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linterferenza

Sul postmodernismo. Conversazioni con Stefano Garroni (21-01-1999)

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hqdefault11PREAMBOLO: I titoli degli incontri seminariali non sono mai rigorosamente indicativi dell’argomento trattato, poiché il tono colloquiale delle lezioni di Stefano Garroni e la stessa natura degli incontri (una serie di seminari collettivamente autogestiti miranti alla formazione marxista di quadri comunisti) fanno sì che la sua esposizione, fatta a braccio e sovente improvvisata, non sia mai sistematica (come sarebbe stata in un intervento scritto), né circoscritta all’argomento richiamato dal titolo, ma sempre aperta ad allargarsi verso ulteriori tematiche, inizialmente non previste; spesso suggerite dagli interventi degli altri compagni che lo seguivano nei seminari.

NOTA: fra parentesi quadre il Redattore fa delle aggiunte per rendere più semplice la comprensione degli interventi e la stessa esposizione.

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Stefano Garroni: Questa serie di conversazioni è dovuta all’iniziativa di un gruppo di compagni, iniziativa che va fortemente lodata perché questi compagni hanno proposto intanto un tema di grande intelligenza, cioè ricostruire attraverso queste conversazioni quel momento del passaggio dalla dissoluzione del sistema hegeliano ai due sbocchi: quello marxista e quello esistenzialistico. È utile ricordare che c’è un bel libro di Karl Lowith (Da Hegel a Nietzsche), che in sostanza tratta questo tema. Fu pubblicato da Einaudi diversi anni fa, però si può trovare ancora.

Ma la cosa importante è che effettivamente questo processo della dissoluzione del sistema hegeliano e dei due esiti – marxista ed esistenzialista -, è un processo le cui conseguenze sono costitutive del clima culturale, morale e ideologico attuale, e quindi noi affrontando questo tema, entriamo nel vivo della situazione culturale ideologica attuale.

Il motivo fondamentale per cui l’iniziativa di questi compagni va lodata, è il fatto che in questo giro di anni, loro si siano mossi per promuovere un’iniziativa di tipo filosofico. Voglio dire che qui noi oggi dobbiamo non vedere questo nostro incontro come l’inizio effettivo, ma come una chiacchierata per cominciare a chiarire alcuni termini del problema e anche un certo vocabolario che dovremo usare. Come succede sempre nelle introduzioni, in realtà, si capiscono effettivamente alla fine: quando hai letto il libro allora cominci a capire l’introduzione, se è fatta un po’ bene. Anche l’introduzione nostra porrà una serie di questioni che, presumibilmente, alla fine dell’intero ciclo potranno risultate chiare. Tuttavia l’introduzione è utile proprio perché comincia a buttare sul terreno temi e vocabolario.

In questo giro di anni che noi stiamo vivendo, proporre un’iniziativa di tipo filosofico è un atto salutarmente inattuale, salutarmente in contro tendenza, e che mostra – è uno dei tanti segni, ce ne sono molti in giro -, che nonostante tutto, qualcosa si muove. Qui voglio chiarire: io ho detto in questo giro di anni e non nella nostra epoca, [e] non per caso mi sono espresso così, e secondo ho parlato di questo giro di anni come particolarmente ostile alla filosofia. Sono due punti che vorrei chiarire e che, in sostanza, saranno il contenuto di questa mia esposizione e del dibattito nostro, ma in realtà saranno il contenuto dell’intero ciclo a ben vedere. Io dicevo ‘questo giro di anni’ e non ‘la nostra epoca’ per questo motivo: oggi è largamente imperante un’ideologia – uso il termine ideologia per intendere falsa coscienza, quindi non è sinonimo di insieme di idee, ma di una rappresentazione falsificante le cose. Fa parte dell’ideologia dominante oggi usare espressioni come post-ideologico, post-moderno, post-industriale, che sono tutti quanti termini che vogliono suggerire l’idea che noi viviamo, siamo entrati, in un epoca nuova. Per cui fanno sempre una figura un po’ barbina coloro i quali in questo momento, rivendicano l’importanza della memoria storica. Fanno una figura barbina per due motivi fondamentali: 1) Perché è chiaro che se io uso l’espressione memoria storica, quello che suggerisco è che la storia appartiene al passato, è qualcosa di cui si deve aver memoria, ed è una falsificazione perché la storia è costitutiva del presente, quindi se io relego la storia nel passato, quello che sto facendo è impedire una comprensione del presente perché è nel presente che vive la storia. Appunto comincia a prefigurarsi questo quadro: noi stiamo in un epoca tutta nuova, se stiamo in un epoca tutta nuova, questa epoca non ha storia, deve costituire una nuova storia ma non ce l’ha la storia: la storia è, appunto, l’album di famiglia. Invece la storia è costitutiva del presente, ma se noi ci rendiamo conto di questo, ci rendiamo conto che non viviamo in una nuova epoca, ma nello stanco prolungarsi di un epoca che è cominciata quando? Ma, schematicamente noi possiamo dire dalla metà dell’800, ma quello di cui dobbiamo aver ben consapevolezza, è che se noi pensiamo già al ‘700 e alla documentazione seria, non scolastica, non manualistica, sul ‘700, noi vediamo che già quell’epoca lì è un’epoca intimamente contraddittoria, in cui ai margini e mano a mano, sempre con maggiore evidenza, emergono fenomeni che sono attuali. Per esempio ai margini del ‘700 c’è un forte interesse per la magia, per l’astrologia, [ed] esiste una forte critica contro la ragione scientifica, ed esiste, comincia a riproporsi, un modo di concepire la filosofia come legata all’intuizione, al sentimento, cioè a tutto tranne che alla ragione. Ora, questi aspetti che globalmente chiamo irrazionalistici, in realtà accompagnano l’epoca moderna, e ovviamente nei momenti di particolare crisi sociale, politica, economica, diventano la componente più forte. Non è dubbio però che dalla metà dell’ottocento, grosso modo, questi elementi si rafforzano perché in realtà l’epoca moderna – per epoca moderna cosa intendo? Le cose sono complicate, voi sapete che tutti coloro i quali hanno studiato seriamente la storia dell’umanesimo, del Rinascimento, si sono trovati sempre di fronte a questo problema: dove finisce il Medioevo? Dove inizia l’umanesimo? In realtà tu non puoi individuare il momento di passaggio, quello che puoi fare è questo: se stai, poniamo, nel ‘700 puoi vedere il 1000, il 1200 e dire: “Lì è il Medioevo”, ma se già stai nel ‘700. Tutto il percorso intermedio è un intreccio di elementi antichi, nuovi, di elementi antichi che cambiano ruolo ecc. ecc.

