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gramsci oggi

Filosofo della storia, geografo dell’anticolonialismo

di Marcos Aurélio da Silva*

losurdo689Domenico Losurdo, l’eminente filosofo italiano che tante volte ha visitato il Brasile e qui è stato ampiamente pubblicato, ci ha lasciato la mattina del 28 giugno scorso. Assieme alle lacrime per la perdita di un intellettuale di tanta levatura, ci possiamo però felicitare per l’enorme eredità che Losurdo ci ha lasciato attraverso le sue molte opere. Da queste possiamo ricavare molti insegnamenti su come leggere la storia e prendere posizione nel dibattito delle idee volte a superare questo mondo “grande, terribile e complicato”, come diveva Gramsci (Lettere dal carcere, 1926-1937. Org.A.A. Santucci, Palermo: Sellerio, 1996, p.421). Quel Gramsci che fu una delle principali fonti di ispirazione di Losurdo e del quale fornì un’interpretazione rigorosa e di grande interesse.

Infatti per Losurdo il grande autore marxista italiano è anzitutto consapevole che “l’assorbimento della parte vitale dell’hegelismo” nel materialismo storico è “un processo storico ancora in movimento” (Q. 10 II, § 10, p. 1248)1 . Un Gramsci, dunque, sempre attento alla categoria di "sviluppo storico", come Alberto Burgio, non per caso il primo alunno di dottorato di Losurdo, ha sottolineato in un'opera dedicata a questo argomento (Gramsci Storico, Roma: Laterza, 2002). Questo è un punto di partenza cruciale se si vuol capire il modo in cui, esercitando sempre una filologia esigente nella citazione dei testi di Gramsci, Losurdo presenta una lettura del comunista italiano molto diversa da quella a cui è stato a lungo associato. Non un Gramsci distaccato dalla rivoluzione bolscevica, ma un autore che identifica il "livello più avanzato raggiunto dal marxismo" proprio nel "processo rivoluzionario russo"(Antonio Gramsci, dal liberalismo al «Comunismo critico». Ed. Gamberetti, 1997).

Come si vede, qui non c'è nulla che ricordi la lettura di Gramsci di Norberto Bobbio al noto Congresso Internazionale di Studi Gramsciani, tenutosi a Cagliari nel 1967: solo un teorico delle sovrastrutture occidentali, fondamentalmente un interprete degli organismi della società civile, letti senza alcuna relazione con la storia della lotta di classe.

Ciò non vuol dire che Gramsci non offra elementi per interpretare l'Occidente. Si ricorda che i termini Est e Ovest, Nord e Sud, nonostante riferimenti che "corrispondono a fatti reali", sono, in Gramsci, costruzioni "storico-culturali", "sovrastrutture", che alla fine esprimono "relazioni tra complessi di civiltà diverse", e in particolare "il punto di vista delle classi colte europee", che "attraverso la loro egemonia mondiale le ha fatte accettare ovunque" (Q. 11, § 20, p. 1419-20). Vale a dire, che sono in una intricata connessione nel processo che mette in moto la storia degli uomini. E questa, quando la storia interviene come partner della geografia, è la lettura di forte accento hegeliano che Losurdo ci offre di Gramsci e del materialismo storico. O, ancora meglio, quando la filosofia della storia interviene nella sua dimensione geografica, a rigore geopolitica, di una geopolitica popolare.

