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lafionda

Il paradigma neoclassico e le risposte del costituzionalismo democratico-sociale

di Paolo Piluso e Pasquale Noschese

20180714 IRD001 0 scaledQuesta è la storia di idee semplici con percorsi complessi. In particolare, si vuole qui riesumare le problematiche e le contraddizioni storiche e pratiche che una certa macroarea culturale, quella neoclassica-liberale, ha gettato o tentato di gettare in un colpevole oblio tramite un lavoro prettamente teorico, concettuale. Il nostro tempo e le lezioni del passato ci richiamano ad una liberazione culturale che consista nell’individuare il problema laddove viene indicata la soluzione, la contraddittorietà laddove viene indicata la linearità, il conflitto laddove viene indicata la pacificazione.

Come accennato, obiettivo polemico del presente scritto è il pensiero neoclassico, in particolare i suoi più fondamentali, sotterranei presupposti, quei concetti generalissimi che non appartengono in senso stretto alla disciplina di cui sono fondamento, in quanto ne sono, piuttosto, la condizione di esistenza. Ernesto Screpanti e Stefano Zamagni forniscono, nel loro “Profilo di storia del pensiero economico”, una brillante esposizione dei suddetti presupposti: “Una quarta caratteristica distintiva dell’approccio neoclassico riguarda i soggetti economici. Se devono essere soggetti capaci di effettuare scelte razionali in vista della massimizzazione di un obiettivo individuale, quale l’utilità o il profitto, devono essere degli individui [corsivo nostro] […] Così scompaiono dalla scena i soggetti collettivi, le classi sociali, i corpi “politici”, che invece i mercantilisti, i fisiocratici, i classici e Marx avevano posto al centro dei loro sistemi teorici. È con il pensiero neoclassico che il principio dell’individualismo metodologico entrerà definitivamente nella scienza economica […] Ma insieme a questo principio si tende spesso a farne passare un altro che è un po’ meno innocente, quello di individualismo ontologico: solo gli individui sono soggetti delle azioni economiche”.

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iltascabile

La meccanica quantistica, la realtà fisica, la mente umana

All’esplorazione di Helgoland, l’ultimo libro di Carlo Rovelli.

di Paolo Pecere*

c5Con Helgoland (Adelphi) Carlo Rovelli ritorna agli albori eroici della meccanica quantistica: all’isola di Helgoland, dove il giovanissimo Werner Heisenberg gettò i fondamenti della nuova teoria. Rovelli ne racconta, col suo stile accattivante, le prime formulazioni, mette a fuoco le sorprendenti novità teoriche e i problemi – senza entrare in troppi dettagli tecnici –, per poi dar conto delle strategie principali con cui gli scienziati hanno provato a trarne una teoria pienamente soddisfacente. Ma il libro è solo in piccola parte un racconto delle discussioni del passato. Rovelli vuole indicare una soluzione: presenta la sua “interpretazione relazionale” della meccanica quantistica, sostenendo che essa permette di sfuggire ai paradossi e alle difficoltà della teoria meglio delle strategie alternative, e riflette sulle implicazioni di ampio respiro che questa interpretazione può avere per la nostra comprensione della realtà fisica e della mente umana, addentrandosi sempre più decisamente nel campo delle ipotesi filosofiche.

La storia della meccanica quantistica è stata raccontata molte volte, e continua ad esserlo – da storici, filosofi e scienziati – per buone ragioni: non soltanto perché è fatta di idee geniali e scoperte rivoluzionarie, una saga della fisica contemporanea che non ha più avuto eguali, ma anche perché il finale della storia sembra ancora aperto. La meccanica quantistica fa previsioni di una esattezza senza precedenti, finora mai smentite dagli esperimenti, e ha avuto fondamentali applicazioni tecnologiche. Nello stesso tempo, fin dall’inizio, è stata una teoria controversa: per alcuni, come lo stesso Einstein che introdusse l’ipotesi dei quanti di luce (i fotoni), si trattava di una teoria efficace come strumento matematico per descrivere i fenomeni, ma fondamentalmente incomprensibile e sbagliata, destinata a farsi sostituire da una teoria migliore; per altri, come Werner Heisenberg e Niels Bohr, era invece portatrice di una verità che poteva essere compresa e accettata soltanto con l’abbandono di intuizioni e pregiudizi molto radicati.