Comunque, per epoca moderna, intendiamo grosso modo quel periodo che scolasticamente s’intende come umanesimo, Rinascimento, illuminismo, cioè un periodo estremamente importante in cui si afferma una tematica centrata sull’espansione della personalità, espansione in campo etico, estetico, politico, filosofico, morale, economico, ed è un’epoca in cui sorgono mille centri di attività in tutti questi ambiti, economico e non economico.

 

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Stefano Garroni: Sostanzialmente, in questo fiorire di mille attività liberatorie della personalità e che fanno centro sul motivo della consapevolezza critica – infatti voi sapete che il recupero della cultura classica greco-romana, ovviamente non aveva nulla a che fare con l’imitazione degli antichi, o meglio, aveva a che fare con l’imitazione degli antichi, ma nel senso che della cultura antica si prendeva questo senso forte della ragione, della persona e del legame persona-gruppo, quindi una cultura fortemente legata al mondo e in cui l’uomo si collocava come una forza attiva, viva, cosciente, critica del mondo: in questo senso è l’imitazione degli antichi.

Accanto allo svolgersi di questo processo, se ne svolge un altro, molto più, come dire, terra terra, e cioè l’emergere della borghesia come classe dirigente. Si tratta di due processi che si intrecciano, ma sono due processi. Sarebbe fortemente schematico vedere l’umanesimo, il Rinascimento, l’illuminismo, come le fasi della cultura della borghesia: no, è qualcosa di molto più ricco e complesso. Accanto a questo processo si svolge il processo di formazione della borghesia come classe dirigente.

Tenente conto che nonostante tutta la retorica che i borghesi fanno, la borghesia nasce prevalentemente come classe commerciale, cioè prevalentemente nascono come parassiti, come parassiti che raccolgono strumenti di produzione, li mettono in un luogo, [e] comprano manodopera. Oppure è gente che incarica questo o quell’altro artigiano di produrre, poi il commerciante si incarica di mettere sul mercato il prodotto, e nasce con la costituzione di questo capitale commerciale – non produttivo, [ma] commerciale -, che solo in un secondo momento diventa produttivo. Diventa produttivo nel senso che comprano le terre, raccolgono i lavoratori dentro un unico grosso caseggiato e li mettono a lavorare. Un testo molto bello che è estremamente interessante rileggere oggi è il romanzo di Thomas Mann i Buddenbrook, dove si segue la storia di una famiglia borghese tedesca (commercianti), e la si segue dal momento in cui è ancora in ascesa la borghesia al momento in cui già è diventata classe dirigente e quindi ha già riprodotto un sistema di esclusione da un lato, e di privilegio dall’altro. Ora questo processo di formazione della borghesia come classe dirigente non va confuso né con l’umanesimo, né col Rinascimento e né con l’illuminismo, non perché siano estranei: sono processi intrecciati, ma non sono uno lo specchio dell’altro. Basti ricordare, (ovviamente non lo ricorda mai nessuno), che nella seconda parte del ‘700, nella Francia rivoluzionaria nascono le prime organizzazioni comuniste.

