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Questa recensione contiene spoiler: La vittima muore

di Erica Fontana

Recensione di  Una donna promettente, Due estranei e I May Destroy You

promising young woman2Quando film che pretendono di criticare lo status quo vincono agli Oscar, significa che c'è qualcosa sotto. Significa anche che dovremmo vederli.

Il frustrante lavoro di guardare questi film ci dirà poco o niente sulle lotte che pretendono di rappresentare, ma ci darà molti indizi sul modo in cui quelle stesse lotte vengono riassorbite e risignificate. Se non avete ancora visto Una donna promettente e Due estranei non preoccupatevi, ho fatto il duro lavoro per voi per mostrarvi che, nonostante tutti i discorsi emotivi degli Oscar, questi film rafforzino esattamente ciò che pretendono di criticare.

C'è qualcosa di particolarmente insoddisfacente in Una donna promettente. Sarà il fallimento della donna già suggerito nel "promettente" del titolo, o il fatto che le pretese del film di essere un "thriller di vendetta" che "chiede conto alla società" cadano nel vuoto. Ma forse questo doppio fallimento racconta involontariamente una verità; la ripetuta e inappagante affermazione del trauma da parte della protagonista e la totale incapacità del film di essere “thrilling” riflettono il discorso politico dominante, che non fa altro che affermare ripetutamente il nostro essere vittime.

Se non l'avete visto, il film va più o meno così: la protagonista, Cassandra, vendica lo stupro e la successiva morte della sua amica andando ripetutamente nei club, fingendo di essere molto ubriaca, e poi, quando qualche "bravo ragazzo" la porta a casa e comincia a fare sesso con lei, lo affronta. Solitamente questo comporta uno scambio di battute in cui lei fa notare agli uomini che stavano per violentarla. Si fa anche allusione (un segno rosso in un quaderno) al fatto che lei potrebbe essersi impegnata in qualche atto di violenza contro alcuni di loro, anche se non viene mai mostrato.

Una simile ripetizione del trauma si trova anche in un altro vincitore dell'Oscar 2021, Due estranei (Two Distant Strangers). Questo corto su Netflix racconta la storia di un giovane nero, Carter James, che è bloccato in un loop tipo Groundhog Day, in cui viene ripetutamente ucciso in modi diversi dallo stesso poliziotto bianco, e ripetutamente si sveglia di nuovo nella stessa mattina, cercando di trovare nuovi modi per superare il poliziotto bianco, solo per essere ucciso ancora, e ancora, e ancora.

Negli ultimi dieci anni, si è parlato sempre più spesso e più ampiamente degli stupri e della brutalità razzista della polizia. Questo non è perché ci siano più stupri o più violenza razzista, ma perché la gente si rifiuta di rimanere in silenzio. Tuttavia, il discorso dominante ci incoraggia a fermarci qui. La vittima silenziosa può, anzi dovrebbe, diventare una vittima con una voce, ma deve rimanere una vittima: deve usare la sua voce per riaffermare il suo vittimismo. Così come i richiedenti asilo sono costretti a parlare del loro trauma per ottenere la cittadinanza, ci viene chiesto di raccontare i nostri traumi per essere riconosciuti. I nostri traumi devono essere raccontati pubblicamente e una volta raccontati devono definirci. Questa cultura è diventata così predominante che anche gli individui che hanno già la loro giusta quota di riconoscimento (politici, accademici, celebrità ecc.) ora sentono il bisogno di elencare i loro traumi dopo il loro nome sui profili dei social media: se non hai un PhD ti conviene avere PTSD. In un mondo diviso in buoni e cattivi, vittime e carnefici, abusati e abusanti, dobbiamo dimostrare che siamo dalla parte di chi ha subito abusi. Questa è quella che Asad Haider chiama «la logica della vittima», in cui l'obiettivo è solo «il riconoscimento della propria sofferenza» e «che ha soprattutto a che fare con la protezione dello Stato e non con l’agire delle soggettività».

Sostengo che le notevoli somiglianze tra questi due premi Oscar non siano una coincidenza. Tutti e due i film sono uniti dalla logica della vittimità di cui fanno vedere l’inevitabile destino.

