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Analisi (semiseria) del voto

Sebastiano Isaia

Mi fanno scompisciare dal ridere tutti quegli insulsi sinistrorsi che in queste ore di sgomento e di dolore post-elettorale («Hanno vinto due buffoni!») stanno cercando di dimostrare ai «grillini in buona fede» che Grillo e Casaleggio, «due ricchi sessantenni provenienti dalle industrie dell’entertainment e del marketing» (Wu Ming), non intendono in alcun modo porsi alla testa di un processo rivoluzionario anticapitalista, né di un movimento di protesta sociale autenticamente progressista, se non proprio rivoluzionario. È ora che la base del M 5 S capisca che i «due guru miliardari» hanno ricevuto dagli oscuri poteri della conservazione l’incarico di sabotare una possibile soluzione rivoluzionaria della crisi italiana. Nientemeno!

«Nonostante le apparenze e le retoriche rivoluzionarie … il movimento 5 stelle ha difeso il sistema … Noi crediamo che negli ultimi anni Grillo, nolente o volente, abbia garantito la tenuta del sistema» (Wu Ming, Internazionale, 26 febbraio 2013). Domanda nient’affatto pignola: a quale rivoluzione, ancorché apparente e retorica, si allude?  A quale sistema si fa riferimento?

«In questo Paese abbiamo messo all’ordine del giorno la legalità». «Da oggi non mi vergogno più di essere un italiano». «L’onestà andrà di moda». «Noi appoggeremo tutte le buone proposte, da qualunque parte esse arriveranno. Il nostro è un movimento che non ha nulla a che fare con le vecchie ideologie: per noi destra e sinistra pari sono.

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nazione indiana

Non la rivoluzione, ma forse qualcosa di rivoluzionario…

di Andrea Inglese

Non so se in questa campagna Bersani, Vendola o addirittura Ingroia abbiano detto qualcosa di sinistra. Mi sono reso conto, però, anche se tardi, che Grillo ha fatto qualcosa di rivoluzionario. Ognuno ha il suo dio delle giustificazioni, in ogni caso il 2,2% di Ingroia la dice lunga sulla stagione della politica fatta dai magistrati, e la dice lunga anche su quel che resta di Rifondazione Comunista e sulla sua attuale capacità di aggregazione dei movimenti. Con tutto il rispetto di quei magistrati che sono in perpetua lotta contro la metastasi del sistema italiano, non basterà il loro lavoro per venirne fuori. E non solo per i limiti del legalismo democratico, ma per i limiti intrinseci del metodo: una classe dirigente disastrosa non si rinnova con la moltiplicazione delle perquisizioni. Da tangentopoli si gioca a guardie e ladri senza che il tasso di corruzione e di collusione con la criminalità organizzata sia mai davvero declinato.

Grillo ha fatto qualcosa di rivoluzionario. E lo ha fatto senza bisogno di spaccare le vetrine, ma facendo diventare il Movimento 5 Stelle il primo partito italiano. Vendola, d’un tratto, è sembrato ieri sera rendersene conto, che Grillo era, in fondo, dalla sua parte. È stato come rompere un tabù: lui è dei nostri, fa le battaglie che condividiamo, è di sinistra in fondo. Rottura di tabù fuori tempo massimo?

Ma il problema non è solo di Vendola, o dei rintronatissimi dirigenti del PD, ma è pure mio, di molti amici, di molti compagni, che hanno ritenuto Grillo un fenomeno irrilevante dal punto di vista politico, o in ogni caso un fenomeno puramente sintomatico. (O ancora, un esempio di controrivoluzione, come lo vedono i Wu Ming. Ma sul loro giudizio tornerò alla fine.)

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Le alternative del dopo voto

di Alfonso Gianni

Dopo il non esito del voto di domenica e lunedì, si pongono diverse alternative cui bisognerebbe rispondere in modo netto.

La prima. I mitici e famigerati mercati non hanno gradito. La Borsa di Milano chiude con meno quattro, ma anche le altre capitali europee viaggiano con il segno meno. E’ tutta l’Europa che traballa, e non potrebbe essere diverso date le premesse.

Contrariamente al leit motiv di Bersani, noi non siamo la Grecia quanto a impatto sullo scenario europeo. Lo spread rimbalza a 340, 50 punti in più, pari ad un aggravio di costo per lo Stato di circa 1,5 mld su base annua. Il quadro macroeconomico non è buono, ma pensare che esso sia solo il frutto della instabilità politica italiana significa vivere in un mondo virtuale e non avere mai capito le dinamiche di fondo di questa crisi economica epocale.

