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carmilla

Althusser, quel filoso… vietico

di Nico Maccentelli

AlthusserPer Marx edito da Editori Riuniti (1973), è una raccolta di saggi di Luis Althusser che in questo caso non tratterò come filosofo, bensì nella sua dimensione politica dell’epoca, quando l’URSS, nel bene e nel male, rappresentava un’alternativa di carattere socialista al sistema capitalista per una bella fetta di umanità. Ho sempre pensato che questa questione non vada trattata con le sole lenti dell’ideologia, né per essere esegeti di quell’esperienza, né per demonizzarla a priori. Sulle lenti di una analisi politica c’è ancora molto da fare. Quello che però qui mi interessa è vedere l’impostazione althusseriana di quegli anni (stiamo parlando degli anni ’60, fino alla metà) in merito a questa questione. Per questo, dei saggi contenuti in questo pregevole libro da bancarella (trovato fortuitamente), mi interessa affrontare solo il capitolo relativo all’URSS, ossia al socialismo reale e all’analisi di classe che Althusser ne trae, per formulare il concetto di “umanesimo socialista”.

Luis Althusser è stato un grande intellettuale e filosofo marxista, che tuttavia risentì sul piano dell’analisi concreta del socialismo dei limiti che l’intellettualità come la militanza comuniste dell’epoca avevano.

Riporto due sue frasi che riguardano la sua adesione al passaggio kruscheviano allo “Stato di tutto il popolo”, che si sarebbe poi cristallizzato nella Costituzione Sovietica del 1977:

«L’Unione Sovietica, impegnata oggi sulla via che dal socialismo (a ciascuno secondo il suo lavoro) la porterà al comunismo (a ciascuno secondo i suoi bisogni), lancia la parola d’ordine: tutto per l’Uomo, e affronta temi nuovi: libertà dell’individuo, rispetto della legalità, dignità della persona.1

(…)

Per più di quaranta anni, in URSS, attraverso lotte gigantesche, l’«umanismo socialista», prima di esprimersi in termini di libertà della persona, si è espresso in termini di dittatura di classe. La fine della dittatura del proletariato apre nell’URSS una seconda fase storica.

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rproject

Michal Kalecki e il marxismo economico del ‘900

di Joseph Halevi e Peter Kriesler (1)

Michal KaleckiI quindici anni che vanno dalla fine del XIX secolo allo scoppio della prima guerra mondiale, formarono forse il periodo più ricco nella storia dell’economia marxiana. Questa ricchezza – magistralmente presentata e resuscitata da Paul Sweezy nel suo insuperabile classico (1942) The Theory of Capitalist Development (1951 edizione italiana) – era stata molto stimolata dalla natura non unicamente accademica del dibattito. I partecipanti, provenienti dall’Europa di lingua tedesca e dall’impero zarista, che in quegli anni includeva anche la Polonia, si sforzavano di capire le dinamiche di accumulazione del capitale in un contesto che sicuramente non era quello di Marx. Il principale sviluppo tra il periodo in cui scriveva Marx e quello dei dibattiti russo-tedeschi fu il cambiamento della natura del sistema capitalista. Il riferimento è alla forza della concorrenza come intesa da Marx quando scriveva:

Inoltre, lo sviluppo della produzione capitalistica rende costantemente necessario aumentare la quantità del capitale investito in una data impresa industriale, e la concorrenza fa sì che le leggi immanenti della produzione capitalistica siano sentite da ogni singolo capitalista, come leggi coercitive esterne. Essa lo costringe ad estendere costantemente il suo capitale per conservarlo, ma egli non può estenderlo se non per mezzo dell’accumulazione progressiva (tradotto da: Karl Marx, Il Capitale, Vol. 1, cap. 24, https://marxists.architexturez.net/archive/marx/works/1867-c1/ch24.htm, visitato il 3/12/20021).

Questa legge coercitiva della concorrenza si manifesta attraverso la “Legge generale dell’accumulazione capitalistica” che Marx sviluppa nel capitolo 25 del primo volume del Capitale(edizione di Mosca) dandogli il medesimo titolo. La legge consiste nel fatto che: (a) il tasso di profitto e il tasso del salario si muovono, l’uno rispetto all’altro, rigorosamente in direzione inversa, (b) tutto il plusvalore viene automaticamente investito indipendentemente dal fatto che il suo ammontare sia alto o basso.

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jacobin

Alienazione, storia di un concetto

di Marcello Musto

Il rapporto tra lavoro e sfruttamento, tra attività creatrice e oggetti prodotti, è centrale nell'analisi di Marx e nella sua idea di superamento del capitalismo

alienazione jacobin italia 1536x560Da quando sono stati pubblicati per la prima volta negli anni Trenta, i primi scritti di Karl Marx sull’alienazione sono serviti come pietra di paragone radicale nei campi del pensiero sociale e filosofico, dando vita a consensi, contestazioni e dibattiti. Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, Marx sviluppò per la prima volta il concetto di lavoro alienato, spingendosi oltre le nozioni filosofiche, religiose e politiche esistenti di alienazione per collocarlo nella sfera economica della produzione materiale. Si è trattato di una mossa rivoluzionaria e l’alienazione è stato un concetto che Marx non ha mai messo da parte e che avrebbe continuato a perfezionare e sviluppare nei decenni successivi. Sebbene i teorici sul tema dell’alienazione abbiano, per la maggior parte, continuato a fare uso dei primi scritti di Marx, è nell’opera successiva che Marx fornisce un resoconto più completo e sviluppato dell’alienazione, nonché una teoria del suo superamento. Nei taccuini dei Grundrisse (1857-58), così come in altri manoscritti preparatori de Il Capitale (1867), Marx propone una concezione dell’alienazione che trova storicamente fondamento nella sua analisi dei rapporti sociali sotto il capitalismo. Se questo importante aspetto della teoria di Marx è stato finora sottovalutato, resta la chiave per comprendere cosa intendesse il Marx maturo per alienazione – e contribuisce a dare gli strumenti concettuali che saranno necessari per trasformare il sistema economico e sociale dell’ipersfruttamento in cui viviamo oggi.

 

Una lunga traiettoria

Il primo resoconto sistematico dell’alienazione è stato fornito da Hegel ne La fenomenologia dello spirito (1807), dove i termini Entausserung («alienazione»), Entfremdung («straniamento») e Vergegenständlichung (letteralmente: «oggettivazione») sono stati usati per descrivere il divenire altro da sé dello Spirito nel regno dell’oggettività.

