Non esistono garanzie senza rischi
di Gianandrea Gaiani
Come spesso è accaduto da quando è iniziata la guerra russo-ucraina, la situazione è grave ma non seria, come sta dimostrando il dibattito sulle garanzie di sicurezza da offrire Kiev.
Garanzie necessarie in un ipotetico scenario futuro in cui un’ipotetica pace si instauri tra Mosca e Kiev in seguito a un ipotetico accordo di cui al momento non si vedono i presupposti, neppure quelli ipotetici considerato che l’Ucraina non ha accettato di cedere i territori perduti e già in mano ai russi, prima condizione per portare Mosca al tavolo delle trattative.
I leader europei sono rientrati esultanti da Washington tra lo scetticismo di molti osservatori che, come Analisi Difesa, hanno cercato di valutare gli eventi con un approccio pragmatico.
Il giornale web americano Politico evidenzia infatti che vi sono profonde divergenze tra gli alleati occidentali sul tipo di garanzie di sicurezza da offrire all’Ucraina.
Nella sua edizione europea, Politico sottolinea come, nonostante le pressioni del presidente statunitense Donald Trump e l’apertura a protezioni simili all’articolo 5 della NATO” come proposto dall’Italia, non sono stati definiti ne’ il perimetro ne’ le modalità di attuazione di tali garanzie.
Durante l’incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e i leader europei del 18 agosto, Trump ha escluso l’invio di truppe statunitensi in Ucraina, lasciando l’onere agli alleati europei. Il primo ministro britannico Keir Starmer ha confermato l’impegno a lavorare a una “forza di rassicurazione” da schierare in caso di cessazione delle ostilità. Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato di una missione congiunta con Regno Unito, Germania e Turchia, ma i dettagli restano vaghi, precisa Politico.
Fonti europee riferiscono che gli scenari ipotizzati prevedono un possibile mandato di combattimento per le truppe occidentali, senza però attribuire loro il compito di far rispettare la pace. Concetto non molto chiaro che sembra sottintendere che la responsabilità militare resterebbe alle forze armate ucraine.
Secondo fonti diplomatiche dell’UE, l’intero impianto rischia di restare teorico, anche per via delle debolezze politiche ed economiche di alcuni paesi chiave. La Germania ha segnalato la mancanza di personale e capacità operative per un impegno in Ucraina, mentre la Polonia ha escluso l’invio di truppe, citando la necessità di difendere il proprio territorio.
Da chi? Da un’improvvisa offensiva russa in Polonia?
Il premier italiano Giorgia Meloni ha espresso scetticismo sull’opportunità di dispiegare militari, sottolineando i rischi di escalation diretta con la Russia. “Se uno dei nostri militari dovesse morire, dovremmo reagire?” avrebbe detto, evocando il rischio di attivazione della clausola imposta dal Trattato Atlantico, racconta il giornale americano.
Un simile rischio dovrebbe però risultare formalmente inesistente poiché un eventuale schieramento di truppe europee in Ucraina si svilupperebbe sotto la bandiera di una Coalizione dei Volenterosi, non della NATO di cui del resto l’Ucraina non fa parte. Quindi eventuali caduti italiani o di altre nazioni aderenti alla coalizione in Ucraina non impegnerebbero la NATO né il tanto evocato Articolo 5.
Tutta aria fritta?
Vale la pena ricordare che il dibattito sull’invio di truppe europee in Ucraina come forza di pace o di “rassicurazione” non è certo nuovo ma si sviluppò in primavera arenandosi esattamente allo stesso punto, come Analisi Difesa sottolineò nel marzo scorso.
Il punto chiave, pragmatico e nitido, è in realtà uno solo. Offrire garanzie significa sempre correre dei rischi: nel caso delle garanzie di sicurezza all’Ucraina il rischio è di dover combattere per Kiev. Come abbiamo scritto nell’editoriale del 19 agosto, qualcuno ritiene davvero che le nazioni d’Europa siano disposte a combattere contro la Russia per difendere l’Ucraina?
Qualcuno ritiene che i governi di queste nazioni otterrebbero il via libera dai rispettivi parlamenti e dall’opinione pubblica se vincolassero la sicurezza dell’Ucraina a quella nazionale imponendo un intervento armato contro Mosca?