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tempofertile

Come dominare il nostro futuro digitale

di Alessandro Visalli

Andrew McAfee, Erik Brynjolfsson: “La macchina e la folla. Come dominare il nostro futuro digitale”, Feltrinelli, 2020

la macchina e la folla come dominare il nostro futuro digitale 00Il libro di McAfee e Brynjolfsson[1] è stato pubblicato nel 2017 e segue di tre anni il best seller di cui abbiamo già parlato[2], “La nuova rivoluzione delle macchine[3]. Ne è in qualche modo un aggiornamento. Se il testo del 2014 impostava il suo discorso sulla base di una sorta di determinismo tecnologico (le tendenze economiche e sociali, per esse l’ineguaglianza di cui in quegli anni si parla molto[4], sarebbero determinate dall’evoluzione tecnologica, anziché, ad esempio, dalla stagnazione secolare derivante da deficit di domanda e dinamiche demografiche[5], o da dinamiche del sovraindebitamento[6]), in questo segue implicitamente la stessa strada e ne esplora le conseguenze più recenti. In modo ancora più pronunciato, in questo testo gli autori prendono posizione per l’esaltazione, sopra ogni rischio tecnologico di disintermediazione del lavoro e della mente umana, della “genialità del libero mercato” e per la sua capacità di “inventare” soluzioni ai problemi che esso stesso crea.

Siamo da tempo in una sorta di compromesso sociale, fondato su un consenso che si ripresenta spesso anche in forme apparentemente imprevedibili[7], che fa leva sul consumo anziché sull’integrazione sociale ed il lavoro. A causa di questa condizione l’insieme di determinanti e di nessi nei quali siamo immersi erode costantemente le condizioni della riproduzione della vita e rende instabili le nostre società. La lettura di libri come quello di Brynjolfsson e McAfee aiuta a focalizzare una delle più potenti di queste determinanti: la tecnologia (informatica, Ia, meccanizzazione/automazione) e le nuove modalità di comunicazione, creazione, distribuzione ed accumulo di informazione. E, precisamente, consente di misurare il grado di spiazzamento (in rapidità e magnitudine) del lavoro in tutte le sue dimensioni.

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sinistra

Sdoppiamento

di Giorgio Galli

Pubblichiamo l’introduzione di Giorgio Galli, intitolata “Sdoppiamento” al libro di Daniele Burgio, Massimo Leoni e Roberto Sidoli “Il prometeismo sdoppiato: Nietzsche o Marx?” che uscirà a novembre con la casa editrice Aurora

isaiatraspGli elaboratori della teoria dello sdoppiamento, che l’hanno utilizzata per una originale interpretazione della successione dei modi produzione, si impegnano, in questo libro, ad applicarla ad una ricostruzione storica che, appunto, a quella basata sul succedersi dei modi di produzione, può efficacemente accompagnarsi, ma che presenta forti tratti di novità. Il succedersi millenario dei modi di produzione, sino all’odierno capitalismo globalizzato delle multinazionali, ha costantemente dato luogo a società nelle quali gruppi privilegiati sfruttavano maggioranze sottomesse e talvolta ribelli, con relative contese (la marxiana lotta di classe): è quella che nella teoria dello sdoppiamento viene definita linea nera, la società classista fondata sullo sfruttamento, nella quale però coesisteva, pur molto minoritaria, una linea rossa del collettivismo egualitario.

