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inchiesta

Chakrabarty, “Clima, storia e capitale”

Invito alla lettura

di Massimo Canella

Dipesh Chakrabarty: Clima, Storia e Capitale, Nottetempo, 2021

711qcjwvudl“Finora la maggior parte delle nostre libertà sono state ad alto consumo energetico. Il periodo della storia umana solitamente associato a ciò che noi oggi riteniamo essere le istituzioni della civiltà – l’avvio dell’agricoltura, la fondazione delle città, l’emergere delle religioni conosciute, l’invenzione della scrittura – ha avuto inizio circa diecimila anni fa, proprio quando il pianeta stava passando da un periodo geologico, l’ultima era glaciale o Pleistocene, al più recente e caldo Olocene. Noi dovremmo essere nell’Olocene: ma la possibilità del cambiamento climatico antropogenico ha sollevato la questione della sua fine. Ora che gli umani – grazie al nostro numero, all’utilizzo di combustibili fossili e ad altre attività collegate – sono diventati un agente geologico sul pianeta, alcuni scienziati hanno proposto che dovremmo riconoscere l’inizio di una nuova era geologica: un’era in cui gli umani agiscono come i principali fattori determinanti dell’ambiente del pianeta. Il nome che hanno inventato per questa nuova epoca geologica è Antropocene” (Dipesh Chakrabarty, “Clima Storia e Capitale”, Milano 2021, p. 69-70).

Nei densi articoli pubblicati nel 2009 e nel 2014 su Critical Inquiry a proposito del riscaldamento globale, pubblicati da Nottetempo di Milano nel 2021 col titolo “Clima Storia e Capitale”, oltre che in numerosi interventi successivi compreso il volume collettaneo su “La sfida del cambiamenti climatico. Globalizzazione e Antropocene” pubblicato in traduzione nel 2021 da Ombrecorte di Verona, Denis Chakrabarty svolge argomentazioni che sostengono:

1) l’impossibilità di continuare a trattare separatamente storia naturale e storia umana, che induce a una critica radicale delle correnti filosofie della storia e dello statuto che gli storici ritengono conveniente al proprio ambito disciplinare;

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blackblog

Non c'è alcuna soluzione alla crisi energetica

di Sandrine Aumercier

Questo testo costituisce la versione scritta della presentazione del libro "Le mur énergétique du capital" (edizioni Crise & Critique), che si è tenuta presso Mille bâbords (61, rue Consolat, 13001 Marsiglia) il 5 giugno 2022

Schermata del 2022 06 25 08 31 42Inizio dalla fine e arrivo subito alla conclusione dicendo che non c'è soluzione alla crisi energetica, neppure una «soluzione minima». Nel caso dovesse emergere una società post-capitalista emancipata, essa allora smetterebbe di preoccuparsi del problema energetico, semplicemente; non lo risolverebbe diventando «più razionale» e «più efficiente» in materia di energia. Una società che mette alla sua base la penuria - come fa il modo di produzione capitalista - si auto-impone di razionare sempre più il consumo di energia, a partire dal fatto che essa si sta avvicinando sempre più a un limite assoluto. Così facendo, si condanna a sprofondare in una gestione totalitaria delle risorse, scatenando delle guerre di stabilità, e a piombare in delle crisi socio-economiche che hanno un impatto sempre più crescente... Ma questo è un limite che fa parte di quelli che sono i principi fondanti di questa società, e non si riferiscono alla natura.

La categoria «energia», è astratta così come lo è quella di «lavoro», e una volta che viene posta a fondamento delle attività umane, non può fare altro che procedere in direzione di un abisso, per effetto della sua stessa logica. Mi ci è voluto molto tempo per capirlo, a causa del fatto che il discorso sui «limiti del pianeta» si impone nella sua falsa evidenza, come se si trattasse di un problema geofisico. Ma il vero problema riguarda le premesse del capitalismo, da cui anche i cosiddetti Paesi socialisti reali non si sono mai staccati. Se mettiamo in fila, uno dietro l'altro, i diversi scenari di «transizione energetica» che si stanno contendendo la palma di vincitore, diventa chiaro come sia proprio il discorso di fondo a combinare due tendenze contraddittorie, in quanto presuppone che: 1) L'impossibile è possibile e che, allo stesso tempo, 2) Se l'impossibile nonostante tutto è impossibile comunque, allora si deve trattare di un fatto di natura (di natura umana, di natura geofisica o di entropia universale). Così facendo, ecco che smette di essere necessario dover esaminare le specificità del modo di produzione capitalistico.