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ospite ingrato

Chi critica la critica? Alla ricerca di soggetti storici

di Roberto Fineschi

S CL2321 11921    I. Per una definizione meno vaga del concetto di “critica” attraverso Marx

Nel mondo anglosassone e non solo, la popolarità del termine “critica” è tale che sulla “critical theory” si possono trovare in libreria dizionari, glossari, antologie.1 Sfogliando le pagine di queste pubblicazioni, tuttavia, talvolta si resta un po’ disorientati vedendo accostati autori assai lontani tra di loro, al punto che è difficile scovare un tratto comune, se non in un generico atteggiamento anti-mainstream. Che cosa sia mainstream resta d’altra parte non chiaramente espresso. Ovviamente, non si intende qui liquidare il contributo di autori assai importanti; si tratta piuttosto di prendere atto che questo galassia pare riconducibile a una qualche unità solo per via negativa, un criterio di distinzione/identificazione troppo generico e, da sempre, potenzialmente foriero di accostamenti pericolosi.2

Un tentativo di ricostruzione della storia del termine andrebbe ovviamente molto al di là dei limiti di questo contributo, in questa prospettiva però si può forse fare qualche considerazione di carattere generale a partire dall’autore che meglio conosco, vale a dire Karl Marx. È noto, infatti, che molte delle sue opere contengono la parola “critica” addirittura nel titolo3 e che l’ambiente della “critica critica”, come sarcasticamente Marx la defi e nel sottotitolo della Sacra famiglia, rappresentò il contesto culturale nel quale avvenne la sua formazione e dal quale prese successivamente le distanze. La tesi da indagare, che qui si espone solo come spunto di ricerca da approfondire, è che il termine venga utilizzato in una maniera analoga a quella che si confi ura nell’ambito della metodologia storico-critica dell’esegesi biblica tedesca degli anni trenta e quaranta dell’ottocento grazie a interpreti come Strauss, Bruno Bauer, ecc.4

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bollettinoculturale

La composizione organica del capitale dal punto di vista dei lavoratori

di Bollettino Culturale

botero uomo e donnaPer Marx, il capitolo ventitreesimo del primo libro del Capitale mira ad esaminare "come l’aumento del capitale influisca sulle sorti [e sulla composizione] della classe operaia”. Quindi, anche se il titolo di questo capitolo è “La legge generale dell’accumulazione capitalistica”, non sono solo le leggi dello sviluppo del capitale che sembrano interessare il pensatore tedesco, ma soprattutto la classe operaia, il suo destino e il rapporto che mantiene con lo sviluppo capitalistico. Tuttavia, nell'intraprendere la sua indagine, Marx prende come linea guida la composizione del capitale e le alterazioni che subisce durante il processo di accumulazione.

“La composizione del capitale va considerata secondo il carattere duplice e contrapposto del lavoro rappresentato nelle merci.”

In primo luogo “dal lato del valore” ed in questo caso “si determina mediante la proporzione in cui il capitale si suddivide in capitale costante (ossia il valore dei mezzi di produzione, ossia le macchine, le materie prime...) e in capitale variabile (ossia il valore della forza di lavoro, ossia il monte salari).” In altre parole, "dal lato del valore" la composizione del capitale è definita come il rapporto tra le parti costante e variabile del capitale, che è comunemente rappresentato dall'espressione 𝑐/𝑣 (dove c rappresenta il capitale costante e v rappresenta il capitale variabile). Questa proporzione viene chiamata da Marx “composizione di valore del capitale”. In secondo luogo abbiamo la composizione del capitale “dal lato della materia”. “Essa opera nel processo di produzione, ogni capitale si suddivide in mezzi di produzione e in forza di lavoro vivente, e questa composizione si determina mediante il rapporto fra la massa dei mezzi di produzione utilizzati e la quantità di lavoro necessaria per il loro utilizzo.”

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maggiofil

Sraffa sul pianeta Marx. Cronache marXZiane n. 6

di Giorgio Gattei

32082319 1762823683756903 662736487682408448 o 1114x5571. Piero Sraffa (1898-1983) è stato certamente l’astronomo più chiacchierato (a favore o contro) della seconda metà del Novecento. Educato alla migliore ortodossia astronomia geocentrica, ne aveva subito compreso le manchevolezze, considerando che sul pianeta Marx non può certo valere quella “sovranità del consumatore” tanto decantata dai suoi insegnanti: ma quando mai se i prezzi vengono imposti dalle imprese sulla base dei costi di produzione e i clienti li subiscono a colpi di pubblicità? Lui non era propriamente un marxziano, ma preferiva immaginarsi come un «uomo venuto dalla luna» che, sulla base delle merci consumate e prodotte, sarebbe stato capace di «dedurre a quali prezzi le merci possono essere vendute se il tasso di profitto dev’essere uniforme e il processo di produzione deve essere ripetuto. Le condizioni dello scambio sono interamente determinate dalle condizioni della produzione». Ed è stato sulla base di questo convincimento che egli si era rivolto, per lo studio di quel nuovo pianeta comparso nella costellazione dell’Economia che poi si sarebbe chiamato “pianeta Marx”, agli astronomi “classici” come l’Adam Smith della Ricchezza delle stelle o il David Ricardo dei Principi di economia celeste per finire, come d’obbligo, alla “mappatura integrale” che ne aveva proposto l’astronomo indipendente Karl Marx in Il pianeta. Critica della astronomia politica dandogli così il proprio nome. Tuttavia Marx l’aveva osservato soltanto al telescopio (che allora erano pure difettosi), così che all’esame in quella “mappa” per Sraffa c’era fin troppa “metafisica”, le distanze chilometriche calcolate non erano precise se non addirittura errate e c’erano pure larghi spazi bianchi sui quali si sarebbe potuto scrivere, alla maniera dei cartografi antichi, “Hic sunt leones”.

