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Sull'ecologia del capitalismo

di Antithesis

ecologiaida humprey4«La crescita della produzione ha finora interamente confermato la sua natura come la realizzazione dell'economia politica: come la crescita della povertà, che ha invaso e devastato il tessuto stesso della vita. [...] Questa società è regolata da un'economia troppo sviluppata che trasforma tutto – l'acqua sorgiva e persino l'aria di città – in beni economici, vale a dire che tutto è diventato un'economia malata – che è la negazione completa dell'uomo (...).» ( Guy Debord - Il pianeta malato )

Nel secolo precedente, il processo di espansione su scala globale del modo di produzione capitalista, è stato allo stesso tempo anche un processo di trasformazione della biosfera nel suo complesso. Tale processo ha avuto come conseguenza il disturbo dell'equilibrio ecologico del pianeta, un equilibrio che si era conservato nei passati diecimila anni, in un periodo noto come l'Olocene. Secondo recenti studi scientifici [*1], i principali aspetti di una simile trasformazione ecologica sono i seguenti:

- 1 - Aumento della temperatura media del pianeta a causa dell'aumento della concentrazione atmosferica dell'anidride carbonica e di altri gas serra. Questo aumento é causato sia dalla combustione di combustibili fossili al fine di fornire energia alla produzione capitalistica e alla riproduzione, sia dalle emissioni che si originano dal modo di produzione agricolo capitalistico. [*2]

- 2 - Grande perdita di biodiversità, dovuta principalmente alla conversione dell'ecosistema forestale nelle zone di produzione agricola, o in parti del tessuto urbano. Si prevede che entro il 21° secolo, sarà minacciato di estinzione fino al 30% di tutte le specie di mammiferi, uccelli e anfibi.

- 3 - Perturbazione dei cicli di azoto e fosforo, che vengono trasferiti in percentuali sempre più crescenti dall'atmosfera agli oceani ed al sistema lacustre del pianeta, a causa dell'utilizzo nell'agricoltura capitalistica di enormi quantità di fertilizzanti. L'inquinamento degli oceani ha portato persino ad eventi anossici locali (ad esempio, nel Mar Baltico) nel corso dei quali i livelli di ossigeno nel mare si sono significativamente ridotti.

- 4 - Oltre ai fenomeni sopra descritti, l'esaurimento dell'ozono atmosferico ed il livello di acidificazione degli oceani hanno raggiunto un punto critico.

Tutti questi mutamenti ambientali si sono quindi manifestati in vari modi su una scala geografica più locale: un grande aumento della frequenza degli uragani, desertificazione di vaste aree in varie parti del mondo, deforestazione, aumento della frequenza di fenomeni metereologici estremi, come inondazioni e lunghi periodi di siccità, emergere di nuove malattie che vengono trasmesse in maniera imprevedibile, e così via. Allo stesso tempo, la produttività dell'agricoltura è stata notevolmente rallentata a causa dell'esaurimento del suolo. Inoltre, i nuovi metodi biotecnologici di coltivazione, basati su piante geneticamente modificate, non sono stati in grado di invertire questo rallentamento , a causa dell'aumento delle cosiddette "super-infestanti". Fra il 1980 ed il 2008, la produzione mondiale di grano e mais si è ridotta rispettivamente del 5,5% e del 3,8% rispetto ad uno scenario controfattuale senza trend climatico [*3]. Questi fenomeni hanno effetti negativi sulle condizioni di vita del proletariato globale. I settori più deboli e più poveri del proletariato vengono colpiti nella maniera più estrema e devono affrontare anche la penuria di cibo e la mancanza di acqua potabile.

Secondo l'ideologia apologetica della "economia ambientale, il disturbo dell'equilibrio ecologico del pianeta, l'accumulo di sostanza inquinanti e tossiche, ad esempio la distruzione delle precondizioni naturali per la soddisfazione dei bisogni sociali umani, sono un effetto dell'intrinseco conflitto fra l'umanità e la natura extra-umana [*4]. Non viene riconosciuta che l'origine di questi cambiamenti è nel modo di produzione capitalista. Le nature extra-umane, vale a dire le condizioni naturali e le risorse che non possono essere (ri)prodotte dalla produzione capitalistica, vengono considerate come se fossero "doni della natura" usurpati aggratis dai capitalisti. Quando il degrado ambientale pone degli ostacoli alla riproduzione estesa del capitale, perché ad esempio porta, o ad un rallentamento della produttività oppure ad aumento della spesa per combattere le malattie legate all'inquinamento e, quindi, ad un incremento del valore della forza lavoro, ed in cui i fenomeni di degrado ambientale sono caratterizzati da "esternalità ambientale" o da "economi esterne" [*5].

Prima di procedere ad una critica più dettagliata delle "soluzioni" proposte dalla "economia ambientale", che ruotano principalmente intorno alla monetizzazione della natura, vale a dire alla "internalizzazione" delle risorse naturali e delle condizioni all'interno del mercato capitalistico, tenteremo, attraverso le armi della critica marxiana dell'economia politica, di mostrare perché il dominio del modo capitalista di produzione si intreccia con la svalutazione permanente sia della natura umana che di quella extra-umana. Nell'ultima parte del testo cercheremo di presentare criticamente alcune dimensioni delle lotte sociali che sono scoppiate contro la svalutazione della natura, e da esercitare la critica delle ideologie che sono emerse ed impediscono lo sviluppo di tali lotte.

 

1 - La legge del valore e la natura in quanto non-valore

«In primo luogo il lavoro è un processo che si svolge fra l'uomo e la natura, nel quale l'uomo per mezzo della propria azione produce, regola e controlla il ricambio organico fra se stesso e la natura» (Marx, Il Capitale [*6]).

«Il lavoro non è la fonte di ogni ricchezza. La natura è la fonte dei valori d'uso (e in questi consiste la ricchezza effettiva!) altrettanto quanto il lavoro, che a sua volta, è soltanto la manifestazione di una forza naturale, la forza-lavoro umana.» (Marx, CRITICA AL PROGRAMMA DI GOTHA [*7]).

La produzione capitalista di merci si basa sia sul lavoro umano che sulla natura. Tuttavia, il valore delle merci è determinato solo dal tempo di lavoro astratto socialmente necessario richiesto per la loro produzione. In valore della ricchezza sociale, espresso in denaro, che è la necessaria forma di apparenza del lavoro astratto, in tal senso richiede la svalutazione della natura non umana [*8]. E questa svalutazione non è altro che un'espressione della contraddizione fra il valore d'uso ed il valore che è nascosto nella forma merce. Come ha scritto Marx nel Capitale, «in quanto valore di scambio [le merci] non contengono un atomo di valore d'uso» e, quindi, non contengono un atomo di natura non umana [*9].

Il carattere omogeneo, divisibile, mobile e quantitativamente illimitato della forma valore è direttamente in opposizione alla diversità qualitativa, alla specificità locale, ai limiti quantitativi ed al carattere unitario ed indivisibile dei valori d'uso prodotti dalla natura.

La distinguibilità naturale delle merci deve entrare in contraddizione con la loro equivalenza economica, e poiché entrambe possono esistere insieme solo se la merce raggiunge una doppia esistenza, non solo quella naturale ma anche quella puramente economica, dove quest'ultima è un mero simbolo, una cifra per una relazione di produzione, un mero simbolo del suo proprio valore. Come valore, ogni merce è ugualmente divisibile; questo non avviene per quanto riguarda la sua esistenza naturale [*10].

Inoltre, la tendenza del capitale ad un espansione ininterrotta ed illimitata come valore auto-valorizzante entra in conflitto con le precondizioni materialmente determinate e temporali della produzione (principalmente) agricola, ad esempio, il ciclo di riproduzione biologica di animali e piante. Questo conflitto è specificamente connesso con il bisogno del capitale di ridurre continuamente il suo tempo di realizzazione (vale a dire, la somma del suo tempo di produzione e del suo tempo di circolazione), in modo che il valore ed il plusvalore prodotti in un anno economico vengono moltiplicati. Questa "compressione dello spazio-tempo", come l'ha chiamata David Harvey [*11], ha portato ad un'accelerazione peculiare e spaventosa della produzione della natura: la pesca che produce salmoni transgenici a crescita più rapida, una mungitura più veloce, mucche riempite di ormoni, e, cosa ancora più spettacolare, il passaggio dal pollo in 73 giorni del 1955 al pollo in 42 giorni del 2005 [*12].

 

2. L'allontanamento della società dalla natura

Come chiarisce Marx, in "Teorie sul Plusvalore", nel capitalismo la produzione di valore presuppone l'alienazione del lavoro:

«Il capitale è produttivo di valore solo come rapporto, in quanto esso, come forza coercitiva nei confronti del lavoro salariato, costringe questo a compiere del plus-lavoro, o stimola la forza produttiva del lavoro a creare plusvalore relativo. In entrambi i casi esso produce valore solo in quanto è il potere, estraniato dal lavoro, delle condizioni oggettive del lavoro sul lavoro stesso, in generale solo in quanto è una delle forme del lavoro salariato stesso, in quanto è condizione del lavoro salariato. Ma nel senso in cui lo concepiscono di solito gli economisti, in quanto lavoro accumulato esistente in denaro o in merci, il capitale, come tutte le condizioni di lavoro, comprese le forze della natura che sono gratuite, opera produttivamente nel processo lavorativo, nella produzione di valori d’uso, ma non diventa mai fonte di valore.» [*13]

E qualche centinaio di pagine più avanti:

«L'errore di Ricardo è che si preoccupa solo della grandezza del valore. Di conseguenza, la sua attenzione si concentra sulla quantità relativa di valore che le differenti merci rappresentano, o che le merci contengono in quanto valore. Ma il lavoro incarnato in esse deve essere rappresentato come lavoro sociale, come lavoro individuale alienato.» [*14]

Nei Manoscritti economici e filosofici del 1844, Marx sostiene che nel capitalismo l'alienazione del lavoro è allo stesso tempo un'alienazione della natura dall'uomo:

«Abbiamo considerato l'atto dell'estraniazione dell'attività pratica dell'uomo, cioè il lavoro, da due lati. 1) Il rapporto dell'operaio col prodotto del lavoro considerato come oggetto estraneo e oppressivo. Questo rapporto è ad un tempo il rapporto col mondo esterno sensibile, con gli oggetti della natura, inteso come un mondo estraneo che gli sta di fronte in modo ostile. 2) Il rapporto del lavoro con l'atto della produzione entro il lavoro. Questo rapporto è il rapporto dell'operaio con la sua propria attività come attività estranea che non gli appartiene, l'attività come passività, la forza come impotenza, la procreazione come svirilimento, l'energia fisica e spirituale propria dell'operaio, la sua vita personale - e infatti che [altro] è la vita se non attività? - come un'attività rivolta contro di lui, da lui indipendente, e che non gli appartiene.La natura è il corpo inorganico dell'uomo, precisamente la natura in quanto non è essa stessa corpo umano. Che l'uomo viva della natura vuol dire che la natura è il suo corpo, con cui deve stare in costante rapporto per non morire. Che la vita fisica e spirituale dell'uomo sia congiunta con la natura, non significa altro che la natura è congiunta con se stessa, perché l'uomo è una parte della natura. Poiché il lavoro estraniato rende estranea all'uomo 1) la natura e 2) l'uomo stesso, la sua propria funzione attiva, la sua attività vitale, rende estranea all'uomo la specie; fa della vita della specie un mezzo della vita individuale.» [*15]

Quest'idea è stata sviluppata ulteriormente nei Grundrisse dove Marx ha presentato per la prima volta il processo storico per mezzo del quale sarebbe possibile spiegare come è avvenuta la rottura dell'unità dell'umanità viva ed attiva, con le condizioni naturali del suo scambio metabolico con la natura, come è avvenuta «la separazione di queste condizioni inorganiche dell'esistenza umana da questa esistenza attiva, una separazione che è posta compiutamente solo nel rapporto tra lavoro salariato e capitale» [*16], cioè il processo storico che alla fine porta alla separazione dei produttori dai mezzi di produzione: il processo storico della cosiddetta accumulazione primitiva.