Quando la borghesia si afferma come classe dirigente, succede un cambiamento profondo, cioè tutto quel fermento di sviluppo della personalità, in tutti i campi, si contrae per effetto dell’imporsi del dominio del grande capitale perché la borghesia si afferma come classe dirigente, non come tanta piccola proprietà diffusa, ma come grande capitale già intrecciato di nuovo con gli ex strati dirigenti, la Chiesa, la proprietà feudale, l’aristocrazia, la monarchia; quindi si compatta un fronte di privilegio e dunque di esclusione, con una caratteristica nuova, mai avuta nella storia, cioè che questa nuova situazione di privilegio, ha come arma ideologica di santificazione di sé, un’ideologia che combatte i privilegi. È l’ideologia della libertà, dell’uguaglianza, che difende il nuovo privilegio. Questa è una particolarità dell’epoca moderna, però è chiaro che questa situazione determina una cosa: siccome fino ad un certo punto il processo di sviluppo della personalità, in sede scientifica, economica, e in vari ambiti; e quello di formazione della borghesia sono andati di pari passo, quando viene fuori realmente la borghesia come classe dirigente e quindi rivela la realtà del suo dominio, allora succede che tutte quelle idealità morali, culturali, teoriche, scientifiche, intrecciate alle quali la borghesia è cresciuta, queste idealità vengono smentite dalla realtà. Ripeto che qui il romanzo di Mann i Buddenbrook è stupendo sotto questo punto di vista. Ma voi sapete che in realtà tra ‘700 – i romanzi inglesi del ‘700 sono formidabili come documentazione del processo di costruzione della borghesia come classe dominante -, e l’800 francese, russo, tedesco anche, la letteratura di questo periodo e di questi paesi è una documentazione enorme, proprio per vedere l’emergere di questa nuova condizione di privilegio che è in contraddizione con tutte le idealità liberatorie, che pure l’hanno accompagnata fino a quel punto, e le conseguenze di tutto ciò. Una conseguenza fondamentale noi l’abbiamo proprio con una ripresa di religiosità, una ripresa di interesse per l’astrologia, per la magia, per i culti orientali, per il mondo altro, gli oroscopi ecc. Ma quello che è molto importante è il fatto che si cerchi fuori dell’occidente l’alternativa: la scoperta del mondo orientale. Qui c’è un cambiamento interessante perché nella prima parte dell’800, come anche nel ‘700, per esempio, l’Egitto è indicato come modello di un momento particolarmente basso di sviluppo culturale umano, [e] viene indicato addirittura come il luogo tipico del feticismo, feticismo come fenomeno religioso. Hegel indicherà l’Egitto, in pagine stupende, (poi vedremo perché), come il luogo classico del simbolismo inconscio. Stupende le pagine perché nella descrizione del simbolismo inconscio voi avete tutto Freud, assolutamente tutto Freud. Invece che succede dalla seconda metà dell’800? Che proprio il mondo orientale, il mondo non europeo, viene ricercato come il luogo dell’alternativa, perché ormai non c’è più l’umanesimo, il Rinascimento, l’illuminismo; [ma] c’è la realtà del dominio borghese.

Un piccolo romanzo, di cui purtroppo non ricordo l’autore, è un personaggio curioso, un tedesco che partecipa ai moti rivoluzionari del 1848, amico di Engles. Dopo la sconfitta del 1848 è costretto a fuggire dalla Germania, però faceva parte di una famiglia di commercianti, si riappacifica con il padre e svolge il lavoro del commerciante, e va a finire come commerciante a Cuba e muore a l’Avana. Questo scrive un piccolo libretto, un romanzo, pubblicato in Italia, da Adelphi, che è la descrizione della giornata lavorativa in un’impresa commerciale, una piccola impresa commerciale. È una cosa stupenda perché qui avete la testimonianza, (siamo ancora nella prima parte dell’800), della realtà dei rapporti sociali borghesi nel luogo di lavoro, e vedete che non viviamo in un’epoca nuova: lì c’è la descrizione della nostra vita.

 

