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linkiesta

Uscire dalla crisi? L'unica strada è la rivoluzione

Nicola Grolla intervista Alain Badiou

Per il filosofo politico francese il marxismo è uno strumento culturale ancora fondamentale per interpretare la realtà storica di oggi. L'Unione Europea «una macchina per imporre agli europei le regole del liberismo più selvaggio»

Badiou Marina Faust Ceasefire MagazineDel 2016 si è detto di tutto. Di come sia stato l’anno peggiore di sempre. Di come abbia infranto ogni record di disgrazie e lutti. Di come abbia messo a repentaglio la sicurezza nel nostro modo di vivere. E via a snocciolare dati, fatti e accadimenti senza precedenti: gli attacchi terroristici all’Europa, la crudeltà della guerra in Siria, la disoccupazione che non cala, la crisi politica nazionale e l’elezione di Donald Trump. Eppure, come se non bastasse, stiamo aspettando che accada qualcosa di ancor più grosso. Come se il 2016 non fosse stato altro che il preludio per un nuovo annus horribilis aperto dall’ennesima caccia all’uomo dopo la strage di Istanbul. Un panorama per cui è lecito chiedersi cosa stia succedendo. Siamo di fronte a un nuovo evento epocale? «No, non direi» è la risposta secca di Alain Badiou, filosofo francese che sulla categoria di “evento” ha costruito il proprio pensiero con opere come L’essere e l’evento e Logiques des mondes. «Per come la vedo io, tutto ciò che è successo non è altro che il sintomo di un malessere più grave: un mondo dominato dal capitalismo globale», lo stesso a cui da sempre si oppone la riflessione marxista di cui Badiou, alla soglia degli 80 anni (li compirà il 17 gennaio), è l’epigono. A lui tocca portare avanti la fiaccola della filosofia francese che con Althusser, Foucault, Deleuze, Derrida e molti altri ha ripreso e riletto i concetti espressi dall’auotre de Il Capitale fino a farne la massima del proprio agire (Badiou è tra i fondatori del Partito Socialista Unificato francese e per molto tempo si è speso a favore dei sans papiers, gli immigrati senza permesso di soggiorno).

 

Ma cosa resta del marxismo? È ancora uno strumento utile per criticare e analizzare la situazione socio-economica in cui ci troviamo?

Il marxismo non è solo “utile”, è il solo pensiero generale che possa illuminare il mondo contemporaneo ed essere alla base di una nuova politica. Tutti i concetti importanti di Marx sono molto più veri oggi che ai suoi tempi. Il mercato mondiale, per esempio, è molto più reale oggi che nel 1850. Per non parlare della creazione di una disoccupazione di massa: ci sono, nel mondo d’oggi, circa due miliardi di esseri umani che costituiscono ciò che si definisce il “surplus”. Persone che non sono né dei salariati, né dei proprietari, né dei consumatori. Insomma, non sono niente. Dall’altro lato, c’è la concentrazione del capitale: ad oggi, 264 persone possiedono l’eqiuivalente di quello che possiedono gli altri tre miliardi. Il mondo intero è sotto la legge, prevista da Marx, di un’oligarchia finanziaria estremamente meschina. Marx diceva anche che i governi erano «le fondamente del potere del Capitale» e oggi tutti possono rendersi conto più facilmente che non 150 anni fa. E poi, chi crede ancora che un voto possa cambiare le cose? Insomma, è dalla visione marxista che bisogna partire, applicando al nostro mondo ciò che Marx aveva anticipato – e che dimostra il suo genio.

 

In un mondo complesso e multipolare, la contraddizione fra capitalismo e marxismo così come il concetto del Due da lei utilizzato nei suoi primi lavori non rischia di sembrare riduttiva per descrivere la nostra realtà?

Il mondo precedenta alla Prima Guerra mondiale era anch’esso multipolare e molto complesso. Sul campo politico vedeva in campo l’impero francese, quello inglese e russo, la forza emergente degli Stati Uniti e le ambizioni della Germania. Eppure ciò non impedì, ma al contrario quasi impose, di decifrare la realtà a partire da due visioni principali: l’orientamento capitalista e imperiale da un lato, quello socio-comunista dall’altro. È tenendo ferma questa analisi, e rifiutando i miraggi della complessità nazionalista e imperialista, che Lenin potè, per la prima volta in tutta la storia dell’umanità, organizzare la vittoria durevole di una rivoluzione popolare. Certo, oggi gli attori sono leggermente cambiati: rimangono gli Stati Uniti nella loro fase declinante, poi c’è l’ascesa della Cina, l’India che si va affermando, l’Europa decadente, il sentimento di rivalsa della Russia, ecc. Eppure la nostra situazione è molto simile a quella degli anni 1900-14 con il Medio Oriente che occupa il ruolo dei Balcani d’allora. Ecco, dentro questa situazione noi dobbiamo reinventare un orientamento strategico. A partire dal compito di mostrare che le rivalità contemporanee fra potenze si sviluppano tutte su un terreno comune, ossia il capitalismo globalizzato il cui solo scopo è la guerra per il dominio del mercato mondiale. A questo proprosito, allora, non ci resta che dar retta a Lenin: «O la rivoluzione impedirà la guerra, o la guerra provocherà la rivoluzione». Speriamo, senza troppe illusioni però, di riuscire a realizzare la prima ipotesi stavolta.

 

Per un vero cambiamento però sembrano mancare i protagonisti. Da Occupy Wall Street alle Primavere arabe, passando per la protesta degli ombrelli a Hong Kong e gli attuali problemi di governo del Movimento5Stelle a Roma e in altre città italiane la morale sembra sempre la solita: manca un piano B oltre alla protesta iniziale. Perché?