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antropocene

Costruire un movimento per la giustizia climatica anti-imperialista

Kai Heron intervista Max Ajl

ViaCampesinaNel suo nuovo libro, A People's Green New Deal [Pluto Press 2021, ancora inedito in italiano, NdT], Max Ajl presenta una valutazione approfondita, che prende spesso la forma di una denuncia schiacciante, dei limitati tentativi del Nord globale di mitigare e adattarsi al riscaldamento globale.

L'eco-nazionalismo, l'eco-modernismo, la socialdemocrazia verde e le declinazioni socialiste democratiche del Green New Deal sono tutte esaminate e tutte sono trovate carenti. Tutte, sostiene Max, a loro modo sono troppo attaccate a quello che Ulrich Brand e Markus Wissen chiamano "lo stile di vita imperiale". Un modo di vivere basato sulla subordinazione del Sud globale ai bisogni, ai desideri e alle esigenze del Nord globale. E ognuna, a modo suo, nega l'ampiezza della crisi sociale ed economica che abbiamo di fronte.

In risposta Max si rivolge alle lotte del Sud globale. Lì trova i contorni di una risposta alternativa al collasso climatico, radicata nelle pratiche agricole agroecologiche, nei risarcimenti climatici e nelle lotte per l'autodeterminazione. Il libro di Max è quindi molto più di una critica, è un appello stimolante rivolto a noi cittadini del Nord globale per riconsiderare il modo in cui lottiamo per la giustizia sociale e climatica.

In questa intervista Kai Heron parla con Max del suo libro e dell'importanza di mettere l'agricoltura e le lotte del terzo mondo per l'autodeterminazione al centro delle politiche ambientali.

* * * *

Kai Heron: Forse possiamo iniziare con una semplice domanda. Ci sono già almeno cinque libri disponibili che immaginano come potrebbe essere un Green New Deal (GND). Cosa ti ha spinto a scriverne un altro?

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bollettinoculturale

Jason W. Moore e il concetto di Capitalocene

di Bollettino Culturale

Moore crop IIIntroduzione

Jason W. Moore legge il capitalismo come una successione di specifici regimi ecologici, in cui l’accumulazione del capitale da un lato e la “produzione della natura” dall’altro sono processi concepiti come dialetticamente intrecciati. Moore propone di rompere con la concezione del capitalismo come formazione economico-sociale che, quando si dispiega, agisce semplicemente sulla natura. Questa concezione è da lui definita “cartesiana”, cioè che separa Natura e Società. Moore sostiene la necessità di concepire il capitalismo come una formazione storico-sociale che si è sviluppata attraverso le relazioni tra le società e la natura in quanto il capitalismo non ha un regime ecologico specifico, il capitalismo è un regime ecologico. Nel corso della sua elaborazione teorica rielaborerà la concezione marxista della storia, impegnato a incorporarvi la dimensione ecologica. Traendo ispirazione dalla prospettiva ereditata dall’École des Annales francese, in particolare da Fernand Braudel e dal suo concetto di Longue Durée, e dal lavoro dei teorici del Sistema-Mondo come Giovanni Arrighi, Moore costruisce una teoria del capitalismo come Ecologia-Mondo.

Moore pone con questo concetto di Ecologia-Mondo le basi di una sorta di “materialismo storico-ecologico” in cui la storia del capitalismo e dei modi di produzione precedenti è intesa come un susseguirsi di regimi ecologici che strutturano i processi di accumulazione e “produzione della natura”. Con questa proposta, Moore sostiene che invece di scrivere la storia dell’impatto del capitalismo sulla natura, è possibile indagare la relazione generativa tra “l’accumulazione infinita” e la “produzione infinita della natura”.

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effimera

Marxismo ed ecologia. Analisi di un dibattito internazionale

di Francesco Barbetta

Marx verdeIl volume di Jacopo Nicola Bergamo, Marxismo ed ecologia. Origine e sviluppo di un dibattito globale (ombre corte, 2022) – che la recensione di Francesco Barbetta discute nel dettaglio – si propone di fare il punto su un ambito di discussione, quello appunto dell’eco-marxismo, in grande fermento negli ultimi anni.