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Stefano Garroni: Voi sapete che noi abbiamo attraversato nel ‘900 delle vicende terrificanti. Voglio dire che – ovviamente nessuno di noi ha dubbi circa l’aberrazione del nazifascismo, però dobbiamo tener presente che il nazifascismo ha rappresentato in un certo momento, anche per milioni di uomini, un ipotesi di salvezza, un’alternativa di costruzione di una società che uscisse dalla secchezza del capitalismo. Il tracollo di questa idealità, ha significato una scossa enorme per milioni di uomini, il crollo delle idealità nazionali, perché la prima guerra mondiale, che cosa vuol dire? Vuol dire il trionfo delle nazionalità che determinano, una volta affermatesi, un’instabilità politica totale dal punto di vista della politica estera, della guerra, della realtà economica: il grande sogno americano. È dal ‘600, almeno, che in Europa – anche John Locke, per esempio, cioè anche personaggi di grosso peso -, di fronte alle difficoltà economiche (difficoltà economiche nel senso che essendo considerato legittimo il fatto che ogni persona fosse proprietaria della terra che lavorava, all’obiezione: “Ma in Europa siamo troppi non basta la terra”, la risposta, molto seriamente, era: “Ma ci sono gli Stati Uniti, lì c’è terra per tutti); ecco il tracollo del sogno americano, la crisi economica, il gangsterismo ecc., il nuovo imperialismo americano, anche questo è una scossa enorme nel mondo odierno. Voglio dire che nel ‘900 noi abbiamo attraversato una serie di tappe che sono state sconfitte profonde, di speranze di soluzione di problemi radicali. Voi sapete bene anche che, lasciando perdere la retorica, è vero: la Rivoluzione d’Ottobre nasce come primo episodio di un processo rivoluzionario internazionale, nasce così, è vissuta consapevolmente così, e si è convinti, nei primi anni del ‘900, che la rivoluzione in Germania, in Francia, in Italia, in Inghilterra è possibile. C’è il tracollo: c’è la cosa scandalosa che ad un certo punto in Germania i disoccupati votano Hitler, il che ha determinato per tutta l’Internazionale Comunista una scoperta terrificante: il crollo del progetto bolscevico. Perché il progetto bolscevico era: cominciamo in Russia ma poi ci espandiamo fondamentalmente in Germania: il tracollo di questo e quindi la necessità della distorsione stalinista. Anche questo è stato un tracollo, caratterizzato da un fatto molto semplice: che il movimento comunista non è più riuscito a sfondare nella classe operaia. La classe operaia moderna, evoluta, stava in Europa, ed era social-democratica. Il movimento comunista sfondava nei settori arretrati [e] anche questo è un tracollo importante. Ora tutta questa serie di tracolli del ‘900, hanno mano a mano accentuato quelle caratteristiche di riscoperta di elementi irrazionalistici, proprio con la magia, l’astrologia, il mondo altro. E qui è cambiato qualche cosa dal punto di vista della concezione della filosofia.

Voglio dire questo: a scuola di cose ce ne dicono pochissime, però una delle cose che sicuramente ci dicono è che non è possibile definire la filosofia in quanto ogni autore la considera in modo diverso e in quanto in epoche diverse cambia significato ecc. ecc. Ovviamente si potrebbe osservare che anche il senso di chimica, o di fisica, cambia, come anche di matematica. Però c’è del vero in questo, in questa particolare mutabilità della filosofia, c’è del vero però ad una condizione: se mi permettete di fare un esempio del tutto idiota, immaginiamo che io non abbia nulla da fare e decida di fare una storia del calcio, del football e dell’evoluzione del football, dell’evoluzione tecnica del football. Mi pare del tutto chiaro che non farò la storia di squadre di calcio prese a caso, [ma] farò la storia di alcune squadre di calcio particolarmente significative dal punto di vista tecnico. Cioè che cosa opererò? Una distinzione tra una qualunque squadra di calcio e una squadra di calcio significativa tecnicamente. Nelle cose serie questa distinzione è ancora più importante: non si può mettere sullo stesso piano le filosofie, e la filosofia. Non è dubbio che esiste una storia delle filosofie, ma che esiste anche una storia della filosofia. Che significa? Chi impedisce a De Crescenzo di presentarsi come filosofo e di scrivere libri di filosofia? Chi impedisce a Vattimo di presentarsi come filosofo? Chi lo può fare? Però succede che nel V secolo a.c., nel IV secolo a.c., c’erano tanti Vattimo, tanti De Crescenzo, però noi studiamo Platone ed Aristotele. Perché? Perché un conto sono le filosofie, cioè la vita quotidiana culturale, e un’altra cosa è quel processo di costituzione della razionalità umana che attraversa alcune tappe fondamentali, che poi alla fine son poche: quando tu avessi studiato seriamente Platone, Aristotele, Cartesio, Leibniz, Kant, Hegel – per studiarli seriamente ci metti un po’ di tempo -, però se tu studi seriamente questi, allora i vari De Crescenzo, Vattimo o quello che volete, questi li mangiate subito, perché appunto, se tu giochi nella Juventus, batti la San Giovannese con una mano sola. Perché un conto è la filosofia, un conto sono le filosofie: se io voglio far capire che cosa succede in filosofia, non debbo stare a perder tempo con i Vattimo o con i De Crescenzo, ma lo devo perdere con Platone, con Aristotele, con Leibniz ecc. ecc., cioè con i punti nodali con cui si articola un certo processo. Qual è questo processo? Si, si può rispondere alla domanda: che cos’è la filosofia? Non c’è nulla di drammatico: la filosofia è il momento più alto di presa di coscienza da parte dell’uomo dei modi, delle forme, delle regole, della grammatica, dell’esperienza storica. Quindi è il processo di costruzione della razionalità umana, come presa di coscienza della procedure fondamentali, delle regole dello svolgimento della storia. Per svolgimento della storia ovviamente intendo lo svolgimento del rapporto tra l’uomo e la sua società e la natura.