Quindi o si dà retta ai mercati o si dà retta alla esigenza di democrazia. Questa è la prima scelta da fare. Se si dovesse scegliere la prima strada, si andrebbe incontro a soluzioni che tutte più o meno portano a grandi coalizioni e alla rimessa in campo della destra di Berlusconi, visto che i numeri al Senato mandano in fumo l’ipotesi su cui il centrosinistra si era fin qui basato in caso di insufficienza - al di là delle punture di spillo in campagna elettorale - ovvero l’alleanza con Monti.

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Quello che ci conferma questa tornata elettorale

di Militant

Un risultato schizofrenico: l’Italia ha attraversato la crisi e affrontato i sacrifici imposti dalle misure di risanamento con più compostezza, con meno proteste e tensioni sociali degli altri paesi europei. Poi, al momento di votare, ecco che il paese che era considerato tra i più europeisti, premia un movimento anti-UE come quello di Grillo e la coalizione di Berlusconi, sotto l’effetto di impulsi populisti e di ostilità nei confronti di Bruxelles”.  Firmato: Charlie Kupchan, politologo statunitense del Council on Foreign Relations.

Iniziamo da queste parole, lette oggi sul Corriere della Sera, che da sole confermano tutto ciò che andiamo dicendo da anni, che abbiamo detto il giorno stesso delle elezioni, e che la cosiddetta “sinistra radicale” continua a non capire, chiudendosi nel suo ostinato quanto sprezzante tentativo di aggirare la realtà provando a chiedere un voto basato sul nulla. Voto che ne ha decretato l’ulteriore scomparsa da qualsiasi orizzonte politico. Un accanimento terapeutico, questo, a cui avremmo tutti il dovere di porre fine con una significativa eutanasia per impossibilità di rianimazione.

L’assenza di qualsiasi organizzazione politica che sappia stare nelle lotte sociali produce assenza di conflitto politico. Le varie forme di conflittualità che emergono rimangono infatti ferme allo stadio vertenziale, prive di qualsiasi prospettiva che possa incidere sui meccanismi del potere.

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La pelle del giaguaro

Augusto Illuminati

È finita che poi il giaguaro non l’hanno smacchiato e neppure il grillo parlante è stato schiacciato contro il muro. A Bersani le metafore riescono male e comunque non portano fortuna. L’abuso che lui e i suoi competitori ne hanno fatto nell’orrenda campagna elettorale era nefasto presagio della distrazione rispetto alla realtà che ci sta portando al disastro tutti – anche chi non li ha votati per residua razionalità o istintivo ribrezzo. Dunque, è finita, secondo previsione, con un verdetto di ingovernabilità, certo dovuto al Porcellum, ma che rispecchia la vischiosità di una società invecchiata e disperata, che continua a credere alla favole o si attarda nelle giaculatorie dell’usato sicuro e del voto “utile” senza affrontare le sfide poste dalla crisi economica e dal fallimento di un certo welfare e della logica rappresentativa che ne era l’ombra democratica.

Si è conclusa con scarti minimi fra i due maggiori contendenti, entrambi in regresso rispetto al 2008, e vistose incongruenze fra voto popolare e distribuzione dei seggi, su cui fioriranno contestazioni e recriminazioni.

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Grillo, i movimenti, e i palazzi papali

di Pino Cabras

Due ottuagenari potenti e fiacchi si aggirano in queste ore in due sontuose regge di Roma, entrambe a lungo abitate dai papi. Uno è proprio il Papa, benché solo per poche ore ancora. L’altro è il Presidente della Repubblica, con qualche ora di carica in più. Sono svigoriti, perché quel che volevano tenere fuori dalle loro stanze sfarzose rientra invece con ancora più energia, e travolge le loro inutili e senili prudenze conservatrici. Joseph Ratzinger fin da ora ha preso atto della sproporzione di forze con la Storia: esce già di scena, ci pensino altri, e via il mal di testa. Giorgio Napolitano invece l’emicrania se la deve tenere tutta: un parlamento ingovernabile, un sistema politico formato da partiti troppo forti per permettere agli altri di governare, e troppo deboli per governare da soli, mentre il primo partito gli è alieno. È stato lui a portare dentro la reggia uno dei minori economisti della storia, per poi nominarlo senatore a vita, per fargli quindi governare malissimo una nazione, e per vederlo infine sconfitto miserevolmente, dopo una campagna elettorale disastrosa: Mario Monti, l’uomo che per mostrarsi empatico agli elettori affittava un cagnolino da esibire in favore di telecamera. Eccoli sconfitti, il robot e il cane. Gli sconfitti d’altronde non si contano, in queste elezioni, dentro e fuori il perimetro del Quirinale.