Un buon modo per inquadrare la dinamica del confronto è quello di distinguere tra analisi che si propongono di mostrare la dimensione ecologista dell’opera di Marx – in modo tale che il Moro di Treviri si presenti come ambientalista ante litteram –  e analisi che invece si propongono di interrogare l’archivio marxiano a partire dalla politicizzazione della crisi ecologica tra gli anni 60 e 70 del secolo scorso – a partire, cioè, da un insieme di problemi che, semplicemente, non esisteva ai tempi in cui Marx scriveva.

Del primo gruppo fanno parte i teorici della frattura metabolica (Burkett, Foster, Saito), del secondo chi ha esplorato strade più sperimentali, spesso sulla scia dei movimenti sociali (Federici, Merchant, O’Connor). Vi sono poi voci (Malm, Moore, Salleh) che rivendicano una continuità forte col pensiero di Marx – e pure con il marxismo – senza esprimersi direttamente su questo passaggio.

Quasi superfluo concludere ribadendo che la posta in gioco del dibattito in oggetto non è filologica ma politica: solo la riflessione collettiva potrà trasformare le varie opzioni teoriche in efficaci strumenti del conflitto sociale (Emanuele Leonardi).

******

Il libro di Jacopo Nicola Bergamo, Marxismo ed ecologia. Origine e sviluppo di un dibattito globale (Ombre Corte, Verona 2022), consente al militante italiano di conoscere a grandi linee varie letture del rapporto tra ecologia e marxismo.

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illatocattivo

Moriremo «green»?

A proposito di capitalismo verde

di Il Lato Cattivo

noluvbjlOgni modo di produzione implica rapporti storicamente determinati con un dato puramente fisico- biologico, un sostrato pre-sociale modificabile ma insopprimibile1. Da una diversa angolazione, si potrebbe anche affermare che i modi di produzione storici non sono mai (stati) altro che differenti varianti di un soggiacente rapporto con questa datità fisico-biologica, che include allo stesso tempo la natura non-umana e l'umanità come specie. In ogni caso, nel corso dei millenni, rapporti sociali di produzione determinati si sono instaurati, sviluppati e succeduti sulla base di un sostrato minerale, vegetale e animale, che questi stessi rapporti hanno trasformato in misura maggiore o minore a seconda dei casi.

Il modo di produzione capitalistico (MPC) non è il solo né il primo modo di produzione ad avere significative ricadute su questo sostrato. Semplicemente, tali ricadute assumono oggi, con questo modo di produzione, proporzioni e determinazioni qualitative inedite. È il nocciolo di verità contenuto nel concetto, per altri versi contestabile, di antropocene. Questo fatto si iscrive nella differenza essenziale che distingue il MPC dai modi di produzione precedenti: in questi ultimi, il plusprodotto non veniva sistematicamente e prevalentemente reinserito nel processo di produzione. Per i signori feudali, per le burocrazie statali del modo di produzione asiatico, per i patrizi della Roma antica, per le proto-classi delle società di cacciatori-raccoglitori del paleolitico superiore etc., l'elemento preminente nella gestione del plusprodotto è il suo dispendio. Viceversa, nel MPC l'elemento predominante è l'investimento, nella fattispecie l'investimento in capitale costante (mezzi di produzione e materie prime). Quando si parla di accumulazione del capitale, si parla essenzialmente di questo.

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bollettinoculturale

Burkett: l'ecologia nella teoria del valore di Marx

di Francesco Barbetta

Prosegue la pubblicazione dei miei appunti sullo studio dell'ecosocialismo. Dopo Foster presento il pensiero Paul Burkett, altro esponente della scuola della Metabolic Rift. Nel suo libro "Marx And Nature: A Red Green Perspective" propone una lettura della teoria del valore di Marx estremamente utile per connettere la teoria marxiana alla questione ecologica. 

