Print
Hits: 1230
Print Friendly, PDF & Email

oraequi

I gilets jaunes e la soggettività al tempo della crisi

di Franco Romanò

VERBATIM. Voici toutes les revendications des Gilets jaunesIl documento presentato dai Gilet jaunes alla stampa merita una grande attenzione perché è la prima volta che un movimento di tale ampiezza e consenso sociale arriva alla formulazione di un’agenda politica di rivendicazioni che vanno molto aldilà della causa efficiente che ha dato vita al movimento e cioè le accise sui carburanti le tasse cosiddette ecologiche. L’interesse sta proprio in questa relazione fra una lotta e una piazza reali e non immaginarie, virtuali o di pura opinione e un’agenda politica ampia che nasce nel contesto di quella lotta. Nel merito dei 41 punti presentati due giorni fa in conferenza stampa e che pubblico alla fine di questa riflessione, ognuno potrà farsi una propria idea. Credo sia utile, invece, discutere una questione preliminare e cioè quale tipo di soggetto s’è affacciato improvvisamente nel cuore dell’Europa, con un’azione politica di massa, diffusa e dirompente e circondata dal consenso da parte di un popolo forse meno afflitto di altri da cretinismo legalitario, per ragioni storiche. La questione è prioritaria perché di lotte ne esistono un po’ ovunque in Europa e nel mondo e anche in Italia: dalla nuova ondata mondiale dei movimenti femministi, alle lotte territoriali, dalle fabbriche recuperate e occupate agli scioperi nel settore della logistica e dei riders o a forme più tradizionali di conflitto operaio piuttosto che le mobilitazioni di studenti e insegnanti. In che cosa consiste la diversità del soggetto dei gilet jaunes e anche del tipo di soggettività che si è espresso in Francia in queste quattro settimane? Senz’altro la difficoltà di ricondurlo a categorie certe o almeno note, il che ha messo in crisi un po’ tutti. Lasciamo perdere chi me parla come di un movimento delle classi medie impoverite o addirittura della piccola borghesia e crede con questo di avere chiuso il problema: sono gli stessi che hanno preteso per decenni di sostenere che la lotta di classe era un residuo del passato e poi si scoprono a dare risposte sociologiche classiste del tutto fuorvianti e ridicolmente superficiali.

Ancor peggio chi lo ritiene un movimento nazionalista e di destra e parla di rossobrunismo: qui siamo all’insulto e all’arroganza della sinistra neoliberale progressista. Ma anche chi come Toni Negri ha parlato da sempre di moltitudini, rispetto a questa moltitudine particolare in lotta, rivela nel suo scritto pubblicato da Effimera tutta la difficoltà di un giudizio che tenga conto della sua complessità di movimento.

Vorrei allora tentare un approfondimento diverso partendo da questa lunga citazione, tratta da uno degli interventi a mio avviso più lucidi comparsi in questi giorni e ripreso anche in Sinistra in rete. La sinistra, i "gilet gialli" e la crisi della forma soggetto Note a proposito di un movimento in atto di Clément Homs ripreso dal blog Francosenia e pubblicato anche in sinistra in rete.

… I gilet gialli… esprimono fondamentalmente parte di quella multiforme esperienza negativa derivante dalle sofferenze sociali che il processo della valorizzazione in crisi, e la fine della congiuntura che, nel quadro di un «capitalismo inverso» (Trenkle & Lohoff, 2014), può continuare solo grazie al gonfiaggio del capitale fittizio, infliggono agli individui rimasti intrappolati nella forma soggetto… Se questo obiettivo anti-tasse esprime già una forma di auto-rappresentazione del soggetto moderno adeguata alla «fine della politica» (Robert Kurz) e alla de-nazionalizzazione dello Stato, e costituisce quindi una delle forme di espressione del soggetto di crisi (homo oeconomicuis forever!), cosa che rende anacronistico ogni raffronto fra i gilet gialli e le rivolte fiscali premoderne dal XV al XIX secolo (cosa che invece non sembra capire Gérard Noiriel nel suo testo «Les gilets jaunes et les leçons de l'histoire» [**1], questa faccenda delle tasse è solo la goccia che fa traboccare il vaso di un'esperienza negativa ancora più vasta di quelle che sono le sofferenze sociali inflitte dalla relazione feticista-capitalista in crisi… Se i gilet gialli gridano «mi fanno male la tasse, anziché dire che hanno male dappertutto», non si tratta solo di interessi semplicemente «materialisti» (economici), come la rivendicazione economica di un livello di vita e il tener conto dei limiti di spesa che vengono imposte ai gilet gialli… Questa continua sempre ad essere intesa in termini di «questione sociale» e di «propri interessi» che possono essere risolti attraverso la regolazione statale della riproduzione complessiva della società capitalistica (grazie alla riduzione di una tassa, o all'aumento dello SMIC [Salaire minimum interprofessionnel de croissance] e dei salari)… Ma questo «Aver male dappertutto», questo «ne abbiamo piene le palle», questo «rotti le scatole», questo «stufo marcio generalizzato» da parte di un gilet Giallo intervistato sulla BMF-TV il 17 novembre, significa anche soffrire nella propria «dignità». Ma non si tratta di «dignità» in senso morale trans-storico, come crede Noiriel che riesce a cogliere questo desiderio di dignità e questo disprezzo da parte dei potenti assumendolo solo per mezzo della grossolanità di un concetto superficiale come quello del dominio (dominanti e dominati). È la «dignità» dell'individuo intrappolato nella forma soggetto moderna, quella che si esprime durante il processo di auto-contraddizione interna capitalistica, sempre accompagnato dal suo orientamento soggettivo, la crisi del soggetto moderno che si vede realmente sempre più superfluo nel suo ruolo di «maschera di carattere» (Marx) della riproduzione complessiva del capitalismo…

