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altrenotizie

Cialtroni e fake news nella guerra al Venezuela

di Fabrizio Casari

plaza altamiraMANAGUA. L’aggressione politica, diplomatica e mediatica verso il Venezuela ha ormai oltrepassato i limiti dell’ossessione. A sostegno di una opposizione inguardabile, sostenuta da Washington e dai paramilitari colombiani, sono scese in campo forze e personaggi di ogni ordine e grado. Nell’opera di mistificazione spiccano i media (tra tutti la CNN) che sulla realtà venezuelana spacciano fake news senza pudori, realizzando i loro reportage sotto dettatura dei partiti di opposizione.

A cominciare dal definire una “dittatura” un paese nel quale si è votato 19 volte negli ultimi 15 anni e dove solo in due di queste ha vinto la destra. Stando alla Fondazione di Jimmy Carter - ex presidente USA, non un chavista - il sistema elettorale venezuelano “è il migliore del mondo e vi partecipa l’80% della popolazione avente diritto".

Tra le cose che non vengono raccontate c’è che l’acutizzarsi dello scontro ha origine in un conflitto tra i poteri dello Stato, nato dalla decisione del Tribunale elettorale di non riconoscere la validità dell’elezione di 3 deputati dell’opposizione nella zona amazzonica.

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marx xxi

Ancora una primavera

Tienanmen e dintorni

di Giambattista Cadoppi

Di seguito l'introduzione di Giambattista Cadoppi al suo libro Ancora una primavera. Tienanmen e dintorni: l’ingloriosa fine della prima rivoluzione colorata

IMG TIENANMEN13 548x345“E a questo punto il pastore pregò. Fu una preghiera bella e generosa, nonché molto particolareggiata: invocava la protezione del Signore per quella chiesa, e per i fanciulli di quella chiesa; per le altre chiese del villaggio; per il villaggio stesso; per la contea; per lo Stato; per i funzionari dello Stato; per gli Stati Uniti; per le chiese degli Stati Uniti; per il Congresso; per il Presidente; per i funzionari del Governo; per i poveri marinai, in balia di mari tempestosi; per i milioni di oppressi che gemevano sotto il tallone delle monarchie europee e dei dispotismi orientali” (Mark Twain. Le avventure di Tom Sawyer)

La vocazione americana di portare i diritti umani in formato export è di vecchia data. A venticinque anni dalla prima rivoluzione colorata abortita, la “primavera cinese” (Bejijng Spring come era definita) una nuova rivoluzione colorata ordita dall’Impero del Kaos ha vinto (per ora) in Ucraina.

Oggi come allora ci sono all’opera bande di terroristi di estrema destra istruiti da CIA, ONG, media asserviti, persino con il supporto della “sinistra radicale”. Scrive un giornale russo dei “fatti di Piazza Tiananmen ovvero la sventurata Maidan cinese”: Tienanmen per la Cina nel 1989, proprio come Maidan per l’Ucraina oggi, è stato un punto critico di biforcazione di importanza strategica per i decenni futuri.

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carmilla

Il Venezuela dall’interno

Sette chiavi di lettura per comprendere la crisi attuale

di Emiliano Terán Mantovani

venezuela1[Presentazione di Perez Gallo e Simone Scaffidi: La situazione attuale che vive il Venezuela, come noto, è gravissima. Ma i termini della sua gravità non sono forse altrettanto noti, almeno rispetto a quello che propone la narrazione mainstream e alla confusione che regna a sinistra sui posizionamenti da prendere in proposito. Crediamo – e per questo lo abbiamo tradotto – che in questo testo del sociologo venezuelano Emiliano Terán Mantovani si possano trovare degli spunti per un’analisi più articolata, che sappia dare il giusto peso alle questioni realmente in campo, che sappia mettere in luce le differenze esistenti tra la sinistra di governo e la destra di opposizione nel Paese, ma che abbia ben chiaro che compito della sinistra e dell’internazionalismo non è difendere o no a prescindere un governo, ma stare sempre, inequivocabilmente, a fianco de los de abajo.