Mentre questa linea interpretativa, a mio avviso un arricchimento di quella marxista, è occasione di ulteriori approfondimenti, i suoi autori propongono un secondo sdoppiamento, questa volta a livello culturale e, quindi, marxisticamente, sovrastrutturale livello che definiscono prometeico, del quale danno questa iniziale definizione: “Una complessa e contradditoria corrente culturale e politica che risale all’era paleolitica e che ha accumulato quasi tremila anni di storia scritta in Europa, che ai nostri giorni si materializza anche nelle avanzate scoperte scientifiche sul potenziamento genetico della nostra specie, col processo di sdoppiamento verificatosi sin dalle origini fra la corrente fraterno-cooperativa e quella del titanismo elitario-classista”: anche a questo livello, dunque, una linea nera prevalente e una linea rossa minoritaria, che hanno ritmato lo sviluppo umano per ben trentamila anni”. In precedenza, come detto, la tesi era stata avanzata a livello economico in due libri dell’editrice Aurora, “Microsoft o Linux?” e “Effetto di sdoppiamento, il ‘paradosso di Lenin’ e la politica struttura”, quest’ultimo con mio intervento al quale voglio aggiungere qualche considerazione circa “Microsoft o Linux?”.

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ilpungolorosso

Tutti pazzi per Keynes…

Con due parole del Lord ai suoi adulatori di sinistra

di pieffe

arton48119Un re taumaturgo (*) ha stregato gran parte dell’extra-sinistra italiana: John Maynard Keynes. Intendiamoci: fra coloro che si ritengono portatori di un “progetto di sinistra”, di una “alternativa di classe”, di una “trasformazione radicale” della società (espressioni che da tempo sostituiscono il riferimento diretto alla rivoluzione e all’abbattimento dello Stato borghese, concetti non spendibili con facilità, specie in vista “delle necessarie aggregazioni elettorali”), ben pochi si riferiscono esplicitamente all’opera e alle ricette di questo economista come al proprio evangelo.

E tuttavia oggi la maggioranza di coloro che si pretendono comunisti, e che quasi sempre alla critica del capitalismo prediligono le invettive contro “il liberismo” o “l’ordoliberismo”, hanno da tempo scelto il keynesismo come l’orizzonte strategico entro cui collocare la propria azione politica. E identificano le soluzioni e gli elementi programmatici di una ipotetica azione di classe, o almeno i suoi “primi passi”, proprio a partire dal modus operandi di quella che per lunghi anni è stata la politica ufficiale dei principali Stati capitalistici.

 

Togliatti, togliattismo e “democrazia progressiva”

Una tale dipendenza è del tutto spiegabile, se consideriamo le tradizioni politiche da cui la maggior parte degli attuali “comunisti italiani” discende – tradizioni politiche tutte saldamente incardinate nella collaborazione di classe, nella rivendicazione della “democrazia progressiva”, nella lunga marcia dentro le istituzioni borghesi, a partire dalla glorificazione della Costituzione della Repubblica borghese post-fascista, che avrebbe avuto il merito di rappresentare la forma politica nuova entro cui poteva e doveva darsi l’emancipazione della classe operaia. Il togliattismo, insomma, come adattamento dello stalinismo alle condizioni italiane, e radice comune di tanta parte delle “opposizioni” oggi esistenti.

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sinistra

Pillole di saggezza sovversiva. Con qualche inciampo, inevitabile

di Dino Erba

Michele Fabiani: La negazione radicale, Edizioni Monte Bove, Spoleto (PG), 2020

9cd949109f1ea5e5c13048a687d270c6Immaginiamo il dibattito elettorale degli ultimi lustri. La professoressa di sinistra con la «erre moscia» e il bullo televisivo delle nuove destre. Lei dice: «Vede cavo la vealtà è complessa». Al che lui fa: «Ma quale complessità, è tutta colpa degli immigrati!». Secondo voi, chi le vince le prossime elezioni?. MICHELE FABIANI, p. 8.