La risposta è evidentemente NO. Se dimentichiamo per un attimo gli artifizi lessicali che negli ultimi giorni hanno caratterizzato le esternazioni di premier e ministri europei per stendere cortine fumogene così dense da coprire questo NO, è sufficiente raccogliere una per una le posizioni emerse nei diversi paesi europei per comprendere a quali rischi reputazionali l’Europa bellicosa solo a parole si sta esponendo.
La hit parade dei garanti della sicurezza dell’Ucraina
Cominciamo dagli Stati Uniti, il cui interesse prioritario è ripristinare salde relazioni strategiche con la Russia dopo aver messo le mani sulle risorse del sottosuolo dell’Ucraina non occupata dai russi e dopo essersi assicurati che gli europei si dissangueranno per compare armamenti “made in USA” per l’Ucraina e per le loro forze armate.
Trump aveva già escluso in più occasioni la presenza di truppe americane in Ucraina e ieri il portavoce Karoline Leavitt ha confermato che “le truppe statunitensi non saranno mai sul terreno in Ucraina, ma certamente aiuteremo nel coordinamento e forse forniremo altri tipi di garanzie di sicurezza ai nostri alleati europei” aggiungendo che il sostegno aereo resta “un’opzione o una possibilità”, ma senza entrare nei dettagli.
Ancora Politico ha riferito ieri, citando il sottosegretario del Pentagono, Elbridge Colby, che gli Stati Uniti intendono avere un ruolo minimo in qualsiasi garanzia di sicurezza per l’Ucraina.
Ciò nonostante si sprecano in Europa gli ostentati entusiasmi per il fatto che Trump ha dato “luce verde” ad offrire a Kiev garanzie di sicurezza che però dovranno venire ipoteticamente offerte dagli europei. “L’Europa è in grado di proteggere l’Ucraina” ha detto Trump in un’intervista il 19 agosto.
La Gran Bretagna ha confermato di essere disposta a inviare forze militari come garanzia di sicurezza: per difendere i cieli e i porti, ma non in prima linea, cioè lontano dai confini e dal rischio di un contatto con i russi.
Quindi si tratterrà di forze aeree basate in nazioni NATO che sorvoleranno l’Ucraina ma senza avvicinarsi allo spazio aereo controllato dai russi e forze navali basate in nazioni NATO del Mar Nero che proteggeranno le coste ucraine ma senza avvicinarsi alla Crimea russa o alla foce del Dnepr?
Secondo fonti del Guardian, la Gran Bretagna offre militari per la difesa aerea e marittima, sostegno logistico e addestramento, ma non è disposta a schierare forze militari sulla linea di contatto con la Russia (nell’ipotetica possibilità che esista tale linea).
In compenso Londra ha firmato un memorandum con l’Ucraina per supervisionare le prossime ipotetiche elezioni post-belliche, scrive l’Express.
Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha poi evidenziato la necessità di “forze di deterrenza che saranno pronte a condurre operazioni, non in prima linea e non in modo provocatorio, ma di deterrenza aeree, marittime e terrestri”.
Nel mondo delle chiacchiere evanescenti queste affermazioni possono apparire credibili, soprattutto se si tiene conto che a Washington è stato deciso di elaborare in dieci giorni un piano concreto per le garanzie di sicurezza da offrire a Kiev, nel caso (sempre ipotetico) che si raggiunga un accordo di pace (non la tregua) e che tale accordo contempli la presenza di truppe di nazioni aderenti alla NATO in Ucraina, ipotesi da sempre scartata da Mosca.
Nel mondo reale però le garanzie di sicurezza hanno un duplice scopo: esprimere deterrenza per scoraggiare ulteriori attacchi russi all’Ucraina e assicurare supporto militare diretto alle forze di Kiev in caso di attacco russo.
Quale deterrenza potranno mai esprimere forze europee il cui primo obiettivo è tenersi ben alla larga dalle linee russe? Quale supporto potranno offrire ai militari ucraini in caso di guerra se resteranno lontano dalla prima linea?
D’altra parte, se USA, Gran Bretagna e Francia non vogliono rischiare scontri e perdite tra i propri militari altre nazioni europee non intendono neppure far mettere piede in Ucraina ai propri militari.