Rapporto feticistico con la merce, dissolvimento della soggettività fordista e cioè interna allo scontro classico fra capitale e lavoro, alienazione, sono il precipitato di una lunga crisi della soggettività nella quale confluiscono frattali di ogni classe sociale, segmenti diversi, schegge di un modello capitalistico che ha polverizzato le soggettività nell’atomizzazione del soggetto contemporaneo come consumatore. Allora vorrei accostare a questa citazione un’altra celeberrima, fin troppo, ma di cui si è troppe volte ricordata la prima parte senza ricordarne la seconda: è nientemeno che la prima pagina del Manifesto:

La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta.

La rovina comune delle classi in lotta mi sembra oggi una metafora quanto mai calzante per descrivere il tipo di realtà che stiamo vivendo, dove con l’espressione non si deve intendere ovviamente che non esiste più il rapporto fra dominanti e dominati, ma che l’orizzontalità del feticismo della merce e dei rapporti reificati riconduce i soggetti consumatori posti come individui di fronte a quello che Kurz chiamava il soggetto automatico – come viene ripreso nel saggio di Clèment Homs - o anche, se si vuole il pilota automatico della follia capitalistica. Il concetto di alienazione dei soggetti-individui ridiventa così centrale, così come lo era per il giovane Marx. Allora non può stupire che una soggettività come quella espressa dai Gilet jaunes sia una soggettività, spuria, della crisi di un assetto, dentro la crisi medesima: ma perché, gli operai valtellinesi e bergamaschi che hanno in tasca la tessera della Fiom e quella della Lega nord sono forse diversi? Perché a loro non si rivolge l’epiteto di rossobrunismo? Forse perché sembrano più rassicuranti dal momento che stanno all’interno del recinto – anzi della gabbia del sindacato novecentesco - senza che qualcuno si domandi come mai il razzismo e la lotta contro gli ultimi più ultimi come mezzo di falsa sopravvivenza sociale sia penetrato anche nella sinistra. Lo sappiamo tutti che la Lega è anche costola del vecchio Pci, marcita anch’essa dentro il tritacarne neoliberale: e chi è stato se non il compagno Minniti ad avviare le campagne anti migranti e le inchieste su Riace? Le classi, se non le si intendono sociologicamente e astrattamente sono state produttrici di soggettività e culture diverse e conflittuali ma pur sempre culture: se si perde la propria soggettivizzazione (una volta si sarebbe detto coscienza di classe) la dissoluzione e la riduzione ad atomi consumatori le dissolve tutte. Dunque i Gilet juanes sono un soggetto della crisi dentro la crisi, che cerca però di uscirne, rompendo la gabbia dell’isolamento e ponendosi – a giudicare dai 41 punti – non come settoriale ma come portatore di una proposta politica che pur essendo troppo ampia va comunque ascoltata prima di essere giudicata:prima di tutto perché dall’atomizzazione consumista si può uscire solo collettivamente e dunque politicamente e non con istanze di tipo etico e volontaristiche.

