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materiali resistenti

Il potere costituente della contingenza

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di Augusto Illuminati

«Oltre il molteplice» di Alain Badiou per Ombre Corte. Sette scritti sul mancato incontro con Gilles Deleuze. Un dialogo che l'autore di «Mille Piani» ha sempre rifiutato e che ha come sfondo diverse concezioni della filosofia. E dunque diverse teorie dell'agire politico

Strana, sgradevole quanto istruttiva la storia del non-rapporto fra Gilles Deleuze e Alain Badiou, che il secondo ha costruito retroattivamente (a parte la splendida recensione di Le Pli nel 1989) nel Clamore dell'Essere e in un gruppo di articoli e precisazioni ora raccolti per Ombre Corte con il titolo Oltre l'uno e il molteplice. Pensare (con) Gilles Deleuze (pp. 118, euro 10, a cura di Tommaso Arienna e Luca Cremonesi).

Una volta sgombrato il campo dalle astiose polemiche scatenate dagli allievi di Deleuze soprattutto nel numero della rivista «Futur Antérieur» dell'aprile 1998 (i due attacchi di Arnaud Villani e José Gil e la più sobria introduzione di Eric Alliez) e dopo aver tenuto nel giusto conto le responsabilità dello stile polemico-espositivo di Badiou, resta il grande interesse dei temi posti in discussione. Certo, l'impostazione della controversia (univocità dell'Essere, presunto platonismo, mistica immanente della vita, ecc.) sono scelti arbitrariamente da Badiou, ciò nonostante si toccano nodi essenziali della filosofia afferrando il capo del filo secondo le preferenze del critico - tradizione che risale per lo meno ad Aristotele e Hegel.

Non a caso infatti il confronto fra Deleuze e Badiou è stato riproposto come replica moderna di quello fra Aristotele (Deleuze) e Platone (Badiou), anche se le critiche di Badiou a Deleuze ci sembrano piuttosto riprendere le obiezioni hegeliane di acosmismo a Spinoza.

Ma il discorso verrebbe qui troppo lungo e soprattutto non lo si potrebbe corredare con una sufficiente informazione sui testi. È dunque preferibile andare direttamente allo sfondo politico dello scontro, come risulta da un intervento di Badiou (purtroppo non compreso nella presente raccolta) del 25 settembre 2003 all'Università popolare delle Madri di Plaza de Mayo, Buenos Aires.


La rarità della politica


In quell'occasione il filosofo francese vuole tenere insieme una politica del molteplice e una definizione della rarità e significanza in senso forte della medesima. Alla domanda, proveniente dal pubblico, sul carattere «deleuziano» del movimento zapatista, risponde che certamente qualcosa c'è e che lui lo condivide (la creatività, l'affermatività senza opposizione dialettica al nemico), ma che l'elemento che lo lascia perplesso è la mancanza di una rottura presupposta all'affermazione, l'eccesso di continuità fra vita e politica. Manca una messa in rilievo dell'evento che introduce discontinuità.

Alla successiva domanda, che riguarda Impero di Negri-Hardt, giustamente inteso a livello di massa come esplicitazione di un possibile deleuzismo politico, Badiou risponde con una riflessione innanzi tutto sul potere costituente e sulla concezione unitaria che ne ha Negri e da cui discende la solidale fondazione in essa della moltitudine e dell'impero. Il dissenso su ciò rimanda a quello con l'unitarietà assoluta della sostanza spinoziana, alla cui ontologia Negri fa evidente riferimento. Quella sostanza si attualizzerebbe storicamente in dominio e resistenza, capitalismo e comunismo, manifestazioni pur sempre di un potere costituente. Per Badiou, al contrario, la politica è fatto di rotture e soggettività eterogenee. L'Uno di divide in Due, come nella dialettica maoista.

Tuttavia, costretti ora ad abbandonare la dialettica, dobbiamo scegliere se tornare a una concezione unitaria, al potere dell'Uno (soluzione Deleuze-Negri), o mantenere il Due (della separazione, dell'eterogeneità) in forma differente da quella classica della contraddizione di classe. Il che produce pratiche politiche sensibilmente differenti, sebbene del pari post-socialiste. Fin qui il testo, che consente di leggere meglio quanto nella suddetta discussione era avviluppato in una problematica metafisica suggestiva ma impervia.
Naturalmente anche a questo livello restano equivoci e alternative interpretative, dato che l'oggetto del contendere - una singolarità «illegale», che cioè non obbedisce a leggi trascendenti (della dialettica, della storia), ma si dà leggi specifiche nella propria contingente immanenza - è preteso da entrambi gli autori secondo un profilo diverso.


Il fascino del decisionismo


Semplificando, Badiou pone l'accento più sull'irruzione del nuovo, sul carattere fuori sesto della soggettività rivoluzionaria emergente (out-of-jointness, per usare un'espressione di Slavoj Zizek, molto affine a Badiou anche nella contrapposizione a Deleuze), Deleuze rimarca maggiormente il momento del neutro della vita, della rivoluzione quotidiana indefinita. Badiou ricerca un principio di spiegazione valido per tutte le rivoluzioni (da Paolo di Tarso a Mao) e sottolinea la rarità dell'esperienza propriamente politica (quella che Jacques Rancière chiama politique opponendola a police, la gestione amministrativa della vita), Deleuze è stato identificato con certe pratiche dell'«autonomia» e, più forzosamente, con lo zapatismo. In entrambi la singolarità, per vie diverse vuol dire un universale non dialettico e affermativo, da entrambi l'oscura prassi politica contemporanea ha molto da imparare.

Più che domandarsi chi dei due sia più platonico è interessante ripercorrerne le fonti filosofiche. Spinoza è per entrambi oggetto di accaparramento e forzatura. Badiou sta più sul lato di Heidegger, Deleuze su quello di Nietzsche. Tutti però sanno quanto sia difficile contrapporli (lo fece Heidegger, ma spudoratamente pro domo sua). Il decisionismo schmittiano suggestiona di certo Badiou per quel presagio di fedeltà all'Uno che nel filosofo francese è la versione politica della lacaniana fedeltà al proprio desiderio.

Le accuse di polpottismo a Badiou valgono quanto quelle per le giovanili simpatie di Deleuze e Blanchot per l'Action française. Il retaggio vitalistico bergsoniano di Deleuze lo rende, nella coscienza comune, un alfiere della biopolitica (che esplicitamente non fu, ma avrebbe potuto essere), mentre nei suoi scritti più recenti sulla questione ebraica Badiou ha difeso la costituzione contingente del nome dell'Uno indipendente da radici etniche e religiose, un universalismo espansivo e non reattivo, alternativo a ogni fondamentalismo identitario.


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