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la citta futura

Lavoro produttivo e classi

di Ascanio Bernardeschi

La distinzione fra lavoro produttivo e improduttivo è importante per l’individuazione della fonte del plusvalore, ma occorre individuare altri criteri per definire la classe lavoratrice, quale soggetto contrapposto al capitale

1c37ac47e3b55f294eb0f00c48a590df XLPubblichiamo questo articolo al fine di aprire una discussione sul tema. Saranno quindi benvenuti altri contributi, non necessariamente concordi con il presente. Il collettivo de “La Città Futura” si riserva di dibattere questo argomento e di produrre una propria sintesi finale.

* * * *

1) La definizione di lavoro produttivo

Marx definisce il lavoro produttivo all’inizio della quinta sezione del libro I del Capitale intitolata Produzione del plusvalore assoluto e del plusvalore relativo, (p. 556 nell’edizione degli Editori Riuniti del 1964). Il passo è molto breve e vale la pena di riportarlo quasi interamente.

“Col carattere cooperativo del processo lavorativo si amplia necessariamente il concetto del lavoro produttivo e del veicolo di esso, cioè del lavoratore produttivo. Ormai per lavorare produttivamente non è più necessario por mano personalmente al lavoro, è sufficiente essere organo del lavoratore complessivo e compiere una qualsiasi delle sue funzioni subordinate […] Ma d’altra parte il concetto di lavoro produttivo si restringe. La produzione capitalistica non è soltanto produzione di merce, è essenzialmente produzione di plusvalore. L’operaio non produce per sé, ma per il capitale. Quindi non basta più che l’operaio produca in genere. Deve produrre plusvalore. È produttivo solo quell’operaio che produce plusvalore per il capitalista, ossia che serve all’autovalorizzazione del capitale […]

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bollettinoculturale

Appunti critici sulla rivoluzione culturale e la dittatura del proletariato

di Bollettino Culturale

unnamed 896g6All'inizio del 1975, la cosiddetta "Campagna di studio sulla dittatura del proletariato" fu lanciata nella Cina popolare, con la pubblicazione di un dossier con estratti di opere di Marx, Engels e Lenin, oltre ai testi di Yao Wen-yuan, "La base sociale della cricca antipartito di Lin Piao", e Chang Chun-chiao,"Sull'esercizio della dittatura totale sulla borghesia".

Questa iniziativa ha avuto luogo in un momento cruciale della lotta politica all'interno della leadership del Partito Comunista, a causa del ritorno a posizioni di vertice nel Partito Comunista e nell'apparato statale, di leader che erano stati allontanati durante la rivoluzione culturale. I suoi obiettivi erano identificare le ragioni della persistenza nella formazione sociale cinese del "diritto borghese", il ruolo della lotta di classe nel corso della transizione al comunismo e i rischi di una "restaurazione capitalista" in quel periodo, nonché sostenere la validità teorica e politica dell'esercizio della dittatura del proletariato.

Questa dittatura è considerata la garanzia della transizione al comunismo e un mezzo per contenere le tendenze antisocialiste che sorgono durante questo processo. Si esercita contro la borghesia sconfitta, ma che resiste ancora al nuovo potere, e, soprattutto, contro una nuova borghesia che nasce a causa della persistenza del diritto borghese nella "società socialista", che è la sua condizione e il terreno su cui si riproduce. È così che la "limitazione del diritto borghese" diventa un obiettivo centrale della lotta di classe durante il periodo di transizione in Cina.

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machina

Do you remember revolution?

di Maurizio Lazzarato

0e99dc b6bb11a3ef2d40568bcff65de5a39112mv2Dopo aver avviato in «scatola nera» una discussione, che crediamo continuerà, sul tema della crisi della militanza politica vogliamo tentare ora di avviarne un’altra sul tema connesso della bancarotta della progettualità rivoluzionaria. A mo’ di prologo a questa discussione proponiamo l’introduzione di Maurizio Lazzarato al suo libro Do you remember revolution?, di prossima pubblicazione per DeriveApprodi, che lo scorso anno aveva dato alle stampe del medesimo autore Il capitalismo odia tutti. Fascismo o rivoluzione.

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«Non possiamo negare che la società borghese ha vissuto, per la seconda volta il suo XVI secolo decimosesto, un secolo che spero suonerà a morto per lei così come il primo l'ha chiamata in vita. Il vero compito della borghesia è la costituzione di un mercato mondiale (…). Siccome il mondo è rotondo, sembra che questo compito sia stato portato a termine con la colonizzazione della California, dell'Australia e con l'inclusione della Cina e del Giappone. Ecco la questione difficile per noi: sul continente la rivoluzione è imminente e avrà sin da subito un carattere socialista. Ma non sarà essa necessariamente schiacciata in questo piccolo angolo di mondo, dato che il movimento della società borghese è, in regioni molto più vaste, ancora in ascesa?»

Karl Marx

Il libro nasce come commento a queste poche righe di una lettera di Marx a Engels, datata 8 ottobre 1858. Marx fissa il quadro della rivoluzione: il mercato mondiale. Lo spazio dove scoppierà: l’Europa. La forza soggettiva che la porta e l’incarna: la classe operaia.

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bollettinoculturale

Lenin e la dittatura del proletariato contro Stalin

di Bollettino Culturale

unnamed 7876La rivoluzione bolscevica dell'ottobre 1917 può essere considerata fondamentale per la storia del XX secolo come lo fu la Rivoluzione francese del 1789 per il XIX secolo. La Rivoluzione d’Ottobre fu la prima rivoluzione a porsi come obiettivo dichiarato la costruzione del socialismo. Lo scopo di questo articolo è discutere la concezione di Vladimir Ilich Lenin del concetto di dittatura proletaria, confrontandola con la sua battuta d'arresto: la concezione del socialismo di Joseph Stalin. Partiamo dal presupposto dell’attualità del principio leniniano della dittatura del proletariato e della sua indispensabilità per pensare al superamento del capitalismo e la costruzione del socialismo. La negazione e l'abbandono del principio della dittatura del proletariato da parte dei partiti eurocomunisti degli anni '70, in particolare dei partiti comunisti italiano, francese e spagnolo, è un'indicazione della necessità di salvare questa discussione. Nel caratterizzare i paesi dell'Europa Orientale come membri del campo del socialismo realmente esistente, gli eurocomunisti consideravano tali formazioni sociali come socialiste. L'idea difesa dagli eurocomunisti di transizione democratica al socialismo, riduce il principio della dittatura proletaria a una delle possibili strategie di transizione al socialismo, cioè a una possibile via al socialismo. Pertanto, l'abbandono di questo principio è giustificato dagli eurocomunisti a causa della scomparsa di un contesto storico che avrebbe richiesto l'uso di questa particolare strategia: la Russia del 1917.

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coku

Centri sociali contro legge del valore-lavoro. Una storia triste

di Leo Essen

dec 0I

Per il Romanticismo di Jena (Friedrich Schlegel, Frammento 70) tutta l’arte deve diventare scienza, e tutta la scienza deve diventare arte; poesia e filosofia devono essere unificate. L’arte e la scienza, la scienza e la vita, non sono l’una fuori dall’altra. Non sono generi diversi, o stili diversi di un supposto sapere umano che li porrebbe come forme nelle quali racchiudere il contenuto umano. Non c’è nessuna forma, nessun genere, nessun metodo che preceda l’umano, e non c’è alcun umano al di fuori di una forma. Forma e contenuto sono l’una il riflesso dell’altro, sono l’una nell’altro: unità di teoria e prassi, di cosa estesa e di cosa pensante (Spinoza).

L’arte non è distinta dal mondo, gli artisti o gli intellettuali non sono una categoria separata che si propone di riformare il mondo. L’attività artistica (o politica - non fa differenza) è immediatamente trasformazione del mondo.