Pierluigi Bersani, ad esempio, non aveva proprio speranza. Solo il codazzo di incapaci che ancora si agita nel sottobosco mediatico intorno al PD poteva pensare che vincesse con una certa larghezza.

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Cedimento strutturale

di Marco Revelli

Bipolarismo addio

Doveva essere un terremoto. E lo è stato. Da questa tornata elettorale il sistema politico italiano esce a pezzi. E non solo perché l'outsider assoluto, il cane in chiesa di tutta la politica professionale - il teorico del «partito non-partito» -, balza al centro della scena politica per eccellenza. Né soltanto perché, per effetto di una legge elettorale scellerata, Camera e Senato si contraddicono a vicenda, mandando in cortocircuito il nostro bicameralismo simmetrico. E producendo l'unica cosa che tutti avrebbero voluto evitare: l'ingovernabilità.

Ma anche perché è la struttura stessa del nostro assetto istituzionale che subisce un cedimento strutturale. Sono i suoi «fondamentali» a sgretolarsi, tanto che è assai più facile dire che cosa finisca che non che cosa nasca o anche solo si annunci.

Finisce sicuramente la cosiddetta Seconda Repubblica. Quella in cui due schieramenti, di volta in volta identificati da una persona - di cui da una parte Berlusconi rappresentava la costante e dall'altra si ruotava - monopolizzavano il campo, e mimavano una sorta di alternanza. Ora il meccanismo si è rotto: la platea dei competitor si è ampliata con una presenza inaspettata, e l'impossibilità di alternarsi si conclude in una caduta libera. Finisce così anche il bizzarro bipolarismo maggioritario e più o meno egemonico, che era stato teorizzato nel 2008 (ricordate Veltroni?) e che si era già schiantato nel novembre del 2011, col «governo del Presidente».

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Grillo e i movimenti

Continuità rimosse e preoccupanti contiguità

di Lorenzo Zamponi

Il consenso raccolto da Beppe Grillo e dal suo Movimento 5 Stelle alle elezioni comunali della scorsa primavera e poi alle regionali in Sicilia, ora atteso alla prova delle politiche, ha generato una serie di interessanti analisi, concentrate su diversi aspetti della galassia grillina. Abbiamo già segnalato "Un Grillo qualunque", di Giuliano Santoro (di cui ospitammo un'anticipazione nel primo numero dei Quaderni Corsari), ed è ora appena uscito (chi scrive non l'ha ancora letto, quindi per ora lo consigliamo sulla fiducia) "L'armata di Grillo", di Matteo Pucciarelli. Analisi interessanti e condivisibili, nonché portatrici di un punto di vista inevitabilmente critico nei confronti del Movimento 5 Stelle, sia per i suoi aspetti di populismo digitale, intimamente connessi ai meccanismi della politica-spettacolo di cui Silvio Berlusconi è stato il massimo inteprete negli ultimi 20 anni, sia per le dinamiche interne tutt'altro che democratiche.

Resta però, un nodo rimosso, su cui a sinistra non ci sta interrogando abbastanza, tanto che notizie come questa, con il celebre attivista No Tav Alberto Perino che annuncia pubblicamente il proprio voto al Movimento 5 Stelle, vengono accolte da un silenzio che è metà stupore e metà alzata di spalle. Fondamentalmente, facciamo gli gnorri, nella speranza che nessuno se ne accorga. Eppure il nodo esiste: ci sono innegabili elementi di continuità e di contiguità tra la proposta politica del Movimento 5 Stelle e il portato delle mobilitazioni sociali degli ultimi anni.

