Critica marxista delle religioni e religiosità delle masse popolari
di Eros Barone
1. Religione e lotta di classe
Tra l’ultimo ventennio del secolo scorso e il primo quindicennio di questo secolo diversi fenomeni e avvenimenti (la progressiva secolarizzazione della società nei paesi capitalistici avanzati, la rivoluzione khomeinista in Iran, l’insorgere del movimento controrivoluzionario di Solidarnosc in Polonia, la teologia della liberazione in America Latina, il “risveglio dell’Islàm” in chiave fondamentalista nel mondo arabo e più in generale musulmano, la diffusione di movimenti e sètte ispirati dal fondamentalismo religioso nel mondo cattolico, ebraico, induista e protestante, le guerre di aggressione scatenate dall’imperialismo in Iraq, l’attentato delle Due Torri, l’invasione dell’Afghanistan, per giungere sino ai recenti attentati in Francia) hanno posto in primo piano il problema dell’analisi della funzione sociale, politica e ideologica delle religioni nella lotta di classe e nella ridefinizione degli equilibri geopolitici mondiali.
Per i militanti comunisti e per la conseguente pratica sociale e politica in cui essi sono impegnati porre e risolvere correttamente tale problema ha assunto i caratteri di un’esigenza primaria per conoscere la realtà in cui si agisce, dirigere l’azione del partito di classe e orientare le masse. Occorre pertanto interrogare congiuntamente, alla luce del materialismo dialettico, la storia e la teoria, partendo dalla lezione dei classici del socialismo scientifico (Marx, Engels, Lenin) e integrandola con la riflessione sulle esperienze concrete della lotta di classe per ricavare da questa ottica bifocale i giusti insegnamenti e fissare gli opportuni indirizzi pratici.
Occorre inoltre chiarire il significato del termine ‘religione’, precisando, in primo luogo, che esso è duplice, poiché indica sia un sistema di consolazione individuale nel cosmo (è questo un aspetto saliente dell’alienazione religiosa, che rispecchia il rapporto tra uomo e natura e che nella sociologia borghese ha ricevuto una particolare attenzione da parte di Max Weber1) sia un legame di coesione sociale nella comunità (aspetto che rispecchia il rapporto tra uomo e società e che è stato al centro, sempre in àmbito sociologico, della ricerca di Émile Durkheim2), e, in secondo luogo, che, in quanto oggetto di analisi dal punto di vista storico e politico, la religione che qui interessa è quella istituzionale, comprendente tre elementi indissociabili, costituiti da una teologia, da una liturgia e da una gerarchia.
Occorre poi distinguere con chiarezza, nell’àmbito della problematica inerente al rapporto tra religione e lotta di classe, tre diverse questioni, che a loro volta implicano ulteriori ramificazioni, e cioè, in primo luogo, il giudizio sul carattere oscurantistico della religione (di qualsiasi religione); in secondo luogo, la questione del rapporto tra Stato e religione sia nel periodo storico della lotta rivoluzionaria per abbattere lo Stato borghese sia nel periodo della costruzione del socialismo; in terzo luogo, la questione dell’atteggiamento del partito comunista verso la religione, laddove l’analisi dialettica individua anche in questo àmbito più ristretto l’esigenza di distinguere, all’interno delle attuali società multietniche e multiculturali, fra più religioni, individuando, ai fini della strategia, il loro comun denominatore, ma anche, ai fini della tattica, le loro differenze.
