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sinistra

Green pass. Compagni, bisogna scegliere: collaborare o disobbedire

di Marco Craviolatti*

green pass obbligatorioL’obbedienza non è più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto.
Lorenzo Milani

Disagio, malessere, nella testa e nello stomaco: incontro pubblico tra gi storici Alessandro Barbero e Angelo D’Orsi, ottimo candidato alle elezioni di Torino che ha unificato almeno parte dei comunisti locali. Alle porte del cinema, giovani militanti controllano zelanti i lasciapassare “verdi”, in coda decine di persone, volti noti, la mia “famiglia” ideologica e perfino antropologica, attendono pazienti con il QR pronto, senza un commento, una critica, nemmeno rassegnati, semmai pacificati. Il lasciapassare è la nuova normalità.

Stessa sensazione due giorni dopo a teatro, spettacolo dello stesso D’Orsi e della band Primule rosse sulla vita di Gramsci, lo stomaco si contorce e per un attimo immagino Gramsci lì in coda addomesticato con il lasciapassare in mano. E poi di nuovo al Festival delle migrazioni, dove “nessuno è clandestino”, dove si è solidali con i “sans papier”, ma qui sans papier sei clandestino e non entri. E poi la grigliata alla storica e accogliente Casa del popolo di Chieri, un messaggio: ”mi spiace ma non puoi partecipare. Mi spiace ma queste regole non sono solo individuali e come collettivo non possiamo assumerci le conseguenze di violarle”.

Basta compagni, basta veramente, non possiamo accettare passivamente (e spesso anche approvare) uno strumento di discriminazione ed esclusione privo di qualsiasi fondata ragione sanitaria, un esperimento di controllo sociale applicato con questa pervasività e gravità solo in Italia tra l’intero mondo, che potrebbe segnare un prima e un dopo sui libri di storia. Prima i diritti civili e sociali almeno sulla carta erano garantiti a tutti, potevano essere rivendicati da tutti e per tutti, dopo non più. Possono i “socialisti” accettarlo? Disturbano i paragoni impropri con le leggi razziali e l’apartheid, ma è forse più tollerabile che invece di razza e pelle si tratti oggi del proprio corpo, del libero arbitrio su quanto abbiamo di più prezioso? Non è di chiarezza lampante che se la piena cittadinanza è subordinata a condizionalità arbitrarie queste potranno essere indefinitamente modificate ed estese? Domani la terza dose, poi i 14 vaccini tradizionali, poi la tassa sul macinato, poi le emissioni di CO2, poi l’oro alla patria, poi la partecipazione al sabato fascista, poi, poi, poi.

Per favore, non nascondiamoci dietro al dito che basta fare il tampone, e non perdiamoci nelle estenuanti discussioni sul virus a cui ognuno di noi si è già sottoposto a sfinimento, con sensibilità diverse legate ad esperienze, condizioni di salute, paure (sempre da rispettare anche quando irrazionali). Al succo, le condizioni date sono chiare: terapie geniche innovative e complesse, certo promettenti per gli sviluppi della medicina, sono state assimilate nel linguaggio pubblico ai vaccini tradizionali e sull’onda di un’emergenza accentuata senza sosta dai media ne è stata disposta la somministrazione di massa, di fatto una sperimentazione dagli esiti tuttora incerti e non definitivi. Ci auguriamo tutti che i profeti di sventura abbiano torto e che i cantori delle magnifiche sorti e progressive abbiano ragione, anche quando legati alle case farmaceutiche, ma il rapporto rischi-benefici è ancora tutto da valutare, specialmente a lungo termine e in particolare per le fasce di età under 60; anzi, nei bambini e nei giovani sani, sostanzialmente indenni al virus, si moltiplicano già oggi gli indizi che ne sconsigliano l’utilizzo. Infine, tali terapie non bloccano la diffusione del virus (e la selezione di nuove varianti), pertanto non hanno effetto protettivo collettivo. Eppure, a fronte di tale quadro ampiamente incerto, la (già residuale) sinistra ha quasi unanimemente accettato la narrativa dominante e la scelta governativa di emarginare un’ampia fascia di popolazione divergente.