La saggezza cui mi riferisco è quella nascosta dall’ideologia dominante che, come la religione e la scienza, ricorre all’Ufficio complicazione affari semplici (UCAS), gestito da filosofi, politologi, sociologi e compagnia cantante, per evitare che la miseria della sua essenza diventi evidente. E, come nella favola, un bimbo esclami: «Il re è nudo»!

Di fronte a tante bugie dalle gambe corte, il disvelamento potrebbe apparire semplice. Ma se così fosse, non saremmo avviluppati in mille lacci e lacciuoli che intralciano una coerente pratica sovversiva. Certo, le difficoltà materiali ci sono: dalla necessità di sostentarsi (vitto/alloggio...) all’oppressivo confronto/scontro con le istituzioni (Stato). Ma queste difficoltà, direbbe Totò, sarebbero quisquilie, pinzillacchere ... se fosse palpabile la prospettiva per superarle. Ma palpabile non è. E neppure percepita.

Con piacere, seguo Michele nel suo viaggio filosofico-politico, col desiderio di suscitarne l’interesse. Ma tante, troppe sono le questioni al fuoco che è inevitabile la banalizzazione. Son costretto a un’estrema sintesi d 222 pagine, in cui Michele sintetizza più di Ventidue secoli di filosofia e, soprattutto, di porcherie politiche.

 

Alla ricerca del conflitto perduto

Ed è con l’intento di rendere percepibile (se non palpabile) la prospettiva di superamento sovversivo/rivoluzionario (l’Aufhebung, direbbe Hegel) che si cimenta Michele Fabiani.

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blackblog

Un'opera incomparabile nella letteratura critica

di Anselm Jappe

En attendant Godot Festival dAvignon 1978 f22Non è certo una novità affermare che oggi stiamo vivendo in una situazione di crisi permanente, e che la crisi ecologica e quella economica - la devastazione delle basi naturali della vita e la povertà crescente nella società - convivono in quella che è un'atmosfera di catastrofe che si fa sempre più intensa. Mentre le minacce sembrano riproporsi continuamente, mettendoci davanti a dei pericoli della cui esistenza fino a poco tempo fa non eravamo nemmeno a conoscenza - come il cambiamento climatico - o che ritenevamo fossero completamente superati - come i movimenti politici di stampo fascista - allo stesso tempo, il minimo che si possa dire è che negli ultimi decenni, il pensiero che avrebbe dovuto permetterci di fronteggiare tali minacce non si è rinnovato con la stessa rapidità e con lo stesso vigore.

La maggior parte delle volte, si è cercato di comprendere delle situazioni storicamente inedite per mezzo di categorie ereditate dal marxismo tradizionale e dal liberalismo, dalla teoria dello sviluppo o da quella del sottosviluppo, dalla giustizia sociale redistributiva e dalla democrazia rappresentativa. Tra i rari tentativi di ripensare globalmente ciò che ci sta accadendo, troviamo la "Critica del Valore" , la quale consiste in una critica radicale del valore mercantile e del denaro, del lavoro e della merce, dello Stato e del feticismo della merce, tutte cose che costituiscono le categorie centrali del capitalismo fin dai suoi inizi. La critica del valore analizza anche quella che è la crisi irreversibile in cui oggi si trovano tutte queste categorie. Si tratta di un approccio che si ispira a Marx, ma che lo fa in un modo assolutamente non «ortodosso». Nata in Germania negli anni '80 (ed in modo del tutto simile, seppure indipendentemente, negli Stati Uniti, con l'opera di Moishe Postone) intorno alla rivista "Krisis", la critica del valore ha avuto una ripercussione particolarmente importante in Brasile.