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lamacchinadesiderante

La teoria marxiana applicata allo sviluppo del software: contro Toni Negri e il reddito di base universale

di La Macchina Desiderante

schizoPartendo da una riflessione sullo stato del lavoro, della classe lavoratrice e della sinistra nel nostro tempo, ci si interroga sul rapporto tra lavoro immateriale e teorie marxiane. Ci si chiede se oggi sia possibile delineare un confine tra lavoro e le varie forme di non-lavoro (creazione contenuti per le piattaforme, fruizione dei contenuti a scopo di profilazione, creazione di software libero a titolo gratuito/volontario, ecc...), se ci sia un tratto caratteristico che permetta di distinguere i due concetti e se abbia senso metterli sullo stesso piano. Prendendo come esempio la produzione del software (più precisamente lo sviluppo di un'ipotetica piattaforma di streaming video) vengono mostrati i limiti dei tentativi di applicare gli strumenti della teoria marxiana ortodossa. Successivamente viene presa in considerazione la teoria del plusvalore di Toni Negri. Se questa teoria ha il pregio di mostrare che oggi tutto l'assetto sociale e culturale è orientato alla suddetta estorsione, accettare che il plusvalore venga prodotto ovunque comporta conseguenze e implicazioni politiche molto pericolose. Viene confutata la teoria di Negri, mostrando come il non-lavoro non abbia intrinsecamente la capacità di generare plusvalore, e come sotto questo aspetto la teoria marxiana ortodossa si riveli ancora valida. Partendo da questa confutazione viene contestata la legittimità della proposta di Negri di un reddito di base universale. Dopo aver brevemente ripercorso la storia della concezione del lavoro come valore (dal mondo classico alla modernità), viene messa in dubbio l'idea che il reddito di base universale possa essere considerata una proposta di sinistra, mostrando la sua natura aristocratica e neo-liberale (in particolare nelle concezioni di Hayek e Friedman). Viene anche messa in dubbio l'idea che il lavoro stia scomparendo per via dell'automazione. Si ritorna quindi alla riflessione iniziale: ci si interroga sullo stato della sinistra e del lavoro alla luce dell'impegno che molti attivisti oggi stanno infondendo per far diventare realtà una proposta che storicamente nasce per opprimerli.

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blackblog

Ancora sul problema della trasformazione...

di Jehu

Heinrich1Nel 2013, Michael Heinrich ha scritto un saggio su quello che lui considerava fosse l'errore di base della teoria del valore del lavoro di Marx:

«Nella prima metà del XIX secolo, era diventato chiaro che le crisi economiche periodiche fossero una componente inevitabile del capitalismo moderno. Nel Manifesto Comunista, esse venivano considerate come una minaccia all'esistenza economica stessa della società borghese. Le crisi assunsero per la prima volta uno speciale significato politico per Marx nel 1850, quando egli tentò un'analisi più approfondita delle rivoluzioni fallite del 1848-1849. In quel periodo, egli considerava la crisi del 1847-1848 come il processo decisivo che aveva portato alla rivoluzione, e da questo trasse la conclusione per cui: "Una nuova rivoluzione è possibile solo come conseguenza di una nuova crisi. Essa è ad ogni modo altrettanto certa di questa crisi".

Negli anni successivi, Marx attese con ansia una nuova crisi profonda, che finalmente arrivò nel 1857-1858: tutti i centri capitalistici sperimentarono una crisi. Mentre Marx osservava attentamente la crisi e la analizzava in numerosi articoli per il New York Tribune, allo stesso tempo tentava anche di elaborare la sua critica dell'economia politica, che aveva progettato da anni. Il risultato di tutto questo fu il manoscritto senza titolo che è conosciuto oggi come i Grundrisse.

Nei Grundrisse, la teoria della crisi porta l'impronta dell'atteso "diluvio" di cui Marx scriveva nelle sue lettere. In una prima bozza della struttura del manoscritto, le crisi arrivano alla fine dell'introduzione, dopo il capitale, il mercato mondiale e lo stato, laddove Marx crea una connessione diretta con la fine del capitalismo: "Crisi. Dissoluzione del modo di produzione e della forma di società basata sul valore di scambio".

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machina

Una riflessione su Panzieri e Tronti

di Marco Cerotto

Su Panzieri e Tronti si è scritto molto, così come su quella straordinaria esperienza rivoluzionaria che prende il nome di operaismo e che ha avuto in «Quaderni rossi» una decisiva fase di incubazione. Tuttavia, è importante – non solo dal punto di vista storiografico, ma anche per il presente – ripercorrere ancora una volta i passaggi teorici e le scelte strategico-politiche che hanno definito quella stagione seminale, che ha coniugato una radicale rilettura di Marx con dei nuovi cicli di lotta. È il complesso compito che si assume in questo saggio per «Machina» Marco Cerotto, studioso in particolare della biografia teorico-politica di Raniero Panzieri.

filekj9p878ewsdfy«Le affinità incominciano a diventare interessanti nel momento in cui producono delle separazioni»

(J. W. Goethe, Le affinità elettive)

L’incontro di due anime diverse per un nuovo corso teorico-politico

Bisogna riconoscere che oramai su Panzieri e Tronti si è scritto in abbondanza, soprattutto sulle assonanze teoriche che li hanno condotti alla fondazione della prima rivista del neomarxismo italiano, i «Quaderni rossi» (1961), ed è stata quindi enfatizzata l’attenzione sui contributi teorici che hanno indagato l’evoluzione del neocapitalismo italiano, della nuova classe operaia e delle prospettive che sollecitavano a intraprendere delle importanti scelte politiche. Si è scritto tanto anche sulle dissonanze teorico-politiche tra i due, quando, dopo la rivolta di piazza Statuto nel 1962, Tronti e il suo gruppetto, quello dei «filosofi», in sintonia con quello «interventista», furono protagonisti della rottura della redazione dei «Quaderni rossi» per fondare «Classe operaia» (1964).

Eppure, risulta di straordinaria importanza ripercorrere ancora una volta i passaggi teorici e le scelte strategico-politiche che hanno definito quella florida stagione del neomarxismo italiano, la cui eredità teorica è rintracciabile in quell’immensa produzione critica e in quelle precise indicazioni politiche che hanno concorso a influire e a influenzare le successive pratiche di lotta sperimentate dalla galassia della sinistra italiana durante gli anni Sessanta e Settanta.