In Germania il governo ha chiarito ieri che il dibattito sulle garanzie di sicurezza per Kiev non va ridotto all’eventuale invio di soldati tedeschi in Ucraina. Secondo il vice portavoce Steffen Meyer, la questione riguarda soprattutto il rafforzamento della difesa aerea e, più in generale, come mettere l’esercito ucraino in condizione di difendersi autonomamente.
Il capogruppo parlamentare della CDU-CSU, Jens Spahn, ha invitato i membri del gruppo parlamentare alla moderazione. “La questione attualmente sollevata dai media, se le garanzie di sicurezza comporterebbero l’immediato dispiegamento di soldati tedeschi in Ucraina, non è semplice, soprattutto non in questo momento”, ha affermato in una lettera ai parlamentari.
Peccato che in politichese non esista un termine che renda compatibile la “moderazione” con l’assicurare garanzie di sicurezza e deterrenza contro una aggressione militare.
Anche in Italia il governo ha più volte precisato negli ultimi mesi che non invierà truppe in Ucraina. e ieri lo ha ribadito il responsabile Dipartimenti di Forza Italia Alessandro Cattaneo. “L’invio di truppe italiane in Ucraina non è mai stato nemmeno all’ordine del giorno né mai lo sarà. L’Italia tanto è stata coerente come posizione al fianco dell’Ucraina dal primo momento, convinta sostenitrice che senza equivoci c’è un invaso e un invasore, così ritiene che la soluzione verso la pace coinvolga tutti gli Stati. Nei fatti, è stata accolta la proposta italiana dell’articolo 5 della NATO che prevede di garantire l’indipendenza dell’Ucraina attraverso un sistema di mutuo soccorso in caso di attacco esterno, come ha spiegato il vicepremier e ministro degli Esteri Tajani”.
Come può Roma proporre l’Articolo 5 o un suo fac-simile che prevede l’intervento (eventualmente ma non obbligatoriamente con forze militari) in soccorso dell’Ucraina qualora venisse nuovamente invasa, se non è disposta a schierare truppe a difesa di Kiev? Così l’unica rassicurazione che possiamo dare agli ucraini è che l’invasone russa verrebbe “deplorata con forza”.
Infatti secondo fonti citate oggi da Bloomberg, i leader europei stanno discutendo di un meccanismo che impegnerebbe gli alleati a valutare entro 24 ore la fornitura di assistenza militare a Kiev in caso di futuri attacchi da parte della Russia.
Secondo le fonti l’iniziativa, promossa da Giorgia Meloni, prevede che i Paesi con accordi bilaterali di difesa con l’Ucraina possano coordinarsi rapidamente su una risposta, che includerebbe appoggio militare, assistenza economica, rafforzamento delle forze ucraine e sanzioni a Mosca. Non è chiaro però se ciò comporterebbe l’invio di truppe europee sul campo, finora escluso da tutti come abbiamo visto.
Quindi ancora una volta si discute di un accordo che non implicherà interventi militari al fianco di Kiev e di conseguenza non fornirà alcuna garanzia tangibile di sicurezza o deterrenza agli ucraini.
Anche la Grecia non prevede l’invio truppe in Ucraina nell’ambito delle garanzie di sicurezza, come ha dichiarato il portavoce del governo di Atene, Pavlos Marinakis. “Al momento, non esiste un’opzione del genere. E non è previsto nulla del genere”.
La Svezia invece è pronta a contribuire alla fornitura di garanzie di sicurezza per l’Ucraina, anche attraverso il proprio supporto militare. Lo ha dichiarato il primo ministro Ulf Kristersson in un’intervista. “Potremmo essere coinvolti in vari tipi di sorveglianza aerea. Abbiamo anche capacità navali che potrebbero rivelarsi rilevanti“, ha affermato Kristersson, sottolineando che l’obiettivo centrale è garantire che “l’Ucraina sia in grado di provvedere alla propria difesa”.
Di “boots on the ground” nessuno parla, neppure gli svedesi, che del resto con un esercito di appena 6.800 militari quanti potrebbero inviarne a difendere gli ipotetici nuovi confini dell’Ucraina?
