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Published: 30 June 2018
Created: 30 June 2018
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economiaepolitica

Ordoliberalismo 2.0 e ordopopulismo

di Lelio Demichelis

populismo 640x488Se volessimo suddividere per fasi[i] la storia del liberalismo economico, il 1938 è sicuramente un anno che sembra fare da spartiacque tra prima e dopo. Perché è in quell’anno che si svolge a Parigi il Convegno (o Colloquio) Lippmann, dal nome dell’americano Walter Lippmann, liberale e autore del celebre L’opinione pubblica e di La giusta società. Convegno che voleva gettare le basi per la nascita del neoliberalismo (o per la rifondazione del liberalismo), facendo incontrare – pur nelle loro differenze e conflitti – il modello neoliberista austro-statunitense (da von Hayek a von Mises a Milton Friedman e la Scuola di Chicago) e quello ordoliberale prima tedesco (da Röpke a von Rüstow, da Erhard a Eucken e altri) e poi europeo (da Einaudi a Monti e Draghi, ai Trattati Ue).

Tuttavia, ciò che chiamiamo neoliberalismo è in realtà sia un’evoluzione (o meglio: una involuzione) del primo liberalismo, sia (e soprattutto) un suo potenziamento finalizzato alla conquista dell’egemonia politica e antropologica (oltre che del dominio). Pianificata mediante la costruzione di un uomo nuovo neoliberale e capitalista, il neoliberalismo così spingendosi – secondo Massimo De Carolis – “a immaginare un meccanismo di civilizzazione davvero alternativo a quello di Hobbes, che non si concepisse più come una negazione dello stato di natura [la guerra di tutti contro tutti, superata con il contratto sociale] ma, all’opposto come un suo progressivo governo dall’interno”[ii], cioè contrattualizzando socialmente questo stato di natura necessario alla competizione economica. Così facendo il neoliberalismo però nega di nuovo la libertà dell’individuo e lo assoggetta, ma in nome della libertà – come scrive Byung-Chul Han[iii] – alle norme e alle forme di organizzazione e di funzionamento del mercato. Perché, come ha evidenziato Michel Foucault in Sorvegliare e punire, già il XVIII secolo ha inventato la libertà ma anche la società disciplinare – che serviva al capitalismo per organizzare il lavoro e creare l’uomo nuovo adatto alla rivoluzione industriale.

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Published: 30 June 2018
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inchiesta

La fine della gioventù

Come la precarietà del lavoro sta cambiando il mondo

di Paolo Botta

generazioniNegli ultimi decenni il nostro paese, come del resto tutti i paesi della UE, ha posto in essere significativi cambiamenti nelle politiche economiche e sociali che avevano caratterizzato la fase successiva alla seconda guerra mondiale. Ciò ha determinato un consistente riassetto dello status di tutti i principali attori in campo, anche se le trasformazioni più evidenti hanno riguardato l’universo giovanile. In questa nota mi soffermerò su questo segmento di popolazione, cercando di evidenziare i principali mutamenti che lo hanno caratterizzato nel tempo.

 

Come nacque la gioventù

Una volta, in tempi molto lontani, il genere umano si distingueva poco al suo interno rispetto all’età anagrafica. Forse la distinzione più evidente era tra l’infanzia e l’età matura perché presto si assumevano ruoli adulti, che si mantenevano per tutta la vita. La vecchiaia avanzata era il tempo della saggezza e della riflessione e durava poco.

Poi venne la società industriale, ma poco cambiò perché quando si era ancora poco più che bambini si era catapultati in ruoli adulti: gli infanti erano costretti a svolgere lavori faticosi e massacranti più dei padri. In questa situazione non si aveva il tempo di essere quello che oggi chiamiamo comunemente giovane, perché subito si diventava adulti e poi vecchi senza soluzione di continuità.

Ad un certo punto, però, qualcosa cambia. Lo sviluppo della società industriale rende necessario richiedere ad un numero crescente di persone una qualche presenza nella scuola. In passato solo pochissimi eletti potevano intrattenersi per periodi più o meno lunghi negli studi prima di entrare nel mondo del lavoro.

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Published: 29 June 2018
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cominfo

Prospettive della UE, governo Conte e sovranità costituzionale

intervista a Vladimiro Giacchè

Pubblichiamo di seguito un’intervista a Vladimiro Giacchè, economista marxista, a cura di Francesco Valerio della Croce

Suzanne Valadon par Henri de Toulouse Lautrec1) E’ stato evidenziato che il voto del 4 marzo ha aperto una fase nuova nella vita del Paese: le forze su cui si è retta la cosiddetta “democrazia dell’alternanza” nel bipolarismo – ma in realtà speculari nell’applicazione servile delle politiche economiche UE – sono uscite pesantemente sconfitte, aprendo la strada all’ascesa di Movimento 5 stelle e Lega. Credi che si sia aperta effettivamente una fase nuova di transizione per il nostro Paese?

Mi sembra presto per dirlo. Una cosa però possiamo affermarla con ragionevole certezza. La maggioranza dei votanti ha inteso dare un segnale di cambiamento e di rottura precisamente per quanto riguarda il tema, cruciale, dei rapporti con l’Unione Europea. Che questa volontà, che a me appare chiara, possa poi tradursi davvero in politiche che rappresentino un punto di svolta rispetto all’ “applicazione servile delle politiche economiche UE” dei precedenti governi, è un’altra faccenda. Che dipende da molti fattori: la coesione interna del governo e l’effettiva capacità (e volontà) di tenere fede all’obiettivo dichiarato di far sentire la propria voce nel consesso europeo, la pressione ricattatoria che sarà esercitata sul governo affinché venga a più miti consigli (qualche saggio sui mercati l’abbiamo già avuto), infine – la cosa non sembri secondaria – gli orientamenti dell’opposizione in Italia. È evidente infatti che un’opposizione attestata su una linea di ottuso lealismo europeo, in continuità con le politiche rinunciatarie degli ultimi anni, non soltanto si suiciderebbe, ma indebolirebbe le chance del nostro Paese di vedere riconosciute le sue ragioni, e in ultima analisi diminuirebbe le possibilità di un esito non traumatico della crisi dell’Unione.

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Published: 29 June 2018
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contropiano2

E’ morto Domenico Losurdo, filosofo e marxista

di Rete dei Comunisti - Stefano G. Azzarà*

Pubblichiamo qui il ricordo della Rete dei Comunisti e di Stefano G. Azzarà, che con Losurdo ha studiato e lavorato.