 

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Stefano Garroni: Allora se è relativamente facile dire la cosa, diventa un po’ più difficile farla perché, per esempio, la presa di coscienza di queste regole fondamentali di costituzioni dell’esperienza implicano, poniamo, conoscenza della scienza, della storia, della politica, dell’economia, dell’estetica, della religione; allora si capisce perché son pochi i filosofi. Però la cosa interessante è questa: se noi leggiamo gli scritti di Aristotele sul sonno e sul sogno, vediamo che i fondamentali processi fisiologici, in materia, lui li aveva colti, cioè voglio dire che come al solito se tu hai pochi vertici, poche vette, non ce l’hai per caso, ma perché queste sono state veramente vette: hanno colto a fondo. Il che significa che noi dobbiamo abituarci anche ad un ragionamento molto complicato in realtà: particolarmente oggi – quindi nella grande società industriale di massa, consumo di massa ecc. ecc. -, si ha la sensazione che: “Ma, quella macchina è vecchia, è del cinquanta [interruzione]

 

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Stefano Garroni: […] e allora succede, appunto, che si può vedere che De Crescenzo finisce rapidamente e ne nasce un altro, ma non finisce rapidamente Aristotele. Allora se io faccio la storia delle filosofie, sicuramente potrò mostrare molto rapidamente che certi temi si sono bruciati nel giro di un decennio, o di tre anni addirittura, sono nati altri ecc.; ma se faccio la storia della filosofia, allora, mi rendo conto che quando noi parliamo rigorosamente, poniamo, di dimostrazione, come una procedura diversa dal semplicemente fornir prove, noi intendiamo per dimostrazione ciò che intendeva Aristotele, cioè la dimostrazione matematica.

Allora viviamo da una decina d’anni in un’epoca nuova o no? La questione è di lana caprina: bisogna vedere se siamo noi esigenti. Se per epoca intendiamo l’apparizione di Windows 95 e di Windows 98, allora si, viviamo in un epoca. Se però per epoca intendiamo un mutamento nelle strutture di fondo dell’esperienza umana, no: viviamo in una fase di un epoca. La cosa è importante, perché fino a pochi anni fa sul Corriere della Sera, sul Sole 24 Ore ecc. veniva spesso ricordata la riflessione economica di Smith: “Finalmente ci siamo liberarti dal comunismo, finalmente il nuovo pensiero economico, [quindi] Adam Smith”. Oppure: “Finalmente ci siamo liberati dalle ideologie, scopriamo la religione cattolica”: finalmente la madonna può essere vergine di nuovo dio cane!!

Questo è paradossale, cioè questa mentalità della nuova epoca, del post-moderno, del post ecc. ecc., per un verso cancella la storia, per l’altro verso, in quanto la cancella, fa un salto all’indietro e si ricollega alla preistoria. Sentiamo tutti i giorni in televisione: “Contro i monopoli che cosa ci vuole? Il mercato”. Che sia il mercato a produrre monopoli da alcuni secoli, questo non conta perché è stata cancellata la storia: la storia è memoria storica, allora vedete che in televisione quando si parla della storia, si parla dell’antico egizio, gli antichi romani, o anche la storia degli animali, però dell’800 un po’ di meno. Di che cosa è successo veramente nel ‘700 in Francia, questo lasciamolo perdere. Noi invece dobbiamo abituarci a pensare questo: esiste l’ideologia, però esiste anche la teoria, la distinzione è analoga a le filosofie e la filosofia: dobbiamo essere ben attenti a capire che cosa stiamo leggendo o che cosa stiamo sentendo: se è una proposizione ideologica o una proposizione teorica. Per ideologia intendo questo, (non che l’intendo io): voi sapete che di fatto noi usiamo almeno tre tipi di parole: un tipo di parole di cui conosciamo il significato tanto da poter distinguere quella parola da un suo sinonimo. Ci sono delle parole che noi usiamo in un senso approssimativo: “Vieni qui”. Che vuol dire quel ‘qui’? : “Qui proprio, o qui o lì?”, è usato in senso vago. E se io dico ad una persona: “Vieni qui”, e questa persona mi chiedesse: “Dove esattamente?”. Io direi: “Non hai capito”. Perché nel linguaggio comune ‘vieni qui’ ha un senso di orientamento: ci sono delle parole che noi usiamo ignorandone completamente il significato, ma come se lo comprendessimo appieno, come se questo significato fosse assolutamente trasparente; e parole che hanno nella realtà una valenza valutativa. Poniamo: democrazia, nessuno sa che vuol dire, ma democratico è bello. Terrorista: nessuno sa che vuol dire, ma è brutto. Quindi per me romanista, quello laziale è un terrorista. Perché è un terrorista? Perché io non so che vuol dire terrorista, ma il laziale mi sta antipatico perché è laziale e quindi gli dico una cosa che esprime antipatia, cioè terrorista. Ocalan è terrorista perché ha fatto un’azione in cui sono morti tre bambini, Clinton ne ha ammazzati migliaia a Cuba in Iraq senza neanche gli apparecchi, non mandandogli medicine, però non è terrorista, ed è una contraddizione Clinton terrorista perché gli Stati Uniti sono simpatici, il terrorismo vuol dire antipatico: non sta in piedi. Ecco, l’ideologia è fatta prevalentemente di una mescolanza di questi ultimi due tipi di parole, quelle che noi usiamo approssimativamente, [e] quelle che noi usiamo senza neanche chiederci che cosa vogliono dire, ma in quanto esprimono valutazioni, messe insieme in un modo non sistematico, non consapevole.