Pare di comprendere che anche Stoccolma punti infatti a rendere disponibili qualche aereo che sorvoli l’Ucraina ma tenendosi lontano dalle linee russe e qualche nave che verrebbe quindi inviata in una lunga crociera dal Mar Baltico al Mar Nero.
Oggi il premier Andrej Plenkovic ha nuovamente respinto l’ipotesi che la Croazia possa inviare soldati in Ucraina o anche solo che questo venga richiesto a Zagabria.
Il governo ha ribadito di aver “respinto ancora una volta tutte le false speculazioni diffuse sui media riguardo all’invio di soldati croati in Ucraina. Non è mai stato preso in considerazione né ci è stato richiesto”, ha dichiarato il premier.
Plenkovic ha però aggiunto che i nuovi bombardamenti russi sulle città ucraine dimostrano che “la Russia non ferma l’aggressione nonostante gli sforzi di pace ai massimi livelli. La sicurezza dell’Ucraina non è solo una questione di libertà dell’Ucraina, ma anche un’importante questione di sicurezza per l’Europa e per il mondo intero”. Importante ma evidentemente non abbastanza da mettere a rischio la vita di militari croati.
L’unico messaggio chiaro è che, se dopo l’ipotetico accordo di pace i russi riproveranno a invadere l’Ucraina, a combattere e morire da questo lato della barricata saranno ancora solo gli ucraini, nonostante da tre anni i leader europei non facciano che ripetere che dopo Kiev i russi punteranno sull’Europa fino a Lisbona e che l’Ucraina combatte anche per noi.
In questo contesto in Lituania il presidente Gitanas Nauseda si è detto pronto a contribuire a una missione di pace in Ucraina “con quanti più soldati il Parlamento consentirà per il mantenimento della pace, e anche con equipaggiamento militare”.
Resta il dubbio di quanti dei 10 mila militari dell’esercito lituano, privo di carri armati e con una ventina di pezzi d’artiglieria semovente, verranno autorizzati dal Parlamento a schierarsi in Ucraina, solo per compiti di mantenimento della pace.
I fatti concreti
Dopo tanta fuffa europea, occorre guardare ai fatti concreti. Oggi non esiste nessun elemento per affermare che l’ipotetico accordo di pace consentirà agli ucraini di ospitare sul proprio territorio truppe straniere e soprattutto di nazioni aderenti alla NATO.
Del resto la Russia ha sempre considerato l’espansione della NATO ai suoi confini come una minaccia esistenziale e la volontà dell’Ucraina di aderire all’Alleanza Atlantica e la presenza di truppe di stati membri della NATO sul suo territorio è uno dei motivi che hanno spinto il Cremlino all’invasione nel febbraio 2022.
La Russia ha quindi sempre escluso tale possibilità come una delle condizioni per poter trovare un accordo che porti alla fine della guerra. Lo hanno ribadito anche ieri da Mosca.
“La Russia non accetta alcuna presenza di truppe NATO in Ucraina sotto le spoglie di forze di pace, non ha bisogno di tali garanzie di sicurezza”, ha sottolineato il vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa Dmitrij Medvedev.
Secondo il portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova tale presenza costituirebbe una “provocazione con potenziali conseguenze incontrollabili“.
Zakharova ha poi ricordato la mappa dell’Ucraina esposta alla Casa Bianca, con i territori in mano ai russi posti in evidenza, durante i colloqui tra Trump e Zelensky definendola un potente campanello d’allarme per Kiev.
“La mappa è stata uno schiaffo così potente che avrebbe dovuto riportare alla ragione tutti coloro che, per diversi anni, isolati dalla storia, isolati dalla geografia, isolati dalla realtà, hanno parlato del campo di battaglia senza capire di cosa stessero parlando”, ha dichiarato Zakharova (nella foto sotto).
“Questo schiaffo avrebbe probabilmente dovuto risvegliare magicamente Zelensky in qualche modo. Penso che sarà molto difficile per chiunque riportarlo completamente alla ragione”.
Frasi aggressive che puntano a ricordare che se Kiev non accetterà le perdite territoriali non vi saranno trattative.
“L’Occidente comprende perfettamente che discutere seriamente di garanzie di sicurezza senza la Russia è utopistico, è una strada che non porta da nessuna parte”, ha ammonito ieri il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.
“Non possiamo accettare che le questioni di sicurezza collettiva siano ora affrontate senza la Russia. Per il momento vediamo solo un’escalation aggressiva della situazione e tentativi piuttosto maldestri di cambiare la posizione del presidente degli Stati Uniti”.
Oggi Lavrov ha aggiunto che la Coalizione dei Volenterosi sta provando a “minare i progressi raggiunti da Donald Trump” durante il vertice in Alaska con Vladimir Putin.
Il gruppo dii alleati dell’Ucraina sta “cercando di spostare l’attenzione dalla risoluzione delle cause profonde della guerra. Spero che tale avventurismo europeo fallisca“, ha detto, definendo “inutili” i tentativi di discutere le garanzie di sicurezza postbelliche per l’Ucraina.
Del resto Lavrov ha precisato che non vi sarà nessun incontro tra Putin e Zelensky se prima n9on verranno risolti tutti i nodi per la conclusione del conflitto.
Grigory Karasin, capo della Commissione per gli affari internazionali del Consiglio della Federazione, ha dichiarato che l’Occidente sta deliberatamente ignorando le questioni relative alla sicurezza strategica della Russia e ai diritti umani in Ucraina. In un post su Telegram, il senatore ha affermato che, finché questo atteggiamento persisterà, non sarà possibile raggiungere alcun accordo. Karasin ha notato che la “tenacia” di leader come il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il segretario generale della NATO Mark Rutte dimostra chiaramente che l’idea di una presenza militare occidentale in Ucraina non è stata abbandonata.
A suo avviso, nonostante l’incontro alla Casa Bianca con il presidente statunitense Donald Trump, l’UE e la NATO continuano a difendere “con fermezza i loro diritti di controllori” del futuro dell’Ucraina.
La domanda più importante
In questo contesto c’è una sola doman da porsi. Perché l’Europa insiste tanto sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina se poi non è in grado o non ha intenzione di offrirle?
In altri termini, perché affannarsi tanto su garanzie di cui nessuno vuole assumersi i rischi?
Se vogliamo escludere dalle possibili risposte la totale mancanza di lucidità dei leader europei, l’unica spiegazione plausibile è che i vertici del Vecchio Continente puntino cinicamente all’annientamento dell’Ucraina trasformandola in un “porcospino d’acciaio” come ha detto Ursula von der Leyen.
Un baluardo super armato con grandi forze armate pronto a colpire la Russia o a fare da scudo all’Europa contro le orde siberiane. Anche Macron, Merz e Starmer hanno sottolineato che l’Ucraina deve essere militarmente fortissima (a spese nostre), dotata di armi americane che pagano gli europei, per scoraggiare e minacciare la Russia.
Di fatto un baluardo militarizzato anti-Mosca sotto il controllo della NATO, ma spendibile e sacrificabile proprio perché esterno alla NATO. Esattamente l’opposto di quello che chiede Mosca che con la smilitarizzazione e “denazificazione” dell’Ucraina punta a ottenere uno stato-cuscinetto neutrale che separi la Federazione Russa dalla NATO.
La narrazione della “fortezza-ucraina” risulta fortemente contraddetta dalle pessime condizioni militari delle forze di Kiev, logorate da perdite spaventosi, dalla massiccia renitenza alla leva e dalle diserzioni alle stelle in una guerra in cui perdono terreno ogni giorno.
Narrazione che viene però ampiamente sostenuta da molti politici e media in Europa e Ucraina. Ieri il Kiyv Independent rivelava che “la Russia sta trasformando le parti di Ucraina occupate in una gigantesca base militare, e in una possibile piattaforma di lancio per future aggressioni”.
Un’indagine basata su fotografie satellitari recenti evidenzia come Mosca stia convertendo infrastrutture civili nei territori occupati, specie le regioni orientali di Donetsk e Luhansk, in basi per ospitare soldati, trasportare munizioni e lanciare droni da posizioni sempre più vicine ai territori controllati Kiev.
Chi ha compreso gli schemi della propaganda ucraina/NATO non si stupisce del fatto che il think-tank statunitense Institute for the Study of War (neocon e filo-Kiev) abbia avvertito che la minaccia delle basi avanzate russe riguarda anche i Paesi Nato. “Stanno militarizzando tutto ciò che possono. Occupano officine vuote, trasformano in caserme e impediscono l’accesso. Non sappiamo cosa contengano, ma di notte si vedono convogli entrare e uscire”, racconta al Kyiv Independent un attivista del gruppo partigiano Zla Mavka, residente nel Donetsk.
Secondo Petro Andriushenko, originario di Mariupol e consigliere del sindaco in tempo di guerra, gran parte del Donbass “è già oggi una base militare russa. Quello che noi vediamo delle nuove installazioni russe è probabilmente meno dell’1% di ciò che esiste sul posto. In quasi ogni centro abitato c’è un edificio destinato ai soldati russi”.
Video diffusi sui social mostrano stabilimenti e fabbriche riconvertiti, tra cui un’ex fabbrica di trattori a Berdiansk trasformata in base militare, un ex caseificio a Dovzhansk diventato officina di veicoli militari e una scuola a Oleksandrivka usata come rifugio per carri armati, come anche gli innumerevoli resort estivi in Crimea e sulla costa del mare d’Azov convertiti in caserme, racconta il giornale online.
Al di là della propaganda ucraina, in base a una valutazione militare banale, dovrebbe apparire normale che i russi (come gli ucraini) costituiscano basi, centri logistici, punti di smistamento per truppe, armi e munizioni nelle retrovie del fronte dove combattono da tre anni e mezzo.
Interpretare tali opere militari a supporto di una ipotetica pianificazione in vista di nuove guerre offensive è utile alla narrazione di chi vuole scongiurare un accordo di pace che coinciderebbe inevitabilmente con la sconfitta dell’Ucraina e, conseguentemente, dell’Europa.
L’analisi del Kiyv Independent si conclude infatti evidenziando un aspetto strettamente legato alle trattative per concludere il conflitto.
Dal 2014 Kiev ha fortificato le città chiave nella regione di Donetsk e Luhansk (tra cui Pokrovsk, Kupiansk, Kostyantynivka e Kramatorsk), alcune delle quali sotto pesante attacco russo. “Concedere queste città fortificate nel quadro di uno scambio territoriale significherebbe offrire a Mosca le migliori difese dell’Ucraina” scrive il giornale ucraino. Il che significa non accettare la proposta russa di ritiro ucraino da quello 20/25 per cento della regione di Donetsk che gli ucraini ancora controllano.
Di fatto questa posizione significa che la guerra deve continuare nonostante gli ucraini non abbiano al momento nessuna speranza di riconquistare i territori perduti né ormai più soldati da mettere in trincea.
L’ultima comica
“In quasi quattro anni di guerra su vasta scala i russi hanno occupato un terzo della regione di Donetsk. Per questo ho spiegato che le voci secondo cui entro la fine dell’anno occuperanno il nostro Donbass sono solo chiacchiere. Per occupare il nostro Donbass, ci vorranno altri quattro anni. Questa è la nostra terra”, ha detto oggi il presidente Zelensky, parlando ai giornalisti.
Scollegato dalla realtà, almeno nella propaganda, Zelensky nega peraltro da dieci giorni che i russi siano penetrati a Pokrovsk (così come negò a lungo che Bakhmut o Avdiivka fossero cadute) e ha dichiarato oggi che “manteniamo la nostra presenza nella regione di Kursk“, l’oblast russo di confine da cui le truppe ucraine sono state respinte mesi or sono.
La dichiarazione di Zelensky sul Donbass è stata smentita dalla Reuters che il 15 agosto ha spiegato come i russi controllino l’88% del Donbass, cioè la totalità dell’oblast di Lugansk e il 75% di quello di Donetsk (quest’ultima percentuale è ulteriormente cresciuta nell’ultima settimana in seguito alle avanzate russe in più settori del fronte), ma sembra mandare in soffitta tutto il castello costruito da Trump intorno alla necessità che Kiev ceda territori in cambio della pace.
Alle dichiarazioni orgogliose di Zelensky si contrappongono inoltre, in modo anche comico, quelle della deputata ucraina Anna Skorokhod.
Con l’obiettivo di aggirare le condizioni poste da Mosca che comprendono la cessione delle regioni del Donbass è stato presentato ieri alla Verkhovna Rada (il Parlamento monocamerale di Kiev) un disegno di legge che propone la modifica dei confini amministrativi delle regioni di Kharkiv e Dnipropetrovsk, al fine di includere al loro interno le porzioni delle regioni di Donetsk e Luhansk attualmente sotto il controllo delle Forze armate ucraine.
Secondo Skorokhod, questa soluzione rappresenta al momento “l’unico modo per preservare questi territori all’interno dell’Ucraina”. Il provvedimento punta a evitare la cessione di aree del Donbass alla Federazione Russa. La deputata ha inoltre precisato che la legislazione vigente non vieta di apportare modifiche territoriali su base amministrativo-legale.
Se la guerra non fosse tragica, ci sarebbe di che ridere a crepapelle. I russi condizionano la pace alla cessione di territori appartenenti a due regioni e gli ucraini puntano a raggirarli cambiando i confini amministrativi per attribuire ad altre regioni confinanti i territori che dovrebbero cedere a Mosca.
Come si diceva…la situazione è grave ma non seria.
Però mi ritengo aperto. Mi puoi dire come mai in un'eventuale guerra nucleare delle basi in Finlandia ed Estonia non sarebbero sufficienti alla Nato per vincere e delle basi in Ucraina sì? Ed è proprio sicuro che nell'epoca dei sommergibili con missili nucleari, sommergibili potenziati rispetto al passato, la vicinanza geografica al Paese nemico consenta di evitare disastrose rappresaglie?
Poi tutto può essere, non sono materie che conosco in modo approfondito. Sono un po' scettico.
Lei le guarda le cartine geografiche? La vedenla progondita' strategica diversabtra i baltici e l'ucraina?
Livede i confini ucraini essere molto piu prossimina Mosca e a chissa' che altra zona delicata?
Li legge i numeri della popolazione dei oaesi baltici e degli ucraini? I numeri delle perdone fanno gli eserciti, per dire.
I baltici (e se non erro lo dice pure limes) se minacciano (in qualsiasi modo) i russi se li nangiano in un boccone, li cistringono a riparare nel mar baltico.
Lei si chieda perche' le maggiori invasioni sono passate dall'ucraina, poi capira' perche' l"ucraina non sono le caccole baltiche. E questo resta vero sia ai tempi dello czat che in quelli sovietici che in quelli attuaii.
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Detto questo quello di cui parla non sono le armi, ma i territori (che comprendono persone che li abitano) che stanno intorno alle Potenze.
Mi ero ripromesso di non rispondere, ma mentre mi scuso per averlo fatto e con refusi orrendi le ricordo che gli Usa minacciarono guerra per 4 missili a cuba e nessuno ha mai invaso gli Usa in precedenza. La Russia ha perso 27 milioni di persone per liberarsi dell'ultima (in ordine di tempo) invasione dall'europa e per liberare il mondo dai nazisti. Si tratta di poco piu di 80 anni fa, non nel giurassico. C' e' chi porta memoria o diretta o dei nonni.
Se lei va a vedere su wikipedia i tragitti dell'avanzata dell'operazione barbarossa si rendera' conto che se fosse russo avrebbe una certa paranoia. Se l'ucraina diventava cosa Nato, tutti gli stati confinanti (esclusa la bielorussia) su cui erano transitate le belve nazi sarebbero state coperte di basi e missili e armamenti Nato. Non solo una minaccia nucleare sempre piu a ridosso dei confini, ma anche una minaccia convenzionale e analoga a quella nazi ai confini.
La Nato e' pacifica? Glielo vada a dire agli ex jugoslavi o ai libici o a quei paesi che in virtu della solidarieta' art 5 dopo l'11 settembre hanno assaggiato le bombe dei paesi nato.
Provi un po' a mettersi nei panni di un russo che ha visto arrivare i nazi dall'ucraina e del baltico, poi pensi che un" altra potenza gradualmente si avvicina ... non le viene voglia di mettere mano all'artiglieria?
No?
Lei e' un santo