Karl Marx A.d. Ñángara MarxPer Burkett, lo “statuto” di una “Sociologia Ecologica” deve, in linea di principio, considerare il rapporto società-natura come un rapporto dialettico, senza sovrapposizione di una sfera sull'altra. Deve evitare una visione puramente “materialista”, a rischio di cadere nel determinismo tecnocentrico o in una concezione delle relazioni sociali come determinate naturalmente. D'altra parte, la riduzione della relazione a un costruzionismo sociale che sottolinea che la storia umana è unicamente sociale, induce anche a credere in una presunta “autonomia” e “controllo” dell'uomo sulla natura. La specificità dell'uomo, in relazione agli altri esseri, deriva dalla sua coscienza e dal suo desiderio, in modo che i valori che rivestono la natura siano il risultato della soggettività umana, socialmente costruita, priva di una realtà in sé. D'altra parte, i valori socialmente creati sono ispirati da una realtà naturale, di oggetti e forze, che sono governati da leggi inalterabili, cioè che non dipendono dall'esistenza umana per esistere. Secondo Burkett: “a combined social and material conception of people-nature relations is necessary to avoid the kind of technical and ethical dualism exhibited by mainstream environmentalism”1. L'idea predominante nel pensiero economico ecologico è quella di uno "sviluppo sostenibile", il cui ideale potrebbe essere raggiunto dalla combinazione di "tecniche verdi" e cambiamenti nei valori e nei comportamenti degli individui, senza, tuttavia, la necessità di modificare le relazioni sociali e le condizioni di produzione. Per Burkett ciò conduce all’idea secondo cui: “ecological destruction is an inessential “external effect” of the dominant social relations of capitalism.”2

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badialetringali

La trappola dell’Antropocene

di Marino Badiale

0 63039Appare ormai abbastanza diffuso il riconoscimento del fatto che l’azione umana sul sistema terrestre sia arrivata al punto da mettere in pericolo i principali cicli fisici, chimici e biologici del sistema stesso. La relativa stabilità di tali cicli è stata fino ad oggi il fondamento naturale delle civiltà umane, e metterne in pericolo l’autoriproduzione significa dunque ipotecare il futuro dell’attuale civiltà e spingersi pericolosamente nella direzione di un gravissimo collasso sociale. Nello sforzo di precisare e quantificare questo tipo di problemi, alcuni studiosi hanno elaborato la nozione di “limiti planetari”, limiti che l’umanità non deve superare per evitare un’alterazione profonda dei cicli del sistema [1]. Il più noto di tali problemi riguarda l’alterazione umana del ciclo del carbonio: l’uso di combustibili fossili ha portato, negli ultimi due secoli, all’accumulazione nell’atmosfera di gas a effetto serra, in particolare anidride carbonica, e questo sta iniziando ad alterare il clima del pianeta. Ma anche gli altri limiti individuati dagli studiosi in questione si legano a dinamiche cicliche del sistema terrestre che sono essenziali per la riproduzione della civiltà umana come la conosciamo.

Il fatto che l’azione umana sia arrivata a disturbare aspetti fondamentali della dinamica del sistema-Terra ha portato all’elaborazione della nozione di “Antropocene”, con la quale si vuole indicare l’ingresso in una nuova era geologica, quella, appunto, nella quale l’essere umano è divenuto un vettore di cambiamento geofisico paragonabile alle forze naturali che hanno segnato l’evoluzione del sistema-Terra nei miliardi di anni della sua storia.

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gliasini

Ogni luogo contiene il pianeta

di Renato Galeotti

01 1067x1536Sul vocabolario Treccani leggiamo che il sostantivo “ambiente” deriva dal latino “ambiens ambientis” participio presente di “ambire”, che significa “andare intorno, circondare”. Insomma, l’ambiente è ciò che ci circonda. Ma quanto da vicino ci circonda? Cosa abbiamo in mente, quando parliamo di ambiente? Il globo terracqueo, oppure l’angolo di mondo su cui gettiamo il nostro sguardo ogni giorno? Non ce la possiamo cavare rispondendo: “tutti e due”. Troppo diverso è il rapporto che intratteniamo con il luogo e con il mondo intero per poterli assimilare. Gli spazi in cui viviamo hanno il colore delle foglie, l’odore della terra, il rumore del mare, il pianeta, invece, è un’entità sfuggente, un racconto, un’elaborazione dell’intelletto. Mentre il luogo entra in relazione con i nostri sensi, la Terra è troppo grande per essere abbracciata; per questo possiamo soltanto immaginarla. O per lo meno, così era fino a quando non abbiamo visto la Terra tutta intera, da lontano.

