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Dalla crisi alla stagflazione

Valerio Selan

Mentre il governo vara un "Decreto anticrisi" di valore pari a un trentasettesimo della diminuzione di reddito che si prevede per quest'anno (nel post scriptum una breve analisi), anche se la fase acuta potrebbe essere passata si prospetta una situazione molto preoccupante

manichini di de chiricoL'ondata della crisi mondiale si sta, forse, affievolendo, anche se - come previsto in precedenti note - i suoi effetti potranno protrarsi a lungo, soprattutto in paesi come il nostro, nei quali sembra che la strategia della politica economica sia nelle mani di una Compagnia di giro. Il ministro del Tesoro ha recentemente suggerito la politica dello struzzo (honni soit qui mal y pense) proponendo di "staccare" (sic!) i televisori per contrastare il catastrofismo delle notizie economiche.

Sostanzialmente si sono sovrapposte, con sfasamenti temporali - che danno una rappresentazione di immagini in movimento, come in un famoso dipinto di un pittore futurista - tre onde di tsunami: quella finanziaria, quella produttiva, quella occupazionale. La prima è in reflusso. Sembrano finiti i fallimenti bancari; rialza il capo la speculazione; appare qualche sintomo di ripresa del ciclo delle materie prime. La seconda - come ha chiaramente evidenziato Emma Marcegaglia nel suo intervento al convegno dei Giovani Industriali a Santa Margherita Ligure - è ancora in corso. E' vero che il crollo di grandi aziende è per ora scongiurato, anche negli Stati Uniti, attraverso "bancarotte pilotate" (alla moda di Alitalia, per spiegarci: traduzione in termini finanziari, a spese dei creditori, del motto partenopeo "chi ha avuto ha avuto......"). Ma, sempre secondo la Marcegaglia, non sappiamo quante piccole e medie imprese sopravviveranno fino all'autunno.

La crisi occupazionale non si è ancora manifestata appieno, anche perchè l'Istat ci fornisce i dati con uno stupefacente ritardo di oltre 3 mesi. E' vero che gli effetti sul potere d'acquisto sono stati tamponati dalla cassa integrazione e che la scadenza dei termini di queste provvidenze può essere prorogata. E' però praticamente sicuro che, soprattutto se la ripresa assumerà la forma ad L (da noi ipotizzata) o a W (come ritiene Nouriel Roubini, e cioè lievi increspature su un fondo piatto) la disoccupazione tenderà a crescere fino a dicembre inoltrato e rimarrà elevata per alcuni anni. Infatti il darwinismo economico, tipico delle crisi globali e prolungate, lascia sopravvivere prevalentemente le imprese meno fragili, che per lo più hanno un più basso coefficiente lavoro/prodotto. I segnali di ripresa in alcuni settori e/o aziende sono dunque perfettamente compatibili con l'aggravamento della crisi in altri.

Proprio perchè il ciclo finanziario è cominciato prima, un pericolo potenziale può manifestarsi quando gli altri due cicli non sono ancora totalmente esauriti. E' il pericolo della stagflazione: fenomeno di forzata convivenza di stagnazione e inflazione (un cenno all'ipotesi di spunti inflazionistici è stato fatto di recente dal FMI).

Come si ricorderà la crisi nacque da un rigonfiamento delle bolle finanziarie, insufflate da derivati e subprime: la cosiddetta economia di carta. Questa economia era sorretta da un formidabile accrescimento della  "quasi moneta" e cioè dei titoli creditizi e finanziari. Essa non ha prodotto iperinflazione perché prevalentemente impiegata nella speculazione immobiliare, ma ha generato violente oscillazioni sul mercato delle materie prime.

Per fronteggiare la crisi tutti i paesi, ma in primo luogo gli Stati Uniti, hanno immesso sul mercato enormi quantità di moneta legale e di liquidità di origine pubblica. Fintantoché tali flussi servono a compensare lo sgonfiamento del soufflé della quasi-moneta l'impatto inflazionistico risulterà quasi nullo. Ma quando cominceranno a spuntare i primi germogli della ripresa, la tentazione di costruire su un'allargata piattaforma di moneta legale una nuova piramide del credito sarà fortissima, nonostante l'occhiuto controllo delle Banche centrali. I disavanzi pubblici, aggravati dalle cadute di gettito conseguenti ai fallimenti, alla contrazione produttiva ed occupazionale e - in alcuni paesi, fra cui il nostro - da un'accresciuta tolleranza verso l'evasione fiscale all'insegna del motto "anche i ricchi piangono", può generare un'inflazione da bilancio pubblico sovrapponibile a quella precedente. Frattanto sta rialzando la testa la speculazione sulle materie prime; le quotazioni petrolifere sembrano guidare la danza. Appaiono, dunque, sintomi dell'affacciarsi di inflazione importata.

