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Sullo sgombero del Leoncavallo

di Sergio Fontegher Bologna

Com’era prevedibile, alla proditoria azione di sgombero attuata dal Ministero per giocare d’anticipo e bloccare a) una programmata azione di mediazione del Comune di Milano con la ricerca di una nuova sede, b) un ricompattarsi di quel che resta del “movimento” al rientro dalle ferie, è seguito un dibattito sulla stampa e sui social dove se ne leggono di tutti i colori e s’aggiunge confusione a quella che già ammorba da tempo lo spazio pubblico.

Nella speranza di diradare un po’ di questa nebbia fitta mi permetto di fare qualche osservazione. Tanto per cominciare: un minimo di memoria storica non fa mai male.

I “centri sociali” sono nati negli anni Settanta come contenitori di una conflittualità e di un antagonismo sociale che non trovava spazi adeguati nemmeno nei gruppi extraparlamentari, erano già espressione di una generazione successiva al ’68. Non a caso prenderanno slancio dopo il ’77 e in particolare negli anni della grande repressione e della sconfitta operaia, quindi nei decenni Ottanta e Novanta.

Ci cresceranno i nostri figli, che oggi hanno più di 50 anni, troveranno un luogo dove mantenere certi valori, dove difendersi da certi pericoli (la droga pesante), dove cominciare a produrre e consumare una nuova cultura, che fu chiamata cultura underground, dove trovare situazioni affini quando andavano all’estero, in Germania, negli Stati Uniti, cioè nei paesi a capitalismo avanzato, dove trovare chi li rendeva famigliari con le nuove tecnologie, con quell’universo chiamato web, con il movimento dei cyberpunk, degli hacker.