L’Europa non ha un ruolo perché ha scelto un modello sbagliato. Quello di Mario Draghi
di Alessandro Volpi
Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
L’intervento di Mario Draghi al Meeting di Rimini il 22 agosto è stato, come di consueto, oggetto di infiniti elogi, dai “progressista di sinistra” alla Nicola Zingaretti fino ai liberal di destra. In realtà un latore forse meno encomiastico farebbe emergere almeno due elementi discutibili.
Il primo. Draghi sostiene che Trump e l’attuale situazione dimostrano che non basta all’Europa essere una potenza economica per avere un ruolo internazionale vero. Ora, a questo riguardo, verrebbe da obiettare proprio citando il noto “Piano Draghi” che l’Europa ha smesso da tempo di essere una potenza economica. I flussi finanziari europei, a partire dal risparmio, vanno nelle Borse americane e gli effetti della globalizzazione hanno trasferito i sistemi produttivi fuori dal continente spostandoli in Cina e nel cosiddetto “Sud globale”, dove ora albergano le potenze economiche. Il neoliberalismo, di cui Draghi è stato ed è un esponente chiave, ha assegnato all’Europa il ruolo di realtà terziarizzata, con servizi caratterizzati da bassissime retribuzioni, dipendente appunto dalle Borse Usa in termini finanziari e dal mercato estero per le proprie sempre più povere produzioni.
Quindi dov’è la potenza economica europea? I consumi sono diminuiti, gli investimenti anche e la concentrazione della ricchezza è esplosa.
A reggere rimane solo il risparmio -costantemente drenato verso gli Stati Uniti- che è stato accumulato negli anni in cui non si era ancora affermato il modello neoliberale draghiano. Peraltro l’ex presidente della Banca centrale europea sembra trascurare che oggi come non mai sono centrali le risorse naturali: energia, materie prime, beni agricoli, terre rare di cui l’Europa è sprovvista. Forse, allora, l’irrilevanza europea dipende proprio dal fatto che non si è più una potenza economica per effetto dell’ubriacatura globalista.
Il secondo elemento assai poco comprensibile della mitizzata riflessione di Draghi è legata alla ricetta. Che cosa dovrebbe fare l’Europa per tornare ad avere un ruolo internazionale? Trasformarsi in maniera miracolistica in una realtà più unitaria e comunitaria dopo che per trent’anni le politiche europee hanno coltivato l’impossibilità di arrivare a una struttura realmente federativa? L’allargamento a Est, l’ignavia colpevole nella dissoluzione jugoslava, la totale subordinazione alla Germania, il massacro della Grecia, la costruzione dell’austerità a vantaggio esclusivo di Paesi frugali che erano e sono paradisi fiscali possono essere rimossi in nome di un’Europa unita reiterando il modello che ha prodotto il disastro e trovando solo nella guerra alla Russia il collante interno?
L’Europa non ha un ruolo internazionale perché ha scelto, pervicacemente, un modello sbagliato. Quello di Mario Draghi. Le note dell’ex presidente della Bce espresse a Rimini hanno trovato un seguito nell’intervento dell’attuale presidente dell’istituto di Francoforte per la quale l’impoverimento dei lavoratori diventa un dato positivo. Christine Lagarde è arrivata al simposio di Jackson Hole e, con un sorriso smagliante, ha dichiarato che nell’eurozona l’inflazione è calata senza generare troppi effetti negativi sul Pil dei vari Paesi europei.
Ora, a parte il fatto che il Pil europeo è decisamente stagnante, sono proprio i tre fattori indicati da Lagarde come punti di forza dell’economia dell’area euro a lasciare molto perplessi. Ad “alleviare” gli effetti delle politiche monetarie restrittive, adottate contro l’inflazione, sono stati un andamento dei salari non adeguato all’inflazione, la riduzione delle ore di lavoro e dalla permanenza al lavoro di lavoratori e lavoratrici pensionabili che, insieme alla manodopera immigrata, hanno calmierato il costo del lavoro. In sintesi le politiche restrittive della Bce contro l’inflazione sono state pagate dalla forza lavoro decisamente impoverita. Un bel modello davvero.
Dopo il rilancio del neoliberalismo di Draghi è arrivata la benedizione dello sfruttamento da parte di Christine Lagarde. Questa Europa è una realtà alla rovescia: per combattere l’inflazione che colpisce i redditi più bassi si riducono le retribuzioni in modo da non intaccare i profitti, tradotti in dividendi, che sorreggono il Pil. Quello dei ricchi.
Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)
Fonte articolo https://altreconomia.it/leuropa-non-ha-un-ruolo-perche-ha-scelto-un-modello-sbagliato-quello-di-mario-draghi/
Comments
Primo, l'eurodittatura non ha 'scelto' il modello economicista. Esso gli è connaturato fin dalla sua fondazione, quando il conquistatore anglosassone creò un cartello del grande capitale renano (franco-tedesco) allo scopo di omogeneizzare i suoi nuovi satelliti in funzione antisovietica.
Secondo, la speranza eurista di contare nel mondo grazie alla propria forza economica era contestualizzata entro il modello dello Washington Consensus, d'un impero mondiale in costante espansione nel cui ambito i conflitti si sarebbero dissipati o sarebbero stati ridotti al rango di operazioni di polizia locale. La crisi della pax americana batte in breccia qualsiasi sogno di grandezza eurista.