“Ah quindi la pensi come Salvini?”, “Ah complimenti, vai a manifestare con CasaPound”, mi sento ripetere da mesi, da amici che hanno soltanto letto Repubblica, guardato 20 secondi di video con gli immancabili “fascisti” per confermare i propri pregiudizi e ridurre la dissonanza cognitiva, non si sono presi la briga di metterci piede in quelle piazze, spurie, spontaneiste, contraddittorie, dove certo ci sono tentativi di infiltrazione di minoranze organizzate inquietanti, ma dove la stragrande maggioranza è composta da gente “normale”, inquieta, preoccupata, indignata. Che si annusa, si riconosce, si dà forza, si scambia i numeri di telefono e prova a rimanere in contatto al di là delle proprie differenze, a formare nuclei di quella “comunità nella società” di cui ha parlato Giorgio Agamben.

Il problema, compagni, non è che ci sia anche la destra, il problema è che non ci siamo noi! Il che poi non è del tutto vero: molti ci siamo, ma a titolo personale.

Abdico al pudore e lo confesso: oggi mi sento meglio, emotivamente meglio, in quelle piazze contraddittorie, tra persone di cui non conosco i volti, che nei ritrovi della “mia” gente, i ritrovi abituali della sinistra delle buone e tradizionali cause, tra persone conosciute e apprezzate per mille altre ragioni, che ora però sento distanti. Ho provato disagio nell’attimo in cui la massa gioiosa e giovane del Pride, a cui ho spesso partecipato, è sfilata accanto al piccolo e angosciato presidio no green pass: entrambi in fondo rivendicavano diritti e libera scelta per il proprio corpo, ma basta fare l’amore con chi ti pare se poi non puoi neppure andarci al cinema?

E confesso, ancora, che mi sono sorpreso a leggere La Verità e autori cattolici o anche di destra con molto più interesse del Manifesto e dei soliti siti e numi “progressisti”, tranne lodevoli eccezioni come Wu Ming.

E’ un problema solo mio - forse la crisi di mezza età - o interroga una comunità politica?

Come è stata possibile la “cattura” di gran parte della sinistra “radicale” da parte del capitale globale e delle sue armate mediatiche? La narrativa manichea utilizzata è tanto sfacciata quanto falsa: da una parte i responsabili, dall’altra gli egoisti, per il bene della società ti vaccini e fai vaccinare a tappeto perfino i bambini, se al contrario invochi la libertà di scelta sei un menefreghista, sei Corrado Guzzanti che piscia sul divano nei leggendari sketch sulla “casa delle libertà”. Il dubbio è stato bandito, screditato con etichette di stigma, tacciato di insensibilità (“e allora i morti?”), mai dibattuto, nemmeno nei nostri circoli e sezioni.

Non avevamo sufficienti anticorpi di pensiero critico? Dopo le sconfitte nella guerra di classe dall’alto al basso, dopo aver rinunciato al conflitto contro i capitalisti, ci siamo forse accomodati nel rassicurante petaloso politically correct e smesso di studiare, dibattere, pensare dialetticamente tesi e antitesi?

Crediamo ancora allo “Stato etico” che opera per il bene del popolo, che impone limitazioni delle libertà perché strettamente necessarie al bene collettivo? Anche se governato direttamente dal capitalismo globale? Che per proteggerci trasferisce su simulacri digitali - e quindi inibisce - le relazioni umane indispensabili a conoscersi, evolversi, organizzarsi, lottare, fatte di pelle, sguardi, odore, calore. Che determina un ulteriore colossale spostamento di ricchezza da lavoratori e piccole e medie imprese ai grandi capitali internazionali.

Eppure gli indizi di malafede, dolo, vero e proprio crimine, sono stati presto e vieppiù evidenti, tra tutti il clamoroso boicottaggio dall’alto delle cure domiciliari precoci: anche i muri ormai sanno che intervenendo nelle prime fasi della malattia e bloccando l’infiammazione con medicinali ordinari ed economici si abbattono drasticamente le ospedalizzazioni e le morti, eppure ancora oggi il protocollo ministeriale dispone “tachipirina e vigile attesa”, l’unico antipiretico da banco senza attività antinfiammatoria!

A giorni assisteremo a un ulteriore spaventoso salto di qualità, già sperimentato da personale sanitario e scolastico, il lasciapassare come condizione di sopravvivenza economica di tutto il mondo del lavoro.