Si tratta di una chiave interpretativa che è ben consapevole della categoria di traducibilità di Gramsci, ma senza dissociarla da quella di catarsi, con la quale mantiene le relazioni necessarie. Stiamo parlando della "elaborazione superiore della struttura nella sovrastruttura", un processo che coincide "con la catena di sintesi che deriva dallo sviluppo dialettico" (Quaderni dal Carcere. 10 II, § 10, p. 1248, p. 1244). Ed è indispensabile qui anche la categoria hegeliana di Wirklichkeit, come quella presentata da Losurdo in Hegel, Marx e la tradizione liberale (Editori Riuniti, 1998). Quella che si riferisce alla nozione di realtà in un senso forte e strategico, la realtà non è in alcun modo simile al puro empirismo così caratteristico di Hipolit Hippolytitch, il folcloristico professore di storia e geografia dipinto da Cechov, che “parlava solo di quello che tutti già sapevano” (O Professor de letras. O assassinato e outras histórias. Trad. R. Figueiredo. São Paulo: Cosac & Naify, 2002, p. 27). Sebbene la dimensione empirica della realtà non sia, in Hegel, un semplice “non-essere”, è il Wirklichkeit che figura come l'asse centrale della filosofia hegeliana che raggiunge Marx e il marxismo. Molto presente nei Quaderni di Gramsci, anche nel trattamento dei termini geografici sopra menzionati (Q. 11, § 18, p. 1417; § 20, p. 1420), è quello che ci permette di osservare le tendenze fondamentali del processo storico, cioè la relazione tra il reale e il razionale, una relazione capace di esprimere la sempre maggiore realizzazione della libertà formale e reale, termini non antitetici in Hegel. Ed è così che Losurdo ci rimanda ad Engels, che nota l'affiliazione di Hegel alla rivoluzione francese: “la monarchia francese era diventata così irreale nel 1789, così priva di ogni necessità, così irrazionale che doveva essere distrutta dalla grande rivoluzione, della quale Hegel parla con sempre maggior entusiasmo. In questo caso la monarchia era l’irreale e la rivoluzione il reale”(Hegel, Marx e la tradizione liberale, Op. cit.). Il reale che acquista espressione nello Stato come comunità etica, lo Stato non solo occupato con i diritti di proprietà, ma col supporto al benessere delle persone, col diritto al lavoro, col diritto alla vita, vale a dire con la libertà non solo formale, ma oggettiva, reale.

Ed ecco che Losurdo ci offre la chiave per leggere la rivoluzione del 1917, è lo stesso movimento progressivo della storia che parte dagli esiti del processo lanciato nel 1789. Per inciso, si comprende ora il significato della ricerca monumentale di Losurdo su Niestzche. Il filosofo di Röcken (Sassonia) è un critico aspro del ciclo rivoluzionario che va dal 1789 al 1848 e “dei movimenti proto socialisti fino alla Comune di Parigi”, così come dell'apparato teorico lasciato da questa tradizione: la categoria di "uomo come tale", di "progresso storico", di "égalité"(Nietzsche e a crítica da modernidade, São Paulo: Ideias e Letras, 2016, p. 49). In particolare, per Nietzsche, la tesi della "razionalità del reale" non rappresenterebbe altro che il "culto della maggioranza numerica che si esprime nella democrazia e nella crescente presenza e pressione delle masse e dei servi" nella vita sociale e politica che godrebbero così di un "riconoscimento inaccettabile sul piano della filosofia della storia grazie a una visione che esclude a priori di retrocedere dai risultati del mondo moderno” (passim, p. 27-28).

Infatti, è aggiornando, o meglio ancora, traducendo le numerose bandiere che fondano la modernità nel ciclo che si apre nel 1789, che la Rivoluzione del 1917 trova una soluzione (reale e razionale) al grande disordine in cui si era trovata la Russia zarista. E questo non solo per quanto riguarda il catalogo dei diritti umani di cui sopra, ma anche e soprattutto per quello che costituisce il punto più alto di questi diritti, vale a dire il diritto alla pace: “la Rivoluzione d’Ottobre è la prima rivoluzione con i tratti della lotta contro la guerra, impugnando ancora una volta l'ideale di pace della rivoluzione francese” (A revolução, a nação e a paz, Estudos Avançados, no 62, jan.-abr., 2008, p. 16).