Se un'ondata inflazionistica dovesse manifestarsi prima della completa ripresa della capacità produttiva (ai livelli pre-crisi, ma con una struttura merceologica diversa ed un livello occupazionale minore) avremmo un caso "di scuola" di stagflazione. Essa colpirà più severamente le economie più deboli e meno governabili. Quali potrebbero essere, in tale deprecabile eventualità, le prospettive dell'economia italiana?

Essa è stata sinora caratterizzata dalla più volte lamentata assenza di una politica economica organica e sistematicamente perseguita. Le tentazioni di cesarismo vanno di pari passo con le mosse estemporanee di singoli ministri, con provvedimenti contradditori e con una quasi totale perdita di controllo delle chiavi principali della finanza pubblica. Sembrano correre in totale indipendenza fra loro, come nella famosa corsa di Ben Hur, quattro filoni di politica economica e monetaria: quello della Banca d'Italia che, per motivi istituzionali, non può discostarsi molto dalle direttive della BCE; quello delle banche, che tendono a salvaguardare, anche con una rinnovata attenzione alla qualità dei mutui, i propri bilanci futuri, dopo aver nascosto sotto il tappeto la spazzatura dei titoli tossici; le grandi imprese, che conducono una loro politica economica proiettata verso orizzonti globali e multinazionali; le camarille di corte (nell'esatto significato del termine spagnolo coniato per descrivere l'entourage di Filippo II) ognuna delle quali - quasi mai coordinata con le altre - persegue un proprio cammino, seguito da una lunga fila di clientes. Assistono a questa gara a perdere, quasi in qualità di spettatori paganti, i sindacati e le piccole imprese.

Non desta stupore che nella situazione qui descritta le scelte appaiano miopi e contradditorie. Il tutto infiorettato da dichiarazioni ufficiali nelle innumerevoli conferenze stampa, che dovrebbero segnare le pietre miliari delle tappe operative del governo (se le chiacchiere fossero farina il prezzo del pane sarebbe già sceso sotto zero) che per il loro infantilismo economico lasciano non perplessi, ma sbalorditi. Valga qualche esempio.

Una ministra rossocrinita, in un attacco di esaltazione finanziaria, afferma che in un quadriennio la quota del turismo sul Pil passerà dal 10 al 20%. Ciò potrebbe significare o che il settore turistico rimane immutato di fronte ad una violenta discesa del Pil o che si raddoppia la forza lavoro composta da camerieri (come è forse nei desideri non tanto reconditi del presidente del Consiglio). Dalla stessa presidenza del Consiglio apprendiamo che nei prossimi 18 mesi il Piano casa mobiliterà risorse entro una forchetta (che sembra, per la verità, un forcone) da 30 a 100 miliardi di euro, e cioè dal 2 al 7% del Pil. Giunge di rincalzo il ministro dell'Economia il quale, considerando la crisi dietro le spalle (è facilissimo: basta  voltarsi) ritiene che l'Italia ne uscirà rafforzata, perchè è la seconda potenza manifatturiera europea, dopo la Germania. Lasciamo all'On. Tremonti la responsabilità di queste statistiche e il chiarimento del modo in cui sono state calcolate.

Sono solo alcuni esempi delle scelte dichiarate che sembrano caratterizzare questa convulsa fase della politica economica italiana. Ci viene alla memoria il caso dei circhi equestri di metà '800, quando il clown richiamava l'attenzione del pubblico con il famoso "venghino, signori, più gente entra e più bestie si vedono".

Le scelte concrete sono state, per così dire, coerenti nella loro incoerenza. Citiamo alla rinfusa Robin Tax, forse aumentata ma forse no, la social card, i 35 euro al mese per certe categorie di disoccupati precari, gli incentivi agli acquisti di automobili, gli inviti a consumare rivolti a disoccupati e pensionati massacrati dal fiscal drag, la scelta di tende al posto di roulottes per far vivere agli anziani terremotati le emozioni dello scoutismo giovanile, la geniale idea di far svolgere il G8 in un'area terremotata pervasa da sciame sismico (se l'esempio farà scuola, il prossimo G8 si terrà sull'orlo di un vulcano attivo).

Al di là di questi fuochi artificiali che non meravigliano la mansueta opinione pubblica italiana, ma la più attenta platea internazionale, dovrebbe rimanere valida la dichiarazione secondo la quale "una finanziaria blindata ha messo sotto controllo per tre anni i conti pubblici". Ne conseguirebbe la considerazione che l'Italia dovrebbe avere, all'affacciarsi di una stagflazione, la protezione di un ampio scudo di finanza pubblica.

Non è così. Lo scudo è di carta velina (ogni riferimento a cose o persone realmente esistite è puramente casuale). La frenetica rotazione delle poste contabili (da FAS a Expo 2015, da Piano casa a grandi opere, da terremoto Abruzzo a cassa integrazione e magari di nuovo a FAS) è un gioco degli specchi che non inganna più neppure i mitissimi commentatori dei grandi giornali, dove scrivono gli incensatori del potere. Inoltre pescare nel pozzo di San Patrizio del FAS fa perdere (cosa che i dotti commentatori fingono di ignorare) dal 40 al 60% in più delle somme stornate dagli obiettivi comunitari, perchè la quota a carico della UE va perduta. Il gettito cala con ritmi imprevisti. I dati del primo quadrimestre segnano una diminuzione di 4 miliardi di euro; è probabile che a fine anno saranno 15. Nel frattempo si sta attuando la revisione degli studi di settore; può darsi, quindi, che quei ristoratori romani che già figuravano con un reddito annuo inferiore a quello di un precario part-time, vengano iscritti d'ufficio alle mense della Caritas diocesana.

