documentato testo di G., Crile, Il nemico del mio nemico. Afghanistan 1979-1989, Il Saggiatore, Milano 2005. Proprio questo testo, dove il ruolo giocato dagli USA nel favorire con molteplici mezzi l'iniziativa fondamentalista del “Gruppo Bin Laden”, mostra come, le forze islamiste, coltivino un progetto di dominazione autonoma e indipendente e non siano semplicemente “carne da cannone” al servizio degli USA. Ciò che si palesa è un'alleanza tattica tra due forze imperialiste che coltivano progetti, in prospettiva, conflittuali.
[39] Cfr. Limes, La radice quadrata del caos, n.5 – 2015.
[40] Il riferimento è alla nota poesia di R. Kipling, The Man's White Burden del 1899 che può essere considerata, o almeno questo è stato il suo uso maggiormente noto e accreditato, come una sorta di manifesto del colonialismo e dell'imperialismo considerato in veste di missione civilizzatrice. Sullo sfondo vi è la naturale superiorità dell'uomo bianco e il conseguente onere civilizzatore a cui la “natura” lo obbliga. Forse il maggior antecedente letterario di questo filone narrativo è il noto Robinson Crusoe di Defoe. Per una discussione molto ben argomentata delle tematiche razziali che fanno da sfondo al colonialismo e all'imperialismo si veda, Edward, W., Said, Orientalismo, Feltrinelli, Milano 1999.
[41] Molto utile al proposito è la conferenza tenuta da F. Piccioni sul tema dell'imperialismo del XXI secolo a partire da una rilettura di V. I. Lenin, L'imperialismo fase suprema del capitalismo. La conferenza è reperibile su www.agorapisa.it
[42] Paradigmatico al proposito il modo in cui gli Stati Uniti ignorarono la minaccia giapponese. Loro convinzione era, infatti, che un popolo di colore non fosse in grado di sfidare sul terreno politico-militare una potenza bianca. Cfr. R. Cartier, La seconda guerra mondiale, Mondadori, Milano 2014.
[43] M. Hardt, A. Negri, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano 2003. Questo testo, considerato per un certo periodo come la “nuova bibbia” del movimento antagonista, sosteneva la fine della fase imperialista e dei conflitti a essa coevi eludendo, perché considerata del tutto storicamente superata, la tendenza alla guerra la quale, al contrario, con l’irrompere prepotente della crisi si è fatta sempre più attuale. Oggettivamente, questa ipotesi, rientra appieno nell’opportunismo socialdemocratico. Per molti versi, infatti, questa teoria non fa altro che riprendere, in maniera certamente più dotta, ciò che, a fronte della Prima guerra mondiale, aveva sostenuto Karl Kautsky attraverso il conio della categoria “ultraimperialismo”. Kautsky sosteneva che, la guerra, non era nell’interesse dell’imperialismo poiché, per gli intrecci mondiali a cui l’economia era pervenuta, l’imperialismo aveva ormai raggiunto una forma sia solida che unitaria. Dalla guerra, secondo Kautsky, l’imperialismo non aveva nulla da guadagnare. Erano, semmai, le forze preimperialiste, storicamente superate, che coltivavano il culto della guerra. Per Kautsky, quindi, l’imperialismo finiva con l’avere un ruolo progressivo e non prono al militarismo mentre, le classi storicamente superate, vi rimanevano ancorate. Vale la pena di notare come, fatte le tare del caso, una tesi non dissimile compare anche in A. Negri quando, di fronte alla guerra in Iraq, che smentiva empiricamente tutto l’archetipo del suo discorso, parlò di un colpo di mano da parte di G. W. Bush, in virtù di una logica novecentesca ancora tutta incentrata sulle retoriche imperialiste, contro le logiche stesse dell’Impero.
[44] Per una critica a Kautsky e alla teoria del “superimperialismo”, cfr. V. I. Lenin, L’imperialismo fase suprema del capitalismo, in Id., Opere, Vol. 22, Editori Riuniti, Roma 1966.
[45] Per una panoramica a tutto tondo delle relazioni statuali nel primo dopoguerra, R. Overy, Crisi tra le due guerre. 1919–1939, Il Mulino, Bologna 2009.
[46] Tra gli effetti non secondari del secondo dopoguerra va evidenziato il crollo di tutti i sistemi imperiali e coloniali delle potenze europee. Per una buona panoramica di questo fenomeno, spesso contraddittorio, si veda, D. Bernard, Storia della decolonizzazione nel XX secolo, Bruno Mondadori, Milano 2010.
