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La valigia di Berlusconi

Augusto Illuminati

il berlusconi rosso ed il vendola bluAbbiamo fatto il tifo per Obama? Certo. Siamo entusiasti dei risultati? No. Neppure molti americani radicals. Però quella campagna elettorale, dove confluirono poteri forti e mobilitazione generazionale, soldi pesanti di varia e sospetta origine e raccolta fondi sul web, disegnò un modello innovativo dentro (solo in parte contro) la macchina elettorale consueta e sconvolse gli equilibri politici. La gestione simultanea e conflittuale di quegli effetti e della crisi –gestione che ancora non si è assestata– è la storia contemporanea degli Usa. E avrebbero torto quegli elementi radicali, antagonistici americani che avessero voluto restarne fuori, anticipando con sussiego le difficoltà, i compromessi, le marce indietro rispetto al programma che l’insolito candidato avrebbe poi compiuto. Tanto quanto avrebbe avuto torto chi si fosse legato mani e piedi a quei sogni e a quelle promesse. Lo stesso vale per quanti hanno partecipato da spettatori a quella campagna –coinvolti, addirittura vittime potenziali, ma senza possibilità di intervento.

Scendendo a precipizio sul paludoso terreno italiano, che ci facciamo con il nostro piccolo Obama pugliese, la cui candidatura alla testa dell’opposizione è agitata nella prospettiva invero sempre più probabile di un collasso anticipato della legislatura? Badate bene, non di un rinnovo periodico delle istituzioni, ma di una traumatica interruzione di regime di cui la candidatura stessa è insieme effetto e parte integrante. E per interruzione di regime intendiamo due cose: l’implosione del bipolarismo a guida berlusconiana e del finto partito, il PdL, che ne sintetizza il blocco di interessi speculativi e passioni tristi, l’implosione della finta opposizione, il Pd, e con essa del retaggio ormai polarizzante di un lungo travaglio “picista”, cioè del residuale socialismo reale della cosiddetta Prima Repubblica. Poiché una candidatura Vendola è resa possibile solo dal crollo del governo Berlusconi e dalla paralisi di un Pd dilaniato, incapace di esprimere un leader e costretto a sceglierne uno esterno (come già alle regionali in Puglia e nel Lazio), firmando così la propria finale dissoluzione. La particolarità di questa situazione (e politica si fa solo con e dentro situazioni particolari, congiunture irripetibili) sta nel fatto che il terremoto investe nello stesso tempo entrambi i poli dello schieramento, destabilizzando la macchina del potere e facendo saltare la gabbia in cui finora una pseudo-opposizione aveva imprigionato o assorbito ogni forma di resistenza.

Certo, mettiamo le mani avanti, non è una situazione paradisiaca. Primo, tutto ciò non avviene a causa di un impetuoso movimento dal basso, ma sotto i colpi devastanti della crisi, che sappiamo bene produrre anche paura, passività, xenofobia, domanda di autorità. Secondo, è assolutamente possibile che allo sfascio del sistema berlusconiano cerchino di porre riparo dei poteri forti, con soluzioni centriste a guida Tremonti-Fini-Casini (in tal caso il Cln andrebbe da Maroni a Bersani); superfluo aggiungere che in tale caso gli Usa si prenderebbero una bella testa di ponte in un’Europa a pezzi e si vendicherebbero dei giri di walzer berlusconiani con Putin e Gheddafi, gasdotti alternativi e barzellette di Bertolaso sui Clinton. Terzo, nell’operazione contro Bersani e D’Alema (che oggettivamente non può che favorire una candidatura Vendola) è entrato a piedi uniti Carlo De Benedetti, con le anticipazioni sul Fatto e sul Corriere del suo libro-intervista con Guzzanti padre di imminente uscita. Una sponsorizzazione corposa e poco beneaugurante, visti i precedenti. Tuttavia e in complesso uno scenario ben diverso, tanto per fare un esempio, dal ruolo nefasto per i movimenti che svolsero Bertinotti e Rifondazione come appendice dell’Ulivo prodiano e dei Ds prima dalemiani poi veltroniani. Con un Berlusconi allora in ascesa, mentre oggi prepara la valigia.

L’elemento comune a tutti gli scenari è quello stesso che li ha determinati: la crisi. Su una cosa sono d’accordo Lega e Casini, Berlusconi (il più riluttante, perché rinunciare alla riduzione delle tasse è la campana a morto per la sua demagogia) e il gruppo dirigente e autodissolvente del Pd, che già si diffonde in dichiarazione di “responsabilità”, per riflesso inveterato e per evitare il ritorno alle urne. Sono d’accordo sulla macelleria sociale per contenere il disavanzo di bilancio e aderire alla politica suicida dell’Europa (monetarismo e blocco dello sviluppo). Una finanziaria lacrime e sangue, ufficialmente smentita fino all’altroieri, oggi è prevista per giugno. L’annuncia Calderoli (come già aveva fatto per le riforme costituzionali, di cui un tempo tutti discutevano con ridicola serietà), nel silenzio agghiacciato di tutti gli altri. Blocco delle pensioni, del turnover e dei contratti nel pubblico impiego. Estensione al settore privato dell’età minima di pensione per le donne. Tagli agli investimenti produttivi, ai fondi per l’Università e agli ammortizzatori sociali. Imposizione fiscale crescente, soprattutto a livello locale, condoni edilizi a uso Anemone.

Qui, allora, si costruisce l’opposizione, contro questo progetto vanno elaborati elementi di programma che vadano a sostanziare l’operazione politica di rottura dello schema bipolare, qui i movimenti possono ricongiungersi e condizionare (con tasso variabile di illusioni) nuove candidature. E tre elementi da agitare balzano già in primo piano: l’abbandono di una cieca politica di contenimento del deficit mediante compressione di salari già al di sotto della media europea e consumi in caduta libera, una strategia organica di reddito di cittadinanza, il taglio per ragioni economiche oltre che politiche e perfino “etiche” del soccorso italiano all’avventura (perdente) di Obama in Afghanistan e ai profitti del narcotrafficante Karzai. Mica è la rivoluzione: i capitalisti avveduti investono in ricerca ed energie rinnovabili e una politica economica espansiva la praticano già gli Usa, molto più indebitati di noi. Altri Stati si stanno tirando fuori dal pantano afghano. Non c’è paese europeo che non adotti forme spurie di reddito garantito più efficaci e universali della nostra cassa integrazione per una minoranza di garantiti. Però è il minimo per sostanziare un’innovazione procedurale (le primarie, il candidato esterno alle correnti) con una mobilitazione di massa. Senza di cui il competitore più plausibile sarebbe schiacciato da una destra pur malridotta. Il contrasto alla disoccupazione dilagante soprattutto fra i giovani e i lavoratori cosiddetti “autonomi” e la vertenza su ricerca, scuola e università saranno le prime pietre di paragone.

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