 

Francesco Cori: È induttivo?

Stefano Garroni: No, non è induttivo, questo no, perché noi la recepiamo dall’educazione, ci viene messa dentro. Nel ‘700 immaginavano la situazione del bambino che sta in culla e la madre o la cameriera che gli racconta le favole mostruose, questo cresce con queste idee che gli sono state date dall’educazione. Ed è interessante che questo insieme – criticamente non consapevole – di parole, quindi di posizioni, di concezioni ecc., né è sistematico, né è appunto assunto criticamente. Non avrebbe nessun senso che io chiedessi ad un uomo ordinario: “Ma quando dici democrazia che vuoi dire?” Non fa parte del gioco. È interessante che questa costruzione però ha un senso: il senso è quello fondamentalmente di gratificare, di dar sicurezza, perché succede, che so, sull’autobus – il traffico, tutte quelle cose che succedono sull’autobus -: “Il governo dovrebbe…” Ma come, sono millenni che il governo ti frega e tu ti appelli al governo? Perché? Qui non c’è una teoria, qui c’è una necessità di rassicurazione. L’ideologia svolge questa funzione di rassicurare: “Il negro è cattivo, il napoletano non vuol lavorare”, quindi il mondo è preciso, è stabile. Il governo provvede. Se non lo fa ha sbagliato perché non lo sapeva: “Mussolini non lo sapeva. Se l’avesse saputo …!” Questa è l’ideologia.

 

Intervento: Gli imprenditori creano posti di lavoro

Stefano Garroni: Certamente, creano posti di lavoro. E questo è molto interessante perché sembra una stupidaggine ma il lavoratore è un prestatore d’opera e un datore di lavoro è il padrone: guardate che più noi abbiamo questo dentro l’orecchio e più noi abbiamo dentro l’orecchio una teoria economica.

 

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Stefano Garroni: Cioè: io ti presto l’opera mia, [tu mi dai] un po’ di soldi ed è fatto. E no! Io ti ho prestato l’opera mia e moltissimo plus valore non pagato. L’ ideologia ha questa funzione rassicurante, c’è un mondo stabile. “Il prete è cattivo, ma il vangelo è buono”. Oppure: “Viene distrutta la natura ma è colpa dell’uomo”. L’uomo? Chi è l’uomo? No: viene distrutta la natura ed è colpa del processo di accumulazione capitalistica, [ma] un momento: [così] tu mi fai litigare con Agnelli, stai buono: è colpa dell’uomo.

La teoria è un’altra cosa, è la ricerca, invece, del significato determinato delle parole, di dare un significato preciso ai termini. Questo rompe le scatole, perché che vuol dire democrazia? Che vuol dire terrorismo? Che vuol dire questo o quello? Allora devi prendere impegni. Lo studio della filosofia è lo studio del momento più alto del tentativo di determinazione dei significati. Intendiamoci: determinazione dei significati che significa? Significa, appunto, non so se voi avete visto un film di Peter Sellers in cui c’è questa scena: una persona per la strada si rivolge ad un altro e gli chiede: “Sa che ore sono?” “Si”, e se ne va. Perché ha fatto il filosofo nel linguaggio quotidiano: tu mi hai chiesto se io so che ore sono, si, ma in realtà nel linguaggio quotidiano significa un’altra cosa. O quell’altra scena molto divertente: lui che entra in un negozio, un cane ringhia, e lui si rivolge al padrone e gli chiede: “Morde il suo cane?” “No” Allora si avvicina e lo morde. E quello dice al padrone: “Ma mi ha morso”. E il padrone dice: “Ma quello mica è il cane mio”. Però qui il gioco qual è? È che tu mescoli due giochi diversi: nel linguaggio quotidiano le parole devono avere una certa fruibilità, una certa imprecisione utile; ad [un] altro livello devono essere determinate. Però è chiaro che quando da filosofo parlo un linguaggio quotidiano non debbo andare a costringere il linguaggio quotidiano ad avere l’esattezza del linguaggio scientifico, [ma] devo riconoscere il linguaggio quotidiano nella sua funzione, e quindi anche nella sua vaghezza, il che vuol dire in buona sostanza: è chiaro che nella vita quotidiana noi abbiamo bisogno in mille modi di rassicurazioni, [e] l’ideologia svolge una funzione rassicurante: non è pensabile una vita quotidiana che sia caratterizzata dal dubbio filosofico continuo. È molto bello che il filosofo dubiti di tutto, però se io devo prendere il latte devo sapere che lì c’è il negozio che apre e che lì c’è il latte. Allora la distinzione dei livelli, ideologico, teorico, ecc. non serve ad appiattire, serve a riconoscere anche una distinzione che è costitutiva della vita. L’importante è che il quotidiano non invada il teorico e viceversa, in un certo senso.