[47] Thomas, E., Lawrence, La rivolta nel deserto, Il Saggiatore, Milano 2010
[48] Su questo aspetto vale sicuramente la pena di leggere per intero l’opera di Thomas, E., Lawrence, I sette pilastri della saggezza, Bompiani, Milano 2000. Pagina dopo pagina diventa sempre più evidente come e quanto la guerriglia araba abbia logorato il mastodontico potere imperiale ottomano.
[49] Per un primo ragionamento su questi aspetti si può vedere, Noi saremo tutto, Chalie Hebdo. Dalle dune alla metropoli, www.noisaremotutto.org.
[50] Su questi aspetti rimane fondamentale George,. L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimento di massa in Germania (1815-1933), Il Mulino, Bologna 2009.
[51] Un buona e ben documentata ricostruzione della questione è reperibile in Edward, H. Carr, Storia della Russia sovietica. Vol. III, La Politica estera, Einaudi, Torino 1969. Molto interessanti, per quanto riguarda il dibattito all’interno del movimento comunista con i movimenti della “destra radicale”, anche i testi raccolti in, V. Serge, Germania 1923: la mancata rivoluzione, Graphos, Genova 2003.
[52] Si vedano, al proposito, i testi raccolti in, G. Dimitrov, La Terza Internazionale, Edizioni del secolo, Roma 1945.
[53] Per quanto riguarda le caratteristiche militari del Giappone si veda, J-L., Margolin, L’esercito dell’Imperatore, Lindau, Torino 2009; sull’insieme delle vicende militari in oriente si veda il lavoro di, B. Millot, La guerra del Pacifico, Rizzoli, Milano 1967 infine utile, perché compendia e confronta i vari aspetti e le diversità strategiche affrontate dai raggruppamenti in lotta si veda, J. Keegan, La seconda guerra mondiale. Una storia militare, Rizzoli, Milano 2002.
[54] Esemplificativo, al proposito, è l’aiuto che ricevettero dalla popolazione birmana. Cfr. R. Cartier, La seconda guerra mondiale, cit.
[55] R. Battaglia, La seconda guerra mondiale, Editori Riuniti, Roma 1960, pag. 149.
[56] Cfr. A. Haley, Malcom X, Autobiografia di Malcom X, Rizzoli, Milano 2004.
[57] Particolarmente significativo, al proposito, il capitolo “Razza e burocrazia”, in H. Arendt, Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Milano 1989
[58] William, L. Shirer, Diario di Berlino 1934-1947, Einaudi, Torino 1967.
[59] Per una buona ricostruzione di questo movimento si veda, R. Balducci, La bomba Hamas. Storia del radicalismo islamico in Palestina, Datanews, Roma 2006.
[60] Esemplificativo al proposito il conflitto sorto tra SA, fautrici della “seconda rivoluzione” che avrebbe dovuto portare alla realizzazione del programma “popolare” del nazionalsocialismo e le SS che, al contrario, si identificavano in toto con la borghesia imperialista tedesca. Tra il 29 e il 30 giugno del 1934 circa 200 dirigenti delle SA vennero uccise dalle SS diventate, nel frattempo, la guardia hitleriana e poste alle dirette dipendenze di Himmler. Per una ricostruzione di questi eventi si veda M. Gallo, La notte dei lunghi coltelli, Mondadori, Milano 1962, per una panoramica più generale sulle contraddizioni del movimento nazionalsocialista si veda, E. Collotti, Hitler e il nazismo, Einaudi, Torino, 1962.
[61] Una leggenda che non appartiene solo al fascismo ma è ben radicata dentro la sinistra riformista e socialdemocratica basti pensare a come, oggi, tutto il riformismo e l’opportunismo contrappongano il keynesismo, ossia il capitalismo buono, contro il neoliberismo il quale è presentato come capitalismo parassitario e improduttivo dimenticando che, le crisi, non sono l’effetto di un modello particolare di capitalismo ma affondano le loro radici nell’oggettività stessa del capitalismo e che, la dominanza del capitale finanziario intrecciato con il capitale industriale, è proprio della fase imperialista ovvero dell’epoca in cui presero le mosse le teorie keynesiane.
[62] Per una discussione molto stimolante di queste tematiche si veda, M., Augé, Non luoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, eléuthera edizioni, Milano 2009
[63] www.video.corriere.it/video. Amedy Coulibaly.
[64] Paradigmatico, al proposito, è il contesto delle banlieues le quali, in anni recenti, sono state protagoniste di rivolte particolarmente radicali. Ho provato a descrivere e analizzare il fenomeno in, E. Quadrelli, “Militanti politici di base. Banlieuesards e politica”, in M. Callari Galli (a cura di), Mappe urbane. Per un'etnografia della città, Guaraldi, Rimini 2007.
