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Il circuito del capitale

di Tony Norfield

display imageQuesto articolo si basa su un saggio scritto ormai più di trent’anni fa. Saggio che, con alcune modifiche stilistiche minori, una conclusione rivista e qualche aggiornamento alle note, ripropongo qui come contributo alla comprensione del Capitale di Marx. Le note a piè di pagina sono numerose, in molti casi fanno riferimento sia a pagine specifiche di un’edizione del Capitale che alla collocazione precisa di un passo all’interno di un capitolo. Questo al fine di agevolare il lettore nel rintracciare i riferimenti in altre edizioni e nelle risorse online (specialmente l’ottimo Marxist Internet Archive, [per la traduzione italiana, in riferimento al Capitale, si rimanda al sito CriticaMente, n.d.t.]).

Dei tre libri del Capitale di Marx, il secondo, dedicato al processo di circolazione del capitale, è il più trascurato. Laddove ha riscosso una qualche attenzione, come riguardo all’utilizzo degli schemi di riproduzione per analizzare la “trasformazione” dei valori in prezzi di produzione, è stato spesso frainteso [1]. La prima sezione di questo saggio delinea il rapporto metodologico fra i tre libri del Capitale; la seconda affronta in modo più ampio gli argomenti del secondo libro e la sua relazione col primo.

 

1.  Distinzioni metodologiche 

Una concisa formulazione del rapporto tra i tre libri del Capitale si trova nella prima pagina del capitolo primo, libro terzo. Marx vi nota che il primo libro analizza il processo di produzione capitalistica immediato, “astraendo ancora da tutte le influenze secondarie di circostanze ad esso estranee”, e che il secondo studia il processo di circolazione del capitale, il quale andrebbe aggiunto al processo di produzione immediato così da completare “il corso dell’esistenza del capitale”. Il terzo libro, invece, va oltre questa sintesi, al fine di “scoprire ed esporre le forme concrete che sorgono dal processo di movimento del capitale, considerato come un tutto”. In contrasto con i primi due libri, il terzo considera quegli aspetti del capitale che:

si avvicinano quindi per gradi alla forma in cui essi si presentano alla superficie della società, nell’azione dei diversi capitali l’uno sull’altro, nella concorrenza e nella coscienza comune degli agenti stessi della produzione. [2]

L’analisi contenuta nei primi due libri viene dunque condotta al livello del “capitale in generale”, raggiungendo il piano dei “diversi capitali” e della concorrenza nel terzo libro. Le forme assunte dal capitale nella “superficie della società” non vengono esaminate immediatamente, e persino nel terzo libro vengono soltanto “avvicinate”.

Il punto evidenziato da Marx era che “una analisi scientifica della concorrenza è possibile soltanto quando si sia capita la natura intima del capitale” [3]. Il capitale può esistere solo nella forma di diversi capitali, e la concorrenza costituisce un carattere necessario del mondo capitalista. Tuttavia, la concorrenza è il rapporto fra un capitale ed un’altro, per cui un’analisi che prenda piede dal livello della concorrenza presupporrebbe già l’esistenza del capitale. Ciò non ci direbbe niente di essenziale circa il capitale inteso quale rapporto sociale, ma solo su come tale rapporto si presenta in forma modificata, dal punto di vista del singolo capitalista. L’analisi delle caratteristiche fondamentali del capitalismo come specifica forma di produzione sociale, incluso il rapporto lavoro-salariato capitale e il ruolo del plusvalore come forza trainante della produzione, può essere effettuata senza fare riferimenti alla concorrenza tra singoli capitalisti [4]. In questo modo vengono sviluppati  i rapporti essenziali e l’analisi può procedere nel mostrare come essi appaiono nella “superficie della società” in forma contraddittoria. Tale approccio è in grado di rendere conto delle mutevoli forme della concorrenza, compresa la tendenza al monopolio.

L’analisi dei libri primo e secondo mette in luce come i rapporti fondamentali del capitale sono essi stessi contraddittori. Non si tratta solo delle forme più complesse, le quali si sviluppano parallelamente all’accumulazione del capitale ingannando gli agenti della produzione. La contraddizione fondamentale tra le forze produttive, sotto il capitalismo, e i rapporti sociali all’interno di quali questo si dispiega è evidente in ogni fase. Tenendo ciò a mente, è ancor più importante non farsi fuorviare dalle differenze esistenti sul piano della concorrenza, dove si assiste ad antagonismi tra gruppi rivali di capitalisti e tra stati. Invece, una chiara comprensione di ciò che è necessario al capitale, in quanto rapporto sociale, è basilare per la costruzione di un’opposizione ad esso, in tutte le sue forme.