Più ci avviciniamo al 15 ottobre, più il mio malessere aumenta, e aumenta, e aumenta. Non è una preoccupazione pratica, a differenza di molti posso resistere senza stipendio per un periodo ragionevolmente lungo. E’ che, ancor più che per la politica, non mi sento più a casa. La CGIL è sempre stata la mia casa, sono iscritto dal primo giorno di lavoro, nonostante il fegato spesso amaro e tutte le critiche feroci che dall’interno non ho mai risparmiato. E’ l’ultima grande organizzazione di massa rimasta in Italia e fra pochi giorni milioni di lavoratori dovranno cedere al ricatto di una terapia “facoltativa” o rimanere senza stipendio. E? E? Nessuno sciopero generale? Nessuna manifestazione oceanica al Circo Massimo? Nessuna forma di resistenza? Almeno di mutualismo? “Sarebbe meglio l’obbligo” (opinabile), “Ci vorrebbero i tamponi gratis” (irrilevante)… fine così, amen, discutiamo pure pacatamente con il governo di altro più importante, entriamo pure in una nuova pericolosa fase della storia contemporanea senza muovere dito. Qualcuno ha già reagito con sconcerto e rabbia, dando disdetta e cercando qualche sindacatino più combattivo, si salva la coscienza e risparmia un po’ di bile, non è poco in effetti.

Ma qui veniamo alle buone notizie: il dubbio, il dissenso, la critica sono molto più diffusi di quanto si è sinora manifestato. In quelle piazze ho incontrato anche molta della “nostra” gente. Sulle chat del sindacato molti iscritti sono allarmati e arrabbiati, spesso gli attivisti più vivaci e curiosi, a fronte dei soliti conformisti sempre allineati. Militanti dei partitini di sinistra cominciano a esprimere insoddisfazione e dissenso per la linea di fatto “governista” delle loro segreterie. Molti oppositori peraltro sono vaccinati.

C’è un potenziale elevato di resistenza, ancora sotto traccia, timido, spesso timoroso di essere bollato come egoista, o magari fascista.

Perché da potenza si trasformi in atto serve una cosa sola: esplicitare la possibilità, anzi la necessità di opporsi. Nominare e promuovere la lotta sociale, politica e sindacale contro il lasciapassare. Diffondere le parole d’ordine di quella lotta: boicottaggio, disobbedienza, obiezione di coscienza.

E’ semplice, basta rifiutare di richiedere e di mostrare il lasciapassare.

Nella vita sociale è sufficiente evitare i luoghi e le attività in cui è richiesto e moltiplicare le occasioni di convivialità, cultura, sport che ne sono libere. Non più di nascosto, dall’ingresso sul retro, o con il pass di un amico, ma alla luce del sole. Il rischio a cui ci si espone è limitato, sanzioni pecuniarie, peraltro impugnabili, niente di paragonabile alle gravi conseguenze penali di molte lotte del passato. Ma certo i gestori di attività e i promotori di iniziative pubbliche devono prendersi la responsabilità di decidere, mentre applicare diligenti la norma è più facile e apparentemente esime dal scegliere.

Nei luoghi di lavoro si gioca la partita fondamentale e gli esiti si determineranno in pochi giorni a partire dal 15 ottobre. Se milioni di persone si presenteranno al lavoro senza lasciapassare e saranno rispedite a casa molte attività private e servizi pubblici saranno gravemente compromessi, i disagi enormi, Confindustria allarmata, il governo sollecitato a mettere pezze. In quei giorni potrebbe astenersi anche il personale scolastico, che al momento ha continuato in gran parte a lavorare per senso di responsabilità verso gli allievi. Si tratterebbe di una sorta di sciopero generale a oltranza, con la possibilità supplementare per ogni singolo lavoratore di presentarsi di tanto in tanto con il lasciapassare, a macchia di leopardo, lavorare due giorni e stare nuovamente a casa, aumentando il caos per l’impossibilità di programmare le attività produttive. Sarà preziosa anche l’astensione totale o parziale da parte dei lavoratori in possesso di lasciapassare a lunga scadenza (vaccinati e guariti) che tuttavia sceglieranno di aderire alla protesta, presentandosi ai cancelli senza pass, consapevoli del pericolo di subordinare il diritto al lavoro a requisiti aleatori, che domani potrebbero minacciare anche loro.

Mancano pochi giorni. La comunità socialista, comunista, libertaria, largamente intesa, non può fare finta di niente. Le possibilità di fermare in tempo questa deriva anti-democratica sono elevate, ma non basteranno le chat Telegram di singoli volenterosi, devono esporsi le organizzazioni sociali, politiche, sindacali, o almeno loro forti componenti interne. Non scegliere significa, di fatto, concretamente, collaborare, fare proprie le scelte del governo, accettare la china presa anche per il futuro. E’ tempo di scegliere da che parte stare e agire di conseguenza, collettivamente.


* Attivista sindacale
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