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Psicopolitica, potere neoliberale oltre la coscienza

di Silvio De Martino

psicopolitica1. Il neoliberalismo e governo attraverso la libertà: un “controllo delle anime” senza resistenze?

Il paradosso dell’esperienza della libertà nella fase della storia umana caratterizzata dall’avvento della connessione globale, può essere presa in considerazione solamente compiendo un’analisi del potere. Psicopolitica di Byung-Chul Han[1], professore filosofo coreano presso l’Università di Berlino, è un libro che prova a gettare luce su svariati ambiti della contemporaneità neoliberale a partire da uno sguardo critico che vuole evidenziarne alcune sfaccettature e alcune forme in cui si incanalano le soggettività e il potere.

Psicopolitica è il titolo che prova a farsi interpretazione cogente della complessità entro cui oggi tutti ci troviamo collocati. Il tentativo di coniare questo termine si pone l’obiettivo di andare oltre l’oramai celebre concetto di biopolitica di Michel Foucault. Per l’autore coreano la biopolitica deve essere semplicemente intesa come “tecnica di governo della popolazione”, che utilizza forme di sapere che la intendono come un aggregato biologico umano, caratterizzato da tassi di natalità e strumenti propri della demografia, allo scopo di ottimizzare i corpi che è necessario disciplinare, poiché la loro attività deve essere modellata e gestita secondo degli schemi pensati e organizzati dall’esterno. Biopolitica è intesa come “sussunzione reale” dell’intera popolazione messa al lavoro a servizio della produzione, in un modello che si è realizzato pienamente nel quadro di produzione industriale fordista.

Psicopolitica è, invece, l’idea che il potere, nella sua complicata versione propria del neoliberalismo, vada oltre il modellamento dei corpi, indirizzandosi direttamente dentro la psiche e penetrando l’inconscio dei soggetti. La messa a valore dei corpi eterodiretti intesi nella loro nudità, nella loro dimensione fisica e materiale, è insufficiente se non controproducente in questa fase storica. Siamo in presenza di uno scarto paradigmatico del potere che ha bisogno di nuovi modi attraverso cui i soggetti agiscono e producono, e di conseguenza, di nuovi modi in cui gli stessi soggetti debbano entrare in relazione con se stessi e con gli altri. La produzione simbolica, comunicativa, affettiva canalizzata all’interno degli strumenti della rete, diviene oggetto di misura, calcolo e quantificazione finalizzata alla costruzione di panorami di mercato ed attività commerciali. L’interazione simbolica si rende dato, oggetto di lavoro dei big data analyst. Oggi, quindi, ad entrare in circolo sono le soggettività nella loro interezza, che si pongono in essere attraverso gli strumenti della comunicazione in rete, dove la produzione simbolica e identitaria è completamente interna agli strumenti di cattura della psicografia collettiva, strumenti che rendono possibile la connessione e al contempo fungono da strumenti del controllo.

Psicopolitica apre un ventaglio di elementi caratteristici della fase che stiamo esperendo, facendo emergere le dinamiche entro cui la soggettività viene a costituirsi, soggetti che si ritrovano a essere passivi e isolati all’interno di una trama complessa di cui non sono in condizioni di poter cogliere la complessità e le sfumature. In primo luogo quello che si sperimenta nella vita sociale e nella dimensione personale è un’illusione di libertà. La fase neoliberale, infatti, si caratterizza come esplosione della percezione di libertà di agire. Il vincolo di assoggettamento nei confronti delle imposizioni esterne all’individuo tende a scemare, nel senso che lo schema classico di assoggettamento dei corpi attraverso il loro disciplinamento tende ad essere sostituito da una dimensione di libertà, intesa principalmente come possibilità di scelta e possibilità di espressione. La differenza fondamentale tra la fase disciplinante e quella neoliberale in senso stretto è la fonte dell’obbligazione che in precedenza veniva dall’esterno, ora direttamente dall’interno dei soggetti. Il sistema produttivo ha bisogno che i soggetti siano liberi di esprimersi, ha necessità del frutto di quella espressione, di quella comunicazione, di quelle azioni, di quella cooperazione. La percezione di libertà è controbilanciata dall’obbligazione che il soggetto si autoimpone tentando di aumentare la propria produttività o le proprie performance, diventando una soggettività che realizza se stessa percependo di essere libera e al contempo facendo gli interessi di forze esterne ad esso. L’oramai celebre espressione imprenditore di se stesso è la più lampante spiegazione di una torsione della soggettività che si produce come massimo strumento di autovalorizzazione. Segno più evidente che le forme di sfruttamento si trasferiscano dall’esterno sempre più verso l’interno, è il fatto che i momenti di crisi non sono caratterizzati da una messa in discussione dei meccanismi più generali che possono aver prodotto quel tipo fallimento, e quindi anche da forme di conflittualità verso l’esterno, ma vengono vissute come forme di fallimento personale, che produce depressione. La depressione, così diffuso disagio del nostro tempo appare come qualcosa che deriva dalle autoimposizioni del soggetto. Ma, a focalizzare meglio la questione, essa è chiaramente il prodotto di una forma di potere sociale sui soggetti.

