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mondocane

A proposito di autonomie: La Lega chiama Radetzky, i 5 Stelle si arrendono?

di Fulvio Grimaldi

E’ di nuovo molto lungo, ma riguarda tutti noi, oggi più di tutto il resto. Mi aspetto reazioni dall’indispettito al feroce. Ben vengano. Musica di sottofondo per questo testo 

cinque giornate 600x600Ragazzi dell’800 e del 900

Qui si fa l'Italia o si muore
Patria o muerte

La prima frase la disse a Nino Bixio Giuseppe Garibaldi a Calatafimi, il 15 maggio 1860, e promise alla Camicie Rosse la conquista di Roma e la fine del potere temporale del papa. La seconda fu la conclusione di Ernesto Che Guevara al più memorabile discorso mai pronunciato alle Nazioni unite, l’11 dicembre 1964. Qualcuno, oggi come oggi, giudicherà questi motti retorici, ma a me vanno bene. In questo caso, la retorica esprime il massimo di determinazione della parte più nobile di un popolo. In altri casi è demagogia nutrita di ipocrisia.

Nel caso di Garibaldi e del Che, davano voce alla volontà di masse in Europa e in altri continenti di avviare un processo che abolisse forme di dominio imposte da fuori, tiranniche e predatorie, e raggiungesse l’unità, repubblicana, laica, democratica. Volontà generata da un immaginario collettivo, nato da aspirazioni antiche, lingua, comunanza di storia, territorio, forza, progetto, sconfitte e vittorie. Tutte cose oggi, inusitatamente, stupefacentemente, dissennatamente, messe a repentaglio da una dinamica regressiva che sembra invocare gli ectoplasmi dei Gonzaga, Sforza, Medici, D’Este, Borboni, dogi.

Scrive Massimo Villone, in un’ennesima denuncia della tragedia che inconsapevoli e delinquenti stanno approntando: “Può un paese dare di matto? Si, e nessuno può imporre un trattamento sanitario obbligatorio. Il solo medico abilitato a somministrare il trattamento risolutivo è il popolo sovrano”. Quando dice “paese”, Villone chiaramente si riferisce ai suoi dirigenti e a chi, nell’ombra, li manovra perché spingano il paese verso la sega circolare. Che farà il popolo sovrano, dopo aver faticato e sofferto per comporre arti separati in organismo vivente, alla vista della sua dispersione in particelle senz’anima e senza nome? Vorrà accettare, stella o pianeta, di frantumarsi in pulviscolo cosmico?

Matteo Renzi, noto per l’assoluta trasparenza delle intenzioni e l’onestà dell’eloquio, da eterno emulo del padre della patria di Arcore, attribuisce ai giudici che hanno pizzicato papà e mamma l’intento di sviare dallo scempio morale dei pentastellati che si sono opposti al processo Salvini. A me pare che, intenzione o non intenzione, sia la rivelazione delle malefatte della sacra famiglia di Rignano, sia lo scomposto baccano intorno al voto pro-Salvini (schiamazzi di iene che si sono sempre premurate di salvare dal giudizio ladroni, pendagli da forca, manutengoli di boss), abbiano prodotto di peggio: la scomparsa dalla scena della tragedia dell’Italia col cappio al collo e la pira sotto ai piedi.

 

Fiducia nelle magistrature? Ma decchè!

Non mi appassiona per niente il melodramma che i nemici della componente 5 Stelle nel governo stanno, con toni da giudizio universale, mettendo in scena per demonizzare “il tradimento” della loro identità anti-privilegi, pro-legge uguale per tutti. D’un tratto, chi aveva inveito contro la faziosità dei giudici, di una parte o dell’altra a seconda di chi inveiva, assegna alla magistratura una sacralità profetica. Quelli di Catania che, contro l’archiviazione di due istanze precedenti, hanno voluto processare Salvini, meritano la massima fiducia. Mica come quei venduti che ti arrestano i genitori dell’ex-premier, o ti condannano la mummia di Arcore per un oceano di corruzione! Io, su quelli di Catania, la fiducia me la riservo e anche su tanti altri. Penso ai così benevoli atteggiamenti della Procura di Roma verso il sindaco di Roma. Per me Salvini andrebbe scagliato in qualche girone dantesco per moltissimi motivi, ma non per aver evidenziato il bluff degli eurocrati e i ricatti dei trafficanti della tratta. Chi ha, sul discutibile blog Rousseau, ha votato no al processo non era il popolo bue che non conosce le carte, come sentenziano duchi e contesse. Forse non voleva mandare a sbattere un governo che, venissero gli altri, sarebbe da rimpiangere. Ma ha capito che non necessariamente quelli di Catania e della Aquarius avevano più ragione di Salvini. E io lo rispetto. Anche se, comunque, avrei votato sì. L’immunità tolta ai parlamentari sarebbe sacrosanta se avessimo un sistema giudiziario a prova di Borsellino.