[65] Cfr., G. Jackson, La Repubblica spagnola e la guerra civile 1931-1939, Il Saggiatore, Milano 1967.
[66] Cfr., William, L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino 1962.
[67] L. Longo, Le brigate internazionali in Spagna, Editori Riuniti, Roma 1956.
[68] In Spagna, in difesa della Repubblica, accorsero e scrissero tra le migliori figure intellettuali dell'epoca. Basti ricordare E. Hemingwey con il indimenticabile Per chi suona la campana o G. Orwell il quale, con Omaggio alla Catalogna, ha consegnato alla storia tutto il pathos che animava i combattenti antifascisti non solo in Spagna ma nel mondo.
[69] Cfr. William, L., Shirer, Storia del Terzo Reich, cit.
[70] Sul pangermanesimo e i panmovimenti, cfr., H. Arendt, Le origini del totalitarismo, cit.
[71] Su questo aspetto si vedano soprattutto le parti dedicate alle trasformazioni socio-culturali operate dal nazionalsocialismo nella vita delle masse presenti in William, L., Shirer, Storia del Terzo Reich, cit. e E. Collotti, La Germania nazista. Dalla Repubblica di Weimar al crollo del Reich hitleriano, cit.
[72] Cfr., E., Eyck, Storia della Repubblica di Weimar 1918-1933, Einaudi, Torino 1966.
[73] Per una accurata descrizione di questi eventi si veda, C. Bellamy, Guerra assoluta. La Russia sovietica nella seconda guerra mondiale, Einaudi, Torino 2010.
[74] R. Battaglia, La seconda guerra mondiale, cit. pagg. 15–16
[75] R. Battaglia, La seconda guerra mondiale, cit. pag. 14.
[76] In William, L., Shirer, Diario di Berlino 1934–1947, Einaudi, Torino 1967, pag. 13
[77] In William, L., Shirer, Diario di Berlino 1934–1947, In William, L., Shirer, Diario di Berlino 1934–1947, cit. pag. 13
[78] G. Stalin, “Rapporto al XVIII Congresso del partito”, in Id., Questioni del leninismo, Edizioni in lingue estere, Mosca 1948, pagg. 683 - 684
[79] G. Dimitrov, “Il fronte unico della lotta per la pace”, in Id., La terza internazionale, cit. pagg. 143–144.
[80] P. Togliatti, “La preparazione di una nuova guerra mondiale da parte degli imperialisti e i compiti dell'Internazionale comunista”, in Id., Opere, Tomo III, Vol. 2, Editori Riuniti, Roma 1973, pagg. 737–738.
[81] P. Togliatti, “La preparazione di una nuova guerra mondiale da parte degli imperialisti e i compiti dell'Internazionale comunista”, in Id., Opere, Tomo III, Vol. 2, cit., pag. 743
[82] P. Togliatti, “La preparazione di una nuova guerra mondiale da parte degli imperialisti e i compiti dell'Internazionale comunista”, in Id., Opere, Tomo III, Vol. 2, cit., pagg. 745–746
[83] P. Togliatti, “La preparazione di una nuova guerra mondiale da parte degli imperialisti e i compiti dell'Internazionale comunista”, in Id., Opere, Tomo III, Vol. 2, cit., pagg. 749 - 750
[84] G. Stalin, “Rapporto al XVII Congresso del partito”, In Id., Questioni del leninismo, cit. pagg. 520–521.
[85] Su questo aspetto rimangono decisivi, F. Engels, Ludwing Feuerbach e il punto di approdo della filosofia classica tedesca, La città del sole, Napoli 2009; Id., L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza, Laboratorio Politico, Napoli 1992
[86] Oltre allo scontato F., Engels, K. Marx, L'ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1971, l'autore che, con ogni probabilità, ha offerto i maggiori stimoli e contributi teorici alla discussione e all'approfondimento di questo aspetto nodale della teoria marxiana è G. Lukács, si vedano al proposito i testi raccolti in Storia e coscienza di classe, cit. e Scritti politici giovanili 1919–1928, Editore Laterza, Bari 1972
[87] Al proposito è importante osservare come solo nel corso della Grande rivoluzione, che ha coinciso con l'ascesa rivoluzionaria della borghesia in quanto classe storica, la borghesia sia stata in grado di elaborare un pensiero politico, per quanto non privo di contraddizioni, prono all'universalismo. Già nella prima metà dell'Ottocento queste suggestioni sono oggetto di critica, ripensamento e attacco da parte della stessa borghesia la quale, abbastanza velocemente, abbandona il suo tratto progressivo. Una buona esemplificazione di ciò è il dibattito che si sviluppa nell'Ottocento in relazione alla cittadinanza e ai suoi diritti. Per una sua eccellente panoramica si veda, P. Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa. 2. L'età delle rivoluzioni, Editori Laterza, Roma–Bari 2000. Sulle trasformazioni in chiave anti–'89 del pensiero filosofico–politica della borghesia rimane sicuramente importante, G. Lukács, La distruzione della ragione, Einaudi, Torino 1959. Non meno utile e interessante, soprattutto per il modo in cui analizza e descrive l'irrompere della rivolta anti-illuminista e razionalista nella teoria politica e i suoi effetti duraturi rimane, I. Berlin, Le radici del romanticismo, Adelphi, Milano 2001.
