Print Friendly, PDF & Email

contropiano2

Nazisionismo e diritto internazionale

di Fabio Marcelli

La comunità internazionale ha oggigiorno un gravissimo problema: l’esistenza di uno Stato canaglia, un regime autoritario, guerrafondaio e genocida che da troppo tempo si fa beffe di ogni norma internazionale e che attualmente sta spingendo la sua tracotanza criminale al di là di ogni limite, massacrando impunemente i Palestinesi e rifiutando ogni soluzione politica e fondata sul diritto della situazione che esso stesso ha determinato.

Il governo di Benjamin Netanyahu costituisce il risultato dell’impunità e della complicità troppo a lungo accordate dall’Occidente allo Stato di Israele.

Al suo interno sono chiaramente egemoni le forze di natura apertamente fascista per le quali è stato opportunamente coniato il termjne di “nazisioniste”, guidate da personaggi come lo stesso Netanyahu, Ben Gvir e Smotrich, per i quali non è affatto forzato il paragone coi gerarchi del Terzo Reich come Hitler, Himmler e Goering che conclusero le loro infauste esistenze alla fine della Seconda guerra mondiale, cui avevano dato inizio circa cinque anni prima.

Identico infatti è lo spirito suprematista, considerarsi un popolo eletto al di sopra di qualsiasi altro, e identica è la prassi, che consiste nello sterminio genocida dei popoli che, per proprio cinico calcolo politico, si intende vittimizzare, fino a negarne la stessa natura umana.

Trovate la differenza, se ci riuscite, tra il cantautore nazista ungherese, recentemente mazzolato da alcuni ignoti antifascisti, che cantava il suo godimento al pensiero delle “cagne ebree bruciate” e questi esponenti del nazisionismo che affermano che i Palestinesi sono “animali“.

Si tratta del resto della degenerazione ultima e insuperabile, di un’ideologia come il sionismo che, come ha spiegato brillantemente Moni Ovadia, costituisce a sua volta la negazione dell’ebraismo.

Il sionismo infatti rappresenta l’applicazione al popolo ebraico della deleteria categoria dello Stato-nazione, la quale, nella sua accezione più estrema, va di pari passo col concetto di “purezza etnica”.

La critica approfondita e saggia, condotta nei confronti di tale categoria da pensatori come Abdullah Ocalan e altri, costituisce di per sé già una risposta ai disastri umani che il dissennato trapianto di concetti che hanno avuto origine in Europa occidentale nel momento della nascita delle monarchie fino al XIX secolo, ha provocato e continua a provocare non solo in Medio oriente ma anche nei Balcani e altrove.

Nulla a che vedere coll’ebraismo che costituisce non solo una delle radici inestinguibili della cultura occidentale ma anche un patrimonio dell’umanità e ci ha dato pensatori e pensatrici come Karl Marx, Rosa Luxemburg, Sigmund Freud e altre/i. Patrimonio comune dell’umanità al pari dell’islamismo, del cristianesimo, dell’induismo, del buddismo, del confucianesimo, delle religioni indigene, ecc.

Tutti fenomeni complessi, ovviamente suscettibili di varie letture e che presentano, nel loro sviluppo storico concreto, aspetti vari e contraddittori, ma che sarebbe dissennato voler negare o rigettare in toto, come vorrebbero fare taluni scellerati fondamentalisti di varia origine e provenienza.

Tornando al problema enunciato all’inizio di questo scritto, è ben noto perfino ai sassi come la Corte internazionale di giustizia, massimo organo giurisdizionale delle Nazioni Unite, sia impegnata a stabilire se Israele sia o meno colpevole di genocidio nei confronti dei Palestinesi e abbia rivolto, con una propria Ordinanza adottata in fase preliminare, alcune richieste vincolanti a Israele riaffermando l’obbligo di quest’ultimo di porre fine subito a determinati comportamenti genocidi.

Pochi giorni fa, il 16 febbraio 2024, la Corte, sempre su richiesta del Sudafrica, ha riaffermato la vigenza di tali richieste, a fronte di ulteriori crimini che Israele va compiendo col demenziale progetto di attacco a Rafah e l’attuazione della propria “soluzione finale” ai danni del popolo palestinese.

Occorre pertanto porsi il problema del che fare a fronte di probabili inottemperanze di Israele alle reiterate ingiunzioni della Corte internazionale di giustizia.

Ciò può essere fatto ad almeno cinque livelli differenti.