 

Quando una lingua battezza un paese

Per quanto gliene può importare, se non perché sono segni d’amore, dedico questo pezzo a chi per la prima volta, dicendo Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti”, nel 960 testimoniò, in un processo a Capua, in lingua italiana, aprendo la via a padre Dante, Petrarca, Leonardo, Giordano Bruno, Leopardi, Manzoni, al Guicciardini che, per primo, dando forma a una visione comune, scrisse una “Storia d’Italia”. Tanto da confondere chi insiste a dire che questo paese non è che “l’espressione geografica” servita a fare succedere torme di invasori e invasi, un artifizio retorico fantasticato, nel Risorgimento, da pochi esaltati, antipapisti e, quindi, già antiglobalisti persi. La frase esatta del cancelliere di Cecco Peppe, von Metternich, fu:

La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle.

Per cui ci mandò il maresciallo Radetzki a far capire alla Giovane Italia di Garibaldi e Mazzini, ma anche del Leopardi che di un unico popolo aveva delineato caratteri e usanze, che non esistendo un’Italia politica, e nemmeno storica, la globalizzazione imperiale ne faceva provincia di imperi e regni vari. Dal che si vede che mica l’hanno inventata adesso, l’intento di globalizzare il dominio: è nella natura dei sovrani – ieri principi, tutti imparentati, oggi banchieri, tutti associati – di provarci.

Da Dante e dalla sua commedia divinamente umana a Giuseppe Fenoglio, da me amatissimo combattente e narratore partigiano, da Giotto ai futuristi, da Monteverdi a Verdi, un flusso ininterrotto di maestri dell’umanità, italiani prima che umbri, toscani, emiliani, o siciliani, un flusso possente quanto nessun altro di contributi alla bellezza e all’intelligenza umana. L’Italia l’hanno fatta loro, come quelli della Repubblica Romana, più che i sabaudi che speravano di inserirsi nell’ancien regime e, non tanto di Italia sapevano, quanto di un grande Piemonte. Quando, in questo contesto parlo di Garibaldi, dall’America Latina alla Comune di Parigi impegnato per popoli e libertà, c’è sempre quel Pierino che salta su a glorificare la civiltà borbonica, quelli della “prima ferrovia”, a denunciare il “tradimento di Teano”, la massoneria (altra cosa allora) e a richiamare le sofferenze inflitte dai garibaldini e poi piemontesi alle genti del Sud. Vero, ma…..

 

Garibaldi o Radetzky? Risorgimento o feudalesimo?

Si renda conto che se annulla il Risorgimento, si torna al feudalesimo, ai servi della gleba e ai poteri assoluti. Se togli di mezzo Garibaldi, arriva il maresciallo Radetzky che, non parlando l’italiano, con te comunica come nella battaglia di Curtatone, dove massacrò centinaia di studenti toscani venuti a combattere per l'indipendenza, come quando vinse per fame e colera la Repubblica veneziana del 1849 e, Governatore generale del Lombardo Veneto, fece eseguire mille condanne a morte di patrioti e diede l'ordine di bastonare in pubblico e di saccheggiare le case di chi era sospettato di aver simpatizzato con i primi moti del Risorgimento.