2. Religione e partito comunista
Nel primo quindicennio del Novecento, quindi durante il periodo della Seconda Internazionale, Lenin, quale capo della frazione bolscevica del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, affronta per la prima volta e con ampiezza il problema religioso. In particolare, la necessità di delineare nell’aprile del 1909 la posizione dei deputati bolscevichi in occasione di un dibattito alla Duma di Stato spinge Lenin ad approfondire e formulare in termini generali la questione. Lenin, nell’articolo scritto per la rivista «Proletari», pubblicato nel mese di maggio di quell’anno, così delinea «l’atteggiamento del partito operaio verso la religione»3. Egli parte dall’assioma del giovane Marx, secondo cui «la religione è l’oppio del popolo», e lo definisce «la pietra angolare della concezione marxista», aggiungendo, a scanso di equivoci che «tutte le religioni e le Chiese moderne, tutte le organizzazioni religiose d’ogni tipo sono sempre considerate dal marxismo quali organi della reazione borghese, quali mezzi di difesa dello sfruttamento e dell’abbrutimento della classe operaia». Nella netta affermazione di Lenin si avverte chiaramente l’eco del giudizio espresso da Marx ed Engels in un articolo della «Gazzetta Renana» pubblicato nel 1847, allorché, riferendosi ai «princìpi sociali del cristianesimo», osservavano che tali princìpi «hanno giustificato l’antica schiavitù, esaltato la servitù del Medioevo, ed acconsentono pure, in caso di bisogno, a propugnare la oppressione del proletariato, se anche con una cera un po’ piagnucolosa». I due cofondatori del socialismo scientifico sottolineavano poi, in un crescendo stroncatorio, che «i princìpi sociali del cristianesimo predicano la necessità di una classe dominante e di una classe oppressa, e per quest’ultima hanno solo il pio desiderio che la prima possa essere caritatevole […] pongono in cielo la compensazione di tutte le infamie… e giustificano perciò la continuazione di queste infamie sulla terra […] i princìpi sociali del cristianesimo predicano la viltà, il disprezzo di sé stessi, l’abiezione, l’asservimento, la sottomissione, in breve tutte le qualità della canaglia; e il proletariato che non vuol essere trattato come una canaglia, considera il suo coraggio, la coscienza di sé stesso e il sentimento della sua indipendenza come più necessari del pane». Lapidaria e degna di essere affiancata, per il suo valore paradigmatico, alla definizione della religione come “oppio del popolo” era, infine, la conclusione in cui culminava la requisitoria contro la mistificante dottrina sociale del cristianesimo, svolta dagli autori del Manifesto del partito comunista: «I princìpi sociali del cristianesimo sono ipocriti e il proletariato è rivoluzionario»4.
È vero, d’altra parte, che il giudizio di Lenin si colloca in un’epoca in cui esisteva un vero e proprio connubio tra le classi al potere e le gerarchie religiose delle varie chiese, organicamente integrate, come in Russia, nel blocco politico, economico e sociale della proprietà terriera, cementato, in virtù dell’assetto cesaropapista del cristianesimo orientale, dalla secolare identificazione fra la Chiesa e lo Stato. Tuttavia, anche su questo terreno, Lenin rifugge dal facile schematismo e, ammaestrato dalla lezione di Friedrich Engels, che aveva dedicato alla nascita e allo sviluppo del cristianesimo antico e dei movimenti religiosi protocomunisti una specifica attenzione, se da un lato definisce il carattere preminente di alienazione, che è proprio delle ideologie religiose, dall’altro riconosce anche la dialettica, ìnsita nel fenomeno religioso, per cui esso, a livello delle grandi masse, si configura, sì, come “espressione della miseria”, ma anche come “protesta contro la miseria”5. Grazie al riconoscimento del nesso dialettico tra alienazione e contraddizione, Lenin, seguendo le orme di Engels, è così in grado di individuare tanto la contraddittorietà dell’alienazione religiosa, quale si esprime storicamente in quei periodi e in quei movimenti religiosi in cui prevalgono la protesta, la spinta alla ribellione e la volontà di liberazione, quanto la schiacciante predominanza del carattere oppiaceo delle ideologie religiose in altri periodi e in altre manifestazioni in cui storicamente prevalgono l’accettazione passiva della miseria e dell’oppressione, nonché l’utilizzazione di questa passività da parte delle classi dominanti.
È quindi chiara la ragione, storicamente concreta, per cui Lenin dal giudizio sulla religione non deduce la necessità di inserire nel programma della socialdemocrazia quella esplicita professione di ateismo che, dopo la rivoluzione, sarà richiesta agli iscritti dal partito comunista russo (bolscevico) e codificata nel suo statuto. In effetti, esiste un’essenziale differenza tra la critica della religione condotta dall’illuminismo e da questo trasmigrata nell’anticlericalismo ottocentesco di matrice positivistica, per cui la religione è il prodotto mentale e psicologico di un imbroglio perpetrato dal “callidum genus sacerdotum” (l’astuta casta dei sacerdoti), sempre pronto a sfruttare a proprio vantaggio la credulità, le paure e l’ingenuità del popolo semplice e incolto (utilizzazione della religione, peraltro, sempre possibile e spesso comprovata), e la critica della religione condotta dal marxismo, per cui la religione si configura come un fenomeno sociale che deve essere superato estirpandone le radici ed eliminandone le cause, connesse inestricabilmente ai rapporti di produzione esistenti nelle società divise in classi antagoniste. Riprendendo la lezione contenuta nella sesta tesi marxiana su Feuerbach6, Lenin afferma che «lottare contro la religione» significa «spiegare materialisticamente l’origine della fede e della religione nelle masse». Al primo posto occorre dunque collocare la lotta per estirpare le radici ed eliminare le cause storico-sociali della religione, lotta che richiede una elevata coscienza di classe, dalla quale soltanto può sgorgare, in questo come in altri campi ove è in gioco la conquista dell’egemonia politica e ideologica sulle larghe masse, l’azione rivoluzionaria della classe operaia. Questa impostazione, che è poi l’unica corretta, permette in tal modo di sbarazzare il campo da tutte le formulazioni eclettiche e compromissorie, quando non apertamente capitolazioniste, con cui nel nostro paese il moderno revisionismo, da Togliatti a Berlinguer, ha cercato, prima di abbandonarla definitivamente, di annacquare, deformare e mistificare la posizione marxista di Lenin.