È chiaramente molto apprezzata in Losurdo la dimensione geopolitica della filosofia della storia. Ma è consapevole del fatto che si tratta di una geopolica totalmente diversa da quella di di estrazione classica fornita dal geografo Rudolf Kjellén. Si riferisce prima alle elaborazioni che emergono dai movimenti di liberazione nazionale socialista, come si erano sviluppati dopo la seconda guerra mondiale nei partiti comunisti, dall'Unione Sovietica, dalla Cina, dal Vietnam e persino dall'Italia (Abdel-Malek, A. Geopolitics and national movements: an essay on the dialects of imperialism. Antipode, 9 (1), 1977), visibilmente sulla scia delle riflessioni di Gramsci, che nei Quaderni cercavano sempre di associare al "complesso problema dei rapporti delle forze interne", i "rapporti delle forze internazionali" e la "posizione geopolitica di un dato paese" (Q. 10, § 61, p.1360). Così, mentre per Hannah Arendt, la grande esponente della filosofia liberale del XX secolo, "non sono mai gli oppressi che aprono la strada" (La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Roma-Bari: Laterza, 2013, p. 281), in Losurdo come in Gramsci l’emancipazione parte dalla condizione subalterna. Un processo che è sociale, ma anche spaziale, rigorosamente geografico. Quello che si può concludere, osservando la tesi di Losurdo secondo cui la dialettica del maestro e dello schiavo di Hegel, presentata nel capitolo 4 della Fenomenologia dello Spirito, è innanzitutto una dialettica che diviene coscienza della lotta anticolonialista e anti schiavista dei giacobini neri di Haiti (Hegel e la liberta dei moderni. Vol. 2, Napoli: La scuola di Pitagora, 2011, p. 695). A rigore è già una dimensione della lotta per la pace.

Ed ecco la critica di Losurdo agli interpreti del liberalismo borghese. Locke il loro capo, sempre indicato come azionista di società di colonizzazione, ma non meno Nietzsche, il filosofo che “giustifica (o celebra) ‘la barbarie dei mezzi’ impiegati dai conquistatori ‘in Congo o altrove’ ”. (Nietzsche e a crítica da modernidade. Op. cit., p. 78). Curiosamente, è anche questo, sebbene senza le tinte reazionarie del liberalismo, il fallimento del marxismo occidentale. È il problema della dominazione colonialista o neocolonialiasta con le loro inerenti tensioni geopolitiche, che appare negli autori di questa tradizione come il grande assente, il riassunto della sua ultima opera. (Il marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere. Bari-Roma: Laterza, 2017). Queste tensioni geopolitiche includono la seconda guerra mondiale, che Losurdo legge allontanandosi dalla periodizzazione convenzionale cara alla storiografia occidentale. Sulla scia delle letture fatte dalle direzioni dei PC che resistevano all'ignomignosa aggressione, questo è un episodio che non inizia solo nel settembre del 1939, quando il Reich invade la Polonia, ma già all'inizio degli anni 30, quando l’aggressione del Giappone si lanciava contro l’Asia. Passando per l’intervento italo-tedesco in Spagna nel 1936 o allo smembramento della Cecoslovacchia nel 1938 (Il marxismo occidentale. Op. cit., p. 51). Infatti, dal momento che la Prima Guerra non si era conclusa con un trattato di pace, significando con ciò che tutti i Capi di Stato avevano coscienza dell’imminenza della recrudescenza del conflitto, questo ciclo deve essere compreso fin dal secondo decennio del ventesimo secolo (Stalin. Storia critica di uma leggena nera. Carrocci ed., 2008).

E che dire del processo storico che seguì la vittoria sul nazismo? La geopolitica di matrice popolare che parte dalla vittoria dell'URSS sul Reich e dà significato ai movimenti di liberazione nazionale che culmineranno nei processi di decolonizzazione, è anche quella che viene richiamata per spiegare il ciclo di emancipazione e riconoscimento che si apre nelle democrazie occidentali del dopoguerra. E di nuovo c'è un'opposizione al liberalismo del nostro tempo e al marxismo occidentale. Se per raggiungere la libertà Hannah Arendt mette tutte le speranze sulla tecnologia, o Habermas preferisce parlare nella pacificazione sociale nel contesto dello stato sociale, Losurdo mette al centro di questo dibattito la lotta di classe insistendo, anche su questioni come il razzismo e l'emancipazione femminile, sul ruolo positivo svolto dalla rivoluzione del 1917 e sulle lotte anticolonialiste che vengono dal Sud (La lotta di classe. Op. cit.). E non sarebbe troppo per dire che anche qui c'è un Gramsci di estrazione hegeliana che appare come l'ispirazione principale. Ricordiamo la critica di Gramsci a Croce che cercava di “scrivere (concepire) una storia dell’Europa del XIX secolo senza trattare orgnicamente la Rivoluzione Francese e le guerre napoleoniche” (Q. 10 I, § 9, p. 1227). Ma anche, se ricordiamo che questo è stato un processo che non ha sempre comportato il socialismo, nella tesi che nel “movimento storico non si torna mai indietro e non ci sono restaurazioni «in toto»” (Q. 13, § 26, p. 1619).