Sofferenze vere, ma non si passa per la famosa cruna dell’ago senza scorticarsi e la rivoluzione non può essere un pranzo di gala. La storia, una volontà espressa da un’immensità di uomini e che ha fatto saltare le incrostazioni del dominio dispotico e abusivo di secoli, dai risorgimenti nazionali alle guerre di liberazione anticoloniali ancora in corso, questo ha voluto. E a chi mi obietta che l’Italia unita, indifferente alle masse che non leggevano Leopardi, interessava solo a un pugno di congiurati borghesi, rispondo con la grande antropologa Margaret Mead: “Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini pensanti e impegnati possano cambiare il mondo. In effetti è così che è sempre

successo”. Erano borghesi come i capi di tutte le rivoluzioni e, se non altro, siamogli grati per aver costruito la nazione che è il quadro nel quale si è potuta sviluppare la lotta di classe, formarsi una classe operaia, organizzarsi un proletariato, spazio di manovra imprescindibile anche oggi per la lotta dei dominati ai dominanti. Non certo la UE.

Con riferimento a un mio articolo che parlava degli esuli giuliani e ne compiangeva la tragedia, che fosse determinata da anticomunismo, o solo da patriottismo, un cretino è arrivato a prendersela con l’Italia intera: “Questo paese è veramente una fogna, è inutile che vi fate belli con i "bei tempi che furono", da Dante a D'Annunzio. Dunque chi si muove e commuove per il suo paese “si fa inutilmente bello con…” Il che implica che con Dante e D’Annunzio non ci si fa belli, dunque brutti. Il che coincide con un paese che “è veramente una fogna”.

 

Gramsci, i Mille e Marinetti

Poi ci sono, perlopiù nella sinistra che si ritiene ortodossa e rigorosamente transnazionale, per la quale la sola parola “nazione” è matrice di disgusti e orrori al fondo dei quali non c’è più distinzione tra patriottismo e fascismo, sinistri il cui sport preferito è di abbattere qualsiasi figura che nell’immaginario collettivo abbia assunto la forma di modello, cioè di eccellenza della creatività collettiva, ma non risponda ai propri schemini. Si parte da Garibaldi, si passa per Pirandello e si finisce, per esempio, al futurista Marinetti. La risposta gliela facciamo dare, grazie al suggerimento di un amico, da uno dei nostri patrioti più grandi:

“A Mosca, durante il II Congresso, il compagno Lunaciarsky ha detto, in un suo discorso ai delegati italiani…. che in Italia esiste un intellettuale rivoluzionario e che egli è Filippo Tommaso Marinetti. I filistei del movimento operaio sono oltremodo scandalizzati; è certo ormai che alle ingiurie di: «bergsoniani, volontaristi, pragmatisti, spiritualisti», si aggiungerà l’ingiuria piú sanguinosa di «futuristi! Marinettiani»!

Poiché una tale sorte ci attende, vediamo di elevarci fino all’autocoscienza di questa nuova nostra posizione intellettuale”. (Antonio Gramsci, L’Ordine Nuovo, 5 gennaio 1921, I, n. 5.

Gramsci, peraltro, con la cui interpretazione della Spedizione dei Mille come “rivoluzione-restaurazione”, fenomeno gattopardesco, si può anche concordare, se se ne osserva l’esito imposto dai sabaudi e anche certe impure complicità siciliane ed esterne durante la “dittatura” di Garibaldi. Ombre robuste che hanno lasciato il segno nella memoria e nella diffidenza di quelle genti, ma che devono rispondere al quesito: si sarebbe arrivati altrimenti a un’Italia unita e, infine, repubblicana? Sarebbe stato meglio di no? Forse il quesito è lezioso. La Storia ha già risposto. E anche Gramsci, consideratosi patriota dell’Italia.

Collaborare a ricostruire il mondo economicamente in modo unitario è nella tradizione del popolo italiano e della storia italiana, non per dominarlo egemonicamente e per appropriarsi il frutto del lavoro altrui, ma per esistere e svilupparsi appunto come popolo italiano: si può dimostrare che Cesare è all’origine di questa tradizione. (Antonio Gramsci, Quaderno 19(X)

 

La conquista dell’identità. Una parentesi personale.