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losguardo

Umanesimo europeo

Discussione

di Stefano Virgilio

F. S. Trincia, Umanesimo europeo. Sigmund Freud e Thomas Mann, Morcelliana 2019

9788828400370 0 0 626 75Umanesimo europeo. Sigmund Freud e Thomas Mann, ultimo lavoro di Francesco Saverio Trincia, uscito nei tipi di Morcelliana/Scholè (2019), è un denso e interessante tentativo di riscoprire alcuni tratti della portata filosofica (termine particolarmente significativo, considerando la diffidenza di Freud nei confronti della filosofia) della psicoanalisi freudiana alla luce del filtro interpretativo di Thomas Mann. Parallelo a tale riscoperta è il proposito di fare chiarezza e di reinterpretare alcuni aspetti del pensiero freudiano in modo tale che, senza facili sensazionalismi o avventurismi ermeneutici, vi si possano accostare categorie apparentemente lontane, attraverso un metodo che procede senza contrapporre elementi opposti (ad esempio “razionalità e irrazionalità”, “progresso e regresso”), bensì mostrando “hegelianamente” una loro reciproca implicazione “ossimorica”.

Sotto questo punto di vista, degno di interesse è già il titolo, che associa il concetto di “umanesimo” al padre della psicoanalisi. Tale nesso, infatti, non appare affatto immediato, e non è un caso che l’autore dedichi al «senso del problema» l’intero primo capitolo, nel quale illustra gli scopi del lavoro e il percorso attraverso il quale si propone di raggiungerli. Trincia cerca di mettere a fuoco il modo in cui si può parlare di “umanesimo” all’interno del pensiero freudiano e, va detto, si tratta di un’impresa non facile, non foss’altro per il fatto che «Freud non definisce se stesso mai “umanista”. Nessuna dottrina e tanto più nessuna retorica o ideologia dell’uomo è presente nel suo universo concettuale e clinico» (p. 12). Siamo quindi di fronte a un primo apparente paradosso: ricercare un umanesimo che “non c’è”. Trincia affronta la sfida col supporto essenziale di due saggi di Thomas Mann (uno dedicato direttamente a Freud e uno su Nietzsche), di cui si serve per individuare la presenza di un progetto umanistico all’interno del pensiero di Freud.

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coku

La limpidezza ha bisogno dell’offuscamento

di Eugenio Donnici

sfChi studia la visione è d’accordo sul fatto che essa comporta un processo di costruzione. In condizioni normali questo assunto non appare così ovvio, ma in condizioni in cui la vista è impedita per una ragione o l’altra, nelle situazioni in cui siamo costretti a ricostruire il puzzle ovvero quando la confusione sovrasta la scena osservata, iniziamo ad avere la sensazione che il riconoscimento degli oggetti nel mondo richiede di mettere insieme le parti percepite in un intero coerente. Di solito, nessuno di noi si pone la domanda sul come vediamo, di contro, molto spesso, accade che, nel notare un peggioramento nel nostro campo visivo, ci rechiamo da uno specialista della visione, per ripristinare i parametri standard degli input sensoriali. D’altronde, un tale atteggiamento è naturale, spontaneo, e ci protegge dal rimanere paralizzati come il millepiedi che risponde all’interrogativo della formica: «in che ordine metti i piedi l’uno dietro l’altro?»

La soluzione di questa storiella Zen potrebbe essere proprio nel riconoscere che è la stessa domanda a essere sbagliata, ragion per cui non aborriamo qualsiasi domanda, anzi ci tocca individuare e rispondere a quegli interrogativi che, di volta in volta, ci consentono di esplorare la scena visiva.

Nello scorrere le pagine del bellissimo libro di Kevin O’ Regan, Perché i colori non suonano, è possibile trovare un’ampia e ricca trattazione di temi strettamente interconnessi tra di loro, che ci permettono di aumentare il nostro grado di consapevolezza sulle caratteristiche del processo visivo. Il suo lavoro spazia dalla cecità al cambiamento del sé cognitivo e sociale, dall’intelligenza artificiale alla nuova teoria sulla coscienza, dalla concezione della pura sensazione alle differenze tra il vedere, immaginare e ricordare, eccetera.