Ultimo tema e poi discutiamo. L’importante è che il teorico non invada il quotidiano e viceversa. Qui bisogna stare attenti. Certo se facendo l’esempio stupido di prima io dico a lui: “Vieni qui” e lui mi chiede: “Cosa intendi per qui?” No non ha capito il gioco. Però il fatto che si discuta tra persone, e si dica, per esempio, che il dramma ecologico è legato ai processi di accumulazione capitalistica in questa fase di alto livello speculativo con scarsa realizzazione; questo è importante. Cioè modificare una posizione astratta su una cosa di questo genere è importante. Cioè è importante anche intervenire con la lucidità teorica per modificare le strutture del quotidiano. Questo momento di mediazione, è svolto dalla cultura e dalla politica. Dalla cultura intendo, beh la rivista specializzata di filosofia medievale, verrà letta da alcuni studiosi, però non è necessario che restino là quelle cose. Si possono scrivere delle ottime terze pagine di quotidiani o delle ottime riviste, aperte anche a chi non è specialista di filosofia medievale, in cui si comunicano delle cose. E c’è la funzione della politica, cioè dell’organizzazione, [e] anche qui, consentite questa parentesi: vedete in che epoca mostruosa noi stiamo, in cui si pretende che possa essere un momento di libertà l’indebolimento dei partiti. Ma la stragrande maggioranza della gente è ovviamente ignorante no? Come si fa una cultura? Come capisce che cosa significa organizzare, dirigere, se non attraverso un’esperienza organizzativa? Cioè il partito è un momento fondamentale per la costituzione, per un elevamento della coscienza di massa. Non può esservi una democrazia senza l’organizzazione dei partiti. Una democrazia che distrugga i partiti vuol dire uno stato che prende persone ignoranti abbandonate nel loro individualismo e poste di fronte ai grandi problemi. Ora, la politica, cioè come organizzazione, momento di organizzazione, di discussione, di acquisizione di esperienza, ha una funzione di mediazione tra teoria e ideologia, e quindi non è dubbio che si avrà un precipitare nella miseria ideologica, meno sarà ricca l’organizzazione politica. Esisteva un tempo in cui – oggi può sembrare assurdo -, era utile leggere i quotidiani: si imparavano delle cose. Oggi è inutile, ma uno imparava delle cose, cioè c’erano degli articoli che ti spiegavano quel problema: tu non sei uno studioso di quel problema, però avevi elementi; oggi è totalmente inutile.

Qual è la conclusione di tutto questo? Noi continuiamo a vivere questa situazione di disarmonia profonda tra le grandi idealità liberatorie, apertesi con l’epoca moderna, con l’umanesimo ecc. ecc., e la costituzione di un nuovo sistema – nuovo rispetto al feudalesimo -, di privilegio e di esclusione. Siccome i due processi, umanesimo e fine dell’illuminismo, e costituzione della borghesia come classe, si sono intrecciati, c’è spesso la tendenza di, come dire, di prendere lucciole per lanterne, e quindi di dire: “Tu scienza sei colpevole degli esiti del sistema economico”. Cioè invece che riconoscere, appunto, che questo secondo processo ha distorto lo sviluppo del processo di liberazione della personalità, si fa della scienza, del razionalismo, dell’ateismo ecc. questi responsabili. No!

 

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Stefano Garroni: Ovviamente quando si cade in questo equivoco, rispuntano, per esempio, le istanze del sentimento, della passione, dell’individuo libero dalle manomissioni sociali, cioè la ricerca di quel territorio in cui io mi sottraggo dal mondo e ritrovo me. E si va a finire con l’esistenzialismo, che è cosa molto degna, perché ci sono cose di grande importanza che gli esistenzialisti hanno scritto. Ovviamente hanno scritto anche delle fregnacce, ma questo succede a tutti quanti. E dall’altro lato c’è l’alternativa della ricomposizione di una concezione razionale del mondo che renda conto però di queste contraddizioni effettive. Il tema che i compagni ponevano era questo poi in sostanza.

 

Intervento: che cos’è il plusvalore?

Stefano Garroni: Io potrei risponderti in maniera molto semplice, anzi ti rispondo in una maniera molto semplice, però con una premessa: che detto in questo modo è falso. Il modo è questo: io operaio vengo a lavorare per te in cambio di un salario. Questo salario serve a che io possa comprare le cose che sono utili per ricostituire la mia forza lavoro. Quando io erogo la forza lavoro, produco molto più delle merci necessarie per ricostituire la mia forza lavoro. Mi spiego? Insomma, se vuoi, io per fare un combattimento di 15 round ho bisogno di 10 round di allenamento. Allora per ricostituire la mia forza lavoro io ho bisogno di 10 round d’allenamento. Quando poi vado a combattere ne faccio 15 e tu mi paghi 10, 5 te le prendi te. Quello è il plus-lavoro, plus-prodotto. Però detta così è una bambinata, poi troveremo il modo di dirla meglio insomma.

 

Sara: Ho un vuoto di anni nel suo percorso, non so se mi sono distratta io, ma lei si è fermato dicendo dei primi anni dell’800, poi è passato all’interesse per l’oriente, e poi è subito andato al fascismo, al nazifascismo, alla resurrezione della borghesia ecc.

