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"Terra Rossa" di Lecce, un bene comune restituito alla città

Carlo Formenti

Alla periferia di Lecce, in via Casavola (una strada sita in un quartiere popolare, nei pressi della strada per Monteroni), c’è una grande struttura pubblica (di proprietà dell’Acquedotto Pugliese) che, fino a tre anni fa, ospitava l’asilo nido “Angeli di Beslan”. La struttura è stata chiusa per effettuare dei lavori di manutenzione straordinaria che non sono mai iniziati con la motivazione che il comune non disponeva dei fondi necessari. Abbandonata a sé stessa, la struttura è divenuta luogo di spaccio e consumo di droghe, tanto che gli abitanti del quartiere, passata una certa ora, evitavano di avvicinarsi. Ora un comitato di cittadini (docenti universitari, medi ed elementari, studenti, lavoratori, associazioni culturali, gente comune del quartiere e di altre zone) ha deciso di occuparlo per restituire questo bene comune alla città.

Nei primi giorni di occupazione di quello che è ora diventato il Centro Sociale Terra Rossa è stato effettuato un gigantesco lavoro di pulizia e risanamento da parte di decine di volontari che non solo hanno riempito un’impressionante quantità di sacchi di spazzatura e detriti vari, ma hanno anche recuperato una serie di arredi che erano stati abbandonati all’interno, fra cui numerose culle in buono stato (per inciso, gli occupanti hanno segnalato all’amministrazione il fatto invitandola e venirsele a riprendere, senza che l’invito abbia sortito alcun effetto).

Si tratta di un’occupazione atipica, che si caratterizza in primo luogo come un progetto volto a erogare alla cittadinanza quei servizi sociali che oggi le vengono negati a causa dell’effetto combinato dei tagli alla spesa pubblica e di politiche orientate alla privatizzazione di tutto quanto può essere privatizzato. Fra le tante iniziative previste: la riattivazione dell’asilo (è già stata predisposta una ludoteca raccogliendo giochi donati dai cittadini); un doposcuola autogestito dagli studenti medi; corsi di lingue e di teatro; un ambulatorio gestito da medici volontari; una biblioteca che sta già raccogliendo numerose donazioni e infine una Università Popolare (alla quale chi scrive collaborerà sia come docente che come membro del comitato scientifico). Il tutto su basi rigorosamente volontarie e gratuite.

La reazione del comune? Come prevedibile, sono scattati i consueti riflessi condizionati: il sindaco ha prontamente comunicato l’intenzione di procedere con un’ordinanza di sgombero, e sui media locali è in corso una campagna per presentare l’occupazione come l’ennesimo colpo di mano della sinistra “antagonista”. Personalmente non ho alcun problema a essere etichettato come esponente della cultura antagonista, tuttavia, avendo avuto modo di assistere alla partecipatissima assemblea pubblica indetta dal Centro Sociale lo scorso venerdì 18 marzo, posso garantire di non avere ascoltato nessun intervento “barricadiero”, a meno che non si vogliano etichettare come tali la richiesta di una signora del quartiere di poter usufruire di uno spazio dove poter giocare a carte con le amiche e svolgere altre attività sociali (anche al Sud si vive ormai in ambienti urbani “desertificati”, dove i soli spazi sociali sono i centri commerciali), oppure l’offerta di un’ex maestra di asilo di fare corsi di origami ai bambini, di un collettivo di studenti medi di poter svolgere attività di animazione teatrale o musicali e altre proposte analoghe.

Se a ciò si aggiunge il fatto che, qualora il comune decidesse davvero di rimettere in funzione l’asilo, come è stato prontamente annunciato subito dopo, guarda caso, l‘occupazione (che si siano miracolosamente trovati i fondi che mancavano da tre anni?), si troverà a poter risparmiare migliaia di euro grazie al lavoro svolto dagli occupanti, non si può fare a meno di notare come la cultura politica di questo Paese (tutta: l’amministrazione di Lecce è di centrodestra, ma non è detto che un’amministrazione di centrosinistra si sarebbe comportata diversamente) sia ormai affetta da un deprimente idiotismo “legalista”: non conta il fatto che una comunità decida di riappropriarsi di un servizio che le è stato sottratto dall’inefficienza dell’amministrazione per gestirselo autonomamente, conta il fatto che non sono stati rispettati i crismi della legalità formale.

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