 

Il loop della vittimità

Il tropo più ovvio che questi film condividono è la ripetizione, un ciclo infinito di traumi da cui i protagonisti non possono fuggire, rimanendo sempre vittime. Nel primo, la ripetizione è guidata dalla compulsione di Cassandra di ripetere lo stupro della sua amica incontrando un nuovo potenziale stupratore ogni settimana. E anche se non è letteralmente bloccata nello stesso giorno, sembra essere bloccata nel passato in cui lo stupro della sua amica è avvenuto: indossando pastelli infantili, ascoltando il pop nostalgico pre-crisi, si aggrappa alla promessa perduta di giorni migliori. Nel secondo film vediamo invece la ripetizione letterale dello stesso giorno, un loop infinito e terrificante da cui sembra non esserci scampo. Anche se entrambi i film pretendono di dire qualcosa sul momento presente, queste ripetizioni incessanti di eventi traumatici estremi assomigliano più a un newsfeed dei social media che alla vita reale di qualcuno.

Quello che entrambi i film suggeriscono è che questi cicli traumatici sono prodotti solo dal razzismo o dal sessismo. I protagonisti, Cassandra e Carter, starebbero bene nel capitalismo se non fosse per il razzismo/sessismo. Cassandra era una "donna promettente", la migliore della sua classe alla scuola di medicina, che dice che potrebbe fare la bella vita se lo volesse: lo stupro della sua amica è tutto ciò che le ha impedito di soddisfare la sua promessa. Nel frattempo, il regista di Due estranei insiste che non conosciamo il background di Carter, sappiamo solo che è un uomo nero. In realtà non è affatto così, sappiamo che è un graphic designer con un bell’appartamento e un cane costoso. Infatti, il personaggio stesso dice di essere non solo più intelligente, più bello e più veloce del poliziotto, ma anche più ricco. Anche se il regista sostiene che Carter possa rappresentare ogni uomo nero, in realtà la sua biografia è lontana dalla maggioranza delle persone nere uccise dalla polizia negli Stati Uniti. Scegliendo un protagonista benestante, la razza viene isolata come l’unico problema. Non a caso Carter dice «solo i bianchi e gli altri poliziotti sono felici di vedere [i poliziotti]», come se la linea tra l'odiare o l'amare la polizia fosse puramente disegnata su linee razziali.

Attraverso le biografie dei protagonisti, ci viene mostrato che il razzismo e il sessismo non hanno nulla a che fare con la classe. In secondo luogo, il razzismo e il sessismo vengono ritratti come una serie di eventi estremamente traumatici piuttosto che come insidiose realtà quotidiane. Per esempio, non vengono evidenziate le molestie della polizia che molti giovani neri subiscono quotidianamente, ma solo il loro assassinio da parte della polizia. Non è mostrato come il sessismo interviene nelle relazioni intime di una donna (dove avviene anche la maggior parte degli stupri), ma solo il suo stupro da parte di sconosciuti. E certamente in nessuno dei due film vediamo come genere e razza siano materialmente fondati nella divisione del lavoro.

Non solo i buoni ma anche i cattivi sono decontestualizzati. Sono caricature bidimensionali di individui prevenuti e ignoranti che aderiscono a una cultura malata che comporta l'esercizio del potere su un gruppo specifico di persone – la cultura dello stupro e la supremazia bianca. Qualsiasi interesse nell'esplorare le realtà materiali che stanno alla base e sostengono queste "culture" è completamente assente. Così l'unica vera spiegazione che otteniamo per questi eventi traumatici è che i cattivi sono cattivi.