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ilpungolorosso

L’ecologia di Marx (alla luce della Mega-2)

di Alain Bihr

saitoIl libro di K. Saito, La nature contre le capital. L’écologie de Marx dans sa critique inachevée du capital (La natura contro il capitale. L’ecologia di Marx nella sua critica incompiuta del capitale), appena uscito per le edizioni Syllepse e Page Deux (in traduzione dall’originale in lingua tedesca delle Edizioni Campus Verlag, 2016), è un libro importante. Perché consente di fare piena luce su quello che fino ad una ventina d’anni fa era considerato un ossimoro: appunto l’ecologia di Marx. Non si contano, infatti, le critiche rivolte al Moro per avere assorbito dal pensiero borghese un vero e proprio “feticismo delle forze produttive” e del loro sviluppo, per aver dato prova di un “prometeismo antropocentrico” contenente uno sguardo strumentale e un’attitudine dominatrice nei confronti della natura. Accuse che non sono del tutto prive di fondamento se riferite a singoli aspetti o momenti dell’indagine di Marx, ma risultano alla fine contraddette e smentite in modo decisivo dal filo rosso che Saito (dopo Burkett, Foster ed altri) ricostruisce con grande rigore, a partire dai Manoscritti economico-filosofici del 1844 per arrivare all’enorme massa dei “cahiers de lecture de Marx consacrés aux sciences de la nature” (biologia, chimica, botanica, geologia, mineralogia, etc.) redatti in buona parte negli ultimi dieci-quindici anni della sua vita e resi finalmente pubblici grazie alla nuova edizione delle opere complete di Marx ed Engels in corso (la cd. MEGA-2). Ne viene fuori la dimostrazione che la critica ecologica di Marx, progressivamente affinata sulla base dei contributi di Liebig, Fraas e di altri studiosi della natura, in quanto comporta l’analisi delle correlazioni tra le forme economico-sociali e il mondo materiale concreto, è parte integrante della sua critica dell’economia politica e del modo di produzione capitalistico. E che tale critica mette capo alla convinzione che la natura nel suo insieme, come mondo fisico-materiale, oppone resistenza al capitale, alla immodificabile pretesa del capitale di accumulare indefinitamente profitti saccheggiando al tempo stesso il lavoro vivo e la natura non umana.

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carmilla

L’opera aperta di Marx: un pensiero della totalità che non si fa sistema

di Fabio Ciabatti

Paolo Favilli, A proposito de “Il Capitale”. Il lungo presente e i miei studenti. Corso di storia contemporanea, Franco Angeli, Milano 2021, Edizione Kindle, pp. 535, € 35,99

escher 3Marx non può essere considerato un classico. Sono troppe le passioni che ancora suscita la lettura dei suoi scritti per la radicalità della loro critica al sistema capitalistico. Ma c’è di più. Marx rimane un nostro contemporaneo per il carattere aperto della sua opera che, ancora oggi, ci consente di dipanare il filo dei suoi ragionamenti in molteplici direzioni utili per indagare le radici del nostro presente, anche al di là degli originari programmi di ricerca del rivoluzionario tedesco. Per comprendere questo carattere di apertura, sostiene Paolo Favilli nel suo ultimo libro A proposito de “Il capitale”, bisogna prendere in considerazione il rapporto tra la teoria marxiana e la storia, in un duplice senso. Da una parte bisogna comprendere fino in fondo la “fusione chimica” tra due dimensioni teoriche, quella economica e quella storica, che si intrecciano profondamente nella sua opera e in particolare ne Il capitale; dall’altra occorre capire come le vicende storiche concrete, e in particolare quelle del movimento operaio, abbiano inciso sulla ricezione, l’interpretazione e l’utilizzo del testo marxiano.

Per quanto riguarda il primo punto, bisogna partire dal fatto che per Marx dietro a ogni categoria, anche la più astratta, c’è sempre una realtà concreta storicamente determinata, mai una realtà universale e eterna. La ricerca della logica specifica dell’oggetto specifico non può prescindere da un’incessante messa a punto degli strumenti concettuali che, per essere adeguati, devono con continuità consumare produttivamente una grande quantità di dati empirici.

D’altra parte Marx non è certo un empirista. Il capitale è, senza dubbio, un lavoro pensato attraverso la categoria di totalità anche se, ed è questo il punto su cui insiste l’autore, non si chiude mai nella costruzione di un sistema. L’opera del rivoluzionario tedesco è un “non finito” che combina Prometeo e Sisifo.

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perunsocialismodelXXI

Prefazione al volume I delle opere di Costanzo Preve

di Carlo Formenti

Costanzo Preve: Opere di Costanzo Preve. Vol. 1: Il nemico principale, Inschibboleth , 2021

1200px DSCF1951In questa Prefazione mi occuperò del primo dei testi riuniti in questo volume, (Finalmente! L’atteso ritorno del nemico principale. Considerazioni politiche e filosofiche). Nella parte iniziale di tale testo leggiamo la seguente citazione: “Il nemico principale è sempre quello che è insieme più nocivo e più potente. Oggi è il capitalismo e la società di mercato sul piano economico, il liberalismo sul piano politico, l’individualismo sul piano filosofico, la borghesia sul piano sociale, e gli Stati Uniti d’America sul piano geopolitico”. Il brano è tratto da un articolo del filosofo francese di destra Alain de Benoist. Una scelta che appartiene al repertorio di gesti provocatori che ha caratterizzato l’ultima stagione produttiva di Costanzo Preve.

Non ho mai avuto modo di conoscere Preve di persona, né di parlargli. L’unico rapporto che ho avuto con lui è stato nelle vesti di caporedattore del mensile “Alfabeta”(ruolo che ho svolto negli anni Ottanta), quando Preve ci venne proposto come collaboratore da Francesco Leonetti. Non sono quindi in grado di stabilire se le provocazioni in questione nascessero dall’irritazione e dal disgusto nei confronti di una sinistra in avanzata fase di decomposizione sul piano politico, ideologico e filosofico (per cui Preve gioiva malignamente nell’evidenziare che, per leggere certe verità, si era ormai costretti a rivolgersi altrove), oppure se – almeno nel caso in questione – il fatto di potersi rispecchiare in una serie di affermazioni che riteneva condivisibili prevalesse sull’appartenenza ideologica del loro autore.

Sciogliere questo dubbio mi sembra francamente secondario rispetto a un dato di fatto: i detrattori di Preve si sono concentrati esclusivamente sulla fonte della citazione, ignorandone completamente il contenuto (per tacere del modo in cui Preve lo interpreta e approfondisce).

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coku

Che cos’è il «Rifiuto del Lavoro»? Mario Tronti

di Leo Essen

rif75d32Nel 1962, sul numero 2 dei Quaderni Rossi, Tronti scrive un saggio destinato a fare epoca: La fabbrica e la società. In esso sono generalizzate alcune indicazioni contenute nei capitoli 13 e seguenti del primo libro del Capitale.

