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Il Capitale e i suoi utili idioti: la signorina Nappi

Diego Fusaro

In calce la replica di Valentina Nappi

Valentina-Nappi-11Non mi stancherò mai di ripeterlo: viviamo nel tempo dell’identità in atto di destra e sinistra, due falsi opposti che oggi veicolano lo stesso contenuto. E tale contenuto è l’adesione supina al monoteismo del mercato e la stolida accettazione dell’ordine imperiale USA. Destra e sinistra si rivelano interscambiabili, facendo del neoliberismo oggi dominante un’aquila a doppia apertura alare: l’anticomunitaria e globalista “Destra del Denaro” detta le regole econonomico-finanziarie tutelanti gli interessi della global class post- e anti-borghese, mentre la “Sinistra del Costume” fissa i modelli e gli stili di vita funzionali alla riproduzione del sistema dell’integralismo economico (godimento individualistico, relativismo, laicismo assoluto, abbandono dell’anticapitalismo come ferrovecchio, ecc.). La “Destra del Denaro” decide che occorre privatizzare tutto, rimuovere i diritti, abbassare gli stipendi, tagliare la spesa pubblica, sempre in nome del sacro dogma “ce lo chiede il mercato”. Dal canto suo, la “Sinistra del Costume” dal Sessantotto ad oggi opera sul piano sovrastrutturale: se la “Destra del Denaro” rende i giovani precari fino a settant’anni, quando non direttamente disoccupati e impedisce loro di farsi una famiglia, ecco che la “Sinistra del Costume” e i suoi utili idioti al servizio del re di Prussia starnazzeranno dicendo che la famiglia è una forma borghese superata e che la precarietà è buona e giusta.

Se la “Destra del Denaro” decide che gli Stati nazionali sono un’invenzione e che l’unica realtà esistente è il one world del mondo globalizzato e ridotto a piano liscio del mercato, con annessa delocalizzazione, ecco che la ridicola “Sinistra del Costume” seguirà facendo l’elogio della globalizzazione dei viaggi low cost e dell’inglese per tutti. Di più, condannerà lo Stato nazionale come foriero di sventure, senza mai dire, ovviamente, che i pochi diritti superstiti per gli offesi del pianeta erano garantiti, guarda caso, dallo Stato stesso e dalle sue politiche di assistenza sociale. Se la “Destra del Denaro” decide che la religione è un’invenzione e che bisogna liberarsene per convertirsi tutti all’unica teologia riconosciuta legittima, il monoteismo del mercato, ecco che la “Sinistra del Costume” seguirà pedestremente portando avanti forme liturgiche di ateismo religioso, senza accorgersi ovviamente che è il capitale stesso a dover distruggere ogni religione che non sia quella del Mercato divinizzato. Se la “Destra del Denaro” decide che a esistere è solo l’individuo consumatore e “la società non esiste” (M. Thatcher), ecco che la ridicola “Sinistra del Costume” seguirà scodinzolando e spiegando che la famiglia come comunità originaria non esiste e che chiunque si sogni di pensare – peraltro in buona compagnia con Platone, Aristotele e Hegel – che la famiglia composta da padre e madre esista subito deve essere silenziato come “omofobo”.

Ancora pochi giorni fa ne ho avuto una (divertente, debbo ammetterlo) conferma. Da un blog organico al partito unico de “La Repubblica” – non quella platonica, bensì quella delle sinistre serve del capitale e della NATO – è emerso un articoletto programmaticamente intitolato “Oggi il fascismo si chiama anticapitalismo” (qui). L’autrice è una certa Valentina Nappi, di cui fino ad allora – lo ammetto – ignoravo finanche il nome. “È un’attrice pornografica italiana. Lanciata da Rocco Siffredi, ha al suo attivo oltre 60 scene in film prodotti da case di produzione cinematografiche hard, tra cui Brazzers, Elegant Angel, Evil Angel e Jules Jordan”: non sto inventando nulla, garantisco. Così dice la sua scheda su Wikipedia.

Colgo allora l’occasione per risponderle a tono: come già altra volta dissi, occorre dialogare con tutti, e su ogni argomento. Anche un verme può essere oggetto di attenzione filosofica, diceva Aristotele. Leggendo le fini argomentazioni di quest’amante della “nuda” verità, di questa rampante allieva della scuola di Rocco Siffredi, si ha una chiara prova di cosa effettivamente sia la “Sinistra del Costume”: nel tempo di quello che ne “Il futuro è nostro” ho chiamato il “capitalismo edipico” post-sessantottesco, in cui al pluslavoro marxiano subentra il plusgodimento lacaniano, che a farsi alfiere della “Sinistra del Costume” sia una pornostar è tutto fuorché casuale. Dai “Nuovi Filosofi” alla Bernard Henri-Lévy alle pornostar il passo è più breve di quel che si possa immaginare. Scrive acutamente la Nappi che se “sei una pornostar che promuove l’idea che ‘tutte le donne dovrebbero essere troie’ e che ‘tutte le ragazze dovrebbero essere ragazze ultra-facili’, allora nella Germania nazista, ma anche nell’Italia fascista, avresti certamente fatto una brutta fine” (sic!). Credo non vi sia altro da aggiungere, e stendo un velo pietoso.