Prima di tutto, bisogna riconoscere come questi movimenti, estremamente simpatici, siano largamente confinati alla gioventù educata e abbiano pochi richiami realmente popolari. Sono sicuramente stati i simboli storici di un piccolo inizio di coscienza anti-capitalista, ma non hanno proposto, fuori dal movimento, alcuna strategia politica durevole e capace di ingrandire la propria base sociale. La loro sconfitta era dunque inevitabile. D’altronde, questi stessi movimenti sono molto in ritardo sulla strutturazione politica assunta dalle estreme destre nazionaliste, razziste, sessiste e asservite al capitale. La questione è comunque ideologica: bisogna affermare dei principi comunitari semplici e giudicare le situazioni e il proprio impegno a partire da questi principi.

 

Non a caso, a dicembre, lei è volato negli Usa per sostenere gli elettori democratici dopo il risultato delle Presidenziali di novembre. Che situazione ha trovato?

La maggior parte dei miei amici erano sostenitori di Bernie Sanders. Avevano già dovuto accettare in modo molto difficile la sua sconfitta alle primarie democratiche. La loro delusione, inoltre, era accresciuta dal fatto che l’apparatro democratico avesse falsato le votazioni per favorire la Clinton. Ma alla fine avevano comunque deciso di sostenerla. Almeno per sbarrare la strada a Trump. Non è servito a niente. Tra i miei amici c’era quindi una doppia dose di amarezza. Erano traumatizzati ed inquieti. Durante alcune conferenze a Boston e Los Angeles, ho sostenuto che non servisse a niente essere demoralizzati dal risultato. Ciò che serviva era un’analisi delle ragioni della sconfitta per trarne una lezione: ossia, dappertutto nel mondo il sistema parlamentare dei due partiti di governo - repubblicani e democratici, sinistra e destra, socialdemocrazia e democrazia cristiana - è in crisi. E per mancanza di un orientamento che sappia proporre in maniera netta una rottura con il capitalismo, questa crisi favorisce l’estrema destra. L’obbligo, dunque, è quello di ricostruire, al di fuori del sistema dualista, una forza totalmente nuova che tenda verso un cambiamento radicale delle leggi del mondo economico e politico.

 

E cosa si aspetta per l’Unione Europa che nel 2017 sarà chiamata a confrontarsi con i risultati delle elezioni in Francia, Germania, Olanda e non solo?

L’Unione Europea non è altro che una macchina per imporre agli europei le regole del liberismo più selvaggio. E le elezioni non cambieranno niente di essenziale. È necessario organizzarsi e rivoltarsi in modo del tutto indipendente dal gioco economico e politico dominante.

 

«L’Unione Europea non è altro che una macchina per imporre agli europei le regole del liberismo più selvaggio. E le elezioni non cambieranno niente di essenziale. È necessario organizzarsi e rivoltarsi in modo del tutto indipendente dal gioco economico e politico dominante»

 

Possibilità sempre più difficile nell’epoca della post-verità dove tutto è il contrario di tutto: una nozione ben lontana dal concetto platonico di verità da lei utilizzato nei suoi lavori.

Ma che cos’è la post-verità? Che non ci siano più scienze esatte come la matematica? Non ci siano più opere d’arte innovatrici che modificano il regime delle forme? Non ci siano più incontri amorosi capaci di sconvolgere una vita? Non ci sia più una politica che mira all’emancipazione dell’intera umanità? No, questa post-verità non è altro che la massima del capitalismo: lavora per un salario, utilizzalo per comprare cose sul mercato del profitto e non azzardarti a dire «a». Questa è la post-verità. D’altronde, come ho scritto, il grande imperativo che i nostri padroni ci impongono è : «Vivi senza idee ». Pensate che sia accettabile?

 

Fra i suoi interessi filosofici c’è un particolare riferimento alla matematica, ai numeri. Come combinarlo con l’estensione del peso degli algoritmi nella nostra vita di tutti i giorni?

Per quanto mi riguarda, l’unico interesse nelle matematiche è che quest’ultime riescono a esprireme il pensiero dell’essere in qunto essere. In altre parole: il pensiero di tutte le molteplici forme possibili. Ma la creazione umana, la soggettivazione, le verità non sono per niente matematizzabili. Esse dipendono dagli eventi, dalla storia, dal cambiamento reale. Sono queste le coordinate entro cui è possibile l’invenzione di nuove forme.

 

E cosa pensa dei progressi della robotica, dell’intelligenza artificiale, dell’Internet of thing?

Per il momento Internet è soprattutto l’occasione per l’apparizione di numerosi trust globali come Google, Apple, Yahoo, ecc; di modi nuovi di sorveglianza poliziesca – la Cia sorveglia tutto il mondo; e di inifiti chiacchiericci senza interesse. Anche i giochi elettronici di simulazione non faranno altro che affascinare e imbruttire i propri fanatici. La questione è che bisogna lasciare tutte queste bambinate da parte e capire che la tecnica è da oltre tre secoli la zona decisiva per l’appropriazione capitalista: dalla macchina a vapore alle centrali nucleari, dalla lanterna magica alla televisione, dal gioco delle carte ai Pokémon. Non c’è niente di nuovo mentre il nostro dovere è pensare in modo alternativo.

 

Quindi per l’ennesima volta possiamo dire che è sbagliato sostenere la “fine di ...”?

La mania di dichiarare delle “fini” non fa altro che sostenere il nichilismo imperante di questi tempi. Anche perché se è vero che il capitalismo passerà, è altrettantro vero che le tragedie di Eschilo, la matematica di Euclide, la filosofia di Platone, i poemi d’amore di Saffo e la rivoluzione democratica di Clistene e Solone saranno sempre delle sorgenti vive di pensiero e di gioia.

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