Nel capitolo sulle Macchine, Marx dice che la rivoluzione nel modo di produzione di una sfera dell’industria porta con sé la rivoluzione del modo di produzione nelle altre sfere. Questo vale in primo luogo per quelle branche dell’industria che sono sì isolate a causa della divisione sociale del lavoro, cosicché ognuna di esse produce una merce indipendente, ma tuttavia s’intrecciano l’una con l’altra come fasi d’un processo complessivo. Così la filatura meccanica rese necessaria la tessitura meccanica, e l’una e l’altra insieme resero necessaria la rivoluzione chimico-meccanica della candeggiatura, della tintura e della stampatura dei tessuti. Così d’altra parte la rivoluzione nella filatura del cotone rese necessaria l’invenzione del gin per la separazione delle fibre del cotone dal seme, con il che divenne possibile finalmente la produzione su larga scala com’è ora richiesta. La rivoluzione nel modo di produzione dell’industria e dell’agricoltura rese necessaria, in ispecie, anche una rivoluzione nelle condizione generali del processo sociale di produzione, cioè nei mezzi di comunicazione e di trasporto. Come i mezzi di comunicazione e di trasporto di una società il cui pivot erano la piccola agricoltura con la sua industria domestica ausiliaria e l’artigianato urbano, non potevamo più soddisfare affatto le necessità produttive del periodo manifatturiero con la sua divisione allargata del lavoro sociale, la sua concentrazione di mezzi di lavoro e operai, e i suoi mercati coloniali, e quindi vennero di fatto rovesciati; così i mezzi di comunicazione e di trasporto tramandati dal periodo della manifattura si trasformarono presto in impacci insopportabili per la grande industria, con la sua febbrile velocità di produzione, con la sua produzione su vastissima scala, con il costante lancio di grandi masse di capitale e di operai da una sfera all’altra della produzione e con i nuovi nessi da essa creati sul mercato mondiale.

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materialismostorico

La rivincita di Engels*

di Rogney Piedra Arencibia - Queen’s University at Kingston, CA

marx e engels«A Friedrich Engels, che ha sbagliato molte volte ma sulle cose importanti ha avuto ragione.»
(R. Levins & R. Lewontin, The Dialectical Biologist, 1985)

L'"affare Engels"

Sono note le posizioni anti-engelsiane sostenute da figure del marxismo occidentale come Avineri1, Schmidt2, Colletti3 e Kohan4 ma presenti anche nel giovane Lukács5, posizioni che si richiamano spesso ad autori del calibro di Kojéve, Sartre6, Hippolyte e Merleau-Ponty7 e che si esprimono per lo più nel tentativo di separare8 e contrapporre i due fondatori del marxismo. È una contrapposizione che, secondo Levine9, avrebbe dato luogo a due scuole di pensiero inconciliabili: l’engelsismo e il marxismo (autentico), la prima delle quali si sarebbe infine convertita nel marxismo ortodosso di stampo sovietico, meccanicista e ingenuo10. Ne consegue – implicitamente ma anche esplicitamente – che in ultima istanza è proprio ad Engels che andrebbero ricondotti i difetti reazionari della II e III Internazionale11, la povertà intellettuale della socialdemocrazia tedesca e la crudeltà del bolscevismo12, fino al “monologo” dottrinario dei partiti comunisti verso le masse13 e addirittura al collasso dell’URSS14!

L’antiengelsismo si contraddistingue però anche per il rifiuto della dialettica della natura, dal momento che, già secondo il giovane Lukács, «solo la conoscenza della società e degli uomini che la vivono è filosoficamente importante»15. «Il marxismo non deve parlare delle leggi della natura», perché «Il marxismo, come scienza, è scienza della società»16. Da qui l’idea semplicistica che la natura e le scienze che la studiano siano esterne al marxismo; e che chiunque si (intro)metta in questioni di dialettica della natura non potrà che approdare ai risultati di Lysenko, il quale «finì a tagliare la coda ai topi per dimostrare che alla lunga sarebbero nati senza»17.

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materialismostorico

Hegel dopo Losurdo: libertà e ontologia dell’essere sociale

di Giovanni Andreozzi (Università di Urbino)

 1478421496 carlomattioli1. Losurdo e Hegel

È possibile parlare, a proposito di Domenico Losurdo, di una filosofia della storia. Questa non è ovviamente intesa come una secolarizzazione della storia della provvidenza, o come spinta messianica dell’apocalissi e dell’apocatastasi, ma, in senso hegelo-marxiano, come un’interpretazione tesa a restituire la complessità del reale, nel leggere insieme piano storico e piano teoretico-culturale-politico.

Come nota giustamente Azzarà, «il retroterra delle produzioni sul liberalismo e sul nesso tra liberalismo e conservatorismo va rinvenuto negli studi che Losurdo aveva condotto per lunghi anni sulla filosofia classica tedesca»1. È nella lettura comparativistica della storia della filosofia, in ispecie della storia della filosofia del XVII e XVIII secolo, che Losurdo individua, da parte della filosofia classica tedesca, l’elaborazione di quelle categorie universali (in primis la libertà) volte alla comprensione della realtà e delle sue trasformazioni.

La lettura comparatistica non è una semplice prova di cultura storica; ancor meno un diletto che Losurdo troverebbe nelle sue innumerevoli digressioni, talvolta anche cronachistiche. Il metodo comparatistico, uno stile presente in tutte gli studi di Losurdo, indica piuttosto lo sforzo concreto di mettere in esame continuo i presupposti dell’analisi. Ciò non solo per evitare conclusioni frettolose ma anche per mostrare come ogni autore possa assumere atteggiamenti diversi nel corso della propria vita e come questi cambiamenti non siano semplici scelte soggettive ma vadano inquadrate anch’essi nella concreta situazione storica.

Uno tra i molti esempi è l’atteggiamento che Hegel assume nei confronti di Federico II. Per comprendere questo atteggiamento è necessario, seguendo il ragionamento di Losurdo, compiere qualche considerazione preliminare sulla concezione hegeliana della monarchia.

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coku

Il prezzo. Iliénkov e Marx

di Leo Essen

evald ilyenkov by mary skies d9p2azcNella Critica dell’economia politica Marx presenta una serie di equazioni (1Q di ferro = 2 di oro; 1x di caffé = 1 di oro; eccetera), e dice che in questa serie, il ferro, il caffè, eccetera, appaiono l’uno all’altro come materializzazioni di lavoro uniforme, cioè di lavoro materializzato in oro, lavoro in cui siano cancellate (ausgelöscht) in pieno tutte le particolarità dei reali lavori. Come materializzazione uniforme dello stesso lavoro manifestano una sola differenza, di carattere quantitativo, ossia appaiono come grandezze di valore differenti.

È evidente che le differenze dei lavori effettivi che fanno del caffè e del ferro valori-uso apprezzabili non possono essere cancellate, non possono essere spazzate via. Queste differenze devono essere negate, ma allo stesso tempo mantenute.