Il capitale trasforma tutto in merce e godimento, sveste le giovani ragazze e veste con abiti di marca i giovani ragazzi: è impadronimento della nuda vita e dei corpi. L’austero imperativo categorico del borghese Kant viene spodestato da quello iperedonistico e antiborghese di De Sade (e – sempre si parva licet componere magnis – della signorina Nappi): “devi godere!”, convertendo in ogni istante la trasgressione permanente dei valori tradizionali nel nuovo imperativo della crescita e del godimento senza limiti. Il dovere cessa di essere contrapposto al godimento e ne è interamente riassorbito. Nel capitalismo assoluto post- e anti-borghese, contestativo e sessantottesco, puoi fare tutto ciò che vuoi, a patto che tu abbia i soldi per potertelo permettere. L’importante è godere, Nappi docet. Dalla coscienza infelice borghese si è passati disinvoltamente all’incoscienza felice antiborghese: dall’austero Georg Wilhelm Friedrich Hegel successore di Immanuel Kant alla signorina Valentina Nappi seguace di Rocco Siffredi.

Il godimento illimitato e autoreferenziale, ormai privo di limiti e di misura, domina incontrollato su tutto il giro d’orizzonte, traducendosi puntualmente in Todestrieb, in “pulsione di morte”, secondo le principali patologie del nostro tempo (tossicodipendenza, alcolismo, ecc.). Questa deriva cinica del godimento, avviatasi con la contestazione antiborghese del Sessantotto e con il suo rovesciamento di ogni autorità in grado di frenare l’immediata soddisfazione dei desideri sempre risorgenti, culmina nell’odierno scenario disincantato del mondo ridotto a merce: in cui il discorso trasgressivo del capitalista coincide con quello della “Sinistra del Costume” di cui la signorina Nappi – che lo sappia oppure no – è dramatis persona.

Più precisamente, il discorso del capitalista è oggi quello del signor Marchionne sul versante della Destra del Denaro, e della signorina Nappi, sul versante della Sinistra dei Costumi. Che c’è da stupirsi? Il capitale è oggi oscenità pienamente realizzata, in cui gli intellettuali di regime cedono il passo alle porno-star innalzate a maestri del pensiero. L’importante è godere, ripete urbi et orbi l’ideologia mercatistica. La signorina Nappi è fine e precisa nel suo modo di argomentare pornografico: chiunque dissenta dal pensiero unico, è fascista; chiunque si opponga alla globalizzazione capitalistica, è fascista; chiunque osi pensare diversamente, è fascista; chiunque non faccia del suo corpo una merce in vendita al migliore offerente, è fascista; e così via, di fascismo in fascismo. La signorina Nappi fa bene a esprimere i suoi giudizi, ci mancherebbe. Non sarebbe ozioso, tuttavia, domandarsi perché il ruolo di maître à penser dal gruppo di “Micromega” sia affidato proprio a lei: la categoria di “Sinistra dei Costumi” come l’ho definita può aiutare a capirlo… Compatisco la signorina Nappi e le auguro ogni bene: sono anzi certo che il capitale riconosca pienamente il suo lavoro, sia intellettuale sia – diciamo così – “fisico”. Sicuramente più di quanto non riconosca quello dei giovani studiosi costretti a fuggire all’estero o a vivere con 600 euro al mese. E ora paulo maiora canamus.

Gli esempi che prima ho addotto circa la coppia “Destra del Denaro” e “Sinistra del Costume” si potrebbero moltiplicare, ma non è ciò che mi interessa fare. Mi interessa, invece, insistere su come oggi destra e sinistra marcino separate e colpiscano unite: e lo facciano delegittimando come fascista o stalinista ogni pensiero non allineato con l’insensatezza del coro virtuoso del politicamente corretto che va da tempo ripetendo che la famiglia non esiste, che l’anticapitalismo è superato, che il fanatismo dell’economia è il solo mondo possibile, che i diritti del lavoro debbono essere abbandonati in nome della “concorrenza” e della “competitività” (le parole magiche della sacra religione del libero mercato).