Il 7 dicembre 1972 l’equipaggio dell’Apollo 17 scatta “Blue Marble”, la Biglia Blu, la più nota tra le foto del nostro pianeta visto dallo spazio. Questa immagine rappresenta il simbolo di un passaggio epocale: da quel momento l’ambiente globale inizia ad imporsi come visione dominante; la Terra, che fino ad allora era percepita come la somma di una miriade di territori modellati dagli uomini, diventa il riferimento unificante per tutta l’umanità. Non sono più i luoghi a sommarsi per produrre l’intero, ma l’intero che contiene i luoghi. Si tratta di un passaggio che coinvolge anche il nostro esistere e la nostra maniera di costruire le relazioni con il circostante: la conoscenza cessa di passare attraverso i sensi e gli umani iniziano a vedere se stessi con occhi esterni. Il punto di vista corretto non è più quello di ognuno di noi ma un altro, esterno e lontano.

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bollettinoculturale

Foster e la frattura metabolica: alla ricerca di un pensiero ecosocialista in Marx

di Francesco Barbetta

amazon com thegreeningofmarxism9781572301191 tedbenton books 1285556913204Il dibattito sui nessi filosofici e politici tra produzione teorica marxiana e ambiente è sempre più attuale e urgente. La distruzione delle condizioni di vita così come le conosciamo, imposta dalla logica del capitale, dimostra inequivocabilmente la necessità di cambiamenti radicali nei rapporti tra economia e natura.

La trasformazione di tutto in merce impone dinamiche temporali e spaziali incompatibili con i processi naturali, portando il pianeta ad una situazione di totale squilibrio ed esaurimento. Certamente, qualsiasi dato che offriremmo sull'argomento sarebbe obsoleto e, sfortunatamente, in peggio.

Secondo l'SRC (Stockholm Resilience Center), dei 9 confini planetari (cambiamento climatico, perdita di biodiversità, variazione del ciclo biogeochimico dell’azoto e del fosforo, acidificazione degli oceani, consumo di suolo e di acqua, riduzione della fascia di ozono nella stratosfera, diffusione di aerosol in atmosfera e inquinamento chimico), 7 vengono superati, generando effetti di feedback che creano un ambiente di instabilità e insicurezza.

È all'interno di questi squilibri che dobbiamo cercare, ad esempio, le cause del Covid-19. Il dibattito sui vaccini, per quanto urgente e pertinente, si limita agli effetti piuttosto che ai nessi causali dei problemi.

Questo è il motivo che mi sta spingendo ad approfondire teoricamente i rapporti tra marxismo e pensiero ecologico.

Sollecitato dalla recensione che ho scritto per Effimera del libro di Ian Angus "Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi del sistema Terra", ho approfondito lo studio del pensiero di John Bellamy Foster. Questo lungo e denso saggio spero possa essere utile per far conoscere ai compagni italiani le sue tesi. A maggior ragione in un momento di radicalizzazione del movimento ambientalista in cui si fa sempre più urgente la necessità di affrontare con gli adeguati strumenti teorici la sfida della transizione ecologica.

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climalteranti

Note sul pessimismo climatico

di Raffaele Scolari

pessimismPrendo spunto da due testi pubblicati recentemente su climalteranti.it. Il primo è una recensione del nuovo libro di Michael Mann, La nuova guerra del clima, in cui il climatologo americano, oltre a mettere in guardia contro le nuove forme di negazionismo camuffato, pone in risalto la pericolosità di visioni “eccessivamente cupe del nostro futuro”. Il secondo articolo verte sulla COP 26 di Glasgow e sui risultati che essa potrà produrre. Anche in questo caso vi è una sorta di messa in guardia: contro “una visione semplicistica del negoziato sul clima”. Secondo questo post, la contrapposizione “successo vs. fallimento” è fuorviante, perché ignora sia la complessità delle trattative sia i risultati intermedi che, come in occasione di passate edizioni, possono essere ottenuti e che comunque, ai fini di una efficace lotta contro i cambiamenti climatici, sono molto importanti.

Qui di seguito intendo, se non proprio mettere in guardia contro queste e altre simili messe in guardia, presentare alcune riflessioni critiche al loro riguardo. Per cominciare una nota sul titolo del saggio di Mann: considero l’impiego della metafora della guerra in riferimento al riscaldamento globale come problematico e opinabile, e comunque contradditorio rispetto al dichiarato intento di denunciare i facili allarmismi e pessimismi. Data la natura dell’oggetto in questione, il clima mondiale, se di guerra si tratta, quella contro il Climate change deve o dovrà necessariamente assumer l’aspetto di una guerra totale, contro un nemico assai potente e da tempo conosciuto, e in cui nessuno potrà risparmiarsi. Sennonché il nemico non risiede dall’altra parte della frontiera o del mare, bensì è in mezzo a noi, nelle nostre distese metropolitane, nei gangli del potere politico ed economico e pure nelle nostre menti e abitudini, talché se proprio si vuol ricorrere alla metaforica bellica, meglio sarebbe parlare di “nuova guerra civile del clima”.