[88] Secondo i dati in possesso dell'intelligence russa sarebbero almeno quattromila i combattenti islamici trasmigrati dalla Cecenia in Siria per combattere il governo siriano e annettere la Siria al costituendo “Califfato” promosso dalle bandiere dell'Isis. Una guerra che questi combattenti fondamentalisti stanno conducendo in piena sintonia con le sedicenti forze democratiche anti Assad protette e finanziate dalle consorterie imperialiste occidentali. Vale inoltre la pena di notare come, la guerriglia islamica cecena, avesse trovato, mentre combatteva lo stato russo, non pochi sponsor e appoggi in Occidente. Per molti versi, quindi, la guerra, sotto diverse forme, alla Russia non sembra essere un fatto di questi ultimi giorni così come, l'alleanza con le forze fondamentaliste, sembra essere una costante continuamente reiteratasi dopo l'esperienza afghana. Non è secondario ricordare, al proposito, come lo stesso attacco alla Serbia sia stato il frutto di una presa di posizione di tutti i paesi interni alla Nato in supporto alle forze islamiche che si erano poste l'obiettivo, al fine raggiunto, di disintegrare l'unità territoriale dello stato serbo. Un progetto che, come scopo non secondario, aveva sicuramente il fine di, ridimensionando la Serbia, colpire la Russia la quale, nella Serbia, aveva il miglior alleato politico nell'area dei Balcani.
[89] Svetlana Aleksievic, la scrittrice russa che ha vinto il recente Nobel per la letteratura, ha salutato la vittoria con un'asserzione che non lascia molti dubbi all'immaginazione: “Amo la Russia, ma non quella di Stalin e Putin”, in www.repubblica.it/cultura/2015/10/08. Sintomatico il fatto che, tutta la sua produzione letteraria sia animata da un viscerale anticomunismo e un altrettanto non nascosto filoamericanismo.
[90] D.Silva, Il caso Caravaggio, Neri Pozza, Milano 2015.
[91] Sotto questo aspetto la Polonia ne rappresenta forse la migliore esemplificazione. La vittoria della destra alle ultime elezioni, il partito xenofobo e razzista Diritto e Giustizia è infatti in grado di formare un governo monocolore, mentre per un verso tende a prendere le distanze dalla UE, dall'altro rafforza i suoi legami con gli Stati Uniti e sta diventando una delle basi militari Nato più importanti della regione. Pienamente allineata alle politiche del Pentagono si caratterizza per la particolare propensione a innalzare il tiro nei confronti di Mosca. La guerra, sotto egida statunitense, è pienamente nelle corde del governo polacco.
[92] Su questo aspetto il bel lavoro di, G. Chiesa, Russia addio. Come si colonizza un impero, Editori internazionali Riuniti, Roma 2000.
[93] La Russia, non da oggi, si presenta come “questione” per l'Europa. Ci sembra particolarmente utile e stimolante osservare come, detta “questione”, sia , sotto il profilo concettuale, presentata storicamente. Particolarmente utile, a tal fine, è il prezioso lavoro di, D. Groh, La Russia e l'autocoscienza d'Europa, Einaudi, Torino 1980. Allo stesso tempo particolarmente stimolanti sono i saggi compresi in, I. Berlin, Il riccio e la volpe e altri saggi, Adelphi, Milano 1998. Di particolare interesse, in riferimento alla “particolarità” culturale russa, rimane l'importante lavoro di, A. Walicki, Una utopia conservatrice. Storia degli slavofoli. Sempre del medesimo autore è da segnalare, Marxisti e populisti: il dibattito sul capitalismo, Jaca Book, Milano 1973. In questo contesto, infine, non si può non ricordare la monumentale opera in tre volumi di F. Venturi, Il populismo russo, Einaudi, Torino 1972, proprio la storia del populismo russo consente di gettare uno sguardo in profondità dentro un mondo che, alla cultura occidentale, risulta non solo estraneo ma di difficile comprensione.