In maniera caratteristica, scrive: «la relazione fra lavoro e capitale, ovvero le condizioni oggettive del lavoro in quanto capitale, presuppone un processo storico che dissolva le varie forme in cu il lavoratore è un proprietario, o in cui il proprietario lavora. Quindi, innanzitutto [presuppone] la dissoluzione della relazione con la terra - terra e suolo - come condizione naturale di produzione - a cui egli si riferisce come al suo proprio essere inorganico»[*17].

E, nello stesso contesto:

«per la prima volta la natura diventa un puro oggetto per l'umanità, un puro oggetto di utilità, e cessa di essere riconosciuta come forza per sé; e la stessa conoscenza teoretica delle sue leggi autonome si presenta semplicemente come astuzia capace di subordinarla ai bisogni umani sia come oggetto di consumo sia come mezzo di produzione. In virtù di questa sua tendenza, il capitale spinge a superare sia le barriere e i pregiudizi nazionali, sia l'idolatria della natura, la soddisfazione tradizionale, orgogliosamente ristretta entro angusti limiti, dei bisogni esistenti, e la riproduzione del vecchio modo di vivere.(...) Ma dal fatto che il capitale pone ciascuno di questi limiti come un ostacolo e perciò idealmente lo ha superato, non ne deriva affatto che esso lo abbia superato realmente, e poiché ciascuno di tali ostacoli contraddice alla sua destinazione, la sua produzione si muove tra contraddizioni continuamente superate ma altrettanto continuamente poste.» [*18]

È precisamente questo il punto in cui ha origine la possibilità, sia di cambiamenti catastrofici in ecosistemi locali e periferici, che quella di un disturbo più onnicomprensivo dell'equilibrio ecologico planetario. Ad ogni modo, per rispondere alla domanda su come questa possibilità di "crisi ecologica" divenga attualità, è necessario studiare ed analizzare concretamente la storia dello sviluppo capitalistico. La risposta ad una domanda simile non può essere tratta direttamente dalla dialettica astratta delle contraddizioni della produzione capitalistica delle merci.

 

3. La frattura metabolica

In Marx, lo straniamento della società rispetto alla natura viene concretizzato, nei termini della sua dimensione materiale, nel primo e nel terzo volume del Capitale. Qui, Marx introduce il concetto di "frattura metabolica": la frattura avvenuta nel metabolismo fra società e natura. Questa frattura deriva dall'approfondirsi dell'antitesi fra città e campagna, vale a dire, dalla divisione geografica della produzione capitalistica con la concentrazione delle industrie nelle aree urbane e dell'agricoltura nelle campagne. Secondo quest'approccio, dato che una piccola parte della classe operaia viene impiegata nell'agricoltura capitalista, la parte più grande della popolazione si è concentrata nelle città. In tal modo, le sostanze nutritive e gli elementi che vengono estratti dalla terra per produrre cibo, abiti ed abitazioni per la popolazione, non vengono riciclati e sono convertiti in sostanze inquinanti nelle città. È evidente che i fenomeni contemporanei di disturbo ecologico, come la perturbazione dei cicli di azoto e fosforo, e l'acidazione dei mari menzionati nella parte introduttiva, possono essere esposti in base al concetto della "frattura metabolica", che è stata introdotta da Marx 150 anni fa. In questo contesto, nel terzo volume del Capitale, Marx scrive:

«In entrambe le forme [agricola su piccola e su larga scala], invece di un trattamento razionale e consapevole della terra, vista come una proprietà comune permanente, come condizione inalienabile per l'esistenza e per la riproduzione della catena delle generazioni umane, abbiamo lo sfruttamento e lo sperpero dei poteri della terra... Dall'altra parte, le grandi proprietà fondiarie riducono la popolazione agricola ad un minimo sempre più decrescente e la contrappone ad una sempre più crescente popolazione industriale che si trova stipata tutta insieme in grandi città; in tal modo si producono condizioni che provocano un'irreparabile frattura nel processo interdipendente del metabolismo sociale, un metabolismo prescritto dalla leggi naturali della vita stessa. Il risultato di ciò è uno spreco della vitalità del suolo, che viene trasportato per il commercio ben oltre i confini di un singolo paese...L'industria su larga scala e l'agricoltura perseguita industrialmente su larga scala hanno lo stesso effetto. Se in origine si distinguono per il fatto che la prima emette rifiuti e rovina la forza lavoro, e quindi il potere naturale dell'uomo, mentre la seconda fa lo stesso per quanto riguarda il potere naturale del suolo, poi si collegano durante il corso successivo dello sviluppo, dal momento che il sistema industriale applicato all'agricoltura mette in pericolo i lavoratori, mentre da parte loro l'industria e il commercio forniscono all'agricoltura i mezzi per esaurire il suolo» [*19].

La frattura, nel metabolismo, fra società è natura è, quindi, accompagnata dallo sperpero e dalla distruzione della forza lavoro, del potere natura degli esseri umani, in quanto la produzione del plusvalore si basa sul massimo sfruttamento possibile della forza lavoro, fino al punto di arrivare alla sua rovina e alla sua deformazione per mezzo dell'incremento del tempo di lavoro e dell'intensità del lavoro, ma anche attraverso la distruzione della salute dei lavoratori, in quanto effetto dell'inquinamento. Questi due aspetti complementari della distruzione del potere naturale degli esseri umani e della terra, vengono descritti con ancor maggiore chiarezza nel primo volume del Capitale:

«Con la preponderanza sempre crescente della popolazione urbana che la produzione capitalistica accumula in grandi centri, essa accumula da un lato la forza motrice storica della società, dall’altro turba il ricambio organico fra uomo e terra, ossia il ritorno alla terra degli elementi costitutivi della terra consumati dall’uomo sotto forma di mezzi alimentari e di vestiario, turba dunque l’eterna condizione naturale di una durevole fertilità del suolo. Così distrugge insieme la salute fisica degli operai urbani e la vita intellettuale dell’operaio rurale (...) E ogni progresso dell’agricoltura capitalistica costituisce un progresso non solo nell’arte di rapinare l’operaio, ma anche nell’arte di rapinare il suolo; ogni progresso nell’accrescimento della sua fertilità per un dato periodo di tempo, costituisce insieme un progresso della rovina delle fonti durevoli di questa fertilità (...) La produzione capitalistica sviluppa quindi la tecnica e la combinazione del processo di produzione sociale solo minando al contempo le fonti da cui sgorga ogni ricchezza: la terra e l’operaio.» [*20].

«Il capitale non si pone nessuna domanda circa la lunghezza della vita della forza lavoro. Ciò che gli interessa è puramente e semplicemente il massimo della forza lavoro che può essere messo in moto nel corso di una giornata lavorativa. Ottiene quest'obiettivo accorciando la vita della forza lavoro, allo stesso modo in cui un avido contadino strappa al suolo più prodotti possibili, privandolo così della sua fertilità» [*21].

Naturalmente, quando Marx faceva le osservazioni di cui sopra, lo stato sociale capitalista non era ancora stato formato. Contrariamente alla miopia e all'avidità dei singoli capitalisti, il welfare tenta di gestire lo sfruttamento della forza lavoro e della natura in maniera più razionale, al fine di facilitare in tal modo un processo più fluido di quella che è la riproduzione allargata del capitale sociale totale. Il capitalismo dello stato sociale fa emergere, a sua volta, nuove contraddizioni ed antagonismi, che cerca poi di abolire attraverso delle politiche di "sviluppo sostenibile", che verrà descritto e criticato nelle successive sezioni.

Per Marx, l'ampliamento dei bisogni sociali non deve necessariamente portare all'approfondimento della frattura metabolica, e all'esaurimento delle risorse naturali, come afferma Malthus:

«Questo regno della necessità naturale si espande insieme al suo [dell'uomo (sic)] sviluppo, poiché lo fanno anche i suoi bisogni; ma allo stesso tempo si espandono anche le forze produttive per soddisfarli. La libertà, in questa sfera, può consistere solo in questo, che l'uomo socializzato, i produttori associati, governi in maniera razionale il metabolismo umano con la natura, portandolo sotto il proprio controllo collettivo, anziché esserne dominato da esso come da un potere cieco; realizzandolo con il minimo dispendio di energia e nelle condizioni più degne e più appropriate alla loro natura umana» [*22].

In altre parole, la straniazione della società dalla natura verrà superata nel comunismo per mezzo della regolazione razionale del metabolismo con la natura, attraverso la soddisfazione dei ricchi e diversi bisogni umani con il minor dispendio possibile di energie e con lo sviluppo di nuove forze produttive che non esauriranno la fertilità della natura. Jason Moore menziona le "permaculture" ed il "sistema di intensificazione del riso" come esempi della direzione che dovrebbe prendere l'agricoltura in una società comunista [*23].

In ogni caso, Marx era stato chiaro sul fatto che, non solo il capitalista, ma nemmeno l'intera società umana era la proprietaria della terra:

«Dal punto di vista di una più alta formazione socioeconomica, la proprietà privata da parte di particolari individui sulla terra apparirà altrettanto assurda quanto la proprietà privata di un uomo su altri uomini. Perfino un'intera società, una nazione, o tutte le società simultaneamente esistenti prese tutte insieme, non sono i proprietari della terra. Essi ne sono semplicemente i possessori, i beneficiari, ed hanno il dovere di lasciarla alle generazioni successive in uno stato migliore di come l'hanno trovata, come dei boni patres familias»[*24].

4. Libera appropriazione (saccheggio) degli elementi della ricchezza naturale

Nella seconda parte di questo testo abbiamo mostrato perché la produzione di valore e l'accumulazione sono allo stesso tempo una relazione di svalutazione della natura non umana. L'appropriazione ad un costo il più basso possibile, o perfino gratis, di tutti gli elementi della ricchezza naturale e sociale, contribuisce ad economizzare sul capitale costante e su quello variabile, e serve, perciò, ad incrementare sia il tasso di plusvalore che il saggio di profitto.

«Appare quindi straordinariamente chiaro che i mezzi di produzione non trasferiscono mai al prodotto più valore di quanto essi stessi ne perdano durante il processo lavorativo, a partire dalla distruzione del proprio valore d'uso. Se uno strumento di produzione non ha alcun valore da perdere - cioè se non è il prodotto di lavoro umano - esso non trasferisce al prodotto alcun valore. Aiuta così a creare valore d'uso senza però contribuire alla formazione di valore di scambio. Questo vale ed è vero per tutti quei mezzi di produzione forniti dalla natura senza che vi sia assistenza umana, come la terra, il vento, l'acqua, i metalli sotto forma di minerali, ed il legname nelle foreste vergini» [*25].(...) «S’è visto che le forze produttive derivanti dalla cooperazione e dalla divisione del lavoro non costano nulla al capitale. Sono forze naturali del lavoro sociale. Neppure le forze naturali, le quali, come il vapore, come l’acqua, ecc. vengono appropriate ai processi produttivi, costano nulla. » [*26].

«L’industriale che lavora con la macchina a vapore impiega ugualmente forze naturali che non gli costano nulla, ma che rendono il lavoro più produttivo e, nella misura in cui esse rendono in tal modo meno costosa la produzione dei mezzi di sussistenza richiesti dagli operai, accrescono il plusvalore e quindi il profitto; forze naturali, quindi, che sono monopolizzate dal capitale precisamente come lo sono le forze naturali del lavoro sociale derivanti dalla cooperazione, dalla divisione, ecc. L’industriale paga il carbone, ma egli non paga la proprietà dell’acqua di mutare il suo stato, di trasformarsi in vapore, non paga la elasticità del vapore e così via. Questa monopolizzazione delle forze naturali, vale a dire della accresciuta produttività del lavoro a cui esse danno origine, è comune a tutti i capitali che lavorano con macchine a vapore. Essa può aumentare quella parte del prodotto del lavoro che rappresenta il plusvalore, rispetto alla parte che si converte in salario.» [*27].

Per di più, l'appropriazione gratuita della ricchezza naturale, quando e dove possibile, rende più a buon mercato i mezzi di produzione, vale a dire il capitale costante, e quindi funziona come un fattore di contrasto all'incremento del valore della composizione del capitale e, di conseguenza, alla tendenza alla caduta del saggio di profitto.

Si può sostenere che il capitalismo sia, da una parte, il comando sul lavoro non pagato della classe operaia nella produzione capitalistica di merci, nel senso che il valore rappresentato dai salari è inferiore al valore prodotto dal lavoro [*28] e che, dall'altro lato, è il comando sia sui lavori domestici non retribuiti (che, a causa della prevalente divisione di genere del lavoro, vengono svolti soprattutto dalle donne) sia sul "lavoro" fornito gratuitamente dalle fonti naturali di ricchezza. Nel primo caso, lo sfruttamento del lavoro salariato produce valore e plusvalore. Nel secondo caso, l'appropriazione gratuita del valore d'uso prodotto dal "lavoro" non pagato della natura e dal lavoro domestico non retribuito contribuisce alla svalutazione del capitale costante e del capitale variabile e, di conseguenza, all'incremento del valore e del profitto. Perciò, possiamo sostenere, seguendo l'analisi di Jason Moore, che il capitalismo è basato sulla frammentazione delle relazioni della società capitalista con la natura: le forze naturali dei lavoratori salariati vengono internalizzate nella produzione capitalista e nella circolazione sotto forma della merce forza lavoro, mentre le forze produttive non umane della natura e le forze naturali delle lavoratrici domestiche senza salario vengono trasformate in "esternalità", tanto per usare una terminologia dell'economia borghese.

È possibile che un'obiezione all'analisi di cui sopra possa essere sollevata in relazione al fatto che spesso i valori d'uso naturali hanno un prezzo, vale a dire, possono essere compravenduti oppure possono essere affittati in cambio di una certa quantità di denaro. Marx spiega tale fenomeno sulla base del fatto che - come viene menzionato nel passaggio precedente del terzo volume del Capitale - le forze naturali forniscono valore d'uso senza alcun costo che appartiene ai mezzi di produzioni e che incrementa la produttività del lavoro [*29]. Marc usa l'esempio di una cascata che fornisce energia ad un impianto.

«La determinazione del valore mediante il tempo di lavoro socialmente necessario si afferma con la diminuzione del prezzo delle merci e la necessità di produrre le merci nelle stesse favorevoli condizioni. Ma è diverso per quanto riguarda il plus-profitto dell’industriale che utilizza la cascata. L’accresciuta forza produttiva del lavoro da lui impiegato non deriva né dal capitale e dal lavoro stesso, né dalla semplice utilizzazione di una forza naturale distinta dal capitale e dal lavoro, ma incorporata nel capitale. Essa deriva da una maggiore produttività naturale del lavoro, connessa allo sfruttamento di una forza naturale che però non si trova a disposizione di qualsiasi capitale nella stessa sfera di produzione, come ad es. la elasticità del vapore; di una forza naturale, quindi, il cui sfruttamento non è sottinteso per il solo fatto che dei capitali vengono investiti in questa sfera. Si tratta invece di una forza naturale soggetta a monopolio, che, come nel caso della cascata, è unicamente a disposizione di coloro che possono disporre di particolari porzioni della superficie terrestre e di quanto vi è connesso.» [*30].

«La cascata, al pari della terra in generale, al pari di ogni forza naturale, non ha un valore, non rappresentando un lavoro oggettivato in essa e quindi non ha nemmeno un prezzo; poiché il prezzo normaliter non è altro se non il valore espresso in denaro. Dove non vi è del valore, nulla può eo ipso essere espresso in denaro. Questo prezzo non è altro che la rendita capitalizzata. La proprietà terriera permette al proprietario di impadronirsi della differenza fra il profitto individuale e il profitto medio; il profitto così carpito, che si rinnova ogni anno, può essere capitalizzato ed appare allora come il prezzo della forza naturale stessa.» [*31]

A partire dall'analisi di Marx, arriviamo al punto in cui possiamo spiegare cosa succede quando lo sfruttamento capitalistico delle forze naturali porta alla loro distruzione, come avviene nei casi di esaurimento delle terre coltivate, della deforestazione, dell'inquinamento delle acque o dell'esaurimento dei combustibili fossili estratti a basso costo. In questi casi, secondo Marx, è necessario un incremento del dispendio di capitale per poter ottenere la stessa produzione. Pertanto, la produzione diventa più dispendiosa e la redditività precipita.

«Elementi naturali che entrano nella produzione come agenti, quale che sia la funzione che essi possono avere nella produzione, non entrano in essa come parti del capitale, ma come una forza naturale gratuita del capitale cioè come una gratuita forza produttiva naturale del lavoro, che però sulla base del modo di produzione capitalistico, al pari di ogni altra forza produttiva, si presenta come forza produttiva del capitale. Allora, se una tale forza naturale, che originariamente non costa nulla, entra nella produzione, non influisce sulla determinazione del prezzo, fino a che il prodotto fornito con il suo contributo è sufficiente per coprire il fabbisogno. Ma se nel corso dello sviluppo è richiesto un prodotto maggiore di quello che possa essere fornito con l’aiuto di questa forza naturale, così che questo prodotto addizionale deve essere creato senza l’aiuto di questa forza naturale, o con il concorso dell’uomo, del lavoro umano, un nuovo elemento addizionale entra nel capitale. Per assicurare il medesimo prodotto ha quindi luogo una spesa relativamente maggiore di capitale. Rimanendo invariate tutte le circostanze, la produzione rincara.» [*32]

Ovviamente, le stesse conseguenze si applicano quando la produttività delle forze naturali si riduce a partire dal loro sperpero a causa della produzione capitalista. In una situazione del genere, i capitalisti si ricordano che dev'essere applicata una "gestione razionale delle risorse naturali", presumibilmente perché le risorse sono state sprecate a causa dell'assenza di diritti di proprietà, come conseguenza della famigerata "tragedia dei beni comuni", un concetto secondo il quale "le risorse comuni si esauriscono perché chi li utilizza non paga per il danno che infligge ad esse". Certamente, questi teoremi di "economia ambientale" sono solo dei caprici apologetici che non hanno altro scopo se non quello di trasferire sul proletariato gli incrementi del costo del capitale, attraverso l'imposizione di tasse sul consumo e la fornitura di sussidi alle imprese capitaliste per far loro adottare "tecnologie eco-compatibili".

A partire da questo, ora si procederà ad una più dettagliata critica delle "soluzioni" alla cosiddetta "crisi ecologica" che vengono proposte dalla "economia ambientale".

 

5. Sui "limiti della crescita", sulla "economia dello stato stazionario", sul concetto di "sviluppo sostenibile", ed altre ideologie capitaliste

Verso la metà degli anni '80, nella "scienza economica" (o, per essere più precisi, nell'ideologia apologetica borghese) prevaleva l'ipotesi secondo cui il "capitale prodotto dall'uomo" potesse sostituire completamente il "capitale naturale" [*33]. Tuttavia, le prime posizioni critiche nei confronti di una simile ipotesi erano già apparse negli anni '70, all'interno degli ambienti accademici capitalisti. Il punto di partenza era stata la pubblicazione, nel 1971, dello studio di Forrester sulle "dinamiche urbane e globali". Questo studio faceva uso di modelli matematici al fine di dimostrare che la crescita economica porta all'esaurimento delle risorse naturali e, quindi, dimostra che l'industrializzazione dei paesi "in via di sviluppo" è impraticabile ed indesiderabile, in quanto di fatto porta al diffondersi di malattie, all'aumento di conflitti sociali, e così via [*34]. Basandosi su questo studio, il rapporto "Limits to Growth"[Limiti alla Crescita], che arrivava a conclusioni simili, venne pubblicato nel 1972 dal Club di Roma [*35], era stato finanziato dalla VolksWagen e aveva venduto 30 milioni di copie. Infine, nel 1977, l'economista Herman Daly aveva proposto la creazione di una "economia dello stato stazionario". Secondo tale proposta, l'economia capitalista deve arrivare a raggiungere uno stato di equilibrio stazionario, in cui lo scambio di materia e di energia con la natura deve avvenire ad un basso tasso, per analogia con gli organismi viventi. Una particolare apologia del capitalismo, sosteneva la posizione secondo cui non è possibile che l'intero pianeta possa avere gli standard di vita dei paesi sviluppati, e che i limiti dovrebbero essere stabiliti su tutta la popolazione globale in modo che "non vengano violati i limiti naturali per la sopravvivenza dell'umanità".

Non è un caso che simili ideologie siano apparse nel bel mezzo della profonda crisi di riproduzione delle relazioni sociali capitalistiche, esplosa negli anni '70 dopo che erano scoppiate le lotte sociali e di classe in ogni sfera della produzione e della vita quotidiana. A quel tempo, la crisi veniva esperita attraverso il monetarismo, una politica di ampia svalutazione del capitale costante e del capitale variabile. Il passaggio che segue, tratto da Forrester, è caratteristico della mentalità capitalista di quei tempi: «Nel momento in cui cominciano a dominare i poveri, emerge il loro potere politico. È sempre più il loro interesse a breve termine a dominare il benessere a lungo termine della città (...) Se questo potere politico diventa troppo grande, le tasse in aumento ed il declino accelerato possono continuare fino al punto in cui l'area urbana comincia a collassare economicamente e tutte le classi della popolazione declinano.» [*36] Inoltre, il rapporto del Club di Roma afferma che «la promessa per cui il proseguimento del nostro attuale modello di crescita porterebbe all'uguaglianza umana» è un mito. Pertanto, appare chiaro come il fine di queste ideologie del capitale sia la promozione di una strategia che vorrebbe negare la promessa socialdemocratica di prosperità sociale grazie alla "crescita economica", dal momento che tale promessa in quel tempo era arrivata ad essere in crisi profonda [*37].

Se l'ideologia dello "stato stazionario", vale a dire la stagnazione economica, corrispondeva alla politica monetarista che combatteva l'inflazione imposta nella seconda metà degli anni '70, essa tuttavia non poteva essere altrettanto utile durante l'espansione del ciclo capitalista di accumulazione. Alla fine degli anni '80, venne tratteggiata una nuova strategia di accumulazione capitalista, la quale tentava di superare le "contraddizioni ecologiche" del capitalismo. Ci riferiamo alla strategia dello "sviluppo sostenibile", che venne presentata per la prima volta nel 1987 nel rapporto "Our Common Future", che era stato scritto dalla Commissione Mondiale per l'Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite [*38]. Secondo questo rapporto, «lo sviluppo sostenibile soddisfa le necessità del presente senza compromettere le possibilità di soddisfare i loro bisogni che avranno le generazioni future» [*39]. Durante un discorso pronunciato l'anno successivo dal presidente della commissione, e allora primo ministro della Norvegia, Gro Harlem Brundtland, venne affermata la necessità di sviluppare «una nuova etica olistica, nella quale la crescita economica e la protezione dell'ambiente vanno di pari passo in tutto il mondo».

Come abbiamo accennato nella parte precedente, il discorso dello "sviluppo sostenibile" attribuiva lo sperpero e la riduzione della produttività delle risorse naturali all'assenza di diritti di proprietà su tali risorse naturali. La "soluzione" proposta si basava sul teorema della "economica ambientale", che era stato introdotto dall'economista premio Nobel R.H. Coase, secondo il quale «quando una risorsa comune condivisa è inquinata, e se il diritto di proprietà sulla risorsa viene garantito ad una delle parti coinvolte - vale a dire all'inquinatore o al destinatario dell'inquinamento - verrà sviluppato automaticamente un meccanismo di transazione che porterà ad un livello ottimale di inquinamento ed alla massimizzazione del beneficio sociale netto... avendo come conseguenza l'allocazione ottimale delle risorse disponibili» [*40].

 

Il carattere apologetico della teoria neoclassica per l'ambiente

Per meglio capire il contesto della formulazione del teorema summenzionato, è necessaria una breve digressione che discuta l'ideologia economica capitalistica tradizionale, la teoria economica neoclassica. L'oggetto della teoria economica neoclassica è lo studio dell'allocazione ottimale e dell'utilizzo delle "scarse risorse" disponibili per la soddisfazione dei bisogni e dei desideri dei soggetti economici. Gli assunti di base della teoria neoclassica sono i seguenti: a) la società consiste di soggetti economici indipendenti (individui ed imprese) che b) prendono decisioni razionali secondo le loro preferenze, mirando alla massimizzazione della loro utilità individuale (utilitarismo); c) i prezzi delle merci sono l'indice della loro scarsità relativamente alle preferenze dei soggetti economici.

Questa descrizione mostra da sé sola quale sia il carattere falso ed ideologico della teoria neoclassica: le relazioni capitalistiche di potere e di dipendenza spariscono, dal momento che viene dato per scontato il fatto che i soggetti economici (individui ed imprese) prendono decisioni indipendentemente l'uno dall'altro; la società appare trasformata in una sommatoria di individui e di imprese, senza che si possano riconoscere soggetti sociali e classi; le relazioni sociali storiche di produzione ed i rapporti vengono trasformati in un ordine naturale, astorico ed eterno, delle cose, e così via. Oltre la critica generale che può essere esercitata sulla teoria neoclassica, la questione dello spreco di risorse e di forze naturali rivela tutte le sue inerenti logiche contraddizioni. Dal momento che questi "beni" sono stati sprecati e sono diventati "scarsi", secondo la teoria neoclassica, ad essi dovrebbero essere stato attribuiti dei prezzi da parte dei "soggetti economici". Tuttavia, questo non succede. Per giustificare il completo fallimento della teor«Nella sua forma statale e regolamentata, la "lotta contro l'inquinamento" è tenuta, in un primo momento a supporre non più di nuove specializzazioni, ministeri, posti di lavoro per i ragazzi e promozioni all'interno della burocrazia. L'efficacia della lotta sarà perfettamente in sintonia con tale approccio. Mai esso porterà ad una reale volontà di cambiamento, fino a che l'attuale sistema di produzione non sarà del tutto trasformato.»ia neoclassica, gli economisti borghesi hanno introdotto il concetto ad hoc del "fallimento del mercato", che in realtà mina le sue stesse fondamenta metodologiche.

Il teorema di Coase è essenzialmente un tentativo di salvare la teoria neoclassica, dal momento che attribuisce un "fallimento del mercato" a quella che è l'assenza di attribuzione di diritti di proprietà espliciti (trasferibilità, esclusività, ecc.) sulle risorse naturali. Se per esempio esaminiamo il caso di un'impresa inquinante e di una comunità locale che soffre quest'inquinamento, secondo il teorema di Coase il diritto di proprietà sulla risorsa inquinata dovrebbe essere attribuito ad una delle due parti coinvolte, in modo che susseguentemente abbia inizio un processo

di negoziazione, che porti eventualmente ad un'allocazione ottimale delle risorse (se i costi di transazione sono uguali a zero). Su queste fondamenta ideologiche, si sono basati interventi da parte di Stati nazionali e di organizzazioni sovranazionali volte a "prezzare" le "esternalità ambientali" e a garantire i diritti sull'inquinamento, ad esempio sulle emissioni di gas serra.

Per mostrare quanto ridicolo sia il teorema di Coase, faremo uso di un esempio tratto dai libri di testo di economia, l'esempio della fabbrica chimica che inquina un lago nel quale pescano i pescatori di un villaggio che si trova sulle sue rive. Diciamo, ad esempio, che l'impianto chimico abbia un profitto di 130 euro al giorno, se non viene installato un filtro rifiuti. In caso contrario, il profitto scende a 100 euro al giorno. Ora, diciamo che i pescatori realizzano un profitto di 100 euro al giorno se il lago è pulito, e invece 50 euro al giorno in caso contrario. Se il diritto di proprietà (sull'inquinamento del lago) viene concesso alla fabbrica, secondo il teorema di Coas i pescatori pagherebbero alla fabbrica 40 euro al giorno per filtrare i rifiuti. In questo modo, potrebbero realizzare in tutto 60 euro di profitti al giorno e la fabbrica farebbe 140 euro di profitti al giorno. Quindi, entrambe le parti guadagnerebbero 10 euro al giorno, ed il "net social welfare" sarebbe di 200 euro.

Ma se i diritti di proprietà venissero garantiti ai pescatori, allora la fabbrica dovrebbe compensare la loro perdita con 50 euro al giorno. Quindi, secondo il teorema, la fabbrica preferirebbe filtrare i rifiuti e perdendo così 30 euro anziché 50 euro al giorno. Pertanto, sia la fabbrica che i pescatori realizzerebbero 100 euro di profitto al giorno, e così il "net social welfare" sarebbe di 200 euro.

L'arbitrarietà più grave insita nella discussione neoclassica circa l'inquinamento del lago, risiede nella valutazione economica dell'inquinamento, che viene espressa in termini di perdita di reddito dei pescatori e, cosa ancora più importante, nell'equazione fra benessere sociale e profitto capitalista. L'equazione del benessere sociale con il profitto, maschera e giustifica lo sfruttamento capitalista ed è espressione non solo di indifferenza nei confronti dei bisogni sociali, ma anche della svalutazione capitalista del lavoro. La ricostruzione naturale di un bene come un lago, può richiedere decenni o secoli (o anche impossibile se, ad esempio, si verifica la morte di tutti gli organismi viventi nel lago). Pertanto, la valutazione in termini monetari di una simile catastrofe, è prova di estremo straniamento della società rispetto alla natura, e non può essere in alcun modo misurata dalla perdita a breve termine sul reddito dei pescatori. È così a maggior ragione, se esaminiamo una risorsa naturale sua scala geografica più ampia: gli oceani, l'aria atmosferica o la biodiversità [*41]. L'equilibrio economico ottimale rispetto al neoclassico "social welfare", che viene valutato in termini monetari, potrebbe benissimo coincidere con il peggiore e più estremo scenario di inquinamento, qualora i numeri dell'esempio precedente fossero stati scelti in maniera differente (ed ugualmente arbitraria).

Oltre tutto, questo modello neoclassico esclude qualsiasi rapporto dell'umanità con la natura che non sia riferito all'accumulazione capitalistica e alla produzione di profitto, dal momento che è del tutto neutrale per quel che riguarda le conseguenze che la distruzione delle risorse naturali potrebbe avere per tutti coloro che ne godono e che le usano al di fuori di questo contesto economico. Infine, anche accettassimo, per amore della discussione, la valutazione economica dell'inquinamento, la discussione neoclassica considera entrambe le parti come se fossero uguali in termini di potere economico. Non c'è niente che sia più lontano dalla verità: Sarebbe impossibile, per esempio, per le persone che lottano contro l'estrazione dell'oro a Skouries (nella penisola di Halkidiki, in Grecia) riuscire a mettere insieme una somma di denaro per poter pagare Eldorado e convincerlo così a non espandere le sue attività minerarie (ed è ridicolo solo pensare ad uno scenario del genere).

 

La strategia dello "sviluppo sostenibile"

«Nella sua forma statale e regolamentata, la "lotta contro l'inquinamento" è tenuta, in un primo momento a supporre non più di nuove specializzazioni, ministeri, posti di lavoro per i ragazzi e promozioni all'interno della burocrazia. L'efficacia della lotta sarà perfettamente in sintonia con tale approccio. Mai esso porterà ad una reale volontà di cambiamento, fino a che l'attuale sistema di produzione non sarà del tutto trasformato.»