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antropocene

Il capitale contro i beni comuni/3

di Ian Angus

stampa"Il capitale contro i beni comuni" è una serie di articoli sul primo capitalismo e l'agricoltura in Inghilterra.

In questa terza parte si discute dei riformatori protestanti del XVI secolo che si opposero alla crescente spinta verso la privatizzazione della terra.

La prima parte ha discusso il ruolo centrale della proprietà condivisa e dei diritti comuni alle risorse nell'agricoltura pre-capitalista. Nel 1400 quel sistema cominciò a mostrare le prime crepe, iniziando la transizione dal feudalesimo al capitalismo.

La seconda parte ha discusso i processi conosciuti come "enclosure". Alla fine del 1400, i proprietari terrieri cominciarono a sfrattare i piccoli fittavoli per aumentare i profitti, spesso creando grandi allevamenti di pecore. Nel 1530 questo cambiamento fu intensificato quando Enrico VIII si impadronì delle vaste terre della chiesa e le vendette a investitori che imposero affitti più gravosi e con una durata temporale minore. Le due trasformazioni gemelle che Marx chiamò accumulazione originaria - la terra rubata che diventa capitale e i produttori senza terra che diventano lavoratori salariati - erano ben avviate quando migliaia di contadini si ribellarono ai cambiamenti nel 1549.

 

Contro l'enclosure: gli uomini del Commonwealth

Devo minacciar loro la dannazione eterna, siano essi gentiluomini o qualunque cosa siano, che non cessano di unire casa a casa, e terra a terra, come se solo loro dovessero acquistare e abitare la terra." - Thomas Cranmer, Arcivescovo di Canterbury, 1550 [1].

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illatocattivo

La fine del mondo non avrà luogo

di Gilles Dauvé

[VI episodio della serie: Pommes de terre contre gratte-ciel, apparso su ddt21.noblogs.org; marzo 2021]

Image 001«L'apocalisse di cui vi si dice non è quella vera». (Armand Robin, Poèmes indésirables, 1943-‘44)

Il catastrofismo, che – come abbiamo visto nell'episodio precedente – a volte può tingersi di marxismo, ha il vento in poppa: un mondo sull'orlo del collasso ci sta travolgendo, è urgente agire... o forse no, se è già troppo tardi. Ma di quale collasso stiamo parlando?

 

1. Collassato

Il collasso è un'immagine che colpisce: qualcosa o qualcuno crolla. Ma l'estinzione o la scomparsa di una società, più che coincidere con uno shock o una rottura, avviene dopo un declino generalmente accompagnato da una trasformazione di lungo periodo, che spesso si estende su un arco di diversi secoli, ed è raro che la decomposizione non sia anche una ricomposizione.

«Non è perché le “risorse” stanno diventando più scarse e (quasi) tutte le attività saranno rilocalizzate radicalmente, che le attuali strutture organizzative delle nostre società scompariranno, e che il produttivismo si arresterà. A questo proposito, la rappresentazione del “picco” (che in realtà è più simile a un plateau) della produzione di combustibili fossili comporta un grosso difetto. Viene sottinteso, e a volte esplicitamente affermato, che la rarefazione di queste energie causerebbe il collasso del capitalismo. Ma la scarsità non porta alla fine dei rapporti di produzione (al contrario). Il produttivismo andrà fino in fondo, fino all'ultima goccia, se avrà campo libero. Non ci sarà una fine meccanica del capitalismo [...], ci sarà “solo” una riallocazione delle “risorse” disponibili […] e una maggiore intensità nei rapporti di sfruttamento e nell'estrazione delle materie prime. [...] L'elettricità non scomparirà, i tagli di corrente saranno sporadici. Internet non si spegnerà da un giorno all'altro: una parte della popolazione si troverà scollegata, con un accesso alla rete sempre più oneroso.» (Jérémie Cravatte)