Dal canto suo, il grande pensatore e rivoluzionario russo così scrive nell’articolo da cui abbiamo preso le mosse: «La propaganda atea della socialdemocrazia [propaganda che è dunque parte integrante della funzione educatrice del partito comunista – Nota nostra] deve essere subordinata al suo compito fondamentale, ossia allo sviluppo della lotta di classe delle masse sfruttate contro gli sfruttatori». In altri termini, Lenin, distinguendosi così dagli anarchici come dagli anticlericali borghesi di impronta illuministica, fa del grado di maturazione delle masse, delle forme di sviluppo della lotta di classe, degli obiettivi che essa concretamente si pone, il criterio-guida dell’indirizzo pratico che occorre perseguire e realizzare, e concepisce quindi la propaganda atea come una subordinata della lotta di classe, che i comunisti debbono escludere dal loro intervento politico allorché essa agisce come fattore di divisione e non di unificazione delle masse dando spazio al prete e alla reazione, «i quali non desiderano nulla di meglio, che di poter sostituire la divisione degli operai in base alla loro partecipazione allo sciopero con una divisione in base alla fede in dio». Non meraviglia pertanto che chi, come Lenin, ha affermato a chiare lettere che “l’analisi concreta della situazione concreta è l’anima viva, l’essenza del marxismo”, asserisca altrettanto nitidamente che, proprio perché deve essere un materialista dialettico, il marxista deve svolgere la sua propaganda contro la religione non in modo astratto e predicatorio, «ma in concreto, sul piano della lotta di classe», evitando sia l’anarchismo sia l’opportunismo, sia l’estremismo della “frase scarlatta” (direbbe Gramsci) sia la rinuncia ai princìpi per non “spaventare” le masse: «Il marxista - sottolinea Lenin, invitando ad essere tattici rispetto all’analisi – deve sapere tener conto di tutta la situazione concreta» (laddove è da notare la pregnanza logico-storica dei due termini chiave che compaiono in questa raccomandazione: “tutta” e “concreta”).
3. “La più grande forza reazionaria esistente in Italia,
forza tanto più temibile in quanto insidiosa
e inafferrabile” (Antonio Gramsci)
Lo Stato della Città del Vaticano (così indicato dal colle che è la sede del Papato) è, nel contempo, una grande organizzazione imperialista di tipo particolare e un’importante forza politica che esercita la sua influenza su tutto il mondo e, a maggior ragione, sull’Italia. Da un lato, esso fa parte di un gruppo di istituzioni sopravvissute alla fine dell’epoca feudale e incorporate dalla borghesia imperialista, esattamente come la massoneria, la mafia, alcune sette islamiche ed ebraiche, la monarchia saudita ecc.; da un altro lato, il Vaticano è affine ad alcune organizzazioni imperialiste moderne, come la setta religiosa del reverendo Moon e, in genere, le moderne sette religiose aventi il loro perno e centro d’irradiazione negli Stati Uniti d’America: organizzazioni che combinano un potere di livello mondiale, fondato su partecipazioni finanziarie e proprietà immobiliari, con la direzione di vaste coorti di fedeli sparsi in varie parti del mondo e cittadini di vari Stati, riscuotendo da essi tasse (donazioni, offerte, lasciti ecc.) ed esigendo obbedienza e prestazioni personali. Con le risorse economiche di cui dispone, il Vaticano è così in grado tanto di mantenere al suo servizio un’enorme e sperimentata struttura ideologica, diplomatica e informativa quanto di avvalersi di un’enorme quantità di strumenti per intervenire nella formazione, nell’orientamento e nell’organizzazione delle classi dominanti di un gran numero di paesi.