Dal Romanticismo di Jena emergono due tendenze.

Una tendenza progressiva, attivistica, pragmatistica, filo-tecnologica (che include Marx, e soprattutto Lenin) che vede nella tecnologia la possibilità di trasformazione positiva del mondo. Un'opportunità di liberazione (elettricità + soviet) che, tuttavia, corre il rischio che il mondo si rimangi la promessa (o che il capitalismo tecnologico si rimangi l’istanza libertaria). Oggi questa prospettiva sembra incarnata dalla Cina.

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ilpungolorosso

A colloquio con Marx e altri maestri sulla questione fiscale

di Il Pungolo Rosso

evasione fiscale 835x437«Essi [gli operai] debbono spingere all’estremo le misure proposte dai democratici (…) e trasformarle in attacchi diretti alla proprietà privata. Così ad esempio (…) se i democratici proporranno l’imposta proporzionale, gli operai proporranno l’imposta progressiva; se i democratici proporranno essi stessi una imposta progressiva moderata, i lavoratori insisteranno per una imposta così rapidamente progressiva che il grande capitale ne sia rovinato; se i democratici reclameranno che si regolino i debiti di stato, i proletari reclameranno che lo stato faccia bancarotta. Le richieste degli operai dovranno sempre regolarsi sulle concessioni e sulle misure dei democratici.» [K. Marx – F. Engels, Indirizzo del Comitato Centrale alla Lega dei comunisti, marzo 1850 – in K. Marx, Opere. Lotta politica e conquista del potere, Ed. Riuniti, p. 425.]

Alcuni compagni hanno fatto alla nostra proposta di un’imposta patrimoniale del 10% sul 10% più ricco della popolazione (che appartiene alla classe capitalistica nelle sue varie componenti), con il gettito da destinare a fini di classe, questa stramba critica: non sarebbe “marxista” né classista. A loro dire la questione fiscale è del tutto interna alla classe capitalistica e/o al rapporto tra classe capitalistica e mezze classi. Per sua natura, quindi, non riguarda gli operai, il proletariato, i salariati. Anzi, molto peggio: occuparsene e avanzare rivendicazioni in materia, servirebbe solo ad ottenebrare le menti dei suddetti con falsi problemi.

L’insistenza di questa critica ci ha fatto venire voglia di andare a colloquio con i maestri, a cominciare da Marx, e porre loro qualche domanda. Di seguito i risultati del colloquio che è stato, si può immaginare, di grande interesse. Ne riferiamo qui solo una parte – l’altra parte, di non minore rilevanza, riguarda l’uso dell’arma fiscale da parte del colonialismo.

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petiteplaisance

Su Ivan Illich

di Salvatore Bravo

La dipendenza dall’abbondanza castrante, una volta radicata in una cultura, genera la “povertà modernizzata”. Nella velocità, niente resta, niente è assaporato, niente è conosciuto. Velocità e calcolo sono due aspetti dello stesso silenzio infecondo che minaccia ogni vita.

sonar9 mod 1280x800.jpgAccelerazioni e crisi

L’accelerazione del tempo è uno degli aspetti fondanti del capitalismo assoluto. Lo spazio ed il tempo scompaiono sotto i colpi dell’accelerazione. Niente è vissuto con pienezza, ma molto è vissuto in modo epidermico. Non si tocca nessuna profondità, ma ogni realtà è consumata a ritmi sempre più esponenziali fino a ridursi a presenza nominale. Il nichilismo dello spazio e del tempo è l’effetto delle forze che esigono l’accelerazione dei tempi di spostamento come dei tempi di consumo in nome dell’economicismo. Tutto scompare nella velocità, niente resta, niente è assaporato, niente è conosciuto. L’alienazione tecnocratica è assoluta, poiché non è possibile sviluppare il senso dell’appartenenza in nessun luogo, e nello stesso tempo la precarietà frammenta l’io in innumerevoli ruoli, senza unità.