[94] Per un'ampia discussione di queste tematiche si veda, R. Smith, L'arte della guerra nel mondo contemporaneo, Il Mulino, Bologna 2009
[95] Cfr., M., Bulgarelli, U. Zona, Mercenari. Il business della guerra, Nda Press, Rimini 2004
[96] Sulla guerra come duello, cfr., C., Schmitt, Il nomos della terra, Adelphi, Milano 1991. Per una buona ricostruzione del dibattito intorno alla forma–guerra nel corso dell'Ottocento si veda, Gian, E., Rusconi, Clausewitz, il prussiano. La politica della guerra nell'equilibrio europeo, Einaudi, Torino 1999.
[97] Per avere un'idea della quantità di forza industriale presente in Normandia si può vedere, Stephen, E., Ambrose, D–Day. Storia dello sbarco in Normandia, Rizzoli, Milano 1998
[98] Gli Stati Uniti vennero colpiti sul proprio territorio, se si esclude Pearl Harbour che in ogni caso si trova nelle Hawaii, soltanto in alcuni suoi porti per mano della “guerra sottomarina” che, sul mare, rappresentava la linea di condotta essenziale della strategia bellica nazista sul mare. Al proposito si veda, L., Peillard, La battaglia dell'Atlantico, Mondadori, Milano 1992
[99] Su questi aspetti si veda sicuramente, D. Zolo, Chi dice umanità. Guerra e ordine globale, Einaudi, Torino 2000.
[100] Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, Torino 1976.
[101] Il testo che, con ogni probabilità, è stato in grado di analizzare con maggiore lucidità il modello sociale, economico, politico e culturale del cosiddetto neoliberismo è, M. Foucault, Nascita della biopolitica, Feltrinelli, Milano 2005.
[102] Proprio in virtù di ciò il testo si è a lungo soffermato sulle vicende immediatamente a ridosso della Seconda Guerra mondiale. Richiamare alla mente, mettendole continuamente a confronto, il modo in cui l'Unione Sovietica, l'Internazionale comunista e le “democrazie occidentali” hanno affrontato gli eventi degli anni Trenta del secolo sorso ha avuto esattamente lo scopo di evidenziare come, solo il marxismo, sia la teoria filosofico–politica in grado di decifrare le tendenze oggettive della storia e intervenirvi in maniera cosciente.
[103] Nel 1914 la Seconda internazionale, nella quasi sua totalità, si schierò per la guerra votando i crediti di guerra e allineandosi con il “proprio” imperialismo. Sulla Seconda internazionale si vedano, G., D., H., Cole, Storia del pensiero socialista. La seconda internazionale 1889–1914, Editore Laterza, Bari 1968; G. Haupt, La Seconda internazionale, La Nuova Italia, Firenze 1973. Utile, per comprendere l'humus teorico che faceva da sfondo alla Seconda internazionale, rimane, AA. VV., Storia del marxismo. Il marxismo nell'età della Seconda Internazionale, Einaudi, Torino 1979
[104] Nel panorama politico dell'epoca solo Lenin fu in grado di coniare un progetto politico: Trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria, in grado di cogliere il vero cuore della questione. Ciò fu reso possibile grazie a una precisa analisi politica, alla elaborazione di una teoria politica marxista in grado comprendere il senso storico dell'epoca e un'organizzazione politica che, incessantemente, lavorò alla sua attuazione pratica. Tra la molta pubblicistica leniniana dell'epoca i seguenti testi: V. I., Lenin, Sotto la bandiera altrui; Il fallimento della seconda internazionale; Il socialismo e la guerra, Opere, Vol. 21, Editori Riuniti, Roma 1966, sono coloro i quali rendono al meglio il senso dell'immenso lavoro compiuto da Lenin e i bolscevichi.
[105] In J. Ellroy, Sei pezzi da mille, Mondadori, Milano 2001
[106] C. Schmitt, Teoria del partigiano, cit.
[107] Si vedano, al proposito, la serie di testi raccolti in, F. Engels, K. Marx, Scritti febbraio 1854–febbraio 1855, edizioni Lotta Comunista, Milano 2011
[108] Per una discussione su questi temi rimandiamo a quanto abbiamo provato ad argomentare in, G. Bausano, E. Quadrelli, Classe. Partito. Guerra. Cen'est qu'un debut. Continuons le combat!, Gwynplaine, Camerano (AN) 2015.

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