Il valore-scambio delle merci, dice Marx, espresso in tal modo come equivalente generale e allo stesso tempo come grado di questa equivalenza in una merce specifica, oppure in un’unica equazione fra le merci e una merce specifica, è il prezzo.

Il prezzo esprime sia l’equivalente generale, sia il grado dell’equivalenza. L’equivalente generale è ciò che è comune sia al caffè sia al ferro. Questo comunità, dice Iliénkov, non è quella della classe o dell’universale.

L’universale, dice Iliénkov, nel senso stretto della parola, è ciò che è comune a tutte le merci. Tutte hanno in comune di rappresentarsi in oro – in una quantità determinata di oro. Tuttavia, dice, l’universale non è affatto la reiterata ripetizione, in ogni singolo oggetto, preso separatamente, di una somiglianza che si presenta come connotato comune ed è fissata da un segno.

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blackblog

La forma del valore, la reificazione e la coscienza del lavoratore collettivo

di Alan Milchman (Mac Intosh) 1940-2021

milchmanLa teoria critica di Marx ha svelato un modo di produzione, una civiltà, basata sul valore, che egli ha descritto come una «forma squilibrata» o «perversa» [verrückte Form], nella quale i rapporti sociali tra le persone sono invertiti e appaiono come relazioni tra cose. A produrre e riprodurre questa forma squilibrata, è il lavoro astratto della classe operaia. Come sostiene Max Horkheimer nel 1937, in "Teoria tradizionale e teoria critica": «Attraverso il proprio lavoro, gli esseri umani riproducono [erneuern] una realtà che li rende sempre più schiavi» [*1] È stato Georg Lukács, nel suo saggio "Reificazione e coscienza del proletariato", che fa parte della collezione "Storia e coscienza di classe" (1923), a elaborare per primo una teoria della reificazione attraverso cui gli effetti della forma valore - quella forma perversa - e il feticismo della merce che ne è parte integrante, si impadroniscono della società. La conclusione cui arriva Lukács, ancora prima che fossero stati pubblicati molti dei vasti manoscritti "economici" di Marx, è una svolta teorica, su cui il marxismo, in quanto critica negativa del capitalismo, è ancora basato. Come ha sostenuto Lukács, in maniera convincente: «Come il sistema capitalistico si produce e riproduce continuamente ad un grado sempre più alto, così nel corso del suo sviluppo, la struttura della reificazione si insinua sempre più a fondo, in modo denso di conseguenze, nella coscienza degli uomini fino a diventare suo elemento costitutivo.» [*2] Tuttavia, il concetto di reificazione di Lukács implicava anche la pretesa che il proletariato, in quanto identico soggetto-oggetto, avrebbe potuto sfuggire alla schiavitù della reificazione; cosa che Horkheimer avrebbe in seguito sottolineato.

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materialismostorico

La dialettica tra “vecchio e nuovo”. Gramsci e la marcia dell’universalità nelle note di Domenico Losurdo

di Gianni Fresu (Universidade Federal de Uberlândia/Università di Cagliari)

Losurdo inscrive la transizione di Gramsci dal liberalismo al comunismo critico nella lunga marcia dell’univer- salità, in quella interminabile dialettica tra vecchio e nuovo all’interno della quale si situano contraddizioni e salti qualitativi immanenti al divenire storico. Le prospettive di trasformazione radicale della società, attorno all’idea di integrale emancipazione umana, sarebbero uno sviluppo del principio di universale dignità dell’uomo (in contrapposizione al particolarismo giuridico aristocratico-feudale) al centro dei rivolgimenti politici di fine Settecento e inizio Ottocento. Gramsci non intende fare del socialismo un becchino della società borghese ma il suo erede. In tal senso si pone in termini dialettici, concependo l’avvento del nuovo ordine come superamento del vecchio, non come la sua semplice negazione. Così, anche in una fase storica segnata dalla grave crisi del libera- lismo italiano, disposto a mettere da parte le proprie istituzioni e i suoi valori ideali pur di impedire il cambia- mento dell’ordine sociale, Gramsci concepisce il socialismo all’interno di un processo ascendente e progressivo apertosi con la distruzione del vecchio ordine feudale, trovando in Hegel il filosofo che con maggior sistematicità ha saputo concettualizzare il trapasso dal vecchio Stato patrimoniale per caste chiuse al moderno Stato etico

36154303z   1. Tra rivoluzione e restaurazione.

Occupandosi di singoli autori o di intere tradizioni filosofiche, Domenico Losurdo non ha mai confinato le proprie ricerche a uno specifico campo disciplinare, né limitato le sue riflessioni all’insieme degli avvenimenti immediatamente riconducibili all’argomento trattato. Al di là del concepire il marxismo come visione unitaria e autosufficiente del mondo, i suoi studi sono caratterizzati da un approccio complesso che chiama in causa questioni estremamente articolate di carattere filosofico, storico, giuridico, sociale, economico e politico. In tal senso, per comprendere in profondità le sue riflessioni su Antonio Gramsci è necessario inserirle all’interno del discorso complessivo sviluppato da Losurdo nella sua vasta e ricca produzione intellettuale, avendo ben chiara la natura organica e unitaria delle battaglie filosofiche e politiche di cui è stato protagonista. All’interno di questo percorso intellettuale, Losurdo ha costantemente sottolineato l’importanza della filosofia di Hegel per comprendere premesse e eredità delle due più grandi rotture della storia moderna e contemporanea: la Rivoluzione francese e la Rivoluzione russa. Ciò ha significato anche porre in evidenza la stretta relazione tra dimensione teoretica e finalità normative nelle argomentazioni concettuali utilizzate dal vasto fronte ideologico contrappostosi alla funzione storica assolta prima dai giacobini e poi dai bolscevichi1.

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carmilla

La storia segue vie diverse, come la rivoluzione

di Fabio Ciabatti

Umberto Melotti, Marx passato, presente, futuro. Una visione alternativa dello sviluppo storico, Meltemi, Milano 2021, pp. 312, € 20,90

MarxAlgeriIl multiculturalismo è stato una delle ideologie delle classi dominanti durante gli anni rampanti della globalizzazione. Non bisognerebbe dimenticarlo quando ci si accinge a criticare l’idea che la storia sia un percorso unilineare dalle società primitive a quelle più evolute. Certamente questa visione ci può condurre facilmente a una concezione eurocentrica che, volenti o nolenti, finisce per essere di supporto alle politiche colonialiste e imperialiste dell’Occidente. Un relativismo poco accorto, però, ci può portare con altrettanta facilità all’accettazione acritica non solo delle culture “altre”, ma anche degli effettivi sistemi politico-sociali extra-occidentali perché considerati espressioni dirette o indirette di quelle culture. Anche quando questi sistemi colludono di fatto con il dominio imperialistico.