L’accelerazione ha una doppia valenza: controlla riducendo ogni realtà a numero con precisione maniacale, spinge alla produzione veloce a cui corrisponde un ritmo sempre più nichilistico di consumo. Il calcolo di precisione è la grande rete in cui ingabbiare il mondo. Velocità e calcolo sono due aspetti dello stesso silenzio infecondo che minaccia ogni vita. La struttura economica è nel segno della nullificazione, programma ogni esperienza in funzione del risultato immediato senza mediazione dialettica.

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archeologiafil

Glosse in margine all’epidemia come politica

di Flavio Luzi

flavio.001Penosamente amare quel che non si ama,
da quando il fumo uccide,
ecco, ubbidire.
Patrizia Cavalli

1. Nemo propheta acceptus est in patria sua

“A me sembra che il vero compito politico, in una società come la nostra, sia quello di criticare il funzionamento delle istituzioni, soprattutto di quelle che appaiono come neutrali e indipendenti, e di attaccarle in maniera tale che la violenza politica che si esercita oscuramente in esse sia finalmente smascherata, così da poter essere combattuta”. Con queste parole, in un dibattito televisivo tenutosi a Eindhoven nel 1971, un ridente Michel Foucault ribatteva alle posizioni espresse in quell’occasione dal suo avversario, Noam Chomsky. Il filosofo francese si riferiva a tutte quelle istituzioni – come l’Università, l’Istruzione, la Psichiatria e la Giustizia – che diversamente dall’Esercito, dalla Polizia e dal Carcere, si presentano in maniera apparentemente neutrale, affrancata dall’evidente circolazione (sottomissione ed esercizio) del potere politico. Dietro le funzioni di distribuzione del sapere, della promozione della libera ricerca, della cura dei disturbi mentali, dell’amministrazione del diritto, queste istituzioni – o, se si preferisce, questi dispositivi epistemico-sociali – occultano la violenza politica che continuamente esercitano sui corpi degli individui, disciplinandoli e soggettivizzandoli come studenti, come anormali, come colpevoli. In tal senso, dal punto di vista foucaultiano, non vi è ragione alcuna di ritenere che l’istituzione sanitaria e, più in generale, il sapere medico siano esenti da questo tipo di mistificazione, dimostrandosi sinceramente neutrali, estranei a qualsivoglia ideologia, potere o violenza politica.

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mateblog

Liberalprogressismo, liberalconservatorismo e “sovranismo” nella crisi della democrazia moderna

di Stefano G. Azzarà

119706688 10220752707582143 5524448694293155846 oIl 9 gennaio interverrò alla Rosa-Luxemburg-Konferenz - appuntamento di dibattito teorico ormai divenuto istituzionale per i comunisti e la sinistra europea e dedicato quest'anno al confronto tra razionalismo e irrazionalismo - presentando una sintesi del mio libro "Il virus dell'Occidente".

Nel frattempo, Junge Welt (11.12.2020) ha tradotto e pubblicato un estratto, nel quale parlo del concetto di "popolo", della genesi della democrazia moderna e della sua attuale crisi, caratterizzata dall'involuzione in chiave imperiale dell'universalismo, dalla reazione particolarista (populismo e sovranismo) e dell'imminente riconciliazione tra queste due varianti del liberalismo. Nel link in fondo la versione tedesca, qui di seguito il testo in italiano. Seguirà presto il programma della Konferenz.

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I rapporti di forza politico-sociali sono il segreto della democrazia moderna nella sua lunga storia. E sono, alla stessa stregua, il mistero della sua crisi nella sua più rapida agonia. Dal momento in cui e fino a quando i rapporti di forza tra le classi in lotta si sono mossi verso un maggiore equilibrio, si sono prodotte le condizioni per la fioritura di imponenti processi di democratizzazione. Finché le classi subalterne sono riuscite a difendersi e poi a farsi rispettare, conquistando il riconoscimento attraverso la loro capacità di agire il conflitto in maniera consapevole e organizzata, si è innescato un grandioso meccanismo di redistribuzione dello status, della ricchezza materiale e immateriale, del potere e della cultura che non ha certamente realizzato l’eguaglianza ma che sulla strada dell’eguaglianza si è quantomeno incamminato. E che ha dato vita alla democrazia moderna, arrivando per certi tratti e in certi momenti particolarmente felici anche a mettere in discussione i rapporti di proprietà e il controllo della produzione stessa.