Marx parte dai concetti più semplici, come quello di merce, per svilupparli in forme più complesse, come forza lavoro e capitale. Nel quadro di questa procedura generale, vi è una divisione metodologica tra il primo ed il secondo libro, da una parte, ed il terzo, dall’altra. Il primo è un’analisi del “capitale in generale”, laddove il secondo considera i “diversi capitali”. Di conseguenza, le modifiche derivanti dalla concorrenza scoperte nei libri primo e secondo non vengono trattate. È il caso, ad esempio, dell’assunto contenuto nei primi due libri, secondo il quale le merci si scambiano (in media) al loro valore. Non vi è alcuna ragione di supporre altrimenti in questa fase. Solo nel terzo libro Marx esamina il come e il perché i prezzi divergono dai valori, nel contesto della formazione di un tasso medio di profitto tra i diversi capitali individuali. Questa modifica – tramite i “prezzi di produzione” – non ribalta l’analisi  e le conclusioni precedenti, bensì le sviluppa ulteriormente. Le ipotesi precedenti, infatti, non erano intese come una descrizione completa di una realtà concreta, ma erano necessarie al fine di esaminare le forme pure e fondamentali [5].

 

2.  Il libro primo e il libro secondo del Capitale

Un esame del circuito del capitale chiarisce la relazione e le distinzioni tra il primo ed il secondo libro. Un circuito costituito da tre fasi: innazitutto, il capitalista compare nel mercato in veste di acquirente trasformando il proprio capitale in mezzi di produzione e forza lavoro (D—M; secondariamente, tali merci, uscite dalla circolazione, vengono consumate nel processo di produzione e, come risultato, il capitalista possiede ora un valore superiore a quello degli elementi della produzione da lui inizialmente acquistati (C… P… C’); infine, il capitalista ritorna nel mercato con la merce-capitale, la quale viene riconvertita in denaro così che il circuito possa iniziare di nuovo (C’—M’).

Per essere precisi, si tratta del circuito del capitale industriale, il quale, come afferma Marx, “è l’unico modo di essere del capitale in cui funzione del capitale non sia soltanto l’appropriazione del plusvalore, rispettivamente di plusprodotto, ma contemporaneamente la sua creazione”. Il capitale industriale, dunque, costituisce la forma più generale ed importante di capitale:

la sua esistenza implica quella dell’antagonismo di classe tra capitalisti e operai salariati. Nella misura in cui esso si impadronisce della produzione sociale, vengono sovvertire la tecnica e l’organizzazione sociale del processo lavorativo , e con ciò il tipo economico-storico della società. Le altre specie di capitale comparse prima di esso entro condizioni sociali di produzione passate o declinanti, non solo vengono ad esso subordinate e mutate nel meccanismo delle loro funzioni in maniera ad esso corrispondente, ma si muovono ormai solo sul fondamento di esso, perciò vivono e muoiono, sussistono  cadono con questo loro fondamento. [6]

Per queste ragioni, il capitale industriale occupa quasi esclusivamente da solo il centro dell’attenzione, fino al terzo libro.

Nel primo libro, nel quale si affronta il processo di produzione immediato, la seconda fase del circuito è l’oggetto dell’analisi. La prima e la terza, inerenti la sfera della circolazione, vengono discusse solo nella misura necessaria alla comprensione della seconda. In particolare, Marx esamina “la compravendita della forza-lavoro come condizione fondamentale della produzione capitalistica” [7]. Altrimenti, si trova semplicemente l’ipotesi per cui il capitalista è in grado di ottenere gli elementi del capitale produttivo sul mercato, nonché di vendere le proprie merci al loro valore. Dall’altra parte, il secondo libro, in cui si tratta del processo di circolazione, esamina esplicitamente “le differenti forme che il capitale assume nel suo ciclo e le differenti forme di questo ciclo stesso”. Marx aggiunge, a scanso di equivoci:

Per comprendere esattamente queste forme, occorre innanzi tutto fare astrazione da tutti quei momenti che nulla hanno a che fare con il mutamento di forma e la costituzione della forma come tali. [8 tr. it. p. 28 vol. II]

Pertanto, si assume quale ipotesi che le merci vengano scambiate al loro valore e che non avvengano cambiamenti nel valore durante i passaggi nel circuito.