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Grillo in Val Susa

di Raffaele Sciortino

Difficile dire se la piazza stracolma di Susa, giovedì scorso, sia stato più un appuntamento di massa del movimento No Tav o una delle numerose e partecipate tappe del giro elettorale di Beppe Grillo. Certo, a differenza delle altre, questa è stata un incontro tra due realtà, diciamo così, ben note l’una all’altra. Nessun “andiamo a vedere” cosa offre – nella desolazione generale di questa tornata elettorale – il comico, da parte di individui isolati che in piazza scoprono poi con gioia di non essere proprio pochi e anzi di nutrire una passione forse condivisibile. Ma anche ben consapevole, Grillo, di rivolgersi a un soggetto collettivo, eterogeneo e collettivo, al quale il M5S deve molto della sua spinta ideale, molto del suo attuale se puede.

Nulla di nuovo, dunque? Non proprio. Grillo ha chiesto alla piazza No Tav di ascoltarlo questa volta su di una proposta sua e di affrontare insieme -con il peso che il movimento ha saputo acquisire in questi anni- un passaggio politico a scala nazionale. Più che i singoli elementi di un programma ancora poco lineare, importa il cuore della proposta grillina: farsi comunità di cittadini per sbaraccare chi si sta letteralmente mangiando e svendendo il paese. Un discorso dunque di “potere”.

In termini di mobilitazione prevalentemente elettorale, certo, ma almeno per ora senza compromessi. Senza le mani in pasta nel “sistema”, quello oramai strettamente intrecciato dei partiti, tutti, e della finanza.

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politicaecon

L’Agenda rossa

Note sul programma del centro-sinistra*

Sergio Cesaratto

“L'Agenda Fassina non è scritta da nessuna parte, mentre da tempo il PD
ha la sua che è in rete e tutto sommato non è così diversa da quella del premier”.

Massimo Mucchetti, Corriere della sera, 31 dicembre 2012.

Un progetto per la società italiana da sottoporre agli elettori non si misura a numero di pagine, come nella patetica esperienza delle 252 pagine del programma dell’Unione guidata da Prodi nel 2006, ma in una chiara ispirazione di fondo sul dove si intenda guidare la società italiana. Si vota, credo, fondamentalmente su temi economici - che tipo di economia desideriamo - e diritti civili – quali relazioni sociali desideriamo. Con buona pace di tanti bei discorsi, la drammaticità della crisi rende l’economia prioritaria. Inoltre, diciamocelo chiaramente, il secondo tema non pone tanto sfide intellettuali, quanto piuttosto indignazione nell’incontrare pregiudizi e intolleranze. Una sinistra pigra intellettualmente – il che è una scelta politica – fa però talvolta dei secondi il terreno privilegiato, dimenticando che una società in cui sono assicurati i diritti sociali, lavoro e reddito, fa da base a un’evoluzione positiva in senso libertario.

La sinistra si confronta con il disegno di Monti, il quale ha certamente una visione di fondo per l’economia italiana che è poi quella tradizionale della borghesia liberale italiana (su cui si veda Fernando Vianello, Lo sviluppo capitalistico italiano dal dopoguerra al «miracolo economico»: una veduta di insieme, in Il profitto e il potere, Torino 1979). Tale disegno è stato perseguito in maniera cialtronesca da Berlusconi - a cui le classi dominanti italiane si sono affidate per un ventennio, sostituendo il coagulo di consenso popolare rappresentato dalla DC con quello televisivo del Cavaliere (che ora gli è però sfuggito di controllo). E’ con questo disegno che la sinistra si deve confrontare.[1]


Il disegno della borghesia italiana


Le classi dominanti italiane muovono dalla tradizionale constatazione che il paese è privo di materie prime e risorse naturali esportabili, è tecnologicamente di seconda linea e soffre di eccesso di manodopera (nonostante il calo demografico ampiamente compensato, peraltro, da un’ampia tolleranza verso i flussi migratori, altro cavallo di battaglia della sinistra nostrale).

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I vent'anni del Neoriformismo

Paolo Favilli

Non è quantitativa la differenza tra riforismo "debole" e riformismo "forte". Si tratta di scegliere tra normalizzazione della democrazia e critica dell'economia politica