Sicuramente per Losurdo questo non è un movimento già finito e senza contraddizioni. Nonostante la progressività del movimento storico, anche presente, per esempio, il rifiuto di identificare l'Unione europea come uno stato imperialista (Esiste oggi un imperialismo europeo? L’Ernesto Rivista, settembre, 2004), è un processo non ancora completato, se non altro perché ha davanti a sé la lotta contro una filosofia necessarista della storia, la stessa contro la quale si sollevò la rivoluzione giacobina, e poi il materialismo storico (Intervista a S. G. Azzarà in: L’humanité commune: dialectique hégélienne, critique du liberalisme et reconstruction du matérialisme historique chez Domenico Losurdo. Paris: Delga, 2012). Vale a dire, la filosofia sostenuta dall'impero planetario statunitense, che si presenta coi colori del darwinismo sociale per proclamarsi "la nazione eletta" per essere "il modello per il mondo" (Revolução de Outubro e Democracia no mundo, trad. M. A. da Silva, in: 100 anos da Revolução Russa. Legados e lições. São Paulo: F. M. Grabois e Anita Garibaldi, 2017). Una cantilena che ha origine nel Destino Manifesto, refrain ideologico per la conquista dell'Occidente e l'annientamento dei pellerossa, ma che oggi è ripreso dai Clinton e Obama. Ma il movimento non è ancora completato perché il processo di sviluppo storico (e anche qui le influenze di Gramsci) è complesso e soggetto a tempi lunghi, il che significa che le lotte per l'emancipazione devono, contro ogni impazienza e dogmatismo, concepirlo come un difficile e tortuoso processo di apprendimento.

Ed è così che viene messa davanti a noi l'esperienza cinese, l'espressione odierna di una geopolitica popolare, una geopolitica anticolonialista e di liberazione nazionale, che tanto ha interessato Losurdo. Un esperimento che ha così spesso indicato come esempio di una costruzione socialista che è stata in grado di allontanarsi da una visione messianica per posizionarsi di fronte alla propia storia (la Rivoluzione Culturale, il Grande Balzo in Avanti) e alla storia del movimento comunista internazionale (la difficoltà di organizzare uno stato di diritto socialista nell'ex Unione Sovietica) con l’esigenza della critica e della legittimità. Un processo in grado di concepire lo sviluppo storico in chiave rigorosamente dialettica, cioè come Afhebung, categoria centrale della filosofia hegeliana che invita a pensare la negazione e la deposizione dell’ordine esistente come eredità simultanea dei punti più alti dell’ordinamento politico e sociale politico e sociale negato e rovesciato (Il marxismo occidentale. Op. cit., p. 28).

Un pensiero così rigoroso, critico e allo stesso tempo altamente sofisticato mancherà indubbiamente nella lotta "per l'unificazione culturale del genere umano", cui invitava Gramsci (Q. 11, § 17, p. 1416). Ma come si diceva all’inizio di questo testo, questa mancanza, e anche la nostalgia che lascia negli amici, compagni, studenti e lettori, possono, almeno in parte, essere riempiti con lo studio dedicato della fertile e vasta opera di elaborazione storico-filosofica che questo gigante della tradizione materialista storica ci ha lasciato.


*Professore dell’Università Federale di Santa Catarina (Brasile). Dottore in Geografia Umana per la FFLCH-USP, con stage di post dottorato in Filosofia Politica all’Università degli Studi di Urbino.

(trad. Giuliano Cappellini)

Note
1 Per le citazioni dai quaderni del Carcere di Gramsci ci siamo riferiti all’edizione critica italiana dell’Istituto Gramsci a cura di Valentino Gerratana e publicata dall’Einaudi nel 1975. Useremo la notazione Q. per il numero del quaderno e § per il paragrafo rispettivo.
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