Dal canto suo, la Chiesa cattolica italiana è un’istituzione dotata all’incirca di 90 diocesi, 20.000 parrocchie, alcune centinaia di migliaia di dipendenti (il cui reddito dipende dalla funzione che svolgono all’interno della Chiesa stessa: clero secolare composto da preti e clero regolare composto da frati e membri di ordini e congregazioni religiosi, nonché suore), una rete di opere pie e di associazioni, una propria struttura finanziaria (raccolta di contribuzioni, finanziamenti statali, proprietà immobiliari, patrimoni finanziari, attività economiche), alcuni milioni di fedeli (praticanti e contribuenti)7. Va da sé che la Chiesa è un a forza politica di prim’ordine, un partito politico con tratti particolari che lo distinguono dai ‘partiti moderni’. Ovviamente, la Chiesa cattolica italiana ha con il Vaticano un rapporto speciale, diverso dalle Chiese cattoliche di altri paesi; tuttavia è distinta dal Vaticano, ha una sua propria coesione, struttura, direzione e apparato finanziario. Sennonché sia il Vaticano sia la Chiesa cattolica sono forze politiche organiche della borghesia imperialista, poiché sono, oltre che ‘partiti politici’, frazioni economiche dell’imperialismo dotate di propri consorzi, ‘holding’ e conglomerati, cui fanno capo proprietà immobiliari e finanziarie. Infine, come è a tutti noto, essi sono stati, per un cinquantennio (dagli anni ’40 agli anni ’90 del secolo scorso) la principale forza politica che ha espresso la volontà generale della borghesia imperialista nel nostro paese.
4. Religiosità delle masse popolari e mistificazione revisionista
Come si vedrà meglio più avanti, occorre distinguere nettamente la religiosità delle masse popolari, e le credenze, i riti, le pratiche religiose che ne sono l’espressione, dalla Chiesa cattolica e dal Vaticano. La distinzione è fondamentale, perché la religiosità delle masse popolari italiane non s’identifica necessariamente né con la Chiesa cattolica né con il Vaticano, avendo manifestato più volte e in più luoghi un rapporto conflittuale con essi (si rammentino i casi del variegato arcipelago del “dissenso cattolico”, dall’Isolotto di don Mazzi alla comunità di S. Benedetto animata da don Gallo, oltre alla miriade delle altre sette e chiese in rapida espansione). Vaticano, Chiesa cattolica e religiosità delle masse popolari costituiscono quindi tre problemi che vanno distinti, nonostante le relazioni che sussistono fra di loro.
Nel nostro paese il movimento comunista ha avuto, nel corso della sua storia, sia relazioni con la religiosità delle masse popolari (si rammentino, nella seconda metà dell’Ottocento, il caso del “profeta dell’Amiata”, Davide Lazzaretti, e durante il periodo post-bellico dell’intervento militare anglo-americano e delle lotte contadine nel Mezzogiorno d’Italia la diffusione di alcune chiese protestanti, come quella valdese e quella battista) sia relazioni con la Chiesa cattolica e il Vaticano. I revisionisti moderni (Togliatti, Berlinguer ecc.) hanno in larga misura confuso i due tipi di relazioni, riducendo la relazione con la religiosità delle masse popolari alla relazione con la Chiesa cattolica e il Vaticano. In realtà, una simile riduzione coincide con il cedimento e la resa al Vaticano e alla Chiesa cattolica, quindi alla borghesia imperialista (come, peraltro, dimostra, nel campo direttamente politico, quel sottoprodotto del “compromesso storico” che, attraverso un’analoga ‘riduzione’, ha generato, nel corso degli ultimi decenni, la formazione di carattere teratologico che risponde alla denominazione di “partito democratico”). Va detto, infine, che in questi ultimi anni la religiosità delle masse popolari è andata aumentando (anche e soprattutto a causa della crescente “incertezza dell’esistenza” causata dalla crisi economica e dall’estendersi dei conflitti interimperialistici), mentre la forza politica della Chiesa cattolica e del Vaticano è andata diminuendo. Si può quindi affermare che, escludendo il caso in cui la Chiesa cattolica e il Vaticano, avvalendosi della loro forza attuale, riescano a diventare promotori di una corrente vincente della mobilitazione reazionaria delle masse, cioè a ridefinirsi come ‘partito nuovo’ della borghesia imperialista, la loro forza e la loro influenza sono destinate a diminuire ulteriormente.
5. Religioni e costruzione del socialismo
Come si è cercato di chiarire nel presente articolo, la questione del rapporto tra Stato e religione (non va confusa con, ma) va tenuta distinta dalla questione dell’atteggiamento del partito comunista verso la religione. Il proletariato deve infatti affermare il principio secondo cui, rispetto allo Stato, la religione è un “affare privato” del singolo cittadino, il che significa affermare la separazione tra Stato e Chiesa, la libertà di coscienza, la libertà e l’eguaglianza di diritti per tutte le fedi religiose, così come per i convincimenti atei.