Il collegamento tra i due libri può ulteriormente essere individuato esaminando come tali concetti e categorie, introdotti nel primo libro, vengono modificati nel momento in cui il processo di circolazione viene considerato esplicitamente. Nel fare questo, si seguirà l’ordine di presentazione del secondo libro.

 

2.1  Libro secondo, prima sezione

Il primo libro trae la conclusione che il plusvalore viene creato esclusivamente nel corso del processo di produzione dallo sfruttamento capitalista del lavoratore salariato, e che l’entità del valore aggiunto da quest’ultimo è determinata dalla durata del processo di lavoro (per un dato livello di qualificazione e intensità del lavoro). Tuttavia, come risulta evidente osservando il circuito del capitale, il tempo viene speso anche nella sfera della circolazione, nel comprare e nel vendere. Dunque, in quale modo questo tempo influisce sulla creazione del plusvalore? Prima di rispondere all’interrogativo, è necessario precisare che:

La funzione della circolazione del capitale consiste esclusivamente nel trasferire il diritto di proprietà di un prodotto da una persona ad un’altra, solo una trasformazione del valore dalla forma merce alla forma denaro o, inversamente, solo la realizzazione di valore prodotto. [9]

Questo mutamento di forma, va tenuto distinto dal trasporto ed imballaggio delle merci, operazioni che anch’esse avvengono nella sfera della circolazione, ma costituiscono delle estensioni del processo produttivo e aggiungono valore alle merci. Ancora, certi costi di stoccaggio possono essere considerati, in tal senso, come produttivi [10]. Altrimenti, il capitale impiegato nella sfera della circolazione, solo allo scopo di cambiare la forma di merci e denaro, rimane escluso dal processo di produzione e non può creare né valore né plusvalore. Chiaramente, per il capitale è necessario passare attraverso la sfera della circolazione, al fine di acquistare gli elementi del capitale produttivo, nonché vendere le merci prodotte in modo che il capitale monetario possa essere nuovamente anticipato. Ma i costi qui emergenti, pur essendo necessari, non si aggiungono al valore delle merci [11]. I valori possono essere incrementati solo in senso negativo, riducendo l’ammontare del capitale legata in queste in queste funzioni improduttive e liberandolo per il processo di produzione [12]. Per Marx è importante distinguere fra la sfera della produzione e quella della circolazione al fine di confutare le idee degli economisti politici, secondo le quali le funzioni di compera e vendita aggiungono anch’esse valore al prodotto, oltreché a mostrare le barriere che la circolazione pone all’autoespansione del capitale.

Oltre ad esporre il problema generale della circolazione nella prima sezione del libro secondo, Marx delinea i tre circuiti del capitale: quello del capitale monetario, del capitale produttivo e del capitale-merce. Marx mostra come il capitale si trova a dover esistere, contemporaneamente, incarnato in ognuna di queste forme, quale precondizione della continuità della produzione capitalista, e come i tre circuiti sono interdipendenti in termini di coesistenza e successione [13]. Circuiti che svolgono un ruolo importante nel prosieguo del secondo libro. Essi hanno in comune i seguenti aspetti: “la valorizzazione del valore come scopo determinante, e come motivo propulsore” [14]. Da ciò emerge chiaramente che il capitale “può essere concepito soltanto come movimento e non come cosa in riposo” [15] e che le forme specifiche assunte da tale moto vengono studiate con con l’aiuto dei tre circuiti.

 

2.2  Libro secondo, seconda sezione

Nella seconda sezione del libro secondo, Marx analizza la rotazione del capitale. Il tempo di rotazione di un dato capitale

è uguale alla somma del suo tempo di circolazione e del suo tempo di produzione. È il periodo che va dal momento dall’anticipo del valore-capitale in una determinata forma al ritorno nella stessa forma del valore-capitale in processo. [16]

Nello studio della rotazione, Marx usa i circuiti del capitale monetario e di quello produttivo. Il primo consente di chiarire il rapporto tra la rotazione ed il plusvalore; il secondo l’influenza della rotazione sulla creazione del prodotto. Il terzo elemento, quello del capitale-merce, non viene trattato in questa sezione poiché in tale forma il valore-capitale non inizia il processo come valore-capitale anticipato, bensì come M’, ossia valore già valorizzato [17].

Il processo di circolazione da origine ad una nuova categorizzazione del capitale produttivo che consente di studiare la rotazione. Nel primo libro, Marx suddivide il capitale produttivo nelle sue parti costante e variabile, essendo questa la distinzione rilevante dal punto di vista della valorizzazione del capitale nel processo di produzione immediato. Marx, inoltre, distingue tra capitale costante come mezzo di lavoro e capitale costante inteso come materie prime, laddove il primo perde un po’ alla volta il proprio valore d’uso e valore nel corso della produzione, il secondo trasferisce interamente il suo valore al prodotto [18]. Ma questo aspetto viene affrontato solo nella misura in cui è necessario a comprendere come il valore dei mezzi di produzione viene conservato dai lavoratori.

Nel processo di circolazione, gli elementi del capitale produttivo necessitano di essere esaminati da un altro punto di vista. Marx introduce la distinzione tra capitale fisso e capitale circolante, basata sulla modalità in cui il valore del capitale circola [19]. Una distinzione che sembra analoga a quella applicata ai mezzi di produzione – capitale costante – nel libro primo, poiché i mezzi di lavoro vengono designati come capitale fisso e le materie prime come capitale circolante. Tuttavia, il capitale circolante comprende anche il capitale investito in forza-lavoro, ovvero il capitale variabile. Ciò perché, malgrado le differenze relative alla creazione del valore, il valore del capitale variabile circola allo stesso modo di quello delle materie prime [20].

Un semplice esempio numerico è utile a illustrare gli effetti delle due parti del capitale sulla rotazione [21]. Se un capitale ammonta a 10.000 sterline, di cui 5.000 capitale fisso e 5.000 circolante, assumendo che il primo compia una rotazione in cinque anni, mentre il secondo una in un anno, allora in 20 mesi si è avuta la rotazione del capitale complessivo di 10.000 sterline. Chiaramente, se la quota del capitale fisso rispetto a quello circolante aumenta (il che è tendenza del capitalismo avanzato) [22], allora anche il tempo di rotazione per il capitale complessivo si estenderebbe. Tali circostanze influiscono sull’ammontare di capitale che è necessario anticipare per produrre un dato valore in una data porzione di tempo.

L’esempio precedente, inoltre, mostra che, sebbene il capitale complessivo di 10.000 sterline compie la sua rotazione in 20 mesi, il capitale fisso non viene effettivamente rimpiazzato per cinque anni. Laddove il capitale fisso rappresenta una quota elevata del capitale produttivo totale, questo ritardo nella sostituzione è uno dei fattori che spiegano la periodicità delle crisi. Marx sostiene che nella vita media del capitale fisso, da lui ipotizzata in dieci anni, si trova uno dei “fondamenti materiali” delle crisi periodiche del XIX secolo [23]. Si tratta di un’illustrazione della possibilità di crisi derivanti dalla natura generale del capitale.

Un altro punto importante emerge dalla trattazione della rotazione del capitale variabile. Nel libro primo, partendo dal punto di vista del processo di produzione immediato, Marx sviluppa la categoria di saggio del plusvalore. Il processo di circolazione vi apporta delle modifiche. Il capitale circolante comprende il capitale variabile, quindi se il saggio di plusvalore è 100% e il capitale variabile compie una rotazione in un anno, allora il saggio annuo del plusvalore è anch’esso 100%. Ma se il capitale variabile compie dieci rotazioni in un anno, allora il saggio annuo del plusvalore e 1000% [24]. Una riduzione del tempo di rotazione può derivare da un’accorciamento del periodo di lavoro o da un’aumento dell’efficienza in altre parti del circuito del capitale, ad esempio nella vendita delle merci prodotte. Il capitalista, allora, potrebbe trovarsi ad avere meno capitale vincolato dall’impiego della forza lavoro, nel corso di un determinato periodo, e ottenere la stessa, quando non anche superiore, massa di plusvalore.

 

2.3  Libro secondo, terza sezione

La terza sezione analizza la riproduzione e la circolazione del capitale complessivo sociale. In quest’ultima parte, Marx affronta il circuito del capitale-merce, sebbene non come come circuito coinvolgente il capitalista singolo, bensì quale mezzo utile all’esame del consumo e riproduzione del prodotto totale del capitale (industriale). Il che può utilmente essere posto in comparazione coi capitoli sulla riproduzione semplice e l’accumulazione del libro primo.

Nel capitolo del primo libro dedicato alla riproduzione semplice (capitolo ventunesimo), Marx mostra come una determinata porzione del prodotto annuo è destinata al consumo produttivo, laddove quella rimanente può essere consumato individualmente. Come egli nota, in generale, le merci che servono ad una funzione avranno una forma materiale differente da quelle utili all’altra [25]. Tuttavia, a questo punto, Marx non è interessato a questo aspetto del processo, quanto, invece, alla distinzione tra consumo produttivo e individuale. Il lavoratore, viene dimostrato, consuma in entrambi i modi, in maniera tale che il rapporto tra lavoro salariato e capitale sia perpetuata.

Il lavoratore consuma produttivamente nel momento in cui “consuma col suo lavoro mezzi di produzione e li trasforma in prodotti di un valore superiore a quello del capitale anticipato”. In questo modo egli produce capitale, “potenza a lui estranea, che lo domina e lo sfrutta” [26]. Dall’altra parte, il lavoratore consuma individualmente quando “trasforma in mezzi di sussistenza il denaro pagatogli per l’acquisto della sua forza-lavoro”. Il consumo di mezzi di sussistenza non sostiene solo il lavoratore (e la sua famiglia), ma lo costringe a ritornare continuamente sul mercato del lavoro per vendervi la sua forza lavoro. Nel libro secondo, il consumo produttivo e individuale vengono esaminati dal punto di vista del processo di circolazione.

È importante riconoscere che, nonostante entrambi i primi due libri trattano il “capitale in generale”, solo nella terza sezione del secondo libro Marx analizza il capitale complessivo sociale [27]. Questo perché il processo totale:

comprende tanto il consumo produttivo (il processo diretto di produzione) con le trasformazioni di forma (scambi, considerati sotto l’aspetto materiale) che lo mediano, quanto il consumo individuale con le trasformazioni di forma o scambi che lo mediano. [28]

Per tanto il processo totale può essere oggetto di trattazione solo dopo un esame delle categorie esposte nel libro primo e nelle prime due sezioni del secondo. Questa è la ragione per cui, nel primo libro, l’accumulazione e la riproduzione semplice sono considerate “astrattamente , cioè come puro e semplice momento del processo immediato di produzione” [29].

Questo punto viene ulteriormente elaborato da Marx con l’introduzione degli schemi di riproduzione. Egli afferma che tale “modo puramente formale di esposizione”, nel quale si ipotizzava, ad esempio, che il singolo capitalista potesse trovare un mercato per le proprie merci, nonché trovare sul mercato quelle merci necessarie alla produzione, “non è più sufficiente, quando si consideri il capitale complessivo sociale e il suo prodotto-valore” [30 tr. it. p. 482 vol. II]. Le questioni che vanno ora prese esplicitamente in considerazione sono:

il capitale consumato nella produzione come viene sostituito, secondo il suo valore [e secondo la sua forma naturale] dal prodotto annuo, e come si intreccia il movimento di questa sostituzione con il consumo del plusvalore da parte dei capitalisti e del salario da parte degli operai? [31]

Gli schemi di riproduzione sono lo strumento col quale Marx esplora tali questioni, il che mostra in forma estremamente chiara l’unità e l’opposizione tra il valore d’uso ed il valore di una merce, così come introdotti per la prima volta nel capitolo iniziale del primo volume.

Marx divide il prodotto complessivo della società, e dunque anche la produzione complessiva, in due sezioni [32]. La prima sezione fornisce quelle “merci che possiedono una forma in cui devono, o almeno possono, entrare nel consumo produttivo”. La seconda sezione produce quelle merci “che possiedono una forma in cui entrano nel consumo individuale della classe capitalistica e della classe operaia”. La somma totale dei rapporti di scambio della società viene quindi ridotta allo scambio tra queste due sezioni, scambio rappresentato non solo in termini di valore, ma anche in termini di valore d’uso. La divisione tra le due sezioni non è arbitraria, bensì fondata sulla forma economica ed il ruolo svolto nella riproduzione dai valori d’uso che esse producono.

Date una serie di premesse – tutte le merci si scambiano al loro valore, tutti i capitali di una branca di produzione impiegano un eguale tempo di rotazione (per esempio, un anno), non vi è capitale fisso – si dimostra che la riproduzione semplice può procedere senza intoppi. Ciò si verifica se il valore del capitale costante della seconda sezione è della stessa entità della somma dei valori del capitale variabile e del plusvalore nella prima sezione (v1 + pv1). Le due sezioni possono dunque scambiare eguali porzioni del valore delle rispettive merci e ricevere gli specifici valori d’uso di cui necessitano. Non è pertinente sostenere qui che le ipotesi assunte sono irrealistiche, poiché il punto non consiste nel riflettere sui processi effettivi dell’economia, bensì nell’inquadrarli nella loro forma più semplice. Di fatto, anche sotto un certo numero di premesse favorevoli per il capitalismo, se il capitale fisso è tenuto in conto, si può dimostrare che le crisi si verificherebbero anche sulla base della riproduzione semplice [33].

La riproduzione semplice, sia nel primo che nel secondo libro, viene considerata separatamente dall’accumulazione. Come scrive Marx,

quando si svolge l’accumulazione , la riproduzione semplice ne costituisce sempre una parte, può essere quindi considerata a sé ed è un fattore reale dell’accumulazione. [34]

Una volta esaminati i rapporti derivanti da questo elemento fondamentale, è possibile affrontare il tema dell’accumulazione. Il libro primo tratta l’argomento dal punto di vista del singolo capitalista, sebbene non distinto dl “capitale in generale”. L’accumulazione si svolge, o “il plusvalore è trasformabile in capitale solo per la ragione che il plusprodotto, del quale il plusvalore costituisce il valore, contiene già le parti costitutive materiali di un nuovo capitale” [35]. Ancora, nel libro secondo è scritto “abbiamo visto nel caso del capitale individuale […] trova la sua espressione anche nella riproduzione sociale annua” [36].

Ancora una volta la questione consiste nell’esaminare la possibilità generale dell’accumulazione sulla base di assunti estremamente restrittivi, e i risultati di tale analisi non andrebbero presi come direttamente conformi al funzionamento dell’economia capitalistica. Assunti giustificati nella misura in cui l’accumulazione ha effettivamente luogo, processo del quale si sta cercando di comprendere il carattere. Le condizioni sotto le quali l’accumulazione e la riproduzione su scala allargata possono svolgersi “senza intoppi” sono ovviamente più complesse rispetto a quelle necessarie alla riproduzione semplice, e non verranno qui trattate [37]. Invece, vale la pena concludere questa parte con un’illustrazione che mostri perché gli schemi di riproduzione non possono essere utilizzati quali “modello di crescita”, ma anche come essi chiariscono la contraddizione tra valore d’uso e valore.

I rapporti di scambio tra la prima  e la seconda sezione vanno osservati dal punto di vista sia del valore d’uso che del valore. Ciascuna sezione può ottenere le merci di cui necessita dalla’altra, solo scambiando un valore equivalente a quello delle proprie merci. Tuttavia, la domanda di una merce è una domanda del su valore d’uso, non del suo valore in generale. Nel caso dei mezzi di produzione, ad esempio, ciò e determinato, in primo luogo, da fattori tecnici – un livello pianificato di produzione consumerà un certo volume di materie prime, le quali, a loro volta, necessiteranno di essere lavorate tramite un certo numero di macchinari, strumenti, ecc. Ciò nonostante, questi fattori tecnici non sono fissi – essendo essi stessi influenzati da considerazioni relative al valore – e nel processo reale dell’accumulazione di capitale qualsiasi equilibrio, in termini di valore d’uso e valore, tra le due sezioni potrebbe non persistere. L’accumulazione, caratteristicamente, implica il cambiamento tecnico e incrementi di produttività. Simili incrementi significherebbero che una maggiore massa di valori d’uso incorporerebbe lo stesso valore di prima, e non vi è nulla che assicuri che una tale massa superiore corrisponda alla domanda sociale. Gli squilibri sono destinati a verificarsi, e le “corrette” proporzioni, la corretta allocazione del lavoro sociale sotto il capitalismo, si stabiliranno solo per caso o, più probabilmente, attraverso l’operare di crisi di intensità variabile in tutto il sistema di riproduzione.