La morte dello studioso, del compagno Domenico Losurdo è una perdita che pesa. Particolarmente in una fase storica, come quella che viviamo, in cui le ragioni dell’alternativa, del riscatto sociale e della liberazione dal lavoro salariato sembrano offuscate e smarrite sotto il peso e la evidente pervasività dell’offensiva borghese.

36310250 10214312247254660 7971513886115364864 nLosurdo è stato un intellettuale comunista a tutto tondo. Losurdo è stato uno scienziato della teoria il quale – da materialista e, quindi, da marxista autentico – non si è mai tolto il cappello a fronte delle ideologie dominanti e delle loro mastodontiche forme di esercizio e di comando. Mai banale, mai dogmatico, mai impressionistico nei confronti della materia sociale che ha studiato, interpretato e, quando necessario, sapientemente demistificato. In questo contesto Domenico Losurdo ha dato un notevole contributo al generale processo di critica del liberalismo in tutte le sue diversificate rappresentazioni e del capitalismo. Sul versante filosofico e storico lo studio e la rigorosa ricerca di Losurdo ha contribuito allo smantellamento di alcune (forti) narrazioni capitalistiche su temi e snodi di fondamentale importanza non solo per disarticolare il sistema ideologico di pensiero dominante ma anche per mantenere aperta – su tutto l’arco delle contraddizioni – la strada del cambiamento societario, dell’alternativa di sistema e del socialismo.

Nei suoi scritti la spinta al mutamento ed alla necessità della rottura rivoluzionaria è sempre presente senza mai dimenticare la storia, l’epopea ma anche la necessità di un bilancio del movimento comunista internazionale e di alcuni suoi grandi interpreti che hanno segnato, in ogni caso, la nostra contemporaneità.

Enormi sono i suoi lavori editoriali e lo studio accumulato nei decenni, sia in Italia e sia in altri paesi. Non a caso Domenico Losurdo è stato apprezzato anche da chi, pur da posizioni teoriche distanti dal marxismo, riconosceva la qualità e la serietà del contributo ideale ed intellettuale di Domenico.

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Published: 29 June 2018
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valigiablu

Intelligenza artificiale, filtri e contenuti sui social 

di Fabio Chiusi

“L’odio resterà. A sparire saranno i diritti e le libertà degli individui”

mobile phone 1087845 1920 990x510L’approvazione nelle scorse ore della contestata riforma europea sul copyright da parte del Comitato Affari Legali del Parlamento UE, se confermata in assemblea plenaria, segnerà una rivoluzione copernicana per la creazione e condivisione di contenuti in rete. Se fino a oggi le piattaforme digitali si presumevano non responsabili dei contenuti dei propri utenti, ed erano chiamate a rispondere solo in seguito a segnalazione di contenuti illeciti già pubblicati, da ora saranno costrette a intervenire prima ancora che vengano pubblicati.

I critici le chiamano censorship machines, macchine da censura. E hanno ragione: nel nome della tutela del diritto d’autore, si instaura un meccanismo per cui ogni contenuto deve passare il vaglio preventivo di una serie di algoritmi — opachi e ignoti al legislatore come all’opinione pubblica — il cui compito è creare una sorta di barriera all’ingresso alla rete. Se al check-point algoritmico si presenta per esempio un video che, in tutto o in parte, corrisponde a un contenuto protetto sulle liste fornite dai titolari del copyright, allora va bloccato prima ancora della pubblicazione.

Anche se la normativa europea non lo chiama così, si tratta in tutto e per tutto di un sistema di filtraggio. Idea pericolosa in sé, ma che lo diventa ancor più se si pensa che si tratta di un controllo a priori per nulla trasparente, dai contorni vaghi e senza che si comprenda di quali meccanismi di tutela e appello disponga chi si vede rimuovere, e automaticamente, contenuti perfettamente leciti.

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Published: 28 June 2018
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sinistra

Considerazioni sul nesso fra teoria e politica nel marxismo italiano degli anni ’70 e ’80

di Eros Barone

marxismo italiano 02L’ortodossia non deve essere ricercata in questo o quello dei discepoli di Marx, in quella o questa tendenza legata a correnti estranee al marxismo, ma nel concetto che il marxismo basta a se stesso, contiene in sé tutti gli elementi fondamentali, non solo per costruire una totale concezione del mondo, una totale filosofia, ma per vivificare una totale organizzazione pratica della società, cioè per diventare una integrale, totale civiltà. […] Una teoria è rivoluzionaria in quanto è appunto elemento di separazione completa in due campi, in quanto è vertice inaccessibile agli avversari. Ritenere che il materialismo storico non sia una struttura di pensiero completamente autonoma significa in realtà non avere completamente tagliato i legami col vecchio mondo.
Antonio Gramsci1

1. Centralità del nesso fra teoria e politica

Le note che seguono mirano per un verso a puntualizzare il nesso tra teoria e politica, così come si è andato configurando in alcuni momenti decisivi dell'elaborazione marxista che hanno contrassegnato l’arco storico degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, e per un altro verso a indicare le condizioni per una possibile ricomposizione di tale nesso nella prospettiva della ripresa di un movimento di classe offensivo. La ricognizione del tema non può che svolgersi lungo i mobili confini, tra scienza e ideologia, di un campo di ricerca attraversato da una lotta specifica tra diverse ed opposte tendenze, espressione strutturale di un livello determinato della lotta di classe, la pratica teorica, a sua volta ‘sovradeterminato’, attraverso una peculiare combinazione di effetti, dagli altri livelli o istanze della totalità complessa costituita dall’insieme base-sovrastrutture-pratiche, cioè dai livelli corrispondenti alla pratica economica e alla pratica politica della lotta di classe.2

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Published: 28 June 2018
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operaieteoria

All’ordine del giorno: partito operaio

di Enzo Acerenza

ocinf 350x350La domanda che poniamo è in questi semplici termini. Siamo ancora operai che si riuniscono come venditori di forza lavoro e tentiamo di venderla al nostro padrone alle migliori condizioni o siamo operai che hanno imparato, per propria esperienza pratica, che il nostro orizzonte non può fermarsi a questa contrattazione: nella migliore delle ipotesi ci garantisce una misera vita normale e nelle peggiori ci colloca fra i milioni di uomini che non sanno come tirare avanti.

Se siamo ancora nella prima condizione basta trovare un sindacato capace di contrattare al meglio la vendita delle nostre braccia e se non c’è occorre costruirlo. Abbiamo delle organizzazioni sindacali completamente allineate alle necessità economiche del padrone, è lui che fa il prezzo, e lui che imposta le condizioni di utilizzo della merce che vendiamo. Quando parliamo di sindacati ci riferiamo ai confederali, questi hanno costruito la loro forza contrattuale sulla disponibilità a sottoscrivere qualunque patto servisse al padrone per garantirsi i profitti e, come qualsiasi commerciante, hanno sostenuto che se non c’è il compratore (il padrone) nessuno compra la merce che, inutilizzata, può andare solo in rovina. Dove cade tutto questo baraccone? Cade nel momento in cui pur avendo un compratore, pur dando completa disponibilità di utilizzo delle nostre braccia, pur accettando un prezzo basso, un salario da fame, il nostro bravo compratore non conosce limite, ci consuma fino all’osso, dove non può intensificare il rendimento orario prolunga la giornata lavorativa, riportando la sua lunghezza ai livelli di cento anni fa. Il consumo della forza lavoro spinto alle estreme conseguenze produce il fenomeno del suo consumo mortale. I morti sul lavoro non sono disgrazie, sono un prodotto specifico della massima spinta al rendimento che il padrone impone nelle sue fabbriche.

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Published: 28 June 2018
Created: 28 June 2018
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sollevazione2

Il trappolone (franco-tedesco)

di Leonardo Mazzei

L'ultima trovata: far decidere ai parlamenti di Berlino e Parigi la politica economica italiana. Non è uno scherzo, è la proposta Merkel-Macron. E poi qualcuno ci chiede perché insistiamo tanto sulla sovranità...

3ee9082be3924c663e5e6c604a5e6587A Berlino stan preparando una trappola. Ed a Parigi gli tengono bordone. Nel mirino - sai che novità! - l'Italia. Il terreno è stato arato fin dall'autunno scorso, con il famoso non-paper di tre paginette col quale Wolfgang Schäuble dette il suo addio all'Eurogruppo. Ora, dopo otto mesi, Angela Merkel proverà a tradurre in pratica le dritte del suo ex ministro. L'occasione sarà quella del vertice europeo della prossima settimana.

«L'ultima trappola di Schäuble in Europa», questo il titolo insolitamente allarmato dell'insospettabile Sole 24 Ore dell'11 ottobre 2017. Insospettabile pure l'autore, Alberto Quadrio Curzio, non esattamente un "populista". Il quale, descrivendo la proposta dell'ormai ex ministro delle Finanze tedesco, parlava già allora di: «un Fondo monetario come "sovrano rigorista"» e di una «minacciosa "gestione ordinata" dei titoli di Stato», concludendo seccamente che «la proposta è da respingere e non solo perché sarebbe micidiale per l’Italia».

Com'era immaginabile quella di Schäuble non era la mera esercitazione di un ministro in disarmo. Tant'è che adesso la cosa si fa seria. Ce ne parla stavolta un altro insospettabile, Federico Fubini sul Corriere della Sera di ieri l'altro. Il fatto è che l'informale non-paperdell'attuale presidente del Bundestag ha ora preso l'ufficialissima forma di una proposta firmata dal duo Merkel-Macron.

Ma se a ottobre l'establishment nostrano sembrava deciso a dire no, adesso invece tentenna. Lorsignori comprendono che il cappio franco-tedesco riguarda in qualche modo anche loro, ma l'alternativa è il dilagare del populismo, addirittura il licenziamento della tanto amata Merkel, che Dio non voglia!

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Published: 27 June 2018
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la citta futura

Crisi della sinistra, ruolo dei comunisti e restaurazione neo-liberale

Marco Paciotti intervista Stefano G. Azzarà

e3D. Stefano, da anni ti troviamo in prima linea sul fronte ideologico della lotta di classe. Tra gli strumenti che metti a disposizione c’è una rivista, di cui sei fondatore e direttore scientifico: “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane”. Un titolo che richiama i fondamenti stessi del marxismo che tra il popolo tutto, non solo quello che lavora solo con le mani, non gode di ottima salute. Da cosa nasce, dunque, l’esigenza di un’iniziativa così controcorrente e qual’è stata la reazione del mondo accademico italiano ed internazionale?

R. In prima linea mi pare troppo. Diciamo dal divano, visto che non faccio più militanza attiva dal 2009, quando sono stato espulso da Rifondazione Comunista…

Il marxismo come materialismo storico, che è una cosa ben diversa dall’economismo oltre il quale molti compagni non riescono ad andare, ha rappresentato un salto nell’evoluzione delle forme di coscienza dell’umanità che dobbiamo considerare irreversibile: come è accaduto dopo la rivoluzione scientifica copernicana, dopo il marxismo nulla può essere più come prima nell’analisi della realtà; chiunque pretenda di capire il mondo senza confrontarsi con esso, sia pure per contestarlo, difficilmente potrebbe essere preso sul serio. Questo vale anche in ambito accademico, dove coloro che vogliano studiare la società e le sue forme espressive non possono evitare, anche volendo, di utilizzare il concetto di classe sociale.

Il materialismo storico tuttavia non è soltanto uno strumentario scientifico ma ha anche una dimensione politica essenziale. In questo senso, per capire il suo stato di salute nella società e nell’accademia noi non possiamo che applicare autoriflessivamente il marxismo a se stesso.

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Published: 27 June 2018
Created: 27 June 2018
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sbilanciamoci

Macroeconomia, mezzo secolo di regresso

di Sergio Bruno

Nell’esegesi del libro di Francesco Saraceno “La scienza inutile”, i limiti di Keynes e alcuni errori che iniziano ad emergere anche tra gli studiosi di stampo neoclassico, dallo scarso peso al contesto di forti disuguaglianze alla sottovalutazione dei “prezzi ombra” di lavoro, beni e servizi

81S7R6oQVXLDi questi tempi, che piovono dal cielo dei governi, pesanti come chicchi di grandine, quasi solo atteggiamenti e decisioni densi di insipienza, mi vien da pensare come, nella prima metà del Novecento, vi sia stata una vera e propria rivoluzione copernicana nella comprensione dei fatti economici, con studiosi capaci di “vedere al di là del velo delle mere apparenze”, come accadde quando fu faticosamente superato il geocentrismo. Allo stesso tempo mi chiedo come negli ultimi cinquant’anni, invece, possa esservi stato in vaste parti della teoria economica un regresso cognitivo altrettanto sorprendente. Ed è interessante pure come tutto ciò, rivoluzione e controrivoluzione, abbia avuto riflessi importanti sulla cultura espressa dalla sfera politica e da quella della comunicazione influente.

La prima rivoluzione mi sembra tanto ovvia quanto ampiamente sottovalutata e per certi versi non pienamente compresa, quanto meno se si pensa che chi conosce bene i rivoluzionari della prima ora in macroeconomia – Robertson, Keynes, Hansen, Lerner- potrebbe fare fatica a vedere la parentela che questi studiosi hanno con quelli, da Pigou a Coase, che hanno posto con grande anticipo le premesse per una critica radicale all’efficienza dei mercati, evidenziando addirittura come il sistema dei prezzi espresso dal libero agire del mercato sia un pessimo indicatore di valori relativi, e quindi fonte di distorsioni sistematiche nell’uso delle risorse.

Molto più arduo per me, e penso per molti, cominciare ad intravvedere le ragioni dell’emergere e del consolidarsi impasticciato della controrivoluzione; ragioni, ben inteso, che vadano oltre all’ovvio intreccio tra il fascino ideologico del mercato e lo strapotere degli interessi a questo fattualmente legati. Tra questi non mi astengo dal segnalare la opulenta circolazione di studiosi tra organizzazioni che si occupano di banche e moneta a livello internazionale e tra tali organizzazioni e l’accademia.

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Published: 27 June 2018
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paginauno

Un hobby a cottimo

di Collettivo Clash City Workers

food delivery ft evidenza 2 800x497I raiders da dizionario sono i membri di un commando che agisco veloci nell'assalto, che, insomma, fanno raid. Nelle nostre città: compatti, all'assalto del mercato del food delivery.

I fattorini li conoscono tutti, consegnano di tutto e lavorano per qualcuno di preciso, qualunque mezzo di trasporto usino; i raiders, invece, sono una specie strana, dicono vadano solo in bici perché gli piace e che lavorino per sé. La definizione militaresca li colloca su un altro pianeta fatto di avventura, dedizione, desiderio di conquista, ma la realtà è un'altra.

I riders sono coloro che lavorano per piattaforme come Just Eat, Delive roo, Glovo, Sgnam, Food Pony, Foodora, My Menu consegnando, principalmente in bicicletta, il cibo a domicilio. Anche in Italia i raiders hanno iniziato a organizzarsi come veri lavoratori, anche se le politiche aziendali sono basate sulla tesi che chi lavora nelle consegne tramite app e algoritmi sia nulla più che un 'collaboratore' autonomo, quasi un imprenditore. Nel febbraio scorso il primo sciopero nel bolognese ha bloccato le piattaforme per due ore e costretto alcune compagnie a sospendere il servizio, prima a tratti e poi definitivamente per l'intero turno serale. L'organizzazione è dunque arrivata anche in una media città, dopo che in quelle più metropolitane il percorso di organizzazione è partito da tempo con mobilitazioni significative a Milano e Torino, e qualcosa inizia a muoversi anche a Roma. Man mano che il servizio si estende si estendono anche le mobilitazioni di lavoratrici e lavoratori, anche se si parte da uno squilibrio di potere fortissimo.

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Published: 26 June 2018
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politicaecon

"Chi non rispetta le regole" a Roma

di Sergio Cesaratto

Pubblichiamo la traccia della mia presentazione del libro a Roma in una splendida cornice. Grazie all'amico Alberto e ad Asimmetrie. Splendidi i/le ragazz* di L'intellettuale dissidente. A breve il video a cura di ByoBlu, grazie anche a loro

CenciIl libro nasce da una conferenza a Friburgo, la patria dell’ordo-liberismo tedesco, in cui cercavo di spiegare agli amici tedeschi che le responsabilità del mancato funzionamento dell’euro, almeno dal nostro punto di vista, non erano imputabili solo all’Italia, ma forse soprattutto alla Germania. In un certo senso questa è un’affermazione contraddittoria, in quanto l’euro gli italiani se lo sono cercato e hanno aiutato attivamente a disegnarlo. L’euro è il culmine, a ben vedere, del nuovo regime di politica monetaria ispirato e impostato da esponenti come Andreatta e la sua corte bolognese (Prodi, Onofri, Basevi fino a Enrico Letta), con il contributo fattivo della Banca d’Italia post-Baffi e della crescente influenza bocconiana. Cos’è questo nuovo regime?

Nel libro prendo le mosse un pochino indietro, dal fallimento dell’Italia del miracolo economico nell’incontrare le esigenze di giustizia distributiva e di modernizzazione del Paese. Il tentativo riformista agli inizi degli anni sessanta ci fu, ma fallì presto. Già nel 1963 si udì il “tintinnio di sciabole”, e le prime lotte operaie furono stroncate con la stretta creditizia. Il conflitto riesplose negli anni settanta governato in un qualche modo dal modello inflazione/svalutazione e dall’espansione della spesa pubblica con il livello del debito tenuto sotto controllo da tassi di interesse reali negativi. La stabilità dei prezzi fu simbolo e vittima di un irrisolto conflitto distributivo.

Attraverso lo SME e poi col divorzio (il ben noto colpo di Stato bianco di Andreatta e Ciampi), il nuovo regime intese porre disciplina al sistema. Il modello degli anni ottanta fu però contraddittorio: il combinato disposto della perdita di competitività esterna e del sostegno alla domanda interna da parte di governi che avevano ancora in mente la crescita, e gli elevati tassi che ne conseguirono, fece due vittime, in parte sovrapposte: il debito pubblico e il debito estero.

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Published: 26 June 2018
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pierluigifagan

There is no alternative?

di Pierluigi Fagan

51YabGja3kL. SR600315 PIWhiteStripBottomLeft035 SCLZZZZZZZ L’argomento che qui trattiamo è la tesi sostenuta dall’economista e storico americano Robert J. Gordon, nel suo celebre “The Rise and Fall of American Growth” (Princeton University Press, 2016), beneficiato di non so quanti premi editoriali, critiche molto rispettose e giudizi altrettanto ossequianti da parte di K. S. Rogoff e di L. Summers, nonché da premi Nobel quali R. Solow, G.Akerlof e P. Krugman di cui alleghiamo qui una recensione tradotta in italiano. Ammettiamo di non aver letto le 784 pagine dell’originale che pare siano assolutamente godibili per le parti descrittive delle reali condizioni di vita prese con narrativa concreta e circostanziata, tanto quanto per le molte tabelle, indici, statistiche molte delle quali confezionate proprio dall’Autore a supporto della sua inedita tesi. Ci siamo riferiti ad un companion book che ne riassume le tesi (una sorta di Bignami, se ci è consentita l’analogia) ed ai molti articoli su di lui scritti, nonché alle sue conferenze, le TED (qui) ma anche la più estesa conferenza alla LSE di un’ora e mezza (qui). Alle tesi del professore della Northwestern, per quanto inedite e fuori del coro, a chi scrive, non risulta siano state opposte obiezioni forti. Certo poiché la tesi portano ad un certo pessimismo per il futuro ed essendo il futuro impredicibile in via di principio, si può apprezzare la sua ricostruzione storica e poi mantenere out look più ottimisti, ma più che certezze predittive, l’opera di Gordon è secondo noi apprezzabile in senso storico ed in quanto materializzatrice di quel fenomeno che chiamiamo economia, soprattutto per il mondo occidentale e soprattutto ora che la crescita orientale sembra mostrare fenomeni di “grande convergenza” con quella occidentale come abbiamo segnalato già qui.

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Published: 25 June 2018
Created: 25 June 2018
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economiaepolitica

L’utopia dell’Equilibrio Economico Generale

di Domenico Mario Nuti

equilibrio economico generale 640x443Nella concezione popolare, ma spesso anche in lavori teorici poco rigorosi, troviamo una visione mitica del capitalismo, come sistema di garantita efficienza: in questo mondo ideale ogni individuo massimizza la propria utilita’ soggetto a vincoli di bilancio, uguagliando i tassi di sostituzione fra vari beni che consuma ai loro prezzi relativi; ogni impresa massimizza il profitto uguagliando i tassi di sostituzione fra i vari inputs ai loro prezzi relativi, e il costo marginale del prodotto al suo prezzo. Ne risulta – escludendo alcune difficolta’ che enunceremo piu’ avanti – un equilibrio economico generale che gode di efficienza Paretiana, per cui cioe’ non e’ possibile produrre una maggiore quantita’ di un bene senza ridurre la quantita’ prodotta di un altro bene, ne’ migliorare la posizione di alcuno senza peggiorare quella di qualcun altro.

Purtroppo questo tipo di sistema economico e’ un’utopia, nel senso letterale di un sistema che non esiste e non puo’ mai esistere. Innanzitutto i mercati sono incompleti, rispetto a quelli che sarebbero necessari per convalidare questa visione. Mancano i mercati intertemporali per beni futuri (o a termine), tranne un piccolo numero di mercati per prodotti primari omogenei e valute nazionali e estere, e per orizzonti temporali ristretti. In secondo luogo mancano mercati contingenti, ossia per beni associati a particolari “stati del mondo”, che potrebbero eliminare il rischio (quando la distribuzione delle probabilita’ di eventi futuri e’ nota e quindi il rischio e’ assicurabile) ma in ogni caso non l’incertezza (quando la distribuzione delle probabilita’ non e’ nota – una distinzione introdotta da Knight 1921).

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Published: 25 June 2018
Created: 25 June 2018
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illatocattivo 

Quando muoiono le insurrezioni

di Gilles Dauvé

dauve11«Per battere Franco, occorreva prima battere Companys et Caballero. Per sconfiggere il fascismo, bisognava prima schiacciare la borghesia e i suoi alleati stalinisti e socialisti. Bisognava distruggere da cima a fondo lo Stato capitalistico e instaurare un potere operaio sorto dai comitati di base dei lavoratori […] L'unità antifascista non è stata altro che la sottomissione alla borghesia».

(Manifesto del gruppo Union Communiste, Barcellona, giugno 1937).

1. Brest-Litovsk 1917-1939*

«[…] e se la rivoluzione russa servirà di segnale a una rivoluzione operaia in Occidente, in modo che entrambe si completino, allora l’odierna proprietà comune rurale russa potrà servire di punto di partenza per un’evoluzione comunista»1.

La prospettiva delineata da Marx non si è realizzata: il proletariato industriale europeo non è riuscito a ricongiungersi a una comune rurale russa rivitalizzata.

Polonia, Brest-Litovsk, dicembre 1917: a una Germania ben decisa ad accaparrarsi una grossa fetta dell’ex impero zarista – dalla Finlandia al Caucaso – i bolscevichi propongono una pace senza annessioni. Tuttavia, nel febbraio 1918, i soldati tedeschi, benché «proletari in divisa», obbedendo agli ordini dei propri ufficiali riprendono l’offensiva contro la Russia sovietica. Non si verifica alcuna fraternizzazione e la guerra rivoluzionaria, propugnata dalla «sinistra» bolscevica, si rivela impraticabile. In marzo, Trotsky è costretto a firmare la pace, alle condizioni dettate dai generali del Kaiser.

«Spazio in cambio di tempo», aveva chiesto Lenin: in effetti, nel novembre 1918, con la disfatta della Germania, il trattato verrà considerato nullo. Nondimeno, alla prova dei fatti, l’unione internazionale degli sfruttati non si era realizzata.

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Published: 24 June 2018
Created: 24 June 2018
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marx xxi

Reddito di cittadinanza: una critica marxista

di Giulio Palermo1

Riceviamo dalla Federazione del PCI di Brescia e pubblichiamo quale contributo alla discussione. Da comunistibrescia.org

reddito di cittadinanza di maio beppe grillo 1030275 Il successo elettorale del Movimento 5 stelle ha portato il tema del “reddito di cittadinanza” (RdC) al centro del dibattito politico. Tecnicamente, la proposta pentastellata non è veramente un’applicazione del RdC ma è piuttosto una forma di “reddito minimo garantito”, uno strumento di sostegno finanziario simile al RdC, senza tuttavia gli stessi tratti di universalità. Ma non importa: mentre la crisi incalza, l’idea di aumentare i redditi, invece che di stringere la cinghia, piace un po’ a tutti. In effetti, le prime critiche che si sono levate contro il RdC non riguardano veramente i suoi limiti teorici bensì la sua mancata attuazione: in Italia, il RdC non ha veri oppositori, il problema è che i grillini non lo vogliono applicare veramente.

Sul piano teorico, il RdC, nella sua versione ideale, è difeso in particolare dagli economisti della scuola keyensiana. Secondo loro, questo strumento sostiene la domanda aggregata, la crescita e l’occupazione. I più radical, quelli che strizzano l’occhio a Marx, aggiungono che favorisce anche l’emancipazione dal lavoro salariato.

In questo articolo sostengo invece che il RdC non solo non può realizzare questi obiettivi ma finisce in realtà per andare in direzione opposta: aggravando la crisi, sviluppando il liberismo e accelerando i processi di precarizzazione del lavoro e di mercificazione della società.

Inizio inquadrando la proposta del Movimento 5 stelle nel dibattito teorico e mostrando i veri obiettivi perseguiti da questa forza politica. Contrariamente ai difensori dell’universalismo, argomento che le differenze tra la proposta di Di Maio & co e il modello ideale di RdC non depongono veramente a favore del secondo.

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Published: 24 June 2018
Created: 24 June 2018
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mondocane

Atene, le voci dei leader della Resistenza greca

di Fulvio Grimaldi

Sovranità, nazione, patria, identità, confini .… La Destra? Accoglienza, no borders, integrazione, Europa…. La Sinistra? La risposta della Grecia in coma (vigile)

ercole“Dico con tutta la forza della mia anima che il nostro paese realmente fa parte del quadro occidentale, appartiene all’Unione Europea, alla NATO e questo non si mette in discussione” (Alexis Tsipras, Antenna TV, maggio 2014)

Voci Bilderberg per tenere a galla i negrieri

L’altra sera ho aperto la finestra di destra del canale di Urbano Cairo, quella che la sua conduttrice e autrice definisce “progressista” alla maniera con cui il PD si definisce di centrosinistra, Saviano di sinistra tout court, Fratoianni di estrema sinistra e “il manifesto” quotidiano comunista. Mi riferisco alla trasmissione della signorina Lilli-Bilderberg-Gruber “Otto e mezzo”, che tutte le sere e anche il sabato ci dà la misura della professionalità con la quale il giornalismo bilderberghiano e quello subordinato affrontano le questioni dirimenti del nostro tempo. Tipo gli eroi MSF di Aquarius, che ormai pescano migranti sul bagnasciuga libico, per risparmiare costi e fatiche ai colleghi in terra. C’erano i soliti tre ospiti; due a far squadra con la conduttrice, l’altro a fare da vaso di coccio, dovendosi guardare dai due lati e anche da davanti. Equilibrio divenuto fisso nelle tv, non solo della signorina Lilli, in queste temperie di terrorizzanti cambiamenti di uno Status quo rimasto tale, con interruzioni, dal Congresso di Vienna del 1815 (restaurazione) e allargato al Sud del mondo dalla Conferenza di Berlino del 1884-5 (spartizione delle colonie).

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Published: 24 June 2018
Created: 24 June 2018
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ilponte

Il discorso del re

di Tomaso Montanari

re vittorio emanuele ii 3 La nascita del governo Conte non deve distogliere da ciò che il suo travagliato avvento ha rivelato. In particolare, non deve distogliere da una seria analisi del discorso che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha tenuto, in diretta televisiva, la sera di domenica 27 maggio 2018: un discorso che sarà ricordato molto a lungo. Sicuramente come uno svelamento drammatico dei reali rapporti di forza che governano la post-democrazia italiana. E, probabilmente, anche come un punto di non ritorno.

Non ci sono veri precedenti per la vicenda culminata in quel discorso: non ce ne sono per la decisione del presidente di assumersi la responsabilità di non nominare un ministro, e dunque di far saltare un governo che poteva contare su una maggioranza assoluta, sia parlamentare che elettorale (due cose stavolta miracolosamente coincidenti). In tutti i casi passati in cui cronache più o meno sicure (comunque basate su fonti orali o su diari privati) attestano un attivismo del presidente della Repubblica nella scelta dei ministri, esso si era sempre manifestato attraverso una persuasione che aveva indotto il presidente del Consiglio incaricato a proporre formalmente ciò che il capo dello Stato gradiva.

E dunque in tutti quei casi la lettera e la sostanza dell’articolo 92 erano salvi: «il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri». (Vale la pena di notare, per inciso, che se la nomina è affidata al capo dello Stato non è infatti per invitare a un “concerto” tra i due presidenti, di cui non c’è traccia, ma perché il presidente del Consiglio e i suoi ministri, essendo nominati dalla stessa autorità, siano sullo stesso piano, parti di un organo collegiale presieduto da un primo tra pari che non ha potere di revoca.) Ebbene, non era invece mai successo che un presidente della Repubblica non riuscisse a convincere l’incaricato a formulare una proposta “gradita”.

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Published: 23 June 2018
Created: 23 June 2018
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Coordinamenta2

Leggere L'accumulazione del capitale

di Maria Turchetto*

rosa luxemburg1Un’aquila

Lenin la definì “un’aquila”. E davvero Rosa Luxemburg volò molto in alto, in una società che era ancora profondamente maschilista. A quei tempi in quasi tutto il mondo le donne erano escluse dal voto e dai diritti politici, in molti paesi non avevano accesso alle professioni liberali, nel lavoro erano sfruttate e sottopagate rispetto agli uomini, nella famiglia soggette all’autorità del marito.

Rosa Luxemburg i diritti politici se li prese: fu una dirigente socialista di prima grandezza. Sostenitrice di posizioni internazionaliste, fu attiva nella sua Polonia, in Russia e soprattutto in Germania. Lucida, coerente, lontana da ogni opportunismo, all’epoca fu una delle poche rappresentanti del socialismo a non compromettersi con nessuna guerra, a battersi sistematicamente e implacabilmente contro il militarismo. Per questo suo atteggiamento passò in prigione la maggior parte degli anni della guerra, scrivendo, studiando e continuando a seguire gli eventi politici: la costituzione in Germania della Lega di Spartaco, di cui fu diretta ispiratrice; la rivoluzione russa, che valutò e commentò con grande intelligenza – sostenne Lenin e i bolscevichi, ma fu da sempre consapevole delle difficoltà e delle degenerazioni cui il partito rivoluzionario poteva andare incontro1.

Anche la parità con gli uomini Rosa Luxemburg se la prese – eccome. Primeggiò in un’epoca di giganti: i suoi interlocutori erano personaggi del calibro di Lenin, Trotsky, Kautsky, Bukharin, Bauer, Bernstein, Hilferding, Bebel.

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Published: 23 June 2018
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acacciadiguai

“Aiutiamoci a casa nostra”

Migranti, ipocrisie e contraddizioni

di Giovanni Dall'Orto

aquariusvalenciaDubito fortemente che le Potenze del Mondo chiederanno mai a me il parere sul problema migratorio, tuttavia se sei di sinistra ed hai amici di sinistra e pubblichi, come ho fatto io, un post Facebook sul tema, rischi di trovarti poi senza amici se appena appena sgarri dalla narrazione comune dei “poveri profughi politici che annegano per l’egoismo degli italiani che non li vogliono salvare“.

Allora, alcune note per chiarire.

Salvini, a differenza dei suoi partner dei Cinque Stelle, è un politico esperto, e sta muovendosi con notevole abilità. E come al solito, il diavolo sta nei dettagli. Ai più è infatti sfuggito il senso di permettere l’attracco a una nave militare italiana con un numero di profughi ben superiore a quello dell’Aquarius nel momento stesso in cui veniva negato l’attracco a questa nave.

Tale “dettaglio” mostra che Salvini è stato ben consigliato, perché la Lex maritima prevede che mentre una nave militare sia territorio italiano anche in acque internazionali e nelle acque territoriali di un altro Stato, una nave civile (peschereccio, yacht, nave mercantile…) costituisce territorio dello Stato di cui batte bandiera nelle acque internazionali, laddove entrando nelle acque territoriali di uno Stato, cessa di essere un “pezzo navigante” di un altro Stato, e sottostà alla legislazione di quello Stato.

Ciò comporta che se Salvini avesse respinto i naufraghi sulla nave militare, li avrebbe respinti dal territorio italiano, violando non solo gli accordi internazionali da noi sottoscritti per il pattugliamento, ma anche il diritto alla richiesta di asilo politico ad eventuali profughi.

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Published: 22 June 2018
Created: 22 June 2018
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paginauno

Governo vs Unione europea

Chi resterà con il cerino?

di Giovanna Cracco

cousin jean the elder 502 the rape of europaGiovanni Tria al Ministero dell’Economia al posto di Paolo Savona, e quest’ultimo agli Affari europei, e tutto si è appianato: la crisi, politica, mediatica e finanziaria (speculativa [1]), dettata dalle posizioni anti-euro di Savona è rientrata. Sorprendentemente, perché sulla carta l’accoppiata è la più euroscettica che un governo italiano abbia mai visto. Non si spiega quindi il ‘cessato allarme’, se non con il fatto che l’alternativa – un governo Cottarelli che non avrebbe ricevuto neanche un voto in Parlamento, altre elezioni a breve e la conseguente instabilità per mesi – sarebbe stata ancora peggiore; evidentemente ora sono tutti convinti che Tria e Savona non usciranno dai consueti binari nei rapporti con l’Unione europea, ma ha ragione Salvini quando afferma di non aver fatto alcun passo indietro perché sulla moneta unica Tria ha le stesse posizioni di Savona. Certamente il primo è meno barricadero del secondo, non ha mai parlato di un Piano B per l’Italexit, ma condivide il medesimo pensiero – che tra l’altro appartiene a diversi economisti critici verso l’euro, una posizione che fino a oggi ha avuto poco visibilità al di fuori dei circoli accademici, delle testate specializzate e della rete.

In una estrema sintesi, inevitabilmente tecnica, i punti chiave di questa posizione sono due: l’impostazione mercantilistica della Germania, che genera un surplus commerciale e finanziario in un’area monetaria priva di collaterali strumenti di compensazione che possano riequilibrare la bilancia dei pagamenti import/export tra i Paesi; e le regole inserite nei Trattati, fiscal compact ma non solo, che impediscono agli Stati di attuare una politica economica espansiva in una fase di crisi non certo alle spalle.

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Published: 22 June 2018
Created: 22 June 2018
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economiaepolitica

Mezzogiorno senza reddito e senza cittadinanza

di Salvatore Perri

mezzogiorno reddito di cittadinanza 640x696La proposta di istituire in Italia un reddito di cittadinanza, proposto come disegno di legge, dal movimento 5 stelle, e largamente utilizzato nella campagna elettorale, ha l’indubbio merito di aver rilanciato il dibattito sul reddito di base. Purtroppo la struttura della proposta, la confusione metodologica e tecnica da cui scaturisce, unita alle peculiari condizioni strutturali dell’economia del sud in particolare, potrebbe determinarne una sostanziale inefficacia, se l’obiettivo (non dichiarato) fosse quello di ridurre il divario strutturale fra nord e sud.

 

Reddito di base o Super-sussidio?

In primo luogo il reddito di cittadinanza proposto (RDC) non è un reddito di cittadinanza, la questione non è semantica[1]. Facendo riferimento al DDL proposto al Senato dal M5S è prevista la perdita del diritto a riceverlo nel caso non si accettino 3 proposte di lavoro “congrue” o si receda 2 volte da un lavoro. La possibilità di perderlo non lo configura come reddito incondizionato, bensì come un reddito erogabile a determinate condizioni economiche, all’accettazione delle proposte di lavoro a determinati percorsi formativi/lavorativi. Più precisamente, Tridico, infatti parla di Reddito Minimo Condizionato[2] (RMC). Di fatto questa proposta finisce per essere un’estensione del sussidio di disoccupazione aumentato fino a 780 euro mensili.  Obiettivo dichiarato del provvedimento, “riattivare gli inattivi”[3], ovvero far partecipare al mercato del lavoro coloro che ne sono esclusi, sostenendo il loro reddito nel periodo transitorio.

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Published: 21 June 2018
Created: 21 June 2018
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sollevazione2

Si può uscire dall'euro: ecco come

di Leonardo Mazzei

Un formidabile saggio di Leonardo Mazzei. Una guida pratica che spiega, a chi abbia già capito i perché, i COME si possa e si debba uscire dalla gabbia della moneta unica e riconquistare sovranità monetaria. "Non sarà una passeggiata ma l'Italia ha tutto da guadagnare". Cinque , in risposta agli euroinomani ed ai seguaci di T.I.N.A., i temi sviscerati: 1) la svalutazione, 2) l'inflazione, 3) la fuga dei capitali, 4) la ridenominazione del debito, 5) il presunto isolamento dell'Italia e le sue dimensioni ritenute troppo piccole per ritornare alla sovranità monetaria. Buona lettura.*

uscire dalleuro copertinaQuelli che... ormai è troppo tardi

Che l'euro sia un grave problema per l'economia italiana viene ormai riconosciuto con sempre maggior frequenza. Ma mentre la platea degli ultras della moneta unica si va pian piano svuotando, viene invece a riempiersi quella di chi, pur ammettendo i danni prodotti, sa solo concludere che ormai è troppo tardi per uscirne.

Insomma, se fino a qualche tempo fa si doveva assolutamente restare nell'eurozona per i presunti benefici di questa collocazione - moneta "forte", aggancio a sistemi produttivi considerati più avanzati, tutela del risparmio, eccetera - oggi si tende ad evidenziare i problemi connessi all'uscita. Segno dei tempi, senza dubbio, ma anche della manifesta impossibilità di continuare a sostenere la bontà di una scelta che ha fatto sprofondare l'Italia nella crisi più grave degli ultimi ottant'anni.