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marxdialectical

Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare

di Roberto Fineschi

Trascrizione leggermente rivista della conferenza tenutasi online il 3 maggio 2020 organizzata dalla Rete dei Comunisti. Video. Inedito

el populismoLo sforzo di questo intervento è iniziare a pensare le dinamiche di classe, la configurazione dei soggetti che agiscono storicamente e politicamente in quella sottofase dello sviluppo del modo di produzione capitalistico che chiamo “capitalismo crepuscolare”; si vedrà come il nodo della violenza nasca intrinsecamente in seno a queste dinamiche e come la violenza ed il suo inasprimento siano un portato necessario dello sviluppo di strutturazioni sociali complesse.

Uno dei punti chiave di questa fase è la “crisi” del concetto di persona. Il concetto di persona è la chiave logica, istituzionale, giuridica del mondo borghese e per un largo periodo di tempo la sua rivendicazione è stata una lotta progressista; se si pensa al periodo rivoluzionario, conflittuale della classe borghese contro le forze dell'ancien régime, è proprio l'affermazione dell'universalità della persona, dell’uomo in generale come principio che ha carattere assolutamente positivo. Qui già emerge un punto chiave: la storicità di queste categorie; questa storicità implica che una categoria come quella di persona abbia una funzione storicamente progressiva in un determinato momento di sviluppo dei rapporti di forza e che possa averne una negativa, o diversa, in altre fasi. Perché nella teoria di Marx, che fa da orizzonte di riferimento in queste considerazioni, un concetto chiave è quello della storicità dei soggetti e dei modi di produzione; nel caso specifico ciò significa che, secondo Marx, l’uomo in generale non esiste, la persona astratta non esiste come dato naturale, è piuttosto essa stessa risultato di processi storici, di modificazioni dei modi di produzione che implicano esattamente che questo stesso concetto di uomo in generale si produca storicamente. Si tratta di un punto veramente chiave, perché tutta l’ideologia borghese si basa sul naturalismo della persona, cioè sul ritenere che uomo e persona siano la stessa cosa.

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marx xxi

Sorpresa! I comunisti cinesi sono marxisti

di Francesco Galofaro*

Recensione a: Rémi Herrera e Zhiming Long, La Cina è capitalista?, Bari, Edizioni MarxVentuno, 2019

cina xijinping 1Le edizioni MarxVentuno hanno appena pubblicato un utile volume dal titolo La Cina è capitalista? L'opera è frutto di una felice collaborazione tra un ricercatore del centro di economia della Sorbona e un economista, professore dell'Università Tshinghua di Pechino. Gli autori intendono dimostrare come la convinzione diffusa che la Cina sia una nazione capitalista sia un luogo comune; al contrario, la Cina deve il proprio attuale successo internazionale proprio al fatto di essere un'economia socialista. Insomma: il socialismo funziona: la dimostrazione avviene sotto un profilo essenzialmente storico-economico, con una vera e propria caterva di dati, grafici, indicatori, senza che questo pregiudichi in nulla la leggibilità di una scrittura estremamente coinvolgente … Per i numeri, rinviamo il lettore al volume, mentre qui vorremmo riassumerne e discutere le tesi principali argomentate dai due autori.