Ogni possibile violenza delle vittime contro questi cattivi individui non viene mai realizzata. Carter rifiuta l'uso della pistola della sua ragazza e la violenza di Cassandra contro gli uomini non si vede mai, così, almeno per lo spettatore (e, immaginiamo, forse anche per lei), rimane una fantasia. Entrambi mirano a dissuadere le persone cattive dalle loro cattive abitudini, ma nessuno dei due ci riesce. A un certo punto sembra che Carter abbia convinto il poliziotto a portarlo a casa, ma poi il poliziotto rivela che anche lui è bloccato nello stesso loop e lo sta uccidendo volontariamente più e più volte. Sta consapevolmente giocando a fare il cattivo ed è quindi irredimibile. Ride mentre spara a Carter sulla soglia di casa sua. Cassandra nel frattempo sembra avere scarso successo nel far ammettere ai "bravi ragazzi" che non sono così bravi (anche se stranamente sono abbastanza bravi da smettere sempre di cercare di violentarla quando scoprono che è sobria, implicando, completamente a torto, che le donne sobrie non vengono violentate). E quando affronta direttamente lo stupratore della sua amica, e per la prima volta sembra che stia per commettere apertamente un atto di violenza, viene sopraffatta da lui e soffocata. Diventa di nuovo la vittima, come è sempre stata destinata ad essere. Dopo tutto, si chiama Cassandra. Anche se non vediamo nessuna violenza commessa da Cassandra, ci vengono mostrati in tempo reale tutti i due minuti e mezzo della sua morte: come è facile uccidere una donna. Vestita come una sex worker nei panni dell’infermiera – la donna definitiva, sia oggetto sessuale che badante – il suo corpo è steso come Gesù sulla croce, morendo per i nostri peccati. Nel frattempo, il corpo di Carter sanguina una mappa dell'Africa. L'implicazione è che, come donna/uomo nero, erano già condannati a morire per mano di uomini cattivi. Quest’ultimo film finisce con una lista di persone nere uccise dalla polizia e la canzone Just the way it is. «And some things will never change».

 

La legge come l’unica via di uscita?

La violenza di Cassandra e Carter è inadeguata, se esiste, e i loro tentativi di educazione non portano a nulla. E così, se si vuole fare giustizia, sia Cassandra che Carter avranno bisogno dell'intervento di una terza parte. In Una donna promettente è notevole che, tra tutti gli uomini, è solo l'avvocato che aveva difeso gli stupratori della sua amica a chiedere perdono e a essere così perdonato. All'avvocato rimane anche la responsabilità di assicurarsi che sia fatta giustizia, qualora Cassandra fosse stata uccisa. Così, mentre il corpo della protagonista viene bruciato, l'assassino viene arrestato. Nonostante sia stata ridotta a un mucchio di cenere e il suo vittimismo riaffermato in modo quasi comico, la donna ha la morale e la legge dalla sua parte. In breve, mentre gli uomini cattivi non possono essere cambiati, la legge, anche se ha sbagliato in passato, è essenzialmente morale e l’unica possibile soluzione al sessismo.

Potrebbe sembrare controintuitivo dato che il cattivo è un poliziotto, ma anche Due estranei sembra chiedere l'intervento della legge, che rimane l'unica via d'uscita che il film può proporre. Come ha detto un critico, «il film suggerisce che questo non è un problema che Carter, o qualsiasi vittima in questi casi, può risolvere. Lui ha provato di tutto, ma spetta a coloro che sono al potere trovare una soluzione e risparmiare vite nere. Sono gli unici veramente in grado di assicurare che nessun altro nome venga aggiunto alla lista delle vittime». Il messaggio è che tutto ciò che i neri possono fare è continuare ad essere uccisi e a rialzarsi mentre aspettano che quelli al potere diano un giro di vite ai poliziotti razzisti, migliorino la legge e così rompano il cerchio.

Anche se entrambi i registi sostengono di dire qualcosa per tutte le donne o per tutti gli uomini neri, si concentrano solo su un individuo. O stanno suggerendo che ogni donna e ogni uomo nero agiscono da soli, nel migliore dei casi ricreando l'immaginario collettivo dei social media, mera sommatoria di individui, o stanno usando le esperienze individuali come metafora della lotta collettiva, e quindi riducendo il potere del collettivo all'impotenza dell'individuo, che alla fine non può fare altro che chiedere aiuto allo stato. Ma così facendo i film riflettono una cattiva verità del momento attuale. Per esempio, l'incendio delle città americane dopo l'omicidio di George Floyd è stato un breve ma reale rifiuto del vittimismo, un tentativo di rompere il loop di violenza e vittimità. Ma la tempesta dei social media che seguì sostituì quella lotta con storie individuali, hashtag e richieste di intervento a coloro che erano al potere. Conseguenza di questa individualizzazione e mediatizzazione del conflitto fu la continuazione del loop, con l'unica differenza che sembrava fossero anche le vittime stesse ad alimentarlo. 