Ci tengo all’Italia e odio i cialtroni che, ignorandone le radici e quindi il maestoso tronco ferito e fiorito, non hanno idea di chi sono, da dove vengono e si affidano ad altri per dove andare. Vivono, come detta lo spirito del mercato, in un presente perpetuo che della vita non ha né la nascita né la morte, quindi non il passato, quindi non il futuro. Sarà perché, cresciuto in dimensioni e luoghi multicromatici, grazie a una formazione bilingue, a genitori e un Dna in cui si mescolano Campania, Piemonte, Savoia (quando era Piemonte), Westfalia, Ile de France, che abbarbicarsi a una precisa identità mi è costato molto e mi ha fatto “molto italiano”

Scherzi dei movimenti tellurici della prima metà del secolo scorso mi hanno fatto coincidere con i tempi di Pirandello e Mussolini, ma anche di Thomas Mann e Adolf Hitler. Quattro anni di guerra, quattro dall’infanzia verso l’adolescenza, li ho dovuti passare forzatamente in Germania, condividendo fame, bombe e subendo disprezzo perché italiano. I compagni di scuola, dopo l’8 settembre 1943, mi urlavano dietro “Badoglio”, io reagivo e si finiva a botte. Di solito le prendevo perché, due anni avanti nelle medie, ero più piccolo (italianità offesa). Nel 1946 ci hanno rimpatriato. E a scuola, dato che venivo da lì e avevo assunto un accento tedesco, mi irridevano come “nazi” o “tedesco” (italianità negata). Storia patetica? Storia di una schizofrenia indotta? Forse, ma anche storia di solitudini che dovevano incontrare una collettività. La scelta era, prima ancora che tra “barbari” e latini, tra bipolarismo cosmopolità e identità. A quel punto cercata con accanimento: l’Italia. E per misteriose vie che si può arrivare a sposarsi con il proprio paese.

Della liberazione di questo paese tengo appeso un dipinto di Carlo Adamollo: la breccia di Porta Pia, 20 settembre 1970, quando i bersaglieri sfondarono le mura e posero fine allo Stato della Chiesa e, in quelle temperie felicemente anticlericali, alla tirannia della religione del papa. Non fu la fine della dittatura monoteista e la restaurazione della pluralità classica. Ma fu una rivincita, dopo un millennio e mezzo, di quanto negli italiani, etruschi, campani, liguri, siculi, restava di pagano, di immaginifico, di pluralista, di tollerante. Molto, al di là delle formule e dentro i riti. Uno stop, anche se sfortunatamente temporaneo, a una storia orribilmente cruenta di dogmi assoluti a cui piegare ogni pensiero e sentimento, a rischio altrimenti di finire esiliato, torturato, ucciso, i libri proibiti bruciati trionfalmente nei roghi, ogni pensiero che incrinasse la dittatura della superstizione bollato di eresia. Una catastrofe, un crimine contro l’umanità: dalla luce alle tenebre. Pensiero unico che, anche oggi, torna a essere lo strumento del dominio. Fosse solo anche per la breccia, ci sarebbe da essere fieri di appartenere a quella storia.

 

E le (cinque) stelle stanno a guardare

Si rendono conto i 5 Stelle che, ora, questo mio paese di nascita ed elezione lo vogliono fare a pezzi, come si squarta un bue. Filetto, controfiletto e costata ai signori del Nord, lombata, girello e fesa al Centro, coratella e frattaglie al resto. Alle regioni dei Formigoni, Maroni, Fontana, Galan, Zaia Bresso, Cota, Chiamparino, Bonaccini, Bersani (quello delle liberalizzazioni), Errani, (quello del terremoto), del TAV, Mose, di Seveso e del Po-fogna, dei capannoni come stecchi Shanghai, del concentrato di perforazioni e depositi di gas in terre sismo-genetiche, della sanità privata in gloria e di quella pubblica a ramengo, della ’ndrangheta padrona di territorio e affari, dell’oscena Citylife milanese, dei sindaci che vanno in processione a Cutrò, capitale dei boss, di tutto un personale politico attinto da angiporti e sottoboschi affaristici …. a queste regioni toccherà l’educazione dei nostri figli.

Si immaginano i parlamentari 5 Stelle cosa questi comitati d’affari faranno col cemento e con i mattoni al nostro suolo? Cosa rimarrà di pubblico tra questi crociati delle privatizzazioni, predatrici di beni comuni, dei diritti dei lavoratori tra questi sodali della Confindustria, del nostro ecosistema tra questi ossessi del fossile e delle trivelle e del business dei rifiuti, di cui hanno governato, insieme a ogni sorta di malavita, l’intossicazione delle terre proprie e altrui, dell’equità solidaristica contro le sperequazioni che deturpano la nazione? Si fanno un idea, i 5Stelle, di cosa sarà una nostra politica estera che amoreggia con i rapinatori di terre ed eliminazione di popoli in Medioriente e corre ad abbracciare golpisti servi di guerrafondai? E, alla resa di tutti i conti, cosa ne sarà delle stelle che facevano risplendere le colonne portanti del progetto 5Stelle: uguaglianza, sovranità, autodeterminazione, ambiente, beni comuni, acqua, democrazia diretta

Assisteranno passivi a una spaventosa regressione nel tribalismo esclusivo e parossisticamente egoistico, giustamente chiamato la “secessione dei ricchi”, definitivo spegnimento della luce di quelle stelle? Si affideranno a un altro feldmaresciallo Radetzky, gendarme del nuovo sacro impero, neanche più nominalmente romano, ma franco-germanico, che utilizzi la marca dell’Italia settentrionale per imperversare sul Sud e su altri meridioni, a cui sottrarre forza lavoro, risorse umane e materiali, e su cui affidare il controllo di territori alla maniera di ‘ndrangheta e mafia nigeriana?

 

Avvinta come l’edera (pianta che soffoca gli alberi)

La mala pianta che si è attorcigliata intorno al sano tronco cresciuto alla luce di 5 stelle non è che l’ultimo atto. A frantumare questa madre, insieme alla Grecia e agli arabi, della civiltà ci avevano provato assolutismi imperiali ed ecclesiastici, gli Usa con Salvatore Giuliano e Cosa Nostra, gli inventori a Ventotene di un’Europa immune dalle volontà popolari, i tal Barroso, Juncker, Moscovici, con tattiche di stroncamento del welfare, dei diritti sociali, di ogni autosufficienza produttiva, industriale e agricola, di ogni libera scelta nel dialogo con altri membri della Famiglia Umana.

Il paradosso è che qui abbiamo un volgare demagogo che non ha combinato nulla, solo chiacchiere e distintivo, come si dice. E che, però, è riuscito ad oscurare quel poco e molto che i soci di governo hanno invece concretamente fatto, pur tra omissioni, ritardi e cedimenti. Non c’è da illudersi di qualche scudisciata mediatica impartita a Salvini. Gli arriva in quanto socio dei 5 Stelle. Per il resto, lo sanno, è uno dei loro: Tav, Tap, trivelle, Guaidò, Netaniahu, Grandi Opere, prescrizione, discorsi a vanvera. E ha il grandissimo merito di mangiarsi, boccone dopo boccone, la più grande forza antisistema apparsa nel nostro paese dopo quella che era stata, o era sembrata, il PCI e poi il ’68.

 

Praterie

Destra e sinistra sono termini desueti, più che altro perché il primo è stato privato di senso dai suoi portatori. Ma destra e sinistra continuano a dividersi la società, da quando si è formata. Si rendono conto che in quella che si definisce la parte dei padroni, appunto la destra, ci stanno proprio tutti? Tutti con l’UE, tutti atlantici, tutti con il neoliberismo, tutti a sparare cazzate su tutti i media, tutti però anche in agonia o catalessi: PD, FI, FdI, LEU, +Europa, il neopartito dei vescovi, più gli inani borbottoni nella sedicente sinistra delle pippe. Quella che non è riuscita nemmeno a mettere in piedi un flash mob in difesa del Venezuela. E allora come fanno a non capire che lo spazio aperto è dall’altra parte, chiamatela come volete, anche sinistra. E che lì si estendono praterie sconfinate? Del resto, è dal sole che le stelle hanno ricevuto la luce. Che tornino a brillare su un paese unito.

Ma il coraggio di vivere, quello, ancora non c'è.

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