 

1. Caratteri generali dell'economia cinese

Non è possibile comprendere la Cina contemporanea se non si tengono ferme due caratteristiche della sua economia:

1) Si tratta di un contro-modello (p. 82). Non è possibile ridurlo all'economia capitalista occidentale, subordinata alla supposta razionalità dell'alta finanza, e nemmeno all'economia sovietica, in cui lo Stato si appropria di ogni cosa; l'economia cinese si è sviluppata anzi in opposizione all'una e all'altra;

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lacausadellecose

Il modo di produzione capitalistico e la questione contadina ieri oggi e domani

di Michele Castaldo

Con una nota analitica sull’India di Alessio Galluppi di “Noi non abbiamo patria

Campesinos trabajando Renato Guttuso GramscimaníaLe recenti mobilitazioni dei contadini contro le misure il governo Modi in India ci obbligano a riprendere una seria riflessione in merito alla questione agraria nel modo di produzione capitalistico e al ruolo del mondo contadino. E lo dobbiamo fare, come correnti che si richiamano agli ideali del socialismo e del comunismo, sgombrando il campo dagli ideologismi che ci trasciniamo dietro da circa due secoli. Questo vuol dire abbandonare ogni ipotesi positivista, permanendo l’attuale modo di produzione che rappresenta un movimento storico dei rapporti degli uomini con i mezzi di produzione.

Diciamo in premessa che le esperienze che si sono fino ad oggi sviluppate, contrassegnate dall’impronta rivoluzionaria in nome del socialismo e del comunismo, erano incentrate sulla proprietà della terra e del suo trasferimento dalle classi nobili alle classi plebee, che hanno caratterizzato il passaggio della produzione agricola artigianale a quella industriale. Questo passaggio, sia pure fondamentale, si è poi dimostrato solo come propedeutico alla vera questione che ha l’umanità di fronte a sé, cioè il rapporto con i mezzi di produzione e di questo con il resto della natura.

Facendo un passo indietro di poco più di 200 anni, ovvero all’indomani della rivoluzione del 1789, notiamo che il problema che si pone in India in questi anni, si era già posto in Francia, ovvero l’intervento politico del governo nei confronti delle leggi dell’economia che correvano più del tempo orario che l’uomo ha cercato di fissare per organizzare la sua vita rispetto ai tempi della natura.

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sinistra

Brancaccio, la catastrofe e la rivoluzione

di Michele Castaldo

Un commento allo scritto «Osservazioni e critiche a “Catastrofe o rivoluzione” di Emiliano Brancaccio» di Gianni De Bellis e Mario Fragnito

9788875787578 400x600Scrive Sergio Cararo su sinistrainrete.info:

«Brancaccio, economista e docente dell’Università del Sannio, ha avuto l’occasione di incrociare la spada in dibattiti pubblici con diversi esponenti dell’establishment: da Mario Monti a Romano Prodi, da Olivier Blanchard a Lorenzo Bini Smaghi»,

dunque parliamo di un pezzo da novanta.

Per quanto mi riguarda non sono abituato a guardare nessuno dall’alto in basso e neppure dal basso in alto, ma a misurarmi con i fatti e le idee che ad essi si riferiscono. Dunque non mi impressiono di fronte a un pezzo da novanta e ascolto con interesse il contadino, lo spazzino, il ciabattino, il pescatore, il manovale e l’operaio per quello che dicono e non per la loro qualifica. Si tratta di un metodo che non tutti i militanti di sinistra sono abituati a usare.

Avevo già letto l’articolo «Catastrofe o rivoluzione» pubblicato su sinistrainrete.info e lo avevo anche commentato in modo un poco “provocatorio”, nel senso che: premesso che si vada verso una catastrofe, cerchiamo di incominciare a ragionare su cosa si debba intendere per rivoluzione. Una serie di ulteriori commenti hanno evidenziato la torre di Babele della sinistra in questa fase, ovvero una voliera nella quale ognuno canta il suo «canto libero».

Su sollecitazione di Gianni a Mario ho riletto lo stesso articolo oltre al loro commento «2001-2016 Centralizzazione del capitale e crisi finanziaria oppure: oppure Crisi, da cui centralizzazione del capitale? ». Cerco, nelle note che seguono, di chiarire il mio punto di vista.