Dobbiamo, allora, chiederci perché lasciamo che questo accada. È semplicemente che le nostre lotte collettive non sono abbastanza forti? O come individui siamo davvero così tentati dalla promessa di riconoscimento dei social media, da tornare volentieri alla familiarità e all'impotenza del vittimismo che sono così perfettamente espresse in questi film? E se questo è il caso, sarebbe meglio se le donne e le persone di colore smettessero di parlare di stupri e della violenza della polizia? Gli individui che affrontano il loro trauma sono solo gli snowflake delicati che indeboliscono la possibilità della lotta di classe? Certamente no. 

Per quanto sia fondamentale interrogarsi su come e perché il discorso dominante sembra essere capace di soffocare le lotte collettive attraverso la riproposizione senza fine dell'individuo traumatizzato, e la divisione senza fine degli individui sulla base dei loro particolari traumi, non bisogna mai pensare che questo riassorbimento sia in grado di imprimersi sulla totalità dei comportamenti individuali e collettivi. Perche se pensiamo così, la legge è veramente l’unica soluzione. Anche se questi film ci fanno vedere il vero destino del discorso dominante, sottovalutano gravemente non solo il potenziale della lotta collettiva ma anche della maggior parte degli individui che affrontano il trauma. Per esempio, se tutte le donne su tre che hanno subito violenze fisiche o sessuali o tutti i tre su dieci uomini neri negli stati uniti che sono stati vittime di violenze da parte della polizia condividessero il destino di Cassandra e Carter, non rimarrebbero in molti. Ma, di fatto, un mondo di vittime individuali completamente distrutte e definite dal loro vittimismo non è altro che una fantasia di Hollywood.

 

We May Destroy You

La serie TV inglese I May Destroy You (Ti potrei distruggere), basata sulle esperienze di stupro della scrittrice e attrice principale, Michaela Coel, esplora il ruolo dannoso dei social media e la loro "cassa di risonanza" di "dolore e frustrazione" sull’individuo. A un certo punto la protagonista, vestita da diavolo (in contrasto con Cassandra sempre vestita da angelo), assume il ruolo di una sorta di super vittima dei social media, la "consolatrice dei deboli e vendicatrice degli uomini cattivi", godendo del potere e del riconoscimento che questo le dà. Ma alla fine rifiuta le semplificazioni violente dei social media, esplorando la relazione tra se stessa, il suo stupro, il suo stupratore e coloro che la circondano, e il contesto e le contraddizioni che hanno permesso che accadesse. Lungi dall'essere decontestualizzato, il trauma ti può costringere a un confronto profondo e complesso con il tuo contesto, un confronto che, invece di definirti, ti spinge ad affrontare e rifiutare il tuo isolamento, approfondendo la comprensione di tutto ciò che ha prodotto il trauma e quindi la possibilità e la volontà di combatterlo. 

In I May Destroy You, il riconoscimento e confronto della protagonista con il suo vittimismo e quello che l’ha prodotto non riconferma il suo essere oggetto – la distrutta – ma implica il passaggio verso una condizione di soggetto attivo – la potenziale distruttrice –: «Sono andata sotto, sotto nell'oscurità, e quell'oscurità è ora in me, guardandoti, quindi potrei sembrare un po' più spaventosa dell'ultima volta che mi hai visto».

Partendo da questo processo individuale e personale, in cui ti confronti con il tuo contesto, occorre arrivare a riconoscere che è un intero sistema socioeconomico a produrti in quanto vittima. E l’unica forza in grado di distruggere questo sistema è una lotta collettiva, in cui gli individui isolati diventano soggetti capace di rompere collettivamente il circolo vizioso di vittimità e riconoscimento, attaccando le radici materiali del sistema capitalistico. Ma anche se c'è chiaramente un'ampia differenza qualitativa tra una lotta collettiva e un confronto individuale come quello descritto da Coel, questo non significa che il confronto individuale sia irrilevante alla lotta collettiva. Anzi, oserei dire che la prossima esplosione della lotta di classe non sarà iniziata dalle Cassandre e dai Carter che riaffermano il loro vittimismo, che facilmente cadrebbero di nuovo nel loop della vittima individuale, ma neanche da coloro che sono sempre rimasti in silenzio o vogliono che gli altri restino in silenzio, ma dal numero sempre crescente di coloro che hanno riconosciuto, affrontato e rifiutato il loro essere vittime e sono pronti a combattere collettivamente contro l'intero sistema che cerca di costringerli ad accettarlo.

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