( Guy Debord - Il pianeta malato )

In questo contesto, è stata articolata la strategia dello "sviluppo sostenibile", che tenta di "internalizzare le economie ambientali esterne". Gli strumenti principali utilizzati a tal fine dallo Stato capitalista e dalle organizzazioni capitaliste sovranazionali sono:

* - Il pagamento di sussidi ad imprese inquinanti, affinché adottino tecnologie che limitino l'inquinamento. Tali sussidi derivano dalla tassazione diretta dei lavoratori salariati, o dalla tassazione indiretta sul consumo. In Grecia, un tipico esempio di una simile tassazione è l'elevata tassa per le energie rinnovabili che viene caricata sulle bollette elettriche. Come accennato in precedenza, in questo modo, lo Stato trasferisce l'incremento del costo del capitale costante - derivante dal declino della produttività delle forze naturali o dall'esaurimento delle risorse naturali - sulla classe operaia, che già paga la maggior parte delle imposte dirette ed indirette. In questo modo, il tasso di plusvalore viene aumentato e allo stesso tempo viene frenata la caduta del saggio di profitto.

* - Il commercio dei permessi per inquinare e la creazione di un sistema di commercio internazionale per le emissioni di carbonio [*42]. La creazione dei mercati del carbonio è stata istituita nel 1997. con il Protocollo di Kyoto. In base a tale protocollo, vengono stabiliti i massimali di emissioni di carbonio per ciascun paese. Se un paese eccede i limiti di emissione, dovrà acquistare, da un altro paese che non ha ecceduto i suoi limiti, una licenza per emettere più carbonio. All'interno di ciascun paese, le emissioni di biossido di carbonio vengono assegnate alle imprese più grandi che creano tali emissioni. Se un'azienda supera la sua soglia, dovrà comprare una licenza di emissioni da un'altra compagnia per evitare il pagamento di una multa; in questo modo, se una compagnia investe in "tecnologia verde", per mezzo della quale può ridurre le emissioni di carbonio, sarà allora in grado di vendere sul mercato la licenza corrispondente, e quindi potrà generare entrate che copriranno il costo degli investimenti. Inoltre, il Protocollo di Kyoto include il Clean Development Mechanism (CDM), secondo il quale i paesi sviluppati e i paesi che operano in essi possono comprare "crediti di emissione" attraverso l'attuazione di progetti di "clean development" nei paesi del Sud del mondo, che ha un basso tasso di emissioni, che non sono obbligati a ridurli. Oltre al mercato dei CDM, che è sotto la supervisione dell'ONU, esiste anche il "Voluntary Offset Market" (VOM), che non fa parte del sistema forma di riduzione delle emissioni, e che non si basa sulle licenze e sulle multe stabilite dal Protocollo di Kyoto.

In pratica, le quote relative alle emissioni di diossido di carbonio originariamente concesse ai paesi sviluppati erano molto alte, e perciò molte grandi compagnie del Nord, anziché tagliare le emissioni per arrivare agli obiettivi di Kyoto, hanno fatto (e continuano a fare) investimenti in un presunto progetto per lo "sviluppo pulito", nei paesi del Sud, al fine di comprare "crediti di emissione". Alcune aziende, come la Land Rover, promuovono addirittura l'inganno di non emettere diossido di carbonio, perché hanno investito in turbine eoliche e in biocarburanti nei paesi meno sviluppati, compensando ed "esportando" così in questo modo le loro emissioni. Lo stesso avviene per interi paesi che sembrano rispettare gli obiettivi di Kyoto, dal momento che comprano crediti di emissione. Anziché lavorare ad una riduzione delle emissioni di diossido di carbonio, il mercato delle emissioni promuove gli investimenti capitalisti da parte dei paesi sviluppati nei paesi del Sud del mondo, e costituisce un'altra redditizia impresa. Quando i cosiddetti progetti di "sviluppo pulito" nel Sud non incrementano le emissioni globali di carbonio sul pianeta a causa dell'espansione dell'attività industriale, creano ulteriori problemi ambientali, come l'esaurimento della fertilità del suolo dovuto agli investimenti in biocarburanti, cosa che ha come conseguenza anche quella di far aumentare i prezzi del cibo [*43], con l'aumento dell'utilizzo dei fertilizzanti chimici, dal momento che i coltivatori dei paesi "in via di sviluppo" vengono privati di quei fertilizzanti naturali che ora vengono usati come biocarburanti, con la perdita della biodiversità, dovuta alla distruzione dell'habitat della fauna selvaggia e allo sterminio di un'ampia parte della popolazione di uccelli a causa dell'installazione di parchi eolici e così via.

* - Lo sviluppo del mercato verde per i consumatori e l'ecoturismo. Questa tattica, che tenta di dissipare le preoccupazioni che riguardano la questione dello spreco e della distruzione delle risorse naturali attraverso il cosiddetto consumo verde, che viene riconosciuto come una nicchia di mercato promettente. Soprattutto l'ecoturismo, che ha portato al sovra-sfruttamento turistico delle regioni del mondo sottosviluppato. I programmi di protezione ambientale nei paesi del Sud del mondo, portano spesso alla violenta espulsione delle popolazioni locali , che perdono il loro accesso alla terra e alle risorse naturali, un fenomeno che è parte dei processi di accumulazione primitiva in corso nella periferia capitalista.

* - La promozione dell'ideologia della "responsabilità del consumatore" e del "comportamento ecologico". Questa ideologia serve a trasferire la responsabilità dalle relazioni sociali capitalistiche agli atteggiamenti individuali, ed è un ostacolo allo sviluppo della mobilitazione collettiva contro lo spreco delle risorse naturali.

Pertanto, come abbiamo cercato di dimostrare, come un dato di fatto, la politica ambientale capitalista è diretta contro la natura e contro la soddisfazione dei bisogni, riproducendo la separazione e l'alienazione della società rispetto alla natura. Oltre a trasferire sul proletariato il costo del degrado ambientale, mira anche alla creazione di nuove strade che possano portare a redditizi investimenti di capitale. [*44]

 

6. Lotte contro il saccheggio capitalista della natura [*45]

A partire dagli anni '70, in tutto il mondo sono scoppiate lotte sociali contro lo sfruttamento capitalista, il saccheggio, e la svalutazione della natura, le cui conseguenze vengono principalmente sofferte, da un lato, dai settori più oppressi della classe operaia [*46] e, dall'altro lato, dalle popolazioni indigene che perdono l'accesso ai loro mezzi di sussistenza nel contesto del processo di accumulazione primitiva in corso, vale a dire la distruzione delle comunità indigene precapitaliste, l'espansione delle relazioni capitalistiche in ogni angolo del mondo, e la proletarizzazione delle popolazioni indigene. Queste lotte irrompono lungo l'intera catena della produzione capitalistica delle merci, dall'estrazione delle risorse naturali e dalla loro lavorazione industriale fino al trasporto e allo smaltimento di scarti e rifiuti, nel mentre che le comunità in lotta difendono l'ambiente naturale e le loro vite. Nonostante all'inizio abbiano un carattere locale, spesso evolvono fino a raggiungere dimensioni nazionali, o perfino internazionali, in termini di organizzazione e di impatto.

 

Alcune statistiche sulle lotte

L'«Atlante della Giustizia Ambientale» ["Atlas of Environmental Justice” (EJatlas)] contiene la Tabella I, che rappresenta gli assi principali intorno ai quali sono scoppiate le lotte sociali negli ultimi 40 anni. La prima colonna elenca le categorie più generali, che poi vengono analizzate ulteriormente nella seconda colonna. Per quanto attiene alla loro frequenza, la maggior parte delle lotte sono scoppiate intorno all'attività minera( Guy Debord - Il pianeta malato )ria estrattiva (21%), all'estrazione di combustibili fossili (19%), alle rivendicazioni di terre (17%) e alla gestione delle acque (14%), soprattutto intorno alla costruzione di dighe idroelettriche. Perciò, la maggior parte delle lotte riguardano la fase dell'estrazione di risorse naturali necessarie alla produzione capitalista. Per quel che riguarda la posizione geografica, la maggior parte delle lotte avvengono nelle aree rurali (63%), mentre solo il 17% avviene nelle aree urbane, ed il resto nelle aree "semi-urbane". Le lotte nelle aree rurali riguardano soprattutto la recinzione di ricchezze naturali da parte dello Stato o da parte di imprese capitaliste, e l'espropriazione alle popolazioni locali di quelle risorse che sono loro necessarie per la sopravvivenza. Riguardano anche lo smaltimento di rifiuti e scarti della produzione capitalista (come la demolizione e rottamazione di navi) e quei progetti relativi al "Meccanismo di Sviluppo Pulito", i quali fanno presumibilmente parte della riduzione delle emissioni di biossido di carbonio.

Le lotte nelle aree urbane e semi-urbane ruotano principalmente intorno alle infrastrutture ed ai progetti di sviluppo come le espansione di porti ed aeroporti, processi di gentrificazione e di riqualificazione di quartieri storici (si veda, per esempio, le mobilitazioni che ci sono state attorno alla distruzione di Gezi Park a Istanbul che hanno provocato una rivolta generalizzata), l'espansione di zone industriali e lo smaltimento dei rifiuti domestici e industriali.

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Per quanto riguarda la composizione sociale delle lotte contro il saccheggio capitalista della natura, le lotte vengono combattute (con una percentuale assai elevata, corrisponde ad un terzo dei casi) dalle comunità indigene situate nei paesi del Sud del mondo. Le popolazioni indigene subiscono l'espansione del modo capitalista di produzione in aree che non sono ancora state toccate ai fini dell'appropriazione delle ricchezze naturali ancora non sfruttate, e per promuovere nuovi processi di accumulazione primitiva[*47]. Ancora più spesso, le lotte vengono condotte da gruppi organizzati localmente, gruppi di residenti, da gruppi di agricoltori. In alcuni casi è stata segnalata la partecipazione di lavoratori industriali e, più raramente, di lavoratori informali e da addetti allo smaltimento di rifiuti.

Le forme assunte dalle mobilitazioni sono varie: dalle lettere di reclamo, alle petizioni e alle cause legali fino alle proteste di strada, blocchi stradali ed occupazioni di pubblici spazi ed edifici. Raramente, vengono adottate forme più dinamiche, come il sabotaggio, l'incendio e l'attacco alla proprietà capitalista, o gesti estremi come lo sciopero della fame o l'auto-immolazione. In ogni caso, viene scelto più spesso il percorso istituzionale, piuttosto che le pratiche di azione diretta. Tuttavia, a causa della sua efficacia, il blocco stradale è una pratica che viene usata molto spesso, soprattutto in casi dove è difficile l'accesso alle miniere, alle foreste e alle cime delle montagne da sfruttare, e vi sono poche strade di accesso.

Secondo i dati statistici di EJAtlas, in genere l'esito dei conflitti non è positivo. Il turismo e i progetti per la gestione dei rifiuti sono quelli che vengono fermati più spesso (più del 30% dei casi). I progetti riferiti ai combustibili fossili (ad esempio, trivellazioni petrolifere) e alla gestione dell'acqua (ad esempio, dighe idroelettriche) sono quelli che sono stati interrotti più raramente (meno del 15% dei casi). Gli stessi partecipanti alle mobilitazioni li identificano nel 49% dei casi come falliti, e solo nel 17% dei casi come coronati da successo. In molti casi, alle mobilitazioni seguono dei risarcimenti.

Per quel che riguarda il linguaggio che viene articolato nel contesto di queste lotte, mentre può essere esercitata la critica delle grandi imprese capitaliste, si può fare riferimento alla recinzione dei "beni comuni" e al peso ineguale per le popolazioni più povere che vengono castigate, raramente c'è una critica globale delle relazioni di classe dello sfruttamento capitalista e del dominio, o della forma Stato. In molti casi, le lotte hanno avanzato richieste per il riconoscimento costituzionale dei diritti delle popolazioni indigene, per l'estensione dei diritti umani che includano, ad esempio, il "diritto all'acqua" e il "diritto alla natura", per la responsabilità aziendale, per il cosiddetto "debito ecologico" del "Nord" nei confronti del "Sud" (in contrasto con il debito finanziario di quest'ultimo nei confronti del primo). così come per l'imposizione di tasse e restrizioni per le operazioni aziendali inquinanti. Sebbene tali richieste siano di fatto dirette agli Stati capitalisti e agli organismi sovranazionali del capitalismo globale, le lotte potrebbero contribuire alla rottura rivoluzionaria del circuito di riproduzione del capitale sociale totale, nel caso tali lotte fossero trasformate radicalmente e divenissero parte organica di un movimento globale contro lo sfruttamento capitalista sia degli umani che della natura non umana, attraverso una connessione con altre lotte che provengano dalle diverse sfere della produzione capitalista e della riproduzione.

Un'evoluzione delle lotte verso una simile direzione rivoluzionaria, viene impedita dagli ostacoli che vengono posti dalle neonate ideologie riformiste. Qui, noi possiamo esercitare la nostra critica solo su una di esse: l'ideologia della "decrescita", che in anni recenti è diventata particolarmente popolare fra gruppi ed organizzazioni che partecipano alle lotte contro il saccheggio della natura.

 

Sull'ideologia della "decrescita"

La "ideologia della decrescita" non è nient'altro che una nuova versione più (falsamente) radicale dei "limiti alla crescita" e delle dottrine della "economia dello stato stazionario" che abbiamo presentato nella sezione 5. Inoltre, non è un caso che appaia nel momento in cui la politica deflazionista di svalutazione del capitale appare essere di nuovo in primo piano. Secondo la definizione datane da Schneider, Kallis e Martinez-Allier, "la decrescita" è «un equo ridimensionamento della produzione e del consumo che aumenta il benessere umano e migliora le condizioni ecologiche sia a livello locale che globale, sia a breve che a lungo termine» [*48]. Nel tentativo di separare la "decrescita" dall'attuale politica capitalista, sono pronti a sottolineare che la decrescita dovrebbe essere distinta dalla "recessione insostenibile". Per giudicare tale affermazione, esamineremo i testi di Serge Latouche, che è il più importante teorico della corrente della "decrescita".

Secondo Latouche [*49], la "decrescita" implica la decolonizzazione della vita dall'economia e dal consumo, la liberazione dello "immaginario sociale" dalla fede prevalente nel dominio sulla natura ed una "società autonoma" (qualsiasi cosa significhi). La definizione della crescita data da Latouche è identica a quella data da Marx quando parla di espansione illimitata del capitale. Tuttavia, per Latouche, il denaro, il mercato ed il lavoro salariato non sono forme della relazione fra capitale e lavoro, ma devono essere intese come istituzioni autonome e distinte che possono essere incorporate in una "società post-sviluppo"! È indicativo che Latouche consideri impossibile persino una politica di tassazione delle imprese che creano inquinamento o che distruggono risorse naturali, in modo da costringerle a pagare il costo totale del danno e dei rischi che infliggono alla società, poiché una simile "soluzione" potrebbe «metterci contro il vero potere dell'oligarchia plutocratica che governa il mondo» e fallirebbe immediatamente, se a precederlo non ci fosse stato un «cambiamento nell'immaginario».

Latouche è perciò esplicitamente contrario alla rivoluzione comunista vista come abolizione del denaro e del lavoro salariato. Come scrive in un articolo pubblicato sul Le Monde Diplomatique:

«Sotto il capitalismo non può esistere una società basata sulla contrazione economica. Ma capitalismo è una parola ingannevolmente semplice per una storia lunga e complessa. Liberarsi dai capitalisti e bandire il lavoro salariato, il denaro e la proprietà privata dei mezzi di produzione farebbe precipitare la società nel caos. Porterebbe terrorismo su larga scala. Non sarebbe sufficiente a distruggere la mentalità di mercato. Doppiamo trovare un altro modo per uscire dallo sviluppo, dall'economismo (una fede nel primato delle cause economiche, o dei fattori economici), e dalla crescita: il che non significa abbandonare le istituzioni sociali che sono state annesse dall'economia (denaro, mercato, perfino i salari) bensì riformularli secondo principi differenti»[*50].

Al posto di un cambiamento rivoluzionario, propone di adottare un programma riformista per la "internalizzazione delle diseconomie esterne" supportate dalle aziende inquinanti, un programma che "aprirebbe la strada ad una società in decrescita", seguendo le linee della teoria economica ortodossa. In quest'articolo propone le seguenti misure:

* - Ridurre la nostra impronta ecologica in modo che sia uguale o inferiore alla somma delle risorse della Terra. Ciò significa riportare la produzione materiale ai livelli degli anni '60 e '70.

* - Internalizzare i costi del trasporto.

* - Rilocalizzare tutte le forme di attività.

* - Ritornare all'agricoltura su piccola scala.

* - Ridurre gli sprechi energetici di tre quarti.

* - Pesanti tasse sulla spese pubblicitarie.

* - Decretare una moratoria sull'innovazione tecnologica.

Secondo Latouche, in questo modo la società può essere riorientata verso il "virtuoso sentiero dell'eco-capitalismo"!

A parte la presenza di una posizione controrivoluzionaria così chiara, nel canto latouchiano della teoria della decrescita - nota anche come Addio alla Crescita - c'è una pletora di punti altamente problematici. Per esempio, l'autore sostiene apertamente le politiche protezioniste nazionaliste ed è per una "riscoperta delle radici locali" (quest'obiettivo è stato codificato col nome di "rilocalizzazione"). Inoltre, Latouche scrive positivamente riguardo le agenzie di lavoro temporaneo, sulla base secondo la quale esse contribuirebbero allo "accorciamento della settimana lavorativa", ed offrirebbero "una varietà di lavori", vale a dire che egli sta raccomandando fortemente il lavoro precario! Nello specifico, scrive che «rappresentano un passo nella giusta direzione. Vanno solo visti sotto una luce diversa»[*51].

Inoltre appare chiaro che il concetto di Castoriadis di "immaginario" viene usato da Latouche in una maniera che faciliti il trasferimento all'individuo - il quale è invitato a cambiare abitudini di consumo e stile di vita - della responsabilità per la svalutazione ed il saccheggio della natura.

Ma non è solo Latouche ad avere punti di vista riformisti. Un'altra teorica della "decrescita", Joan Martinez-Allier, dopo la Grande Recessione del 2008-2009 ha proposto l'implementazione di un "New Deal Verde", che limiterebbe l'aumento della disoccupazione attraverso investimenti pubblici in "infrastrutture e tecnologie verdi". Questa teorica ha dichiarato che se il "Keynesismo verde" non fosse stato trasformato in una dottrina della "crescita economica continua" non sarebbe incompatibile con il progetto della "decrescita".

Ultimo, ma non meno importante, un anarchico devoto della "decrescita" sostiene con fervore il punto di vista di Latouche rispetto ad un presunto esempio fornito dalle comunità indigene nell'Africa moderna, rispetto alla "decrescita". Scrive in maniera caratteristica: «L'Africa, che in mezzo alla privazione riesce a gestirsi e a realizzare una vera e propria gioia di vivere, costituisce probabilmente lo sfondo migliore per poter rendersi conto della miseria della crescita e dello sviluppo» [*52]. È assolutamente oltraggioso che la povertà e la miseria dell'Africa vengano interpretate da un anarchico come se fossero un modello di vita sociale, per non parlare, oltre tutto, dell'idealizzazione delle relazioni patriarcali precapitalistiche delle comunità indigene. Taibo condivide i punti di vista neo-malthusiani sostenuti dalla corrente della "decrescita", relativamente l cosiddetto problema della sovrappopolazione. Quando Taibo affronta tale "problema", assume la posizione di Albert Jacquard, secondo cui «la risposta alla domanda "quante persone può sostenere la Terra" dipende dal genere di persone di cui stiamo parlando. Se parliamo di coltivatori del Mali o del Bangladesh, allora potrebbero sopravvivere senza grossi problemi quindici, venti, o anche trenta miliardi di persone. Se invece stiamo parlando del parigino medio, che guida quotidianamente la sua automobile e trascorre le vacanze alle Seychelles, anche gli attuali cinque miliardi di persone diventano insopportabili: esaurirebbero ben presto le risorse del pianeta» [*53]. Detto in altre parole, Taibo sostiene che si debba ridurre il tenore di vita dei proletari nei paesi sviluppati, portandolo al livello dei paesi poveri del Sud del mondo. Per di più, una simile posizione serve a promuovere il senso di colpa e l'individualizzazione della questione sociale relativa alla svalorizzazione della natura.

 

La questione della "sovrappopolazione" [*54]

In questa sezione esamineremo, in maggior dettaglio, l'ideologia della sovrappopolazione, per mostrarne il suo carattere apologetico.

È stato Robert Malthus ad introdurre per la prima volta, nel 1798, il concetto di sovrappopolazione nella sua opera "Saggio sul principio di popolazione" [*55]. Secondo Malthus, la povertà, la fame, le malattie e la guerra non emergono a partire dalle relazioni sociali dominanti, ma sono un inevitabile risultato di una presunta "legge naturale", seconda la quale la popolazione aumenterebbe secondo un incremento geometrico, laddove i mezzi di sussistenza si incrementerebbero in maniera aritmetica, una legge questa che funzionerebbe «in maniera assolutamente indipendente da qualsiasi regolazione umana». La teoria di Malthus era rivolta, fin dall'inizio, contro le dichiarazioni di uguaglianza che erano state espresse durante la Rivoluzione francese, ed aveva un chiaro carattere di classe. In particolare, quello che Malthus attaccava era la fornitura di welfare ai poveri da parte dello Stato, sostenendo che questo avrebbe portato ad un incremento del numero dei poveri e ad un calo dell'incentivo al lavoro che si sarebbe tradotto in una graduale riduzione del loro standard di vita e - cosa più importante - ad una diminuzione dei «dividendi [della ricchezza] che diversamente sarebbero andati ai membri della società più industriosi e degni» [vale a dire, alla borghesia e alla classe proprietaria terriera]. La sua teoria era estremamente contraddittoria poiché, nella sua opera "Principi di economia politica", egli riconosceva che la mancanza di domanda sociale relativa ai prodotti della produzione capitalistica è qualcosa di normale. Nei confronti di un tale difetto, proponeva una "soluzione" a partire dall'incremento del consumo degli strati sociali superiori non produttivi (proprietari terrieri, funzionari statali, aristocratici, clero, coloro che vivevano di rendita, ecc.). Accorgendosi di una tale contraddizione, cercò di superarla sostenendo che gli strati superiori non aumentano il loro numero secondo la legge naturale, ma lo regolano grazie alle prudenti abitudini frutto della paura che avvenga un declino della loro posizione di vita. Diversamente da quel che avviene per le "classi inferiori", le quali invece si riproducono in maniera imprudente. Inoltre, era sufficientemente onesto da ammettere che la domanda non avrebbe potuto essere coperta dalla classe operaia, in quanto: «nessuno impiegherà mai il capitale solo per soddisfare occasionalmente la domanda di coloro che lavorano per esso», riconoscendo indirettamente che i profitti vengono creati necessariamente a partire dallo sfruttamento della classe operaia.

Per Malthus, l'insufficienza dei salari degli operai può essere causata sia da una distribuzione ineguale della ricchezza sociale, oppure può essere la conseguenza graduale dell'esaurimento del suolo, nel caso che i salari ed il consumo della classe operaia sono più alti di quello che la terra può sostenere. Pertanto, il fatto che le classi dirigenti creino una scarsità artificiale per i lavoratori previene l'immiserimento di tutti i settori della società, e «assicura ad una porzione della società lo svago necessario al progresso delle arti e delle scienze».

Marx attaccava l'ideologia malthusiana della sovrappopolazione e della scarsità delle risorse naturali: ha mostrato il perché la povertà della classe operaia non sia causata da un'apparente "legge naturale della popolazione" e dalla scarsità delle risorse naturali, bensì dalle dinamiche interne al modo capitalista di produzione. Per Marx, l'accumulazione di capitale necessita dell'incremento della produzione, di modo che un esercito industriale di riserva possa essere disponibile per il suo bisogno di espandersi. Inoltre, come sottolinea, la legge della popolazione è

«peculiare del modo di produzione capitalista; e infatti ogni particolare modo storico di produzione ha le sue particolari leggi di popolazione, le quali sono storicamente valide all'interno di quella particolare sfera. Una legge astratta della popolazione esiste solo per le piante e per gli animali, ed anche allora esiste solo in assenza di un qualsiasi intervento storico da parte dell'uomo. Ma se una popolazione di lavoratori in eccesso, è un prodotto necessario dell'accumulazione, o dello sviluppo della ricchezza su base capitalistica, questa popolazione in eccesso diventa anche, per converso, la leva dell'accumulazione capitalista; diventa anzi una condizione per l'esistenza del modo capitalista di produzione. Va a forma un esercito industriale di riserva a disposizione... Indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione, esso crea una massa di materiale umano sempre pronto ad essere sfruttato dal capitale, secondo quelli che sono gli interessi del capitale, nelle mutevoli esigenze della valorizzazione del capitale» [*56].

Ciò non significa che Marx non riconosca il saccheggio della natura e la frattura esistente nel metabolismo fra società e natura, come abbiamo mostrato nella prima sezione di questo testo. La differenza consiste nel fatto che, per Marx, la scarsità è prodotta socialmente nel corso della storia, e i cosiddetti "limiti naturali" sono una relazione sociale all'interno della natura, e non una necessità che viene imposta esternamente.

La svolta attuata da molti teorici, anche marxisti, all'interno del "movimento ecologico", verso idee malthusiane, può essere spiegata sulla base dell'estremo saccheggio della natura verificatosi nei paesi a capitalismo di Stato che facevano riferimento alla teoria di Marx. Tuttavia, hanno finito per accettare ed adottare in maniera acritica quelli che sono gli argomenti capitalisti circa i "limiti naturali" e la "legge naturale della popolazione". Il punto di partenza per una critica reale all'ecologia del capitalismo dovrebbe essere diversa. David Harvey ha sostenuto che ciò che viene socialmente considerato come una "risorsa naturale" arriva ad essere tale attraverso una «valutazione culturale, tecnica ed economica degli elementi e di processi in natura che si possono applicare per raggiungere finalità ed obiettivi sociali attraverso specifiche pratiche materiali»[*57]. Pertanto, la definizione stessa di cosa sia una "risorsa naturale" coinvolge specifici processi sociali:

* - La valutazione degli elementi e dei processi naturali si riferisce sempre ad un particolare stato della conoscenza, della comprensione e della comunicazione, che varia storicamente e geograficamente.

* - Le dimensioni tecniche, economiche e culturali di tale valutazione possono cambiare rapidamente, e questo rende assai fluida la definizione di risorsa naturale.

* - Le finalità e gli obiettivi variano molto, a seconda dei soggetti che li articolano ed in corrispondenza del modo in cui vengono istituzionalizzati, espressi ed organizzati i desideri umani.

* - Gli elementi e i processi della natura non cambiano solo a causa dei naturali processi di cambiamento, ma anche perché le pratiche sociali sono sempre anche attività che trasformano la natura e la società attraverso ogni sorta di conseguenze intenzionali e non: «Ciò che esiste "in natura" si trova in uno stato costante di trasformazione».

Invocare i limiti naturali a proposito della popolazione e delle risorse naturali, senza fare riferimento al bisogno di abolire le relazioni sociali di produzione capitalista equivale, essenzialmente, ad accettare lo stato corrente delle cose [*58]. Una simile posizione non esprime altro che il fatto che non c'è né volontà né capacità di cambiare il nostro stato di conoscenza, di cambiare radicalmente i nostri obiettivi sociali, i modi culturali di vita e la configurazione tecnologica della produzione. Inoltre, in misura assai maggiore, tutto ciò non esprime, al contrario, la volontà di abolire l'economia in quanto sfera separata della vita, assumendo come scontato il fatto che non abbiamo il potere di cambiare le collettivamente le pratiche sociali dominanti. Detto in altre parole, un cambiamento rivoluzionario della società, e la corrispondente trasformazione della sua relazione con la natura non umana, non possono essere concepiti nel contesto dell'ideologia della "sovrappopolazione" e dei "limiti naturali". Come giustamente osserva David Harvey nello stesso libro: «ogni dibattito a proposito dell'eco-scarsità, dei limiti naturali, della sovrappopolazione, e della sostenibilità è un dibattito sulla preservazione di un particolare ordine sociale, piuttosto che un dibattito sulla preservazione della natura in sé» [*59].

Nell'attuale congiuntura globale, quando la strategia capitalistica dominante in Europa è quella di una politica di austerità di svalutazione del capitale, la teoria della "decrescita" può benissimo fungere da ideologia per la legittimazione delle politiche di svalutazione e per la gestione dell'eccedenza globale di popolazione.

 

7. In luogo di epilogo

Il capitale non è solo una relazione di classe di sfruttamento e di dominio, ma è anche una relazione di alienazione della società dalla natura, in cui sia i produttori di ricchezza sociale che la natura non umana, in quanto forza autonoma produttiva, vengono trasformati in oggetti che vengono dominati e saccheggiati dal capitale stesso. Tuttavia, il processo della sussunzione sotto il capitale della natura e del lavoro è conflittuale e contraddittorio. Da un lato, la sussunzione del lavoro sotto il capitale contiene un'antitesi reale: finché esisterà il capitalismo, i proletari saranno costretti a vendere la loro forza lavoro al capitale; la loro riproduzione si basa sulla loro oggettivazione come capitale variabile. Allo stesso tempo, l'oggettivazione del lavoro è un'esperienza di spossessamento e di alienazione. È quest'antitesi quella che sta alla base della lotta di classe, che può svilupparsi fino a diventare una pratica radicale di contestazione e di negazione del capitale, che strappa il velo del feticismo e ne rivela il suo contenuto, vale a dire, che si tratta di una relazione di classe e di dominio. «Da qui proviene la consapevolezza che il potere "oggettivo" del capitale viene prodotto dal nostro lavoro, quindi il capitale non è onnipotente, e possiamo smantellarlo. Che il valore come "obiettivo" non può esistere senza la nostra sottomissione alle leggi dello scambio e del lavoro salariato» [*60]. Dall'altro lato, la natura "reagisce" contro il processo della sua sussunzione al capitale, attraverso il verificarsi di fenomeni quali il riscaldamento globale, la comparsa delle piante super-infestanti, il collasso della produttività agricola, e così via; tutte cose che funzionano come limiti all'accumulazione capitalista. E anche se il capitale assume ogni limite che viene posto dal lavoro e dalla natura come se si trattasse di una barriera che dev'essere idealmente superata, ciò non significa affatto che lo abbia realmente superato.