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lanatra di vaucan

La storia della terza rivoluzione industriale*

6-L’illusione della società dei servizi

di Robert Kurz

Sesto capitolo della sezione VIII dello Schwarzbuch Kapitalismus (“Il libro nero del capitalismo”) di Robert Kurz

telemNaturalmente le elite funzionali del capitalismo si rendono conto, o quanto meno hanno sentore del fatto che, prima o poi, si arriverà alla fine della corsa. Se non si verificherà al più presto una nuova avanzata della crescita e dell’occupazione su scala globale accadrà ciò che sembrava già incombere drammaticamente, su di uno stadio di sviluppo assai inferiore, durante la prima parte del XIX secolo: lo sgretolamento della società capitalistica, ostinatamente attaccata alla sua forma, nelle guerre civili e negli stati di assedio permanenti, nel terrore e nella follia. Il discorso della «tolleranza zero» è già un sintomo della crescente paura da parte delle elite, che potrebbero perdere completamente il controllo della situazione. Ma poiché, com’è logico, la violenza in uniforme, nuovi campi di correzione e di lavoro non possono generare da soli una nuova accumulazione di capitale, bisogna comunque insistere con la claudicante promessa di un miglioramento economico, anche se quest’ultima sembra essere ormai del tutto insussistente.

La scomparsa definitiva del miracolo economico industriale è ormai un fatto universalmente noto. Nessuno parla più della teoria delle «onde lunghe», un tempo il paradigma della crescita industriale. Conformemente alla tesi della «disoccupazione naturale» di Milton Friedman, esiste oggi un consenso generale fra economisti e consulenti aziendali circa il fatto che la «piena occupazione» non tornerà mai più. Ma per «gestire», in un modo nell’altro, il sistema globale capitalistico nel suo processo di crisi occorre trovare, costi quel che costi, un nuovo settore di crescita per l’«occupazione» per arrestare l’incessante processo di liquefazione almeno in una parte relativamente considerevole dei settori industriali.

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badialetringali

Femminismo anticapitalista?

Elementi di una critica del femminismo II*

di Marino Badiale

femminismo5I. Introduzione

Questo scritto parte dalla convinzione della fine relativamente vicina dell’attuale organizzazione economica e sociale, che a partire dal 1989 si è estesa al mondo intero [1]. Il collasso di questa forma sociale, il capitalismo, dipende dal fatto che essa è entrata in una fase di totale distruttività: sta ormai divorando natura e società, distruggendo in tal modo i fondamenti stessi della propria esistenza.

Se questo dato di fatto è già piuttosto preoccupante, ciò che veramente spaventa è rendersi conto della sostanziale assenza di ogni forma di opposizione o di resistenza al suicidio collettivo verso il quale il capitalismo sta portando l’umanità. Ciò dipende sicuramente da molti fattori, ma credo che uno di questi sia il fatto che chi arriva oggi a sviluppare, in un modo o nell’altro, una coscienza critica anticapitalistica, lo fa attraverso una serie di mediazioni culturali che sono in realtà completamente inadatte a costruire una resistenza effettiva. Anche qui, il discorso per essere completo dovrebbe toccare molti temi (di alcuni ho discusso recentemente [2]). Uno di questi è sicuramente la predominanza, all’interno delle minoranze anticapitalistiche, delle tesi del “politicamente corretto”. Nel breve spazio di questo scritto mi concentrerò su un punto specifico, quello del femminismo, e discuterò l’idea, molto radicata nelle piccole cerchie anticapitalistiche, che il femminismo debba essere parte essenziale di ogni progetto di superamento del capitalismo. Intendo quindi discutere le relazioni fra femminismo e anticapitalismo, e intendo criticare la tesi appena esposta.