Se vogliamo orientarci in questo orizzonte problematico non possiamo prescindere dal contributo del vecchio rivoluzionario di Treviri. Ma come, si potrebbe obiettare, non fu Marx artefice di una filosofia della storia finalistica e meccanicistica che lascia poco spazio alla pluralità delle traiettorie storiche? Le cose non stanno così secondo Umberto Melotti: “L’unilinearismo costituisce indubbiamente una delle tentazioni del pensiero di Marx, e più ancora di Engels, così come di tutti i sistemi storicistici e positivistici dell’Ottocento. Eppure Marx unilinearista non è”.1 Fu infatti lo stesso Marx a scrivere che “La storia non fa niente, non possiede alcuna ricchezza, non combatte alcuna lotta! È l’uomo, l’uomo reale e vivente, che fa tutto, possiede tutto e combatte tutto”.2 Un pensiero che viene così completato da Melotti: “Come risultato dell’agire degli uomini, la storia non è, né può essere, unilineare sviluppo di un processo finalisticamente necessario, ma è manifestazione multilineare e disgiuntiva di qualcosa di variamente possibile, se pure non privo di senso”.3

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materialismostorico

Note su lotte di classe, nazione e internazionalismo in Engels e Marx

A partire da un libro di Domenico Losurdo

di Fortunato M. Cacciatore (Università della Calabria)

Sicilia01La storia di ogni società finora esistita è la storia

delle lotte di classe.

1.

Nella frase d’apertura del Manifesto del partito comunista, il plurale, Klassen- mpfe, non è casuale, né accessorio, ma è una importante indicazione di lettura per i testi di Marx, di Engels e della loro eredità1. Una lettura che, commisurando il «piano filologico e logico» a quello della «storia reale» (e viceversa)2, provi a inoltrarsi nella complessità delle posizioni, delle contraddizioni, delle oscillazioni interne a una elaborazione teorica e pratica che, nel XIX secolo, ha saputo più di altre confessare la propria intrinseca storicità3. Una lettura che sappia tenere conto degli scarti tra le «definizioni», i «principi», le «teorie» e la loro «applicazione» in circostanze spazio-temporali differenti, o del tutto eterogenee. In tali sfasature, hanno luogo i momenti della pratica politica: sono i momenti in cui la strategia è messa alla prova della congiuntura e della sua irriducibile contingenza. Momenti nei quali, proprio in quanto scissi e contestati, i termini politici si definiscono, si traducono in principi o si istituiscono come elementi teorici fondamentali. Momenti nei quali l’inimicizia non è mai pura perché determinata dall’amicizia che (più o meno inconsapevolmente) vincola tra loro i contendenti (termini, concetti e rispettivi portatori) nella disputa di una tradizione filosofica, politica e lessicale condivisa. Le semplici opposizioni non reggono al fuoco della polemica, a cominciare dalla dicotomia nazionalismo/cosmopolitismo. Assertori del principio di nazionalità si appellano al fine ultimo dell’umanità cosmopolita, per sfuggire alle chiusure nazionaliste; sostenitori del cosmopolitismo si appellano, per incarnarlo, all’esemplarità di una Nazione (della propria).

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perunsocialismodelXXI

Comunismo, democrazia e liberalismo

di Carlo Formenti

Note a margine di un libro postumo di Domenico Losurdo e di un’intervista ad Alvaro G. Linera

losurdo 678x381Nota introduttiva

Nel dibattito teorico interno al campo marxista, la questione del rapporto fra comunismo e democrazia liberale è intricata, controversa e divisiva. Non solo perché eredita le scorie ideologiche di passaggi storici come la rottura fra Seconda e Terza Internazionale, la guerra fredda, la svolta eurocomunista e il crollo dei regimi socialisti, ma soprattutto perché il trionfo del pensiero unico negli ultimi decenni è riuscito, da un lato, a inscrivere nel senso comune l’equazione comunismo=totalitarismo (vedi la delibera del Parlamento Europeo che equipara comunismo e nazismo), dall’altro lato, a liquidare ogni interpretazione alternativa del termine democrazia, ormai univocamente associato ai regimi liberal liberisti dei Paesi occidentali (e ciò malgrado le analisi di autori come Colin Crouch e Wolfgang Streeck (1) abbiano ampiamente descritto il divorzio fra democrazia e liberalismo che si è celebrato dopo la svolta neoliberista).

Liberarsi delle pastoie ideologiche di cui sopra non è semplice, tanto è vero che, anche intellettuali che non rinunciano a indicare nel socialismo l’alternativa a un capitalismo sempre più aggressivo e predatorio, esitano ad assumere posizioni radicali e, di fronte all’offensiva ideologica del nemico di classe, ripiegano su posizioni difensive, come se, per legittimare le proprie idee, dovessero dimostrare che il futuro che prospettano, non solo è compatibile con i principi e i valori liberaldemocratici, ma ne rappresenta addirittura il compimento. Qui non mi confronterò con questi atteggiamenti giustificatori, discuterò invece le più serie motivazioni con cui Domenico Losurdo - in un’opera postuma di recente pubblicazione (2) – argomenta a sua volta che i comunisti non dovrebbero svalutare le conquiste del liberalismo, bensì appropriarsene.

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jacobin

Nell’Inferno del Capitale

di David Harvey

David Harvey sui debiti di Marx nei confronti di Dante (con una puntata su Shakespeare). E sul nodo fondamentale del rapporto tra liberazione dal lavoro e accettazione del progresso tecnologico

il capitale jacobin italia 1536x560Il centocinquantesimo anniversario della pubblicazione del libro primo del Capitale di Marx (settembre 1867) ha rischiato di provocare una serie di nuove e ingegnose interpretazioni di ciò che Marx stava facendo nel Capitale in generale e nel primo volume in particolare. Una prima scarica di colpi in quella che si annuncia come una grande battaglia per ridefinire l’eredità di Marx, sia intellettuale che politica, è venuta dalla penna del politologo William Clare Roberts, che si cimenta con il magnum opus di Marx dal punto di vista della filosofia politica e della forma linguistica e letteraria. Il libro, Marx’s Inferno: The Political Theory of Capital, è ben ponderato e scritto in modo chiaro.

Le qualità uniche del contributo di Roberts derivano da due innovazioni. In primo luogo, nota un parallelo tra l’organizzazione dei materiali del libro primo del Capitale e l’Inferno di Dante. La discesa nell’inferno del posto di lavoro e la ricerca della redenzione danno forma in modo rilevante alla narrazione di Marx, sostiene.