La forma della libertà associata all’azione del soggetto neoliberale è quella della libertà di scelta tra offerte che il mercato tende a offrire. I bisogni che i soggetti percepiscono come propri sono in verità espressione dei bisogni del sistema produttivo ma per errore essi vengono percepiti come se derivassero dai soggetti stessi che li esperiscono. Il paradosso dell’autonomia all’interno del neoliberalismo è frutto di un oscuro diagramma di forze e di illusioni legate all’ interpretazione di esse: il neoliberalismo sviluppa il senso dell’autonomia, lo lascia esperire ai soggetti come forma di libertà esaltante, ma al contempo ne lascia agli stessi la custodia del controllo, li forma come sorveglianti di se stessi della loro funzione che i soggetti che attraverso ciò realizzano il capitale in quanto suoi agenti. Il capitale in buona sostanza produce e governa i soggetti attraverso la libertà, poiché ha costruito soggetti la cui disposizione è interamente funzionale al mantenimento della loro produttività per il capitale stesso. Neoliberalismo significa dunque governo attraverso la libertà, come in effetti era già stato messo in evidenza nell’opera di Nikolas Rose Powers of Freedom[2]. Si tratterà di capire come la sia costrizione che il divieto vengono ad esser sostituiti da alcune forme di piacere e soddisfazione, provando a sedurre i soggetti nella dimensione della scelta di mercato.

In questa visione del neoliberalismo la necessità dei soggetti di vivere il proprio progetto e le continue, variabili e complesse forme attraverso cui la vita si realizza, vanno di pari passo con  le forme del controllo che vengono ad articolarsi attraverso la tecnologia e i sistemi di comunicazione contemporanei. La mutazione da potere che disciplina a potere che lascia fare si scandisce attraverso un campo di controllo che traduce l’agire in dati da danno forma alle dimensioni psicografiche dell’umano. Attraverso l’interpretazione dei flussi di dati si ha accesso a una dimensione che riguarda gli aggregati umani di cui il singolo non può rendersi conto ma che contribuisce a formare nel suo complesso aggregato. Attraverso i dati è possibile avere accesso all’inconscio collettivo, come misura e interpretazione di dati aggregati. Risuona un’idea di realtà sui generis che è la società stessa, la cui sagoma può essere delineata attraverso l’aggregazione di questi dati che compongono un quadro che è esterno ma al contempo coercitivo per gli individui stessi.

 

2. L’impotenza politica di un’analisi che ignora la cooperazione.

Byung-Chul Han sulla scia di quanto affermato da Bernard Stiegler, non riconosce nella biopolitica una concezione del potere adeguata a comprendere le dinamiche contemporanee. Ma al cuore di quanto pensato dall’autore sta la produzione di soggettività intesa nella sua singolarità: la posta in gioco del potere diventa il governo del sé. Già Foucault nella sua ultimissima opera poco prima della sua morte precoce aveva iniziato a focalizzare l’attenzione sul passaggio dalle modalità di interazione (in termini di potere) tra vari individui, a quella dell’individuo che agisce su se stesso, le tecnologie del sé. Nella psicopolitica la sfera del dominio e del controllo sul sé sono la posta in gioco più alta del potere, poiché il neoliberalismo tende a colonizzare integralmente questa sfera attraverso dei sistemi che per un verso controllano i soggetti, dall’altro lato cercano di ottimizzarli, di orientali verso un’estetica dell’esistenza, che diviene una meravigliosa illusione perché totalmente agita entro una logica di sfruttamento. Anche le forme della cura di sé, dell’empowerment sono solamente dei sistemi che mirano alla massimizzazione di una resa e un maggiore sfruttamento possibile. Il neoliberalismo spinge affinché l’individuo agisca su se stesso in maniera autonoma, in modo tale che, proprio grazie a questa sensazione di autonomia esperisca un senso di libertà che è però illusione poiché espressione di un rapporto di dominio che lascia essere per massimizzare gli effetti dell’autolavoro del soggetto. Il soggetto che si elabora attraverso le tecniche del sé lavora per l’autottimizzazione delle sue forze in favore delle sue funzioni per il sistema produttivo. Tutto il piano simbolico ed emotivo del soggetto viene incluso in questi processi, in primis però facendo leva non sui sentimenti, di lunga durata e in questo senso potenzialmente disfunzionali rispetto alle logiche della mutevolezza del mercato, ma sulle emozioni, intense ma di breve effetto, che vengono utilizzate per aumentare la resa e le performance, sia per colonizzare il soggetto sul piano preriflessivo e per modellarlo anche in funzione delle sue capacità ad esempio relazionali dove le competenze emozionali e sociali sono sempre maggiormente importanti, e di conseguenza, oggetto di valutazione da parte di chi le governa.