«Contro la paura che viene coltivata a partire dai sintomi della crisi ecologica capitalista, dobbiamo rispondere rivolgendo la "malattia" contro sé stessa. Usciremo dalla paura solo affidandoci alle nostre proprie forze, alla nostra capacità di distruggere tutte le alienazioni esistenti e tutte le immagini del potere che non riusciamo a vedere.» (Guy Debord)


- Antithesi - Pubblicato il 28.8.2017 -

fonte: communists in situ
NOTE:
[*1] - J. Rockström et. al., A safe operating space for humanity, Nature 461(24), 2009.
[*2] - La produzione agricola ad alta intensità di capitale ha contribuito, fra il 1997 ed il 2002, per l'80% all'aumento delle emissioni di gas serra (come viene riferito nel libro di J.W.Moore, "Capitalism in the Web of Life: Ecology and the Accumulation of Capital", Verso, 2015).
[*3] - See J. W. Moore, op.cit.
[*4] - E. Apostolopoulou, "A critique of the dominant developmental ideology for the relationship between society and nature", Outopia 91, 2010.
[*5] - A. Vlachou, Nature and Value Theory, Science and Society 66(2), 2002.
[*6] - K. Marx, Capital vol. I, Penguin Books, 1976, p. 284.
[*7] - K. Marx, Critique of the Gotha Programme, Marx/Engels Selected Works vol. 3, Progress Publishers.
[*8] - In realtà, nella misura in cui le risorse naturali e le condizioni naturali non sono merci prodotte dal lavoro umano, esse non hanno valore sebbene possono essere valori d'uso. Questo chiarimento si rende necessario perché il concetto di svalutazione della natura potrebbe essere confuso con la perdita di una sostanza aprioristicamente inerente ai valori d'uso naturali, un errore che che viene fatto daolla corrente femminista marxista riguardo al lavoro domestico. Come mostreremo nelle sezioni seguenti, il non valore della natura e del lavoro domestico femminile gioca, tuttavia, un ruolo chiave nella riduzione del prezzo del capitale costante e variabile, e quindi gioca un ruolo chiave nell'incremento della redditività capitalista.
[*9] - K. Marx, Capital vol. I., Penguin Books, 1976, p. 128.
[*10] - Κ. Μαρξ, Grundrisse, Vintage Books, 1973, p. 141.
[*11] - D. Harvey, The Limits to Capital, Verso, 1982.
[*12] - J. W. Moore, Transcending the metabolic rift: a theory of crises in the capitalist world-ecology, The Journal of Peasant Studies 38(1), 2011.
[*13] - K. Marx, Theories of Surplus Value Part I, Progress Publishers, 1969, p. 93
[*14] - K. Marx, Theories of Surplus Value Part III, Progress Publishers, 1971, p. 131.
[*15] - K. Marx, F. Engels, Marx Engels Collected Works vol. 3, International Publishers, 1975, p. 275-277.
[*16] - K. Marx, Grundrisse, Vintage Books, 1973, p. 489.
[*17] - K. Marx, op.cit., p. 497.
[*18] - K. Marx, op.cit., p. 410.
[*19] - K. Marx, Capital vol. III, Penguin Books, 1981, p. 948-950.
[*20] - K. Marx, Capital vol. I., Penguin Books, 1976, p. 637-8.
[*21] - K. Marx, op.cit., p. 376.
[*22] - K. Marx, Capital vol. III, Penguin Books, 1981, p. 959.
[*23] - Vedi J.W. Moore, op. cit. In ogni caso, è pericoloso presentare dei particolari metodi di produzione, e delle innovazioni, come delle "soluzioni" al saccheggio della terra da parte del capitale, dal momento che è possibile che tali "soluzioni" vengano alla fine incorporate nel sistema complessivo dello sfruttamento capitalistico del lavoro e della natura senza che, in sostanza, il suo carattere ne risulti cambiato. Inoltre, tale sviluppo è giá avvenuto con le cosiddette Fonti Rinnovabili di Energia. Queste tecnologie non solo non hanno portato ad una riduzione dei gas serra, ma dove sono stati installati hanno anche creato dei nuovi problemi come, ad esempio, la distruzione degli ecosistemi locali e la morte di miglia di uccelli, minacciandoli di estinzione-
[*24] - K. Marx, op. cit., p. 911.
[*25] - K. Marx, Capital vol. I, Penguin Books, 1976, p. 312.
[*26] - K. Marx, op. cit., p. 508.
[*27] - K. Marx, Capital vol. III, Penguin Books, 1981, p. 782.
[*28] - Inoltre, il capitale si appropria liberamente delle forze produttive risultanti dalla cooperazione, dalla divisione del lavoro, dal progresso della scienza e della tecnologia. «Come l'aumentato sfruttamento della ricchezza naturale, deriva dal semplice atto di aumentare la pressione sotto la quale deve operare la forza lavoro, così la scienza e la tecnologia danno al capitale un potere di espansione che è indipendente dalla grandezza data del capitale realmente funzionante(...) Questo [parte del capitale], sotto la sua nuova forma, oncorpora, a titolo gratuito, i progressi sociali compiuti mentre si trovava sotto la sua vecchia forma ora esaurita» ((K. Marx, Capital vol. I, Penguin Books, 1976, p. 754). Inoltre, il capitale si appropria a titolo gratuito delle forze produttive del lavoro precedente che sono state oggettivate negli strumenti di lavoro, nella stessa misura in cui erano pienamente utilizzati, ma solo in parte consumati, vale a dire, il grado in cui fungono da agenzie nella formazione dei prodotti senza che aggiungano valore a quei prodotti.
[*29] - Quando i valori d'uso naturali non incrementano la produttività del lavoro, come avviene per esempio nel caso del pezzo di terra su cui viene costruita una fabbrica, il prezzo del terreno deriva dal monopolio che hanno i proprietari terrieri nel disporre in esclusiva di quel particolare pezzo di terra, un diritto legale che permette loro - come viene vividamente descritto da Marx nel III volume del Capitale - di estrarre dai capitalisti industriali «una certa tassa monetaria» che viene catturata e finisce nell'ammontare totale del plusvalore prodotto.
[*30] - K. Marx, Capital vol. III, Penguin Books, 1981, p. 783-4.
[*31] - K. Marx, op. cit., p. 787.
[*32] - K. Marx, op. cit., p. 879.
[*33] - P. Psarreas, Capitalism, ecological crisis, ecology and the eco-socialist perspective, Theseis 105, 2008 (in Greco).
[*34] - J. W. Forrester, World Dynamics, Wright-Allen Press, 1971.
[*35] - D.H Meadows, D.L Meadows, J. Randers, The Limits to Growth, Pan Books, 1974.
[*36] - Questo passaggio è tratto dall'articolo di Maria Markantonatou, From The Limits to Growth to “Degrowth”: Discourses of Critique of Growth in the Crises of the 1970s and 2008, Working Paper 05/2013.
[*37] - La relazione che hanno queste ideologie con l'attuale discorso sulla "decrescita" verrà esaminata nelle sezioni seguenti.
[*38] - See P. Psarreas, op.cit.
[*39] - È sorprendente che la definizione di "sviluppo sostenibile" qui data sia essenzialmente un'appropriazione indebita della relativa summenzionata posizione di Marx (vedi [*24]). Ovviamente, da essa è stata eliminata completamente la critica della proprietà capitalista.
[*40] - See P. Psarreas, op. cit.
[*41] - Nelle precedenti sezioni abbiamo mostrato perché la natura non umana non abbia valore nel capitalismo, così come il modo in cui la monopolizzazione delle risorse naturali nel contesto delle relazioni capitaliste di proprietà assegni loro un prezzo.
[*42] - S. Böhm, M.C. Misoczky, S. Moog, Greening Capitalism? A Marxist Critique of Carbon Markets, Organization Studies 33(11), 2012.
[*43] - Anche i tecnocrati delle Nazioni Unite hanno denunciato la produzione di biocarburanti come un "crimine contro l'umanità", a causa del suo contributo alla crisi alimentare globale (cf. P. Psarreas, op. cit.).
[*44] E. Apostolopoulou, op. cit. Nel suo articolo Apostolopoulou scrive a proposito della prima "regione protetta" del mondo, il Parco Nazionale di Yellowstone, negli USA, che è stato istituito nel 1872. L'insediamento del Parco mirava all'espulsione della popolazione indigena e causò la morte di centinaia di indiani americani.
[*45] - I dati e i grafici presenti in questa sezione provengono dall'articolo di J. Martinez-Alier, L. Temper, D. Del Bene and A. Scheidel, "Is there a global environmental justice movement?", The Journal of Peasant Studies 43(3), 2016.
[*46] - Normalmente, i rifiuti tossici vengono collocati vicino ad aree dove vive il proletariato povero. Negli anni '80, negli Stati Uniti, ci sono state molte mobilitazioni dei proletari afroamericani su questo problema. Queste lotte sono note come lotte per la "giustizia ambientale".
[*47] - Questi processi di accumulazione primitica, traggono spesso vantaggio dalla preesistente divisione di genere del lavoro, e dalle relazioni patriarcali di proprietà, per imporre lo spossessamento delle comunità dai loro mezzi di sussistenza. Per esempio, fra le comunità dei Bantu che vivono in Africa, le donne erano responsabili soprattutto della raccolta dei frutti, di fare medicine e cucinare, mentre gli uomini per cacciare e coltivare. Con l'introduzione della silvicoltura capitalista mercificata, per gli indigeni maschi è preferibile accettare di tagliare alberi in cambio di denaro, mentre le donne preferiscono resistere in quanto perdono l'accesso alle risorse necessarie per poter fare le medicine e il cibo, e allo stesso tempo non guadagnano un reddito per mezzo della vendita del legname perché gli uomini hanno la "proprietà" esclusiva degli alberi. Per questo motivo, le donne sono molto più coinvolte nella mobilitazione contro il taglio degli alberi e la deforestazione capitalista. Vedi: S. Deuthey, J.-F. Gerber, Logging conflicts in Southern Cameroon: A feminist ecological economics perspective, Ecological Economics 70(2),2010.
[*48] - F. Schneider, G. Kallis and J. Martinez-Allier, Crisis or Opportunity? Journal of Cleaner Production 18, 2010. Referred to in M. Markantonatou, op. cit.
[*49] - S. Latouche, Farewell to Growth, Polity Press, 2009. Referred to in M. Markantonatou, Growth Critique in the 1970s Crisis and Today: Malthusianism, Social Mechanics, and Labor Discipline, New Political Science 38 (1), 2017.
[*50] - S. Latouche, The Globe Downshifted, Le Monde Diplomatique January, 2006.
[*51] - [51] S. Latouche, Farewell to Growth, Polity Press, 2009, σ. 40.
[*52] - C. Taibo, En defensa del decrecimiento. Sobre capitalismo, crisis y barbarie, Los libros de la CATARATA, 2009.
[*53] - Ivi.
[*54] - Questa sezione si basa sul capitolo “Ecoscarcity and natural limits: The Malthusian tradition” del libro di David Harvey"Justice, Nature and the Geography of Difference", Blackwell, 1996.
[*55] - Più precisamente, Malthus ha plagiato Defoe, James Stuart, Wallace e Townsend, come annota Marx nel I volume del Capitale.
[*56] - K. Marx, Capital vol. I, Penguin Books, 1976, p. 783-4.
[*57] - D. Harvey, op. cit., p. 147.
[*58] - Certamente, i limiti ecologici esisteranno sotto le relazioni sociali comuniste. In questo contesto, il processo rivoluzionario include necessariamente la trasformazione dei bisogni sociali e del modo in cui vengono soddisfatti, cioè, cosa produciamo e consumiamo e come lo produciamo, in modo da riuscire a superare l'alienazione della società dalla natura.
[*59] - D. Harvey, op. cit., p. 148. Nel medesimo capitolo, Harvey menziona giustamente l'uso politico che potrebbe essere fatto dell'ideologia dei limiti assoluti alle risorse naturali e alla popolazione: «Ogni volta che in una società governata da una classe dominante si impone una teoria della sovrappopolazione, allora le classi asservite sperimentano invariabilmente una qualche forma di repressione materiale, politica, economica e sociale». (p.149).
[*60] - Aufheben, Recensione di Moishe Postone: "Time, labour and social domination" – capital beyond class struggle?, Aufheben 15, 2007.

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