 

3  Conclusioni

L’analisi contenuta nel secondo volume completa l’esame compiuto da Marx sul “capitale in generale”. Il capitalismo, a questo punto, può essere inteso come unità di produzione e circolazione: l’estrazione del plusvalore dai lavoratori come base dell’accumulazione, e le diverse forme qui assunte, unitamente a quelle prese dal capitale nel corso del suo processo di circolazione. L’analisi di quest’ultimo chiarisce numerosi rapporti non affrontati nel volume primo. In essa si dimostra come la circolazione sia al contempo una necessità ed un ostacolo all’autoespansione del capitale, e come il periodo di rotazione e il tempo speso dal capitale in ciascuna delle sue fasi influenzino le forme di moto di quest’ultimo. Il problema della realizzazione, della produzione di valori d’uso su scala sociale rilevante, trova una chiarificazione tramite gli schemi di riproduzione.

Presentare questi rapporti ad un livello astratto consente una corretta comprensione teorica delle forme più concrete assunte dal “processo di movimento del capitale, considerato come un tutto”. Questi possono essere visti come tentativi da parte del capitale per superare le contraddizioni emergenti dalla sua natura generale. Fra gli esempi si può includere il ruolo del credito nel permettere ai capitali individuali di continuare ad accumulare, nonché la specializzazione del capitale in mercantile (commerciale) e bancario. L’importanza ed il ruolo del commercio estero può anch’essa dedursi dagli schemi di riproduzione. Tali questioni, e molte altre, vengono trattate nel terzo volume, nel quale viene considerato “il processo complessivo della produzione capitalistica”.

Questo saggio si è concentrato sul libro secondo e sulla sua relazione col primo, ma sarebbe un errore trarre il punto di vista di Marx sulle crisi e gli ostacoli all’accumulazione del capitale esclusivamente da questi due volumi. La “legge della caduta tendenziale del saggio del profitto” è cruciale al riguardo, essendo un’ulteriore espressione della contraddizione fondamentale tra i rapporti capitalistici di produzione e lo sviluppo delle forze produttive da parte del capitale. Tale legge, tuttavia, viene trattata solo nel terzo libro. Vi sono due importanti ragioni alla base di ciò. In primo luogo perché l’esame del processo capitalistico di produzione e circolazione costituisce un passo preliminare indispensabile all’analisi. Per esempio, il tempo di rotazione è importante nel determinare il saggio annuo di profitto del capitale. In secondo luogo perché l’andamento del saggio di profitto influisce sulla società capitalistica in quanto media sociale, ma una media che può essere compresa a pieno solo una volta che l’analisi passa dal livello del “capitale complessivo” a quello dei “diversi capitali”. Sembrerebbe non esserci alcuna relazione tra i profitti ottenuti dal singolo capitalista ed il plusvalore di cui si appropria. Il collegamento può essere individuato solo dall’esame del rapporto tra il singolo capitalista ed il sistema nel suo complesso.

Sfortunatamente, per alcuni critici del capitalismo, radicali o meno, il libro secondo ha fornito solo argomenti utili a concentrarsi sugli “squilibri” della produzione capitalistica, sui problemi di realizzazione e così via. Il che è ironico, considerato che Marx dava per scontati simili problemi, dedicando la propria attenzione ai ben più fondamentali ostacoli posti dal capitalismo allo sviluppo della società.