Stefano Garroni: In queste cose ovviamente l’indicazione degli anni la devi prendere per generica, chiaro? Il punto fondamentale, il processo fondamentale è questo: cioè con la seconda parte della Rivoluzione francese, con il 1848, tu hai il verificarsi di un fenomeno nuovo in Europa, cioè il fatto che il Quarto Stato si costruisce le sue bandiere, le sue organizzazioni ed entra in lotta contro la società esistente. Ora, questo Quarto Stato, non è solo, diciamo così, l’antenato del proletariato moderno, perché se noi lo guardiamo nell’epoca sua, è fatto anche di un sottoproletariato molto forte, di strati al limite della delinquenza, di brutalità vera e propria; per cui questo emergere della forza del Quarto Stato, in cui sono mischiate figure lavorative e figure delinquenziali: ignoranza mostruosa e centri invece, di nuclei di culture interessanti, perché gli artigiani, per esempio, erano centri culturali, la piccola bottega del calzolaio era un luogo dove si discuteva, si leggeva. Ma abbiamo anche questo sottoproletariato terrificante, ecco: quando questo comincia ad emergere ad avere le proprie bandiere, ma anche i propri fucili, si determina una reazione spaventata. Da parte, non solo, della grande borghesia, ma anche di larghi strati di intellettuali, sembra che emerga una nuova barbarie incapace di costituire un’alternativa di civiltà. Allora che cosa capita? Capita che si fa l’esperienza, da un lato di questo nuovo mondo di privilegio e di esclusione, e dall’altro lato questo mondo dell’esclusione non ha più le caratteristiche del Terzo Stato, cioè dell’ex mondo escluso, il quale però era proprietario di fabbrica, scriveva libri, era fatto di avvocati, cioè di gente civile: qui ci sono i bruti, i barbari. Allora sembra che la società moderna si presenti come privilegio del grande denaro da un lato, e dall’altro lato l’emergenza di questa barbarie dal profondo, donde una visione fortemente negativa del mondo attuale, del mondo occidentale, del mondo industriale e quindi la ricerca fuori di questo mondo di un’alternativa. Qui nasce o rinasce l’interesse per il buddismo, per l’India, per la Cina, ecc. ecc. Non so se è più chiaro.

 

Sara: Quindi diciamo dalla presa di coscienza di questa realtà che si è venuta ad affermare, che è la realtà di una borghesia ormai salda …

Garroni: Al potere dominante. E permettimi: di una grande borghesia. Questo è importante, perché vuol dire l’esclusione anche di settori borghesi.

 

Sara: In tutti questi anni ha sempre dominato questa borghesia, quindi dai primi decenni dell’800 fino al ‘900, e poi è sfociata in questo ‘più’ che si cercava in un governo, in un partito o in un’altra affermazione …

Maurizio Franceschini: Io volevo mettere in luce, tu hai citato vette somme della filosofia, però ti sei dimenticato, citando Aristotele, hai dimenticato gli aristotelici. Sono quelli che hanno fatto un sacco di macello. Tutta quella gente che poi si riferisce a quei capo scuola che l’hanno degradato, apposta è successo che poi dopo, tutti questi grandi ingegni sono stati falsificati, lo stesso è successo pure per Marx.

Stefano Garroni: No qui c’è una questione anche importante, forse da chiarire: appunto, se io affronto la questione di prima ‘vieni qui’, e la persona risponde con l’atteggiamento del filosofo, allora non ha capito. Questo che significa? Significa che per esempio noi dobbiamo stare attenti a cercare di capire che cosa realmente, poniamo nel Medioevo, si è discusso, quando, fate conto, si discuteva dell’esistenza o della prova dell’esistenza di dio.

 

8/8

Stefano Garroni: È chiaro se noi ci facciamo prendere, come dire, dall’ideologia nostra, dalle nostre quotidianità, dalle nostre convinzioni diffuse, possiamo vedere queste discussioni sulla prova dell’esistenza di dio, insomma, come ciarpame medievale. No, perché in realtà lì discutevano di profondissimi problemi logici e scientifici. Addirittura, non è vero che noi nei nostri anni, siamo tornati a situazioni medievali. Il Medioevo è un alto livello di civiltà: per esempio, quando quegli aristotelici discutevano della dimostrabilità dell’esistenza di dio, attenti: non stanno discutendo di dio, stanno discutendo del modo di concepire la scienza. Stanno discutendo di che cosa significa dimostrare. Sono cose tutte molto importanti. Poi, ovviamente, io posso vivere tutto questo a livello dell’ideologia, allora tutto si appiattisce, si impoverisce, ma è decisivo che quando nell’epoca moderna si criticherà la cultura medievale, in buona sostanza si prende […]


Stefano Garroni PRIMO RICERCATORE CNR ed ex docente di filosofia a “La Sapienza” università di Roma: collettivo di formazione marxista “Stefano Garroni”. Per informazioni di ogni genere o anche segnalazioni per eventuali errori non esitate a contattarci.
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