Le ambizioni dei “volenterosi” europei passano per la guerra in Ucraina
di Sergio Cararo
La conclusione o meno della guerra in Ucraina potrebbe ridisegnare la mappa del potere politico e di potere in Europa.
Se è vero che l’andatura del ritmo dei negoziati sembra essere indicato da Trump e Putin, è anche vero che i governi europei arruolatisi nella coalizione dei volenterosi sembrano voler sfruttare in ogni modo la guerra – e le sorti – dell’Ucraina per forzare quei passaggi di decisionalità che sono mancati fino a oggi.
Gran parte degli osservatori si limitano a segnalare le difficoltà europee dentro la crisi apertasi a est del continente, ma cominciano a emergerne anche altri che ne segnalano le finestre di opportunità per spingere in avanti quella che rimane l’ambizione inceppata all’autonomia strategica dagli Usa e a un ruolo assertivo.
Insomma un addio definitivo al soft power su cui gli europeisti si sono adagiati per decenni per dotarsi piuttosto di un hard power ritenuto vitale per la sopravvivenza politica, magari non più dell’Unione Europea come tale – e dei suoi meccanismi decisionali farraginosi come l’unanimità – ma della ambiziosa convergenza di un gruppo di paesi europei decisi a pesare di più come soggetto globale, insieme quando possibile, per progetti mirati quando necessario.
L’analista Moises Naim, per molti anni direttore di Foreign Policy, in una intervista su La Stampa ha visto un bicchiere mezzo pieno nel ruolo assunto dai “volenterosi” paesi europei nella guerra in Ucraina e la contrapposizione con la Russia.
“Oggi l’Europa sta facendo in quel senso più di quanto abbia fatto in decenni. Eravamo abituati a vederla divisa, incapace di coordinamento, burocratica, ricca di storia ma povera di potere, invece è iniziato un processo importante: l’unità europea è un grosso sviluppo e il sostegno assicurato a Kiev ne fa un attore con cui Trump, volente o nolente, deve fare i conti”.
Per Guntram Wolff, analista del think thank Bruegel Institute, i paesi europei hanno l’opportunità di fare i passi in avanti che hanno stentato a fare fino a oggi ma, a suo avviso, dovrebbero intraprendere alcune scelte imprescindibili:
“Tre, in particolare. Primo, il riarmo accelerato: Germania, Francia, Polonia, Italia e Finlandia devono aumentare i bilanci della difesa e creare capacità operative reali. Secondo, l’integrazione industriale: non possiamo permetterci produzioni frammentate e sprechi, servono programmi comuni e standard condivisi. Terzo, la difesa aerea e missilistica, oggi il punto più debole del continente”.
Ma un ampio programma di riarmo e spese militari in Europa non è un pasto gratis. Se ne preoccupa Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, sottolineando come “Ciò chiama in causa la questione più importante, quella del consenso. A volte si leggono o si ascoltano esperti che trattano con competenza di sicurezza europea ma senza mai fare i conti con l’oste”, ovvero le proprie opinioni pubbliche, non certo favorevoli ad un intenso piano di riarmo e preoccupate dal clima di guerra ispirato dalle cancellerie dei paesi europei ritrovatosi nella “coalizione dei volenterosi”.
Per Panebianco “Senza forza militare non si può andare a nessuna trattativa diplomatica con chiunque quella forza militare possieda: ci si può solo inchinare ai suoi diktat”.
In tale contesto è significativo un dato non certo irrilevante come il riarmo tedesco, tra l’altro avviato da governi di coalizione tra conservatori, socialdemocratici e Verdi, ma che potrebbe lasciare il campo ad un partito di destra come Afd.
La Germania infatti si avvia a stanziare un enorme fondo da 1000 miliardi di euro destinato alla spesa militare, misura che ha richiesto addirittura una riforma costituzionale. Una marea di soldi, distribuiti su più anni, per rinnovare e rafforzare la Bundeswehr ma anche per ri-parametrare il sistema industriale tedesco in serissima crisi da anni su una crescente economia di guerra.
La Germania prevede di raggiungere i 108,2 miliardi di euro di spese militari già nel 2026, poi 161,8 miliardi di euro nel 2029, con un aumento di oltre il 70% rispetto al 2025 e del 387% rispetto al 2020. Questa cifra collocherebbe la Germania come la potenza militare più grande d’Europa e forse guidata da un partito neonazista.
Insomma una prospettiva niente affatto allettante, e non certo e non solo per la Russia, ma che potrebbe diventare il parametro di riferimento anche per le economie degli altri paesi europei.
Il problema, se guardiamo alla storia, è il come andrebbe a finire – malissimo, come sappiamo tutti – e il clima politico, psicologico, culturale che metterebbe fine alle democrazie così come le abbiamo conosciute dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Non si parla con tanto avventurismo di guerra, truppe sul terreno, riarmo, art.5, riarmo, facendosi ancora condizionare dal “consenso”. In Europa mala tempora currunt.