In questo senso, il programma del partito comunista nella fase che precede la conquista del potere si situa lungo la linea della tradizione democratica e del conseguente indirizzo separatistico nel rapporto tra Stato e Chiesa, che fa pernio sulla rivendicazione dello Stato laico. Laddove tale indirizzo è diverso sia rispetto a quello concordistico, in cui, come accade nel nostro paese, la Chiesa cattolica detiene sostanzialmente il monopolio della religione, sia rispetto a quello cavourriano post-unitario della “libera Chiesa in libero Stato”, sia rispetto a quello statunitense, riassumibile nella formula “libere Chiese in libero Stato”, sia rispetto a quello cesaropapista affermatosi in Russia e, più in generale, nel cristianesimo orientale. È invece una posizione squisitamente opportunista affermare che la religione sia un “affare privato” nei confronti del partito, anche se proprio nel testo leniniano che abbiamo posto al centro di questo articolo si afferma che, a condizione che ne accetti il programma, un prete può essere membro del partito. In realtà, non vi è alcuna contraddizione tra le due tesi, poiché nessuna di esse va intesa come una verità assoluta, che sussiste indipendentemente dalle specifiche condizioni storiche e dalla specifica composizione di classe in cui il partito del proletariato si trova ad operare. La risposta di Lenin, che nulla concede all’eclettismo deteriore, è ancora una volta materialistica e dialettica: «Si pone spesso, per esempio, la questione se un prete possa esser membro del partito socialdemocratico, e di solito a tale questione si risponde, senza alcuna riserva, affermativamente, richiamandosi all’esperienza dei partiti socialdemocratici europei. Ma questa esperienza è nata non solo dall’applicazione del marxismo al movimento operaio, ma anche da particolari condizioni storiche dell’Occidente, che non esistono in Russia…per cui una risposta incondizionatamente affermativa in questo caso è inesatta»8.
Dal canto suo, Engels non aveva mancato di criticare l’opportunismo dei socialdemocratici tedeschi, che dichiaravano la religione “affare privato” proprio nell’epoca del ‘Kulturkampf’ bismarckiano, ossia nell’epoca in cui l’anticlericalismo borghese cercava di distogliere le masse operaie dai loro effettivi interessi di classe, trascinandole sul terreno della lotta contro la religione9. In Russia, invece, quando Lenin scriveva l’articolo sull’atteggiamento del partito comunista verso la religione, la situazione era diversa a causa della funzione politica e culturale particolarmente retriva e del peso preponderante che esercitava nella società e nell’economia la Chiesa ortodossa. Qui l’egemonia della classe operaia nella rivoluzione democratica doveva esprimersi anche a livello ideale, oltre che a livello economico e politico, e tradursi in una lotta vigorosa contro ogni residuo medioevale e perciò anche contro la “vecchia religione ufficiale”. Laddove Lenin, ribadendo ciò che aveva già esposto nel Che fare?10, sottolinea energicamente la natura ideologica del partito di classe e la sua concezione del mondo alternativa tanto alla cultura borghese quanto alla cultura di derivazione feudale. È implicita, in tutta la elaborazione di Lenin concernente il problema del rapporto tra la religione e la lotta di classe, una precisa distinzione tra Stato e partito, che va salvaguardata nella fase che precede la conquista del potere, così come nella fase che segue alla conquista del potere, quando, fra i compiti che il partito deve assolvere, vi è anche quello che va sotto il nome di rivoluzione culturale e ideologica. Così, lo Stato doveva affermare, insieme con la libertà di coscienza, il suo carattere laico e aconfessionale, distinguendosi perciò, nella fase della rivoluzione democratica in cui Lenin operava, dalla Chiesa ortodossa, allora Chiesa ufficiale di Stato, e da ogni altra religione. Al contrario, il compito permanente che è proprio del partito comunista era allora, ed è ancor oggi, quello di garantire l’autonomia politica e ideale della classe operaia, affermando una concezione del mondo alternativa a quella borghese, il materialismo dialettico e storico, e dunque una posizione precisa verso la religione, elevando la coscienza filosofica e morale dei suoi iscritti verso l’ateismo e agendo con le armi della critica, del ragionamento e della convinzione per educare a tale concezione anche quei militanti che, spinti a volte da una fede religiosa sincera e profonda, giungono a riconoscere nel partito comunista, nel suo programma e nella sua battaglia, lo strumento della loro emancipazione e di quella dell’intera umanità.