I compagni Gianni e Mario cercano di criticare una certa ambivalenza, un certo equilibrismo di alcune posizioni, o anche di qualche clamorosa contraddizione in Brancaccio.

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lanatra di vaucan

Denaro senza valore - Cap. XV

di Robert Kurz

La fine del movimento di espansione interno, la crisi mondiale della terza rivoluzione industriale e l’imbarazzo del positivismo della sinistra

avarizia 2901788 311568Presentiamo qui un capitolo tratto da Geld ohne Wert (tr.it: Denaro senza Valore),1 l’ultimo libro importante di Robert Kurz uscito quando l’autore era ancora in vita (il libro è del 2011, Kurz ci ha lasciati l’anno seguente a causa di un errore durante una operazione chirurgica). Questa prematura quanto incredibile morte ha sfortunatamente interrotto una importante riflessione in itinere che, con ogni probabilità, avrebbe avuto ancora molto da dire. Kurz infatti al momento della sua morte aveva “solo” 68 anni e, considerando la sua notevole prolificità, tutto lascia pensare che la sua produzione si sarebbe tutt’altro che interrotta in questo punto. Nella prefazione del libro in questione, per esempio, annunciava l’uscita successiva di una serie di testi che avrebbero dovuto approfondire temi legati alla critica dell’economia politica.2

Geld ohne Wert è uno dei molti testi kurziani purtroppo ancora non tradotti in lingua italiana. In questo libro, che è la rielaborazione e ampliamento di una conferenza che avrebbe dovuto tenere in un convegno dal titolo “Magia del denaro. La sua razionalità e la sua irrazionalità” a Brema nel Marzo 2011, Kurz prova a proporre una nuova interpretazione della critica dell’economia politica, elaborando quattro grandi temi – in parte già affrontati in testi precedenti. Il primo di questi riguarda la questione delle società premoderne (o precapitalistiche, che secondo la lettura kurziana è praticamente la stessa cosa), per le quali cerca di delineare la differenza di fondo con quella moderna (o capitalistica). Interpretare le società precedenti alla nostra con gli stessi parametri con cui interpretiamo questa è un errore e una scorrettezza da un punto di vista metodologico, che non rende possibile la comprensione né dell’una né delle altre.

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carmilla

Marx e la cartina di tornasole dell’autoemancipazione

di Fabio Ciabatti

Dan Swain, None So Fit to Break the Chains. Marx’s Ethics of Self-Emancipation, Haymarket Books, Chicago 2020. pp. 224, 33,00 euro

international founding 1864“L’emancipazione della classe operaia deve essere opera dei lavoratori stessi”. Questa famosa affermazione di Marx appare inequivocabile. Basta però, per alimentare qualche dubbio, accostare questa citazione a un altro famoso passaggio in cui il Moro di Treviri parla dell’“organizzazione dei proletari in classe e quindi in partito politico”. Si può così concludere che l’emancipazione della classe operaia è sostanzialmente opera del Partito comunista. Peccato che, come si evince dall’intero corpus marxiano e come è stato chiarito esplicitamente in una lettera dal diretto interessato, Marx quando parla di partito si riferisce generalmente al partito della classe in senso eminentemente storico, non a una qualche specifica organizzazione politica.

In altri termini, il concetto di partito, almeno nella sua accezione dominante nell’opera marxiana, coincide con il “movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti”.1 Un movimento che si costituisce come parte, la parte proletaria in lotta con quella borghese, ponendosi l’obiettivo politico di abbattere il modo di produzione dominante e per fare ciò si cristallizza temporaneamente in specifiche organizzazioni. Saremmo però dei materialisti assai bizzarri se pensassimo che importanti sviluppi storici, come la centralità assunta dal partito nelle vicende novecentesche, siano dipesi dalla cattiva interpretazione di alcuni testi, fossero anche quelli di Marx.

La citazione con cui abbiamo aperto testimonia che l’intera opera marxiana è pervasa da un impegno etico-politico nei confronti della rivoluzione intesa come autoemancipazione del proletariato.2