Come possiamo rapportare il soggetto Gilet jaune agli altri esistenti? Ci sono delle diversità che vanno messe a fuoco a mio avviso e la prima è che Gilet Juanes non è un soggetto neutro dal punto di vista del genere: la maggioranza è composta da uomini e anche molti punti delle rivendicazioni hanno un’impronta di maschile, pur non essendo però ostili, come vediamo meglio in un secondo tempo, alla possibilità di mutamento che dipenderanno da come si svilupperà la dialettica interna al movimento. Anche questo non stupisce perché riprendendo il discorso di Homs, laddove si sofferma sulla parola dignità, credo che esso colga un dato assai importante sul quale si deve fare qualche riflessione in più. Proseguo allora con il suo discorso:

Questa indegnità, questo disprezzo esercitato nei confronti degli individui, non viene affatto messo in atto, in ultima istanza, come dice Noiriel, dai «dominanti» (in realtà, per Marx, i dominanti sono solo le personificazioni - negli individui - dei rapporti sociali, diventati autonomi, nella loro reiterazione quotidiana; sono degli «ufficiali e sottufficiali» del capitale, sono, come dice Kurz, un'«élite di funzione», sono in questo senso una classe approfittante, ma non dominante in quanto cavalcherebbe quella tigre del «soggetto automatico» che è la relazione del capitale, ma è il risultato del processo stesso di valorizzazione nella sua «contraddizione in processo», ed è quindi il divenire superflui degli individui che tuttavia hanno incorporato, per autodisciplina, le strutture sociali e le esigenze del processo di valorizzazione. Questo «disprezzo dei potenti» è in realtà il disprezzo che riserva loro la metafisica reale capitalista nella sua fase di decomposizione, e che viene esercitata per mezzo delle sue stesse «maschere di carattere», ma che ha già la sua condizione di possibilità nel mondo realmente capovolto che costituisce la forma della vita sociale capitalista.

Ebbene, questa indegnità riservata agli individui, proprio in un’epoca descritta come il massimo dell’individualismo e dell’apparente libertà, è un corto circuito che ha colpito in modo particolare gli uomini. Perché se l’indegnità riservata alle donne, è millenaria e patriarcale e viene dunque prima, la precipitazione nel grande imbuto della dissoluzione delle soggettività fordiste e classiste nei termini novecenteschi, colpisce prima di tutto gli uomini che hanno perso una doppia identità: dentro la casa perché messa in crisi dalla soggettivizzazione delle donne che hanno politicizzato il personale e all’esterno perché, per dirla come lo dicono negli Usa, gli uomini e i padri hanno perso il ruolo sociale di bread winner, cioè di coloro che portavano casa il pane per tutta la famiglia. L’onta di vedere le generazioni dei figli, per la prima volta dopo un secolo, vivere in una condizione più precaria di quella dei padri e dei nonni, se non elaborata dentro un percorso anche personale di ri-soggettivizzazione, diventa un’onta maschile. Gli uomini hanno reagito tardi e male alla messa in crisi del mito patriarcale, eppure anche in movimenti spuri come questo dei gilet jaune, insieme a punti e a pratiche che guardano al passato e che sembrano cascami di vecchie soggettività, ce ne sono di nuove e se si guardano specialmente alcune rivendicazioni, si capisce bene quanta strada hanno fatto certe sensibilità e parole d’ordine. Mi riferisco in particolare a certe proposte salariali che si configurano maggiormente come salario di dignità piuttosto che minimo, più vicino a quel reddito di auto determinazione di cui si parla nella piattaforma di Nonunadimeno in Italia, piuttosto che a vecchie rivendicazioni salariali; ma ancora più nell’attenzione a precari, bambini e anziani che si coglie in alcune proposte precise, così come ad altre proposte in tema di democrazia. Altri punti sono più ambigui, ma questo è ovvio e solo la dialettica interna al movimento e anche la dialettica con le istituzioni e le dinamiche che prenderà lo scontro, tutt’altro che finito dopo le elemosine promesse da Macron, a dirci che direzione prenderà il movimento. La cosa più sbagliata, tuttavia, sarebbe stare alla finestra a guardare e qualcosa di buono per fortuna sta accadendo rispetto a questo accade. Sabato scorso una delegazione di gilet era a Torino alla manifestazione No Tav e oggi a Berlino una grande manifestazione di sostegno: sono embrioni di una rinascita quanto mai necessaria di internazionalismo. Concludo allora citando un breve passaggio di uno scritto del collettivo Luogo comune, che pubblicai tempo fa:

Da Luogo comune: Nella stessa misura con cui il ciclo politico reazionario tenderà a radicalizzarsi, le linee di frattura si approfondiranno. Siamo ora spinti a pensare che questi siano gli unici movimenti sulla scena (si riferiscono all’ondata dei movimenti femministi nel mondo e a quelli dei migranti ndr), dobbiamo invece pensare che sono solo i primi: altri ne verranno. Prepariamoci. Prepariamoli.    

Finalmente sono arrivati! Vedremo come proseguiranno e specialmente come reagiranno, dopo l’attentato di Strasburgo, al ricatto dell’unità nazionale e del nemico esterno e delle misure repressive che tendono sempre più a colpire chiunque si muova. Il terrorismo è sempre funzionale al potere.

Web Analytics