La campagna elettorale in atto è dominata dagli «equilibrismi della mistificazione», dalla «fraudolenza retorica», da un meccanismo accelerato di distruzione della lingua, la risorsa profonda del legame sociale (P.P. Portinaro, la Repubblica 3 febbraio). È del tutto illusorio, quindi, pensare che le dichiarazioni fatte dalla grande maggioranza degli uomini politici in questa contingenza possano modificare lineamenti di fondo, iscritti nelle logiche di più lungo periodo. Ad esempio, non ha niente di realistico credere che in seguito alle polemiche della campagna elettorale, i corposi incroci, nei fatti, delle agende di Monti e di Bersani, finiranno per scomparire nella nuvola della retorica funzionale al breve respiro delle tattiche di posizionamento. Quanto aderenti, invece, all'immanenza dei percorsi già sedimentati i molti contributi che il manifesto ha sempre continuato a pubblicare (Gianni, Pizzuti ed altri) sui processi della trasformazione economica, della trasformazione sociale. Contributi fortemente ancorati alla «realtà effettuale» tramite analisi ed argomentazione sulle «cose» e non sulle «parole». Non è, forse, il momento migliore per porre l'accento sulle questioni che la politica deve affrontare in combinazioni temporali assai più complesse. Tuttavia bisogna sforzarsi di ragionare anche sugli incroci dei tempi brevi e dei tempi lunghi, sul senso che assume in questo presente il nostro venire «da lontano». Nella prospettiva della costruzione/ricostruzione di una sinistra che si ponga davvero come «erede della storia del movimento operaio» i risultati delle prossime elezioni avranno certamente un peso. Saranno in grado di rallentare o accelerare un percorso.

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A proposito di una polemica diventata personale che potrebbe essere invece un’occasione importante di dibattito per un partito come il Pd e per noi, diciamo, di sinistra

di Christian Raimo

Probabilmente l’avete seguita questa notizia. C’è una ragazza, una donna diciamo pure, di 36 anni, Chiara Di Domenico, che viene invitata sul palco di un’iniziativa del Pd a parlare per otto minuti della sua condizione di lavoro: una precaria dell’editoria (come oggi sintetizzano tutti i giornali). In un climax dell’intervento, che trovate qui per esempio, Chiara cita un’altra ragazza, o donna, Giulia Ichino, 34 anni, senior editor della narrativa italiana di Mondadori, figlia del giuslavorista Pietro, che al contrario di molti suoi coetanei precari, iperflessibili, forse per quel cognome passe-partout, insinua Chiara, è riuscita a farsi assumere da Mondadori a soli 23 anni. La replica di Giulia Ichino arriva in una nota in cui lei sostanzialmente cerca di sfuggire alla polemica, ma si limita a ricordare semplicemente che tutto quello che è riuscita a raggiungere nel suo lavoro l’ha fatto con i suoi mezzi e grazie ai propri meriti: forse è stata fortunata un po’, sicuramente non raccomandata, dice.

Il giorno dopo la storia crea, come è facile immaginare, reazioni a tutto campo, fazioni che si mescolano. Solidarietà a Di Domenico, solidarietà a Ichino. Lodi al Pd (poche, a dire il vero), critiche al Pd (molte a dire il vero, da Luca Sofri a Gianni Riotta a Pierluigi Battista a Antonio Polito a Riccardo Luna sull’Huffington Post – giornale che aveva dato rilievo alla vicenda per primo – a Linkiesta, etc… ).


Ora, quello che mi piacerebbe fare con questo post è una piccola mossa del cavallo, evitando di entrare nella falsa contrapposizione precaria-raccomandata, invidiosa-meritevole,

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La “Grillonomics”*

Analisi del programma economico del MoVimento 5 Stelle

di Vladimiro Giacché

Il Movimento 5 Stelle sarà un protagonista a tutti gli effetti della vita politica del nostro paese. Ecco perché le sue proposte vanno ‘prese sul serio’ ed esaminate con lo stesso rigore che si applica a quelle degli altri partiti. Purtroppo il programma della forza guidata da Beppe Grillo è spesso estremamente impreciso e vago, sopratutto in tema di economia. Ecco quel che dice, e sopratutto quel che non dice, la Grillonomics

Nell’affrontare il programma economico del Movimento 5 Stelle è opportuno preliminarmente sgombrare il campo da possibili equivoci. Uno su tutti: chi scrive non appartiene al novero di chi ritiene il Movimento fondato da Beppe Grillo un pericoloso movimento eversivo con il quale non ha senso dialogare e le cui proposte non possono essere neppure prese in considerazione [...] considererò il programma di Grillo come si fa (o si dovrebbe fare) col programma di ogni partito o movimento: discutendo nel merito di quello che propone. [...] il Movimento 5 Stelle il programma ce l’ha. Anzi, ne ha due. L’uno, più articolato, è un documento di 15 pagine scaricabile dal blog di Beppe Grillo. L’altro, molto più sintetico e consistente in 16 punti, è stato proposto (e rilanciato dagli organi d’informazione) il 27 dicembre 2012, in una sorta di risposta alla cosiddetta Agenda Monti. Purtroppo, i due programmi non si sovrappongono perfettamente (in ciascuno dei due sono trattati anche temi non presenti nell’altro), e questo complica un po’ le cose.