In secondo luogo, rifiuta l’idea che il Capitale debba essere letto esclusivamente come un saggio di economia politica. Lo tratta invece come un trattato di filosofia politica. A tal fine, si concentra sui rapporti tra Marx e i socialisti utopisti che lo hanno preceduto. Roberts conclude che Marx è andato ben oltre quella tradizione e ha raggiunto una più antica tradizione di repubblicanesimo come non-dominio nella sua ricerca di un’alternativa politica.

Se non altro, questi due punti di vista rendono la lettura fantasiosa e piacevolmente gradevole, anche se alquanto controversa.

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maggiofil

L’anomalia di un pianeta che cresce

Cronache marXZiane n. 5

di Giorgio Gattei

unnamed874fwl1. Come ho raccontato nelle precedenti Cronache marXZiane, sono stato rapito nel 1968 dalla astronave “la Grundrisse” che mi ha trascinato sul pianeta Marx dove ho dimorato per parecchi anni studiandone la complessa composizione geologico-economica, che è fatta di prezzi di mercato (la “crosta”), di prezzi di produzione (il “mantello”) e di un “nucleo” di neovalore-lavoro che è poi la sua eccezionalità. Infine sono andato ad intervistare Saggio Massimo (del profitto) che mi ha parlato di sé e degli altri due Saggi (del pluslavoro e del profitto) che coabitano con lui sul pianeta, ma di cui lui resta il più importante tanto che lo chiamano, non a caso, Saggio Massimo. Al mio ritorno sulla terra non sono però rimasto convinto di quanto mi aveva detto a proposito della sua impossibilità di caduta tendenziale per la propria formulazione algebrica:

max r = R = m / q

dove alla crescita della Composizione del capitale rispetto al lavoro (q = K/L) per la logica necessaria dell’accumulazione del Pluslavoro/Profitto realizzato si oppone un andamento altrettanto a crescere della Produttività del lavoro (m = Y/L: il reddito rispetto al lavoro), essendo di fatto quel pianeta non solo un luogo di detenzione lavorativa, ma pure un posto di creatività ed innovazione che fa sì che il lavoro sia sempre più produttivo. Eppure non ne sono rimasto persuaso perché mi frullavano per il capo due frammenti di pensiero del primo grande “mappatore” del pianeta, quel Karl Marx che poi gli ha dato il nome, secondo cui la possibilità di compensare un andamento con l’altro «ha dei limiti insuperabili: la caduta del saggio profitto può essere ostacolata, ma non annullata» e poi anche che «il vero limite del pianeta è il pianeta stesso», insinuando che doveva esserci anche dell’altro oltre alla indeterminazione di cui si faceva forte Saggio Massimo.

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intrasformazione

Marx, Il Capitale, I (1-4).

Una guida per principianti.

di Antonino Morreale

Kandinsky Jaune Rouge Bleu 1024x659.jpgPremessa

Prendiamo qui in esame il primo libro del Capitale1. Ci occuperemo dei primi quattro capitoli: 1. la merce, 2. il processo di scambio, 3. il denaro, 4. la trasformazione del denaro in capitale.

Quanto basta per entrare appena nell’argomento centrale dell’opera2 . Avremo però modo di esporre alcune questioni essenziali. Marx, infatti, rivendica a questi primi capitoli due dei suoi maggiori contributi alla scienza economica3: la duplice natura del lavoro contenuto nella merce, e la “forma di valore”.

 

1. La circolazione semplice nella “immane raccolta di merci”.

L’ipotesi di questo studio è che i primi quattro capitoli del Capitale possano essere analizzati, senza forzature, come una sola unità. L’unitarietà è data dal livello stratigrafico costruito da Marx, e sul quale ha lavorato, quello della “circolazione semplice delle merci”. Marx dedica molta cura a delimitarlo. Partendo dalla “merce”, ci conduce alla genesi del “denaro”, per giungere fino alla “compravendita della forza-lavoro”, con cui, una netta discontinuità, un” salto”, chiude una storia e ne comincia un’altra.

La ricchezza delle società in cui domina il modo di produzione capitalistico si manifesta fenomenicamente come una “immane raccolta di merci”, la merce singola come sua forma elementare. La nostra indagine comincia perciò con l’analisi della merce”4.

Illimitata in estensione, quindi, ma dallo spessore sottile, appena una “superficie”, quella della circolazione delle merci. E ancora nulla da dire, per ora, su ciò che sta “prima”, il passato precapitalistico; né su quel che sta “sotto”, la produzione; ma, solo la circolazione semplice delle merci nella società capitalistica.

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consecutiorerum

Antonio Gramsci e le scienze sperimentali

di Camilla Sclocco

4jo875r1. Introduzione

Le note dei Quaderni del carcere sulle scienze sperimentali coinvolgono un ampio ventaglio di discussioni particolari. Dalla polemica verso il causalismo meccanicistico alla critica del concetto di previsione come atto conoscitivo, dal rifiuto di elevare il metodo sperimentale a metodologia universale alla polemica con il riduzionismo della scienza agli strumenti materiali, fino alla questione epistemologica dell’esistenza della realtà esterna. Il fil rouge è la critica a Teoria del materialismo storico di Bucharin1, che aveva assunto acriticamente i concetti di causa, legge e previsione delle scienze sperimentali, intese nella loro formulazione positivistica, e le aveva applicate allo studio di una storia come materia autosvolgentesi. Come il recluso sintetizzerà tra il luglio e l’agosto 19322, la conseguenza era la scissione della filosofia della prassi in “una teoria della storia e della politica concepita come sociologia” “da costruirsi secondo il metodo delle scienze naturali (sperimentale nel senso grettamente positivistico)” e in una “filosofia propriamente detta, che poi sarebbe il materialismo filosofico o metafisico”3.

Gramsci affronta le tematiche sulla scienza dal maggio 1930 alla fine del 1932. Inizia a enucleare le questioni nelle prime due serie degli Appunti di filosofia4, per poi ritornavi nella terza e in due note del Quaderno 6. Tra il luglio e il dicembre 1932 rielabora le riflessioni nel Quaderno 11, dove su trenta testi di prima stesura ventitré sono rielaborati nella sezione seconda del quaderno, “Osservazioni e note critiche su un tentativo di ‘Saggio popolare di sociologia”, cinque nella terza, “La scienza e le ideologie scientifiche” e uno nella quarta, “Gli strumenti logici del pensiero5.