Il compito del pensiero critico sta appunto nel ricondurre alla libera discussione razionale ciò che il pensiero unico impedisce di discutere: Stato nazionale come garantimento dei diritti sociali della comunità, opposizione al capitale, famiglia come comunità originaria, ecc. Lo diceva splendidamente Heidegger nei suoi Seminari: “l’essenziale rimane continuare, come qui, a camminare per la stessa via, senza curarsi dell’opinione pubblica, quale che sia, intorno a sé”. Senza curarsi nemmeno – integrerei – di quella specifica forma del “si dice” (man sagt) che è il pensiero unico, ossia il modo con cui la manipolazione organizzata perimetra in maniera millimetrica lo spazio di ciò che si può e non si può pensare e dire.

Non si può oggi essere autenticamente critici senza varcare gli angusti confini del politicamente corretto: finché si permane al loro interno, si pensa e ci si muove nello spazio preordinato dal potere e dalla fabbrica dei consensi. Si sarà diffamati, silenziati, bollati di fascismo e stalinismo, è bene saperlo (Nappi docet): è il prezzo da pagare oggi per chi non accetta il pensiero unico e la sua poderosa macchina di ottundimento programmato delle coscienze. In tempi passati si pagava con la cicuta o con il rogo. Oggi le forme del “sorvegliare e punire” sono mutate, facendosi più capillari e abbandonando la forma dell’estetica dei supplizi. Ma le sbarre della gabbia non sono certo meno robuste. Anzi, tutto l’opposto. Ci attendono tempi in cui l’assioma pornografico della signorina Nappi diventerà sempre più frequente: chiunque oserà mettere in discussone il fanatismo dell’economia e la prosa reificante del capitale verrà sempre più diffamato come fascista, di modo che lo spazio del pensiero critico sia preventivamente addomesticato dal “si dice” del nuovo ordine mondiale.

Non dobbiamo curarcene. La strada è di fronte a noi. Stiamo transitando davvero per un “tempo di gestazione e di trapasso”, per usare la felice formula di Hegel: le vecchie categorie non tengono più, le vecchie mappe non valgono più a comprendere un territorio che è mutato. Certo, vi sono i soliti idioti al servizio del capitale che continuano a usarle, senza neppure avere contezza del fatto che lo scenario è mutato: sono soltanto “polvere sugli stivali della storia” (Hegel), una legione di imbecilli che, come al tempo della linea Maginot, combatte una guerra persa in partenza, perché condotta sulla base delle carte militari del conflitto precedente (fascismo, antifascismo, anticomunismo, ecc.) o, comunque, disegnate ad hoc dal nemico stesso.

Proprio perché le vecchie categorie sono saltate, occorre oggi comprendere la cifra del “regno animale dello spirito” e creare un fronte unitario di lotta contro il capitale, composto da quanti identifichino nel nesso di forza capitalistico la contraddizione e nell’emancipazione del genere umano l’orientamento del pensiero e dell’azione. Contro questa strategia, di per sé non difficile da comprendere, il pensiero unico si opporrà in tutti i modi. Già lo sta facendo, tenendoci divisi tra destri e sinistri, stranieri e autoctoni, atei e credenti: “dividi e comanda” non ha smesso di essere la segreta strategia di un ordine dominante che si riproduce frammentando il fronte dei dominati, di modo che questi, anziché cooperare in vista della loro liberazione, restino invischiati nell’ennesima guerra tra poveri. Anziché tradursi in un fronte unitario contro il potere, la rabbia gravida di buone ragioni viene dissipandosi in inutili lotte tra gli ultimi, cultori ignari della loro stessa schiavitù fintantoché pensano che il nemico sia il destro, l’immigrato, il credente, ecc.

E intanto il capitale non smette di “celebrare le sue orge” (vecchia espressione che, pur uscita dalla penna dell’anticapitalista – e dunque fascista – Marx, forse potrebbe trovare il consenso della signorina Nappi). Occorre proseguire imperterriti, sapendo che quanti continuano a starnazzare in nome dell’antifascismo, dell’anticomunismo e – senza mai dirlo – della strenua difesa del pensiero unico, sono utili idioti e, insieme, inconsapevoli cani da guardia del potere. Continueranno ad abbaiare in difesa delle loro catene: le quali, anche se dorate, restano pur sempre catene. Con il Gramsci delle Tesi di Lione, occorre oggi più che mai “raccogliere intorno a sé e guidare tutti gli elementi che per una via o per un’altra sono spinti alla rivolta contro il capitalismo” (tesi 29), in modo da favorire “una azione generale di tutte le forze anticapitalistiche” (tesi 39). È questo l’orizzonte attorno al quale debbono oggi organizzarsi le forze.

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micromega

Squirtare in faccia a Diego Fusaro

di Valentina Nappi

Quando, in una conversazione privata, la regista Monica Stambrini mi disse che a suo avviso «noi dobbiamo fare il porno che ci piace», io le risposi che dobbiamo anche chiederci perché ci piace. Il principio del non discutere sui gusti è un pessimo principio: i gusti sono importanti, poiché dipendono da strutture oggettive. A un numero non trascurabile di miei coetanei piacciono i vecchi film di Mario Salieri: perché? perché piacciono quei contesti cupi, quel sesso visto come coercizione, sopraffazione, violenza? Rispondere che «sono gusti» vuol dire deporre il problema. Io con Salieri ho provato a collaborare, ma a un certo punto ho capito che siamo incompatibili. È però importante chiedersi perché i suoi film a molti ragazzi piacciano, e la risposta è da ricercarsi, banalmente, nel fatto che fra i portati della nostra storia evolutiva – e sottolineo: evolutiva, perché è vero che incidono anche fattori storici, ma c’è un nocciolo duro, genetico, il cui peso eziologico non può essere trascurato – vi è una significativa prossimità fra la dimensione sessuale e quella della coercizione, della sopraffazione e della violenza. Dietro quello che ci piace, magari dietro il piacere di alcune ragazze nel farsi prendere per i capelli durante l’amplesso, si nasconde il volto agghiacciante dell’evoluzione, di una storia ancestrale atroce.

Ma allora quand’è che siamo liberi, se le nostre stesse preferenze (e le nostre inclinazioni più nobili: la passione per la scienza, ad esempio) non sono altro che passività – passioni, appunto – che dipendono da cause materiali indipendenti da noi, alcune delle quali affondano le loro radici in un passato remotissimo, ed evidentemente fuori dal nostro controllo? E cos’è, il nostro controllo? Questa è la domanda a cui avrebbe dovuto (e dovrebbe) rispondere quel pensiero critico che ha sostenuto (e sostiene) che l’abbiamo perso, il controllo. Elias Canetti scriveva: «Da quando abbiamo affidato alle macchine il compito di predire il nostro futuro, le profezie hanno perso ogni valore. Quanto più ci separiamo da noi stessi, quanto più ci consegnamo a istanze senza vita, tanto meno riusciamo a padroneggiare quello che accade. Il nostro crescente potere su tutto, su ciò che è vivente e su ciò che non lo è, e in special modo sui nostri simili, si è trasformato in un contropotere che solo in apparenza riusciamo a controllare». Ma chi siamo i noi stessi da cui ci staremmo separando? Quando, e soprattutto in che senso, abbiamo mai padroneggiato quello che accade? In che senso l’uomo può essere artefice della storia e in che senso, invece, subisce la storia?

Queste domande sono la chiave di lettura di un divertente scambio di battute fra Massimo Cacciari e Diego Fusaro. Cacciari fa notare che per Marx il capitalismo non è affatto il supremo compimento della razionalità tecnica e, proprio per questo, ha dei limiti (limiti tecnici, potremmo dire) e sarà superato (come sostiene anche il suo maestro Severino). Fusaro, nel rispondere, suggerisce una lettura idealista di Marx come riattivatore della prassi, di una soggettività umana attiva e non passiva. Siamo di nuovo al problema attività/passività, un problema enorme che è lo stesso sollevato dalle domande di sopra. Dietro risposte arbitrarie – implicite o esplicite – a tali domande, si nasconde il nucleo teoretico dei discorsi fallaci di coloro (anche grandi filosofi o presunti tali) che vogliono far passare per prassi trasformatrice (attiva, cosciente) ciò che piace a loro, e viceversa per passività ciò che a loro non piace. Come se l’entusiasmo per le conquiste (anche antiborghesi!) del capitalismo implicasse necessariamente incoscienza e impedisse di concepire una prassi orientata al superamento del modo di produzione capitalistico (prassi che dovrebbe andare in direzione diametralmente opposta rispetto a quella, profondamente borghese, del cosiddetto anticapitalismo).

Non si capisce, poi, a che tipo di libertà dovrebbe condurci la pseudoliberazione dal presunto apparato perverso della tecnica, impersonale e anonima, che ci controllerebbe. È lecito sospettare che non libererebbe altro che un’umanità reazionaria neo-premoderna (tradizionalista, comunitarista, identitarista, ecc.). Per chi, come me, auspica un potenziamento del modello occidentale contemporaneo di libertà, in virtù del quale i ragazzi a scuola mettono i piedi sul banco e fanno scoppiare le gomme da masticare in faccia agli insegnanti, tale presunta liberazione sarebbe un incubo. Forse è per questa mia indole che Fusaro mi insulta in un suo articolo, paragonandomi tra le altre cose a un verme. Probabilmente lui dirà che la vera libertà non è pisciare (metaforicamente e non) sul maestro, ma comportarsi da docili allievi (si vedano certi suoi video stucchevoli con Costanzo Preve). Non so se i vermi squirtino, ma…

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