Bibliografia
Andrew Kliman, Reclaiming Marx’s Capital: A Refutation of the Myth of Inconsistency, Lexington Books, 2007.
Karl Marx, Il capitale, Libro primo, Einaudi, 1975.
Karl Marx, Il capitale, Libro secondo, Einaudi, 1975.
Karl marx, Il capitale, Libro terzo, Einaudi, 1975.
Roman Rosdolsky, Genesi e struttura del “Capitale” di Marx, Laterza, 1975.
Isaak Rubin, Essays on Marx’s Theory of Value, Detroit, Black & Red, 1972.
David Yaffe, ‘Value and Price in Marx’s Capital’, 1974  http://www.marxists.org/subject/economy/authors/yaffed/1974/valueandpriceinmarxcapital.htm
Note
  1. Si veda la trattazione di questo argomento da parte di Rosdolsky (1975), capitolo XXX, “La polemica intorno agli schemi della riproduzione in Marx”. I miei commenti sul metodo di Marx seguono l’interpretazione di Rosdolsky (capitolo II, “La struttura dell’opera di Marx”). Non voglio aggiungere niente all’interminabile dibattito sul cosiddetto problema della trasformazione, salvo che non vi è alcuna logica nell’utilizzare gli schemi della riproduzione di Marx, riguardanti la circolazione del capitale, nell’analisi della formazione dei prezzi di produzione. Marx, nella sua analisi, prende in considerazione capitali con differente composizione organica. Tuttavia, nel momento in cui egli ricava i prezzi di produzione, ciascun capitale è visto come porzione del capitale complessivo sociale. Un importante punto sottolineato da Yaffe (1974, Sezione 3.3.2). Di conseguenza, i rapporti “input/output” tra i diversi capitali non sono rilevanti ai fini di questa analisi. S si insiste nell’utilizzare l’approccio degli schemi della riproduzione, allora Kliman (2007, capitolo 8) ha dimostrato che è possibile trovare una soluzione coerente, contrariamente a quanto sostenuto da numerosi critici della teoria del valore di Marx.
  2. Marx, 1975, Libro terzo, p. 55.
  3. Marx, 1975, Libro primo, p. 386.
  4. Ovviamente, l’esistenza di numerosi capitalisti non viene negata in questa fase dell’analisi e, in buona pare, viene sviluppata servendosi di un capitalista individuale. Ciò nonostante, quest’ultimo è assunto come elemento rappresentativo del capitale complessivo sociale.
  5. Si noti che persino il libro terzo non è “concreto”. Sebbene affronti la concorrenza, non analizza il movimento reale dei prezzi di mercato, dei salari, del tasso di interesse, ecc. Ad esempio, Marx si limita a notare che la riduzione del salario al di sotto del valore della forza lavoro è un fattore antagonistico rispetto alla caduta tendenziale del saggio di profitto (Marx, 1975, Libro terzo, capitolo quattordicesimo, II, p. 331).
  6. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo primo, IV, p. 60.
  7. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo diciottesimo, I, p. 431.
  8. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo primo, p. 28.
  9. Rubin, 1972, p. 270.
  10. Ciò si verifica per quanto riguarda i costi di stoccaggio non derivanti da difficoltà di realizzazione. Si veda Marx, 1975,  Libro secondo, capitolo sesto, II. II, pp. 160-161.
  11. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo sesto, III, p. 175.
  12. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo quinto, pp. 145-146.
  13. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo quarto, pp. 118-119.
  14. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo quarto, p. 115.
  15. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo quarto, p. 121.
  16. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo settimo, p. 179.
  17. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo settimo, p. 180.
  18. Marx, 1975, Libro primo, capitolo sesto, p. 241.
  19. Marx, Libro secondo, capitolo ottavo, I, pp. 186-187.
  20. L’analisi di Marx del capitale fisso e circolante gli consente di mostrare, nei capitoli decimo e undicesimo, come Smith, Ricardo e i loro seguaci, abbiano potuto oscurare la distinzione tra capitale costante e variabile.
  21. Ripreso da Rosdolsky, 1975, pp. 419-420.
  22. A causa delle differenze nella suddivisione in capitoli tra l’edizione inglese, cui fa riferimento l’autore, e quella italiana, usata nella traduzione, non è stato possibile rintracciare il passo specifico in quest’ultima [n.d.t.].
  23. Marx, Libro secondo, capitolo nono, p. 220.
  24. Marx, Libro secondo, capitolo sedicesimo.
  25. Marx, 1975, Libro primo, capitolo ventunesimo, p. 695.
  26. Marx, 1975, Libro primo, capitolo ventunesimo, pp. 701-702.
  27. Questo fatto ha condotto Rosa Luxemburg a pensare che la terza sezione segni il passaggio ad un più concreto livello di analisi. Si veda Rosdolsky, 1975, p. 92.
  28. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo diciottesimo, I, p. 430.
  29. Marx, 1975, Libro primo, p. 694.
  30. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo ventesimo, I, p. 482.
  31. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo ventesimo, I, p. 481.
  32. Si noti che sono solo gli scambi tra capitalisti industriali, e tra questi e i lavoratori, ad essere trattati negli schemi della riproduzione. Un’altra indicazione del loro carattere astratto.
  33. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo ventesimo, p. 572.
  34. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo ventesimo, I, p. 482.
  35. Marx, 1975, Libro primo, capitolo ventiduesimo, I, p. 713.
  36. Marx, 1975, Libro secondo, capitolo ventunesimo, p. 597.
  37. Si veda Rosdolsky, 1975, pp. 513-518.

Link all’articolo originale in inglese Economics of Imperialism
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