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eticaepolitica

Bussole possibili per sinistre solide

di Andrea Cengia*

Da Etica & Politica / Ethics & Politics , XXII, 2020, 2, pp. 601-609, ISSN: 1825-5167

bussola 1Esiste ancora oggi uno spazio teorico-politico che risponde al nome di Sinistra? Giungere oggi a porre questa domanda, dopo la fine della drammatica esperienza sovietica, apre ad una rosa di riflessioni non scontate. Nel discorso pubblico generale, il richiamo a una non meglio precisata sinistra politica e culturale circola con grande facilità. Tuttavia, i partiti presenti, che numericamente dovrebbero farsi carico di rappresentare le istanze politiche di sinistra, non sembrano godere oggi di buona salute non solo dal punto di vista del consenso elettorale, ma anche sul piano della proposta politica. Si potrebbe sostenere che tale quadro si inserisce nella difficoltà più generale ad assumere una Weltanschaauung differente da quella di matrice riformista. Quest’ultima è individuata come unica possibilità — dialogica, comunicativa e di creazione di spazi di consenso —attraverso cui giungere alla levigazione delle asperità del dominante quadro di mercato, magari attraverso ‘sapienti’ interventi di ottimizzazione del sistema normativo e redistributivo. Questa descrizione coincide quasi integralmente con quella che Jacques Bidet ha definito come polo politico delle competenze, nominalmente alternativo al polo del capitale. Mentre quest’ultimo avrebbe una collocazione immediatamente riconoscibile, il primo è frequentato da individualità politiche che giustificano la propria esistenza sulla scena pubblica, basandola sul fatto che sarebbe in loro possesso, quasi esclusivo, la competenza a saper gestire e organizzare, anche con maggiore ‘umanità’, la macchina politico-produttiva del modo di produzione capitalistico1. La ricollocazione di queste formazioni riformiste all’interno dell’alveo del sistema sociale egemone, al fine di ristabilire chiarezza di proposte, finalità e referenti sociali, può essere ben condotta attraverso A Sinistra (G. Cesarale, A sinistra. Il pensiero critico dopo il 1989, RomaBari, Laterza, 2019).

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Sei tesi su complottismo e rivoluzione

di Alessandro Lolli

Un contributo di Alessandro Lolli, autore de La guerra dei meme (effequ 2017), il quale del complottismo si è già occupato: sei tesi dallo sguardo obliquo articolate per punti, utili per cominciare ad aprire un dibattito necessario sulla questione

complottiamo1. Che cos’è il complottismo.

a. Si definisce complottismo l’insieme di credenze aberranti, cioè che divergono in maniera inconciliabile dalle credenze comunemente accettate. Complottismo è anche il nome dato all’unificazione teorica di più credenze aberranti entro un quadro sistemico che aspira a una sua coerenza interna (il complotto giudaico, il complotto del Deep state, il complotto degli Illuminati, eccetera).

b. Fondamentale capire chi ha il potere di definire complottismo questo o quell’insieme di credenze. Complottismo è infatti un esonimo: un nome dato a quelle credenze da chi non le sostiene. I marxisti chiamano se stessi marxisti, i rapper chiamano se stessi rapper, i complottisti non chiamano se stessi complottisti.

c. Complottismo è il nome dell’insieme di credenze aberranti dato da chi reputa quelle credenze non solo aberranti, ma false. Il complottista sa che le sue credenze sono aberranti, cioè che divergono in modo inconciliabile dalle credenze accettabili, ma non le ritiene false.

d. Le singole credenze aberranti sono anche chiamate “bufale” o “fake news” e possono o non possono fare a capo a uno o più teorie del complotto.

 

2. Su cosa verte il complottismo

a. Un ampio spettro di affermazioni e teorie ricade nel complottismo al punto che questo viene spesso definito un’ideologia o una filosofia. Per questo è giusto sottolineare che l’affermazione inaugurale del complottista verte sui concetti di vero o falso, non di giusto e sbagliato.