Questa analisi psicopolitica è sicuramente un modo di puntare alla carne viva di problematiche pregnanti dei tempi che ci attraversano. L’attraversarci in questo senso non è più un’immagine meramente figurata, ma una reale forma di caratterizzazione di ciò che siamo. Eppure il piano dell’analisi dell’autore si poggia su un presupposto estremamente vago, relativo a ciò entro cui i soggetti produttivi sono coinvolti. Le forme della soggettività sono sconnesse dalle forme della produzione. In quale relazione sono i soggetti in questa epoca? Il piano della produzione oggi, che è anche comprensivo della formazione dei soggetti e della loro cattura all’interno degli strumenti della connessione globale, può essere pensato solamente come un piano di singolarità autonome all’interno dello sciame? La capacità produttiva dei soggetti è dentro una connessione anch’essa produttiva propria di infinite forme di cooperazione che non possono essere pensate come una somma di atomi, ma che sono di un molto di più che riesce a produrre proprio in funzione di questo agire in comune. Queste forme di cooperazione non possono essere ignorate nella misura in cui sono esse stesse costitutive dei processi di valorizzazione contemporanei. La singolarizzazione della dimensione cooperativa della produzione, presupposto dell’analisi dell’autore, non si può definire come una condizione di fatto della vita produttiva contemporanea, ma, paradossalmente, è più che altro una forma governamentale propria del neoliberalismo che vuole i soggetti entro un quadro individualizzato caratterizzato da un frame di regole e di divieti che segmentano le possibilità associative e che separano ciò che invece potrebbe essere unito. Il punto politico fondamentale è che questa prospettiva non riesce a non collocarsi all’interno del problema della soggettività intesa come etica della vita singolare. Se da un lato l’autore non offre alcuna idea di prospettiva di liberazione collettiva dalle morse di queste trame del potere, dall’altro lato l’unica possibile modalità di praticare un’agire politico è una forma di desoggettivizzazione disalienante, un processo di sottrazione a dalle forme assoggettate. Un piano che rimane avvinghiato a una dimensione puramente etica delle realtà individuale, disancorata da pratiche collettive o da processi sociali aggreganti. Se per l’autore la condizione del soggetto all’interno della dimensione sociale di produzione è di isolamento e di autodominio funzionale, così la sola possibilità di sfuggire a questa presa è una via individuale, solitaria e se vogliamo una forma di resistenza autonoma, del tutto astratta dalle condizioni materiali per cui questi meccanismi sono andati a modellare la soggettività stessa. Sembra quasi che sia necessaria per questa forma di liberazione/autonomizzazione una sorta di rifiuto intellettualistico, il cui esito può essere compreso solo da chi ha gli strumenti concettuali per poter vedere, ma che rimane assolutamente ignoto, oscuro e insignificante per coloro che non sanno o che non potranno mai conoscere questa versione della rappresentazione della soggettività all’interno del complesso della vita collettiva. Non esiste alcuna ragione per cui i soggetti debbano sentirsi appellati a cercare di essere altro, se non si prova a mettere in luce le dinamiche di resistenza entro questa organizzazione del potere. Non c’è alcuna possibilità di esito collettivistico percepito, né di cambiamento strutturale. Da qui ne deriva una drammatica prospettiva di impotenza politica, il cui risultato non è altro che l’inasprirsi delle dinamiche che sono oggetto della critica del testo. Se l’analisi del neoliberalismo proverà solamente ad essere focalizzata su una dimensione singolare della soggettività, escludendo le forme di associazione collettive, ogni capacità anche solo di miglioramento non riuscirà a tradursi in una prassi politica concreta che possa provare a scrivere un destino differente.


Note
[1] Il testo è stato edito da Nottetempo nel 2016 e tradotto in Italiano da Federica Buongiorno.
[2] N. Rose, Powers of freedom. Reframing political thought, Cambridge University Press, 1999.
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