Affermare che la polititica finanziaria pubblica è sotto controllo è un penoso eufemismo. L'intera struttura dei conti pubblici traballa. A costo di essere accusati di catastrofismo, possiamo prevedere, a fine anno, un fabbisogno di 90/95 miliardi di euro (compresi gli interessi sul debito pubblico, se rimanessero stabili). Del resto il primo anno di governo del premier più amato dagli italiani e del "nostro genio della finanza" (definizione di Tremonti secondo la vulgata di Arcore) ha già regalato all'Italia un aumento di 87 miliardi di debito pubblico (dati Bankitalia).

Se anche il sistema bancario obbedirà ai pressanti inviti di aprire i cordoni della borsa, la base monetaria tenderà ad ampliarsi, sotto la pressione del disavanzo pubblico. Generato non da un disegno globale, ma per il sommarsi episodico di flussi di spesa, che vanno dai salvataggi degli Scapagnini di turno, al proliferare di consulenze innovative e di appalti non coordinati, al finanziamento delle ronde, ai 100.000 euro al giorno per far vedere al mondo come si pulisce Palermo in nove giorni, dopo averla sporcata in 9 anni di governo.

Quando dalla girandola di promesse - ai padani, ai campani, ai sardi, ai siciliani, ai disoccupati, alla guerra afghana - si passerà alle fasi dell'impegno (chiacchiere) a quella dello stanziamento (scrittura contabile) per giungere a quella dell'erogazione (cassa o soldi veri, come chiede la Marcegaglia) il Re sarà nudo. Il gioco delle 3 carte non funziona quando si scoprono tutte e tre. Questo sarà il brumoso autunno del Patriarca.

Stretta nella tenaglia tra un rigore proclamato, ma non realizzato, soprattutto nei confronti degli amici, e la incapacità di governare i flussi di spesa e la politica tributaria, l'Italia affronterebbe l'uragano dell'inflazione (alimentato da base monetaria, ciclo delle materie prime e debito pubblico) in una situazione di perdurante stagnazione con un ombrello senza stecche.
 

P.S.

Il CdM ha approvato il 26 giugno un complesso di provvedimenti, come sempre disparati e disomogenei, sotto il pomposo titolo di Decreto anticrisi.

L'entità complessiva degli stanziamenti è di 2 miliardi di euro, cifra pari all'1,3 per mille del Pil e a un trentasettesimo della diminuzione di reddito che si prevede per quest'anno. Si ipotizza peraltro una mirabile innovazione, con una geometria a copertura variabile, con un emendamento di origine parlamentare che, introducendo uno scudo fiscale (e cioè un condono per i capitali illegalmente esportati con evasione di imposte) garantirebbe ulteriori entrate per 3 miliardi di euro. Se così accadesse, i capi della malavita festeggerebbero a champagne, perchè avrebbero trovato il modo più semplice per sbianchettare capitali illegali, mentre gli evasori per così dire "puliti" non avrebbero alcun incentivo a rimpatriare.

I singoli provvedimenti appaiono in chiaroscuro. Bene, ma limitata al 50%, la detassazione degli utili reinvestiti (ne beneficieranno, com'è ovvio, le aziende che già vanno meglio), come pure l'ampliamento delle provvidenze a favore dei cassinteggrati e il parziale rimedio al flop della social card. Il bonus per le aziende che "rinunciano a licenziare" o "riassumono cassintegrati" offre il destro a truffe organizzate (speriamo bene). La riduzione delle tariffe energetiche e le timide liberalizzarioni del mercato elettrico erano scontate e di efficacia limitata.

Non potevano mancare gli interventi singolari, destinati più alle reti TV che a scopi operativi. Ne ricordiamo tre. La geniale idea di dare una somma cumulativa ai cassintegrati perchè "si mettano in proprio" in piena crisi economica, così da poter perdere contemporaneamente il posto di lavoro e la cassa integrazione; la decisione di accelerare i rimborsi dei crediti delle aziende verso la PA (ma perchè serviva un decreto, se non per trasformare un obbligo in graziosa concessione - grazie, papi!). Viene il dubbio che gli impegni con le imprese fossero senza copertura. Infine, vengono rimborsati rispettivamente al 70 e 50% del valore nominale dei titoli gli obbligazionisti e azionisti Alitalia: il che consiste, per la quota restante, nel "mettere le mani nelle tasche degli italiani". Ultime, dolenti note: rinvio ulteriore della class action e dell'abolizione degli enti inutili.

(22/06/2009)

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