In ogni caso procederò come segue: partirò dal programma economico che si può ricavare dai 16 punti, per poi verificarne più approfonditamente i contenuti con l’aiuto del documento programmatico vero e proprio.

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Come riformare il capitalismo

di Lanfranco Turci

Nel suo libro “Ripensando il capitalismo. La crisi economica e il futuro della sinistra” Salvatore Biasco ricostruisce i cambiamenti indotti dalla globalizzazione e dal primato della finanza nei rapporti fra economia e democrazia. E propone una nuova agenda per la sinistra: dal socialismo al comunitarismo.  ►In calce una replica di Salvatore Biasco

Già nel 2009 con il suo libro “Per una sinistra pensante” Salvatore Biasco aveva messo in discussione, con il pregio di una critica che nasceva dall’interno, la cultura politica del PD e, in particolare, la curvatura neoliberale che essa era andata assumendo attraverso i vari passaggi successivi alla fine del Pci e l’incontro con la sinistra democristiana e ulivista. La tesi principale del libro, sostenuta in una discussione ravvicinata con il libro del 2007 di Michele Salvati (“Il partito democratico per la rivoluzione liberale”), era che rigore, concorrenza, merito e uguaglianza delle opportunità fossero principi non solo insufficienti a mobilitare il popolo della sinistra, ma anche inadeguati a garantire sviluppo e coesione sociale. Il libro ebbe una certa risonanza perché usciva mentre già si facevano sentire gli effetti della grande crisi scoppiata nel 2008, che non potevano non rimettere in discussione teorie e scelte politiche assunte acriticamente negli anni precedenti dal Washington consensus e cristallizzate nell’impianto istituzionale ed economico dell’Unione Europea.

A tre anni di distanza Salvatore Biasco ritorna sugli stessi temi con più respiro e sistematicità nel suo nuovo libro “Ripensando il capitalismo. La crisi economica e il futuro della sinistra” (Luiss university press editore).

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quote rosse

Intervista a Vladimiro Giacché

di Bruno Settis e Francesco Marchesi

Incontriamo Vladimiro Giacché il 2 febbraio a Pisa, dove è venuto a partecipare all’Assemblea pubblica di Rivoluzione Civile che si è tenuta al CEP, in quanto membro del direttivo dei Comunisti Italiani e candidato alla Camera in Toscana. Di formazione filosofica (alla Scuola Normale) e tradizione comunista (il secondo nome è Ilio), ha lavorato nel settore finanziario pubblico e privato. Negli ultimi anni Vladimiro è emerso in Italia come un penetrante commentatore della crisi, intrecciando la critica dell’ideologia (La fabbrica del falso, DeriveApprodi, seconda ed. 2011) con quella delle politiche economiche (oltre all’attività giornalistica su Il Fatto Quotidiano, Pubblico e altrove,Titanic Europa. La crisi che non ci hanno raccontato, Aliberti, seconda ed. 2013). Insomma, con il contributo che Vladimiro fornisce all’elaborazione delle linee di proposte economiche della lista di Rivoluzione Civile (di cui abbiamo già discusso, e torneremo a discutere, in altri articoli), ci ricorda che nella società civile ci sono anche i comunisti. E, infine ma non ultimo, è sempre garantita una chiacchierata piacevole.


Qual è la posizione di Rivoluzione Civile in merito alla crisi del Monte dei Paschi di Siena, in relazione, in particolare, al problema dell’infiltrazione delle banche da parte della politica, da molti considerata la causa scatenante di questa crisi?


Noi riteniamo che l’infiltrazione dei partiti in una economia, si suppone, sana non sia l’origine del crack di MPS. Pensiamo invece che questa affondi le sue radici nel periodo della massiccia privatizzazione del sistema bancario italiano: all’inizio degli anni ’90 il 73% delle banche italiane era controllato dallo stato, mentre alla fine del decennio questa percentuale risultava esattamente dello 0%.