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apocalottimismo

Il nucleare e le verità degli influencer

di Igor Giussani

DUFER AVVOCATO ATOMOIl video di Rick Dufer ‘La Verità sul Nucleare: Ambiente, Scienza ed Energia‘, pubblicato su YouTube il 6 novembre scorso e divenuto abbastanza virale (circa 95.000 visualizzazioni mentre sto scrivendo), si sarebbe potuto ragionevolmente intitolare ‘Quando clickbaiting, bias, ideologismo, cherrypicking, whishful thinking e tutte quelle brutte cose che rimproveriamo sempre agli altri le facciamo noi, allora diventano ottima e corretta informazione’.

Non si può definire altrimenti questa lunga intervista totalmente ‘sdraiata’ con Luca Romano (meglio noto sul Web come ‘L’avvocato dell’Atomo’), dove il liberal tecno-ottimista DuFer lascia campo libero al suo interlocutore senza il minimo contraddittorio per snocciolarci niente meno che la ‘Verità’, ossia un’ora e mezza di propaganda sapientemente ondeggiante tra enfasi delle (presunte) virtù del nucleare e demonizzazione delle rinnovabili.

La mia intenzione originaria era di ribattere colpo su colpo, tramite un articolo o un video reaction, ma le manipolazioni sono talmente tante che ogni tentativo si è rivelato un’impresa titanica. Dopo lunga (quasi due mesi) e sofferta riflessione sul da farsi, ho preferito rimandare alcune questioni a una fonte spesso accusata di essere ‘di parte’ ma che, per esaustività e ricchezza di informazioni, non ha eguali: mi riferisco al The World Nuclear Industry Status Report 2021 (WNISR2021). In particolare per quanto concerne i seguenti punti:

  • costi e tempistiche del nucleare: nel video vengono spacciati per attuali quelli relativi al programma francese (completato in massima parte a fine anni Ottanta), totalmente anacronistici a causa dei maggiori livelli di sofisticazione tecnica e degli standard di sicurezza odierni. Del resto, le descrizioni rose e fiori dell’Avvocato cozzano decisamente con le pessime condizioni economiche in cui versa attualmente il colosso energetico transalpino EDF e con il fallimento in cui è incorsa AREVA (vedi qui), che spiegano invece perché il direttore tecnico di Rwe Power Nuclear definisca l’atomo “un business economicamente morto”;

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comuneinfo

Essere in comune

di Paolo Cacciari

10428471 734433286637607 6151556929901130737 nLa crisi ecologica è nella sua essenza una questione etica di giustizia, in cui quelli che sono in alto tentano di mettere i ceti popolari contro la transizione ecologica (lo fa, ad esempio, il ministro Cingolani quando dice “sarà un bagno di sangue” e quando parla di “ambientalisti radicali chic, oltranzisti ed ideologici”). Che fare? Non basta rafforzare il sistema dei trattati multilaterali introducendo clausole vincolanti, spiega Paolo Cacciari, occorre “sottrarre agli stati la sovranità sull’utilizzo delle risorse naturali e cederla alle comunità locali insediate, agli abitanti dei luoghi, ai popoli indigeni…”. Significa, ad esempio, ri-territorializzare le attività economiche a cominciare dalla produzione del cibo. Ma questo può realizzarsi solo sulla base dell’esistenza di una comunità umana capace, per dirla con Jean-Luc Nancy, di “essere-in-comune”, una comunità in cui prevale la condivisione sul possesso e la convivenza sul dominio.

* * * *

La crisi ecologica, o, per dire meglio, il progressivo deterioramento degli spazi abitabili del pianeta e quindi la riduzione delle condizioni di sopravvivenza per porzioni sempre più grandi di popolazioni animali, genere umano compreso, rendono evidenti in modo clamoroso almeno due questioni politiche fondamentali: le differenti responsabilità storiche e morali delle società umane operanti nei diversi paesi; la sopravvenuta irrilevanza del principio organizzativo-giuridico del modello dello stato nazionale.

Pensiamo al diossido di carbonio. Il tempo di permanenza e di decadimento di una molecola di CO2 emessa in atmosfera varia da un minimo di trent’anni (metà delle quantità emesse) a cento anni (un terzo) e, per alcune frazioni, fino a oltre mille anni (vedi il documentato sito www.climalteranti diretto da Stefano Caserini).