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la citta futura

Lo spettro del governo tecnico

di Renato Caputo

Di fronte al fallimento del populismo renziano i poteri forti spingono per un governo tecnico, necessario per consentire al paese di essere fra gli stati guida in un’Europa a due velocità

governo burattiniI poteri forti europei, dinanzi alle intemperanze populiste di Renzi – che lo hanno portato a cavalcare demagogicamente la contrarietà, ormai generalizzata nei ceti popolari, alle misure liberiste imposte dalla Ue – sembrano ormai decisi a puntare su un nuovo cavallo. Gentiloni, anche per le sue origini aristocratiche, ha abbandonato le riserve renziane a seguire senza ritrosie le politiche di austerity imposte dalla troika. Anche perché, coperto a sinistra dai fuoriusciti del Pd, che gli hanno giurato fedeltà, e a destra da Berlusconi, gli unici rischi reali li corre a causa della volontà di Renzi di andare al più presto alle urne, prima che i poteri forti e gli elettori dei ceti medio-bassi lo abbandonino.

Tale ipotesi è però considerata troppo rischiosa dai poteri forti italiani ed europei per il rischio di un ulteriore avanzamento di forze ancora più populiste come quelle grilline e, dunque, preferiscono puntare, con Schäuble in prima fila, sull’affidabilità del governo Gentiloni, che sembra incarnare quel governo sostanzialmente tecnico, invocato da “The Economist” nel momento in cui si comprese che il plebiscito chiesto da Renzi il 4 dicembre non avrebbe avuto successo. Tanto più che a una soluzione “tecnica” dell’attuale crisi politica ha detto di puntare lo stesso “grande” vecchio che trama per ritessere le fila di un nuovo centrosinistra, dal momento che D’Alema ha auspicato una compagine governativa che abbia il governo Ciampi come punto di riferimento.

Così l’Europa a due velocità – precedentemente usata come arma di ricatto per un’Italia che appariva troppo restia a fare i compiti imposti dalla Troika – diviene adesso uno strumento per blandire il governo Gentiloni, convincendolo a riprendere le misure antipopolari che Renzi avrebbe voluto sospendere in funzione di giocarsi l’ultimo asso nella manica, ovvero le elezioni anticipate. A questo punto le armi di ricatto utilizzate da Renzi per costringere l’attuale governo a operare unicamente in funzione delle prossime elezioni appaiono spuntate.

Gentiloni ha mangiato la foglia e si è affrettato a sottolineare che “le riforme – in Italia – non solo non si sono fermate ma non hanno minimamente rallentato il loro percorso”. Il governo appare sempre più deciso a realizzare le misure antipopolari pretese dalle istituzioni di Bruxelles il mese scorso, per vincere la ritrosia di Renzi. Da questo punto di vista il governo Gentiloni mira a rafforzare la propria credibilità dinanzi ai poteri forti, con la proposta di un ulteriore pesante taglio di circa 6 miliardi alla spesa pubblica. Per recuperare il necessario calo dei consumi dei ceti medio-bassi, che renderebbe ancora più complessa la prospettiva di una pur pallida ripresa economica, il governo non ha trovato di meglio che rendere operativa la Flat-Tax, funzionale a spingere i ricchi evasori, in difficoltà per la Brexit, a trovare in Italia un paradiso fiscale sostitutivo.

Per far accettare tali politiche impopolari Gentiloni ha dato ad intendere che, in tal modo, l’Italia sarà accolta nella serie A dell’Europa a due velocità, che dovrebbe essere inaugurata proprio a Roma il 25 marzo. “È vero che in passato c’è stato un dibattito sull’Europa a due velocità in cui l’Italia poteva essere a rischio della serie B. Ma oggi – ha affermato il presidente – l’Italia è tra i promotori di questa impostazione”.

Dinanzi al crescere delle forze antieuropeiste i vertici dell’Ue intendono, in modo gattopardesco, sfruttare il “nuovo inizio” che sarebbe garantito dall’Europa a due velocità, facendo sì che tutto sembri cambiare affinché nulla cambi realmente. A cambiare saranno, infatti, i tempi necessari per raggiungere la medesima mèta, ossia il compimento della restaurazione liberista in atto da oltre trent’anni, rivolta a far saltare il precedente compromesso liberaldemocratico, reso necessario dallo sviluppo di prospettive socialiste.

Saranno promosse in serie A quelle nazioni impegnate a eseguire pedissequamente le misure della restaurazione liberista, imposta dalle regole alla base dell’Ue. Chi non sarà capace di tale diligenza sarà rimandato fra le nazioni di serie B, sino a quando non sarà in grado di stare al passo delle nazioni più diligenti.

Quindi, la mancata inclusione nel gruppo di testa non comporta la possibilità di recuperare politiche liberaldemocratiche mediante le quali governi eletti a suffragio universale saranno nuovamente liberi di scegliere quali misure di politica economica adottare, beninteso senza mettere in discussione gli attuali rapporti di produzione. A scanso di equivoci il documento finale dell’ultimo Consiglio europeo sancisce che: “Il programma di riforme posto in essere dall’Ue e dai suoi Stati membri a seguito della crisi del 2008 sta dando risultati”, devono dunque “essere proseguite le riforme strutturali volte a modernizzare le nostre economie e occorre rafforzare le finanze pubbliche”. Conosciamo bene i risultati prodotti da tale programma, ovvero sfruttare la crisi generata dagli attuali rapporti di produzione per ristrutturare la produzione e distruggere capitali e merci sovraprodotte, addossandone le spese ai subalterni.

Dunque, i paesi non sufficientemente diligenti non potranno sfruttare l’occasione per fare politiche economiche anche leggermente diverse, ovvero adottare misure keynesiane, a meno che non siano volte unicamente a rafforzare ulteriormente l’apparato industriale-militare quale migliore argine alla democrazia. Assoggettati al patto di stabilità, con elevati debiti pubblici che li espongono al ricatto della speculazione finanziaria, tali Stati non potranno sottrarsi in nessun modo al rigorismo liberista – che implica il taglio delle spese sociali – nemmeno con politiche fiscali maggiormente espansive. Essendosi assoggettati al Trattato capestro di Maastricht, rimarranno soggetti alla totale indipendenza e libertà di azione della Bce, alla quale hanno sacrificato qualsiasi forma di sovranità monetaria. In tal modo saranno indotti a proseguire senza indugi nella restaurazione liberista dalla possibilità che ha la Banca centrale europea di fargli perdere i benefici della politica monetaria ordinaria e straordinaria come il Quantitative easing, senza poter sopperire a tali perdite, dal momento che le norme di Maastricht obbligano i membri degli organi decisionali e le stesse banche centrali nazionali a non poter recepire le indicazioni provenienti da governi e parlamenti, sebbene siano stati “democraticamente” eletti.

Tali misure antidemocratiche e antipopolari, indispensabili per continuare a far parte dei protagonisti a livello europeo della restaurazione liberista, rischiano evidentemente di favorire le forze che si oppongono all’Ue. Purtroppo fra di esse prevalgono le forze reazionarie, populiste di destra, in quanto la maggioranza delle forze di sinistra ha finito con il confondere l’internazionalismo con l’eurocentrismo. Ciò ha convinto ancora di più il governo a contendere i voti che si stanno spostando verso l’opposizione di destra all’Ue, in mancanza di una credibile opposizione di sinistra, portando avanti politiche che dovrebbero togliere il terreno sotto i piedi alla destra. In realtà tali politiche, se nell’immediato consentono di trattenere qualche elettore tentato di votare a destra, alla lunga favoriscono lo spostarsi a destra, con l’intero arco politico, dello stesso senso comune.

Fra tali misure, che rendono sempre più irresistibile il ritorno del fascismo, spicca il decreto immigrazione, a firma, oltre che del ministro degli interni, dell’astro nascente del nuovo centro-sinistra – volto ad addolcire con un pizzico di rivoluzione passiva la restaurazione liberista – ossia il ministro della giustizia Orlando. Il decreto, con il consueto gattopardismo, elimina i famigerati Cie per moltiplicarli da 6 a 20 ribattezzandoli Cpr, aumentandone la capienza da 700 a duemila detenuti.

Inoltre, pur di accelerare le espulsioni, si calpesta la stessa eguaglianza giuridica, riducendo per i richiedenti asilo i gradi di giudizio a due e ponendo, come arbitro del loro destino, un giudice monocratico che sentenzierà senza né appello né contraddittorio, basandosi sulle sole registrazioni dei colloqui con la commissione che ha respinto la domanda di asilo.

A tali misure forcaiole si aggiunge il decreto sicurezza che pare ispirato, come ha osservato il presidente di Magistratura democratica, “alla logica di un’inquietante amministrazione locale della paura”. In effetti il decreto, lungi dall’individuare e rimuovere le cause dell’esclusione sociale, “lega la sicurezza al decoro”, mirando a non urtare la buona coscienza dei benpensanti con la vista di marginalità e povertà. La strada seguita dal governo per recuperare voti a destra è, dunque, quella di reprimere gli immigrati e, più in generale, i marginali ed esclusi. Così nel decreto sicurezza “si prevedono e auspicano sanzioni contro accattoni, prostitute (…), tossicodipendenti, si eleva il decoro a norma, si interviene sulle misure di prevenzione e si riduce la libertà di movimento delle persone, nonostante tutte le agenzie ufficiali (governo compreso) dicano che i reati ‘di strada’ siano in calo netto negli ultimi anni” [1].

Il decreto sicurezza, quindi, pone nelle mani del sindaco il potere di intervenire sulla libertà di circolazione delle persone con allontanamenti e divieti, e prevede, fra l’altro, il Daspo per i writers. Al contrario, invece, quando il sindaco di Napoli prova a vietare l’utilizzo di uno spazio comunale per non avallare il comizio di uno dei peggiori istigatori alla xenofobia, lo stesso ministro dell’interno non si fa scrupoli ad adottare norme varate per le emergenze assolute. Tutto ciò dimostra che, alla base di tali politiche securitarie, per di più ideologiche e generalmente inefficaci, vi sia “una politica più incentrata sulla ricerca di misure ad effetto per il cosiddetto diritto alla sicurezza che non sulla sicurezza dei diritti di tutti” [2].


Note
[1] Punire i poveri, la scelta populista del Pd, di Patrizio Gonnella, in “Il Manifesto” del 15 marzo.
[2] “Il decreto Minniti rischia di creare una giustizia per ’cittadini minori’” di Jacopo Rosatelli, in “Il Manifesto” del 15 marzo.
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