Il primo riguarda la stessa società israeliana, dove non mancano componenti progressiste, sia pure per il momento minoritarie, e dove il boia Netanyahu verrebbe oggi con ogni probabilità sconfitto da un militare dal profilo non apertamente fascista come Eisenkot (non a caso Netanyahu ha chiesto di non votare per un certo numero di anni).

Il secondo livello è costituito dalla resistenza del popolo palestinese che continua nelle sue varie legittime forme, compresa quella armata (anche se occorre fare chiarezza su determinati crimini che vengono imputati alle forze palestinesi in relazione agli eventi del 7 ottobre).

Va affermato chiaramente che, come affermato tra gli altri dal presidente turco Erdogan, Hamas, come pure col Fronte Popolare di Liberazione della Palestina e le altre organizzazioni palestinesi che fronteggiano militarmente l’esercito di occupazione israeliano a Gaza e in Cisgiordania sono legittimate dal diritto internazionale, come pure tenute a loro volta al rispetto del diritto internazionale umanitario bellico, ai sensi del Primo Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra. E pertanto va considerato altrettanto legittimo il sostegno alle loro azioni di resistenza.

Il terzo livello è quello dei rapporti interstatali. Il panorama esistente è da questo punto di vista alquanto frastagliato. Va tuttavia notato che mentre molti Stati si stanno sommando all’iniziativa sudafricana di fronte alla Corte internazionale di giustizia e ne promuovono altre di fronte alla Corte penale internazionale, uno sparuto gruppo di Stati occidentali, capeggiati dagli Stati Uniti, continuano ad appoggiare Israele, al punto di varare, come si appresterebbe a fare il Congresso su proposta bipartisan, vergognose sanzioni non già nei confronti di Israele ma del Sudafrica, colpevole di credere nella giustizia e nel diritto internazionale.

Il tutto accompagnato da qualche ipocrita dichiarazione con la quale Biden, ritenendo evidentemente che tutti i Capi di Stato siano bolliti al suo pari, vorrebbe gettare fumo negli occhi degli Stati arabi e altri, rilanciando il progetto dei due Stati, dichiaratamente affossato da Netanyahu e ridotto al rango di macabra barzelletta.

Puntuale attenzione dobbiamo dedicare in tale contesto ai comportamenti dello Stato italiano, anch’esso fortemente affetto da disgustosa ipocrisia ma sostanzialmente ben fermo nel suo appoggio allo Stato genocida, nel rispetto di una tradizione che risale a Giorgio Almirante, nume ispiratore di Meloni, La Russa, ecc. nella sua mai ripudiata qualità di redattore della rivista antisemita italiana “La Difesa della razza”.

Vanno indagati a fondo tutti gli elementi di possibile complicità del governo italiano nei confronti del genocidio in corso, in chiara violazione della Convenzione del 1948 in materia. In particolare occorre riferirsi al commercio delle armi, in cui come ovvio Leonardo svolge la parte del leone.

Ma occorre anche approfondire la condotta dell’ENI in relazione allo sfruttamento delle risorse energetiche prospicienti Gaza (vedi https://www.tellerreport.com/amp/2024-02-17-is-eni-stealing-palestinian-gas-in-collusion-with-israel-.H1-8qy_0iT.html).

Il quarto livello è quello della società civile internazionale che non è solo legittimata, ma anche tenuta a prevenire il genocidio mediante azioni di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni dal basso nei confronti del regime genocida.

Quinto e ultimo livello, infine, quello delle Nazioni Unite. In base a quanto stabilito, già in sede di ordinanza sulle misure provvisorie, dalla Corte internazionale di giustizia, il Consiglio di sicurezza avrebbe a disposizione una vasta gamma di misure ai sensi del Capo VII della Carta, dalle sanzioni pacifiche di cui all’art. 41 (interruzione di ogni tipo di relazione) all’intervento armato di cui all’art. 42 che in questo caso dovrebbe essere rivolto, come ho sostenuto altrove, allo schieramento di una robusta e ben equipaggiata forza militare multinazionale a tutela dei Palestinesi indifesi che vengono ogni giorno massacrati e fatti morire di inedia da Israele.

Qualora, come probabile, il Consiglio di sicurezza venisse bloccato dal veto statunitense, sarebbe possibile aggirarlo mediante un voto a maggioranza dell’Assemblea generale, recuperando il precedente della risoluzione “Uniting for peace” n. 377A del 1950.

Che ne pensano i cultori del diritto internazionale e specialmente coloro tra di loro che, in meno conclamate circostanze, si resero in certa misura alfieri dell’intervento umanitario unilaterale?

Add comment

Submit