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azioni parallele

Lenin e la dialettica. Teoria e prassi di un metodo rivoluzionario

di Massimo Piermarini

Recensione a Costantino Avanzi, Lenin e la dialettica. Teoria e prassi di un metodo rivoluzionario, Mimesis, Milano-Udine, 2020, ISBN-13: 978-8857563688, € 28

avanziIn un corposo volume di oltre 300 pagine, Costantino Avanzi affronta un argomento controcorrente, anacronistico ad opinione di molti, in tempi di post-comunismo e di conclamata egemonia del neoliberismo: il valore della dialettica nel pensiero e nell’opera politica dell’artefice della Rivoluzione socialista d’Ottobre, Vladimir Ilic Ulianov Lenin. L’uscita stessa di questo volume dedicato ad un personaggio chiave della storia del Novecento, il secolo che non finisce, segnala la possibilità di un’articolazione diversa della riflessione sul presente e sulla dimensione storica del suo sviluppo. Dopo i saggi di G.Lukács, più volte richiamato nel testo, e quelli di A. Negri (1973) e quello più recente (2017) di S. Žižek, che si muovono su linee teoriche e un approccio metodologico molto diverso, Avanzi affronta la polpa della filosofia e del metodo rivoluzionario di Lenin: la dialettica. La dialettica si presenta non soltanto come la logica rivoluzionaria del marxismo in quanto materialismo dialettico, essa è la chiave di comprensione degli avvenimenti e della lotta politica e del metodo della prassi rivoluzionaria e viene ricostruita nel volume attraverso un’attenta disamina del suo ruolo nella preparazione e nella realizzazione della Rivoluzione d’ottobre e nei problemi di costruzione del socialismo dopo la rivoluzione. Le avventure della dialettica nella politica leninista suggeriscono dunque un orizzonte di discussione intorno alle dinamiche reali della storia del comunismo. Come segnala E. Alessandroni nell’Introduzione al volume esso si misura sulle contraddizioni reali che il processo rivoluzionario e la costruzione del socialismo produce e sul metodo di trattarle cogliendo le articolazioni reali dei conflitti sociali e la logica nascosta del “determinismo dialettico” delle contraddizioni da parte di Lenin:

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bollettinoculturale

Un confronto tra marxismo ed MMT

di Bollettino Culturale

1ymyjxxygnkzi8ycmw3jlagLa teoria della moneta moderna (MMT) basa il suo sviluppo sullo storico disaccoppiamento del denaro dal gold standard. Dal 1971, con il crollo del sistema di Bretton Woods e l'abbandono del gold standard da parte degli Stati Uniti, il denaro divenne denaro fiat (valuta convertibile solo con sé stessa, senza l’obbligo di essere convertibile in oro) e controllata totalmente dalla banca centrale e dallo Stato.

Raccogliendo le tasse, lo Stato impone la propria valuta sull'economia nel suo insieme. In altre parole, il denaro statale viene riconosciuto e utilizzato da altri agenti economici perché devono pagare le tasse in quella valuta.

Non dovendo sostenere il denaro esistente nell'economia con una certa quantità di oro, lo Stato perde, afferma la MMT, tutte le restrizioni oggettive sulla sua spesa. Emette la moneta e può spendere tutto ciò che vuole nella propria moneta, il che ovviamente non significa che sia sempre consigliabile farlo. In ogni caso, la valuta sarà sempre accettata nel territorio sotto la sovranità dello Stato, poiché altri agenti economici ne hanno bisogno per pagare le tasse. Pertanto, il confine tra politica fiscale e politica monetaria è, secondo la MMT, artificiale.

Né per finanziare né per spendere lo Stato ha bisogno di riscuotere le tasse. Finanzia la sua spesa, è colui che emette la valuta e quindi non può mai esaurirla.

Attraverso la spesa, lo Stato infonde liquidità nell'economia, poiché la spesa pubblica implica un aumento delle riserve nelle banche private. Aumentando o vendendo il debito pubblico, al contrario, preleva denaro da se stesso.