Certo, la recessione scoppiata nel 2008 ha avuto una dimensione non solo europea, ma il fatto che si sia rivelata più profonda e prolungata proprio nell'Unione, ed ancor più nell'eurozona, qualcosa dovrà pur dirci. Tanto più che tra i benefici dell'euro doveva esserci pure quello di attenuare i cosiddetti shock esterni. E' avvenuto invece il contrario, come dimostrato da tutti gli indicatori economici: da un lato l'Unione Europea è l'area dove la crisi ha picchiato più duro, dall'altro l'euro ha aumentato le asimmetrie tra le varie economie nazionali che la compongono. Detto in altri termini, la moneta unica ha innescato un meccanismo di redistribuzione della ricchezza al contrario, avvantaggiando i paesi più ricchi (Germania in primis) a danno di quelli considerati "periferici". Tra questi l'Italia.

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Published: 21 June 2018
Created: 21 June 2018
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alfabeta

Profanazioni del potere

di Massimo Filippi

1 0KIPWctJkrJ3e UlVNntnANel saggio Elogio della profanazione, Agamben sostiene che la profanazione «disattiva i dispositivi di potere e restituisce all’uso comune gli spazi che esso aveva confiscato». Uno degli spazi confiscati dal potere – forse lo spazio più importante da un punto di vista politico – è proprio quello del potere stesso. Da qui l’impegno profuso da molt* pensatori e pensatrici per erodere la sacralità del potere, per non pensarlo più come un’essenza che può essere detenuta o conquistata, ma come un rapporto di forze distribuito e in continua rimodulazione, a cui tutti, volenti o nolenti, partecipiamo. Il potere, insomma, non è qualcosa di separato dalla vita né si esercita su di questa esclusivamente secondo un vettore che va dall’alto al basso. Al contrario, esso si forma e va a formare insiemi di relazioni dinamiche senza le quali la vita semplicemente non esisterebbe. Il potere e la vita sono immanenti, tanto che chi continua a separare la vita dal potere compie, più o meno consapevolmente, un’operazione di spoliazione della vita, un’operazione che la rende nuda, ancor più disponibile alla presa di un potere che, spogliato della sua complessità, non può che (s)opprimerla.

Foucault rappresenta senza dubbio uno degli snodi principali in cui la profanazione del potere ha iniziato a consumarsi. E questo appare più evidente che mai nel recente Il potere. Corso su Michel Foucault (1985-1986) /2, volume che raccoglie la trascrizione delle 11 lezioni tenute da Deleuze tra gennaio e aprile 1986, nell’ambito di un corso – la cui prima parte è uscita in Italia nel 2014 e la cui terza e ultima deve ancora essere pubblicata – dedicato a una minuziosa e delicata analisi della riflessione dell’amico appena scomparso.

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Published: 21 June 2018
Created: 21 June 2018
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aldogiannuli

Venezuela e post-democrazia autoritaria

Maduro è parte della soluzione, o del problema?

di Angelo Zaccaria

Con il consueto piacere, torniamo ad ospitare l’amico Angelo Zaccaria che ci aggiorna con puntualità e profondità sulla situazione in Venezuela. Buona lettura! [A.G]

9438076805 cfe7ca656b b 2 a1e29Prima di affrontare gli ultimi sviluppi in Venezuela, all’indomani delle elezioni presidenziali del 20 Maggio, partiamo dal titolo. Assistiamo sempre di più nel mondo a situazioni di crisi di egemonia delle classi dominanti, che vengono risolte nel seguente modo: mantenendo un involucro istituzionale formalmente democratico, ma forzandolo verso un meccanismo di verticalizzazione e concentramento del potere nelle mani di governi strettamente legati ai poteri di sempre, economici, finanziari, militari, religiosi etc.

Gli strumenti concreti per realizzare questo son vari, e vengono diversamente dosati a seconda dei differenti contesti politici e geo-politici: invalidazione di candidati o interi partiti, rafforzamento degli esecutivi, sistemi elettorali maggioritari o truccati col fine di trasformare magicamente le minoranze di voti in maggioranze di seggi, riduzione della libertà di stampa e di espressione, la vecchia e cara repressione, utilizzo della leva giudiziaria e/o del conflitto fra diversi poteri dello stato per promuovere veri e propri colpi di stato di nuova generazione.

Quello che lega tutti questi processi, in un periodo di crisi e di cambiamento degli equilibri di potere globali, é la ferma intenzione di garantire la continuità nell’esercizio del potere, anche prescindendo dal consenso maggioritario delle popolazioni.

Ovviamente in Europa, culla della cosiddetta civiltà occidentale, queste cose vengono fatte con qualche relativo riguardo in più, ma neanche piu’ di tanto: basti guardare ai casi di Polonia, Ungheria, ma anche di Spagna ed Italia.

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  1. Salvatore Prinzi: Il nostro, giovane, Marx
  2. Alessandro Visalli: Frammenti: circa piccole polemiche sulle lettere di Marx (1870)
  3. Marco Calabria: Il mondo altro in movimento
  4. Moreno Pasquinelli: La fatwa di Giorgio Cremaschi
  5. Adriano Cozzolino: La trasformazione dello Stato dentro la transizione neoliberale
  6. Antithesis: Sull'ecologia del capitalismo
  7. Marco Palazzotto: Una crisi, tante teorie
  8. Il Pedante: Il Ministero della Verità
  9. Alessio Lo Giudice: Pensare la politica nel tempo del disordine
  10. Sergio Cesaratto: Impressioni da Berlino
  11. Italo Nobile: Marx, il liberoscambismo ed alcune interpretazioni
  12. InfoAut: Otto tesi sulla Turistificazione
  13. Focus. Caso Aquarius: che fare ora?
  14. Riccardo Bellofiore e Giovanna Vertova: Ai confini della docenza. Per la critica dell’Università
  15. Fabrizio Marchi: Immigrazione: percezione, contraddizione reale, depistaggio
  16. Paolo Lago: Le due facce della modernità secondo Robert Kurz
  17. Giulio Toffoli: Noi, Negri e dintorni
  18. Renato Caputo: Il governo c’è, ora serve l’opposizione
  19. Pierluigi Fagan: Poco prima che sia troppo tardi
  20. Michele Nobile: La diplomazia competitiva dell'amministrazione Trump
  21. Rodolfo Ricci: Immigrazione, emigrazione, cooperazione
  22. Quarantotto: €uropa e welfare: tra rimedio al pauperismo, ong e legalità costituzionale
  23. Riccardo Achilli: Sinistra: estinzione o rinascita?
  24. Paul De Grauwe: Va cambiato il sistema. La crisi italiana lo dimostra
  25. Romano Màdera: Ambivalenze della maturità

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