Non crediamo che questo articolo dia delle soluzioni politiche (come potrebbe?) alla crisi venezuelana e delle parole definitive sullo scontro in atto, ma sicuramente propone delle ottime chiavi interpretative. Uscito su alainet.org e ripreso dal giornale messicano Desinformemonos alla fine di aprile, non può dare conto di tutti gli eventi recenti in continua e rapida evoluzione.

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militant

La battaglia di Caracas: il potere popolare e la guerra non convenzionale

di Militant

striscioni venezuelaDa qualche mese l’esercito degli Stati Uniti sta preparando un’inedita esercitazione militare in Brasile, con il pieno appoggio del presidente Michel Temer, subentrato a Dilma Rousseff dopo un golpe istituzionale lo scorso agosto. Con il significativo slogan di “America Unida”, il prossimo novembre le forze armate statunitensi mostreranno i muscoli, e coordineranno unità speciali dell’esercito peruviano e colombiano in territorio brasiliano. L’esercitazione si svolgerà nella città di Tabatinga, non lontano dal confine con la Bolivia (dove lo scorso 17 agosto Evo Morales ha inaugurato la prima scuola militare antimperialista latinoamericana) e a poca distanza dal Venezuela[1]. Dopo la smilitarizzazione delle Farc-Ep in Colombia (la più grande organizzazione guerrigliera nel paese e un possibile alleato della resistenza popolare venezuelana in caso di conflitto militare), gli Stati Uniti approfittano del momento di crisi del blocco progressista latinoamericano per riprendere il controllo militare dell’area. In quest’ottica, il ritorno di governi neoliberisti in paesi come il Brasile e l’Argentina ha infatti riaperto la strada all’utilizzo delle forze armate ufficiali in territorio latinoamericano, che così potranno supportare il lavoro sporco realizzato da attori “non convenzionali” già attivi nello smembramento della resistenza popolare del “continente rebelde” (come le organizzazioni paramilitari e il narcotraffico).

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azioni parallele

«Con dolore e vergogna...». Simone Weil e il problema del colonialismo

di Federica Negri

simone weil«La collettività è più potente dell’individuo
in tutti gli àmbiti, salvo uno solo: il pensare»
(Quaderni, I, circa 1933)

1. Premessa

La consapevolezza di Simone Weil rispetto al problema del colonialismo è immediatamente evidente sin dai primi articoli negli anni Trenta, dai quali cogliamo chiaramente i motivi del suo dissenso e, soprattutto, la grande acutezza con la quale affronta una questione spinosa e difficile.

Il tono dominante di questi scritti è amaramente ironico, un riso sardonico che taglia l’argomento con una lucidità che non lascia spazio ad alcun fraintendimento sul piano logico.

Questi testi, nei quali Simone Weil affronta esplicitamente la questione del colonialismo sono importanti, non assolutamente marginali, perché – come tenterò di dimostrare – sono fortemente connessi a tematiche e discussioni fondamentali nella sua filosofia, come quella sulla natura del diritto o a quella sullo sradicamento1. Vedremo che anche la questione della forza e dell’impossibilità di sottrarsi al meccanismo violento, complicano la questione e rendono le sue argomentazioni drammaticamente problematiche e, quindi, ancora più attuali.

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rivistascienzesoc

La terza guerra mondiale e il fondamentalismo islamico di Domenico Moro

Recensione di Barbara G.V. Lattanzi

La terza guerra mondiale Domenico Moro 689x1024La maggioranza delle posizioni riguardo al fenomeno del jihadismo si può grosso modo dividere in due filoni, che corrispondono pressappoco alle visioni orientalista e occidentalista dei rapporti con il mondo islamico. Alla prima, connotata da un etnocentrismo occidentale, possiamo ascrivere i contributi viziati da una visione vetero-positivista che relega i fenomeni religiosi a elementi residuali incompatibili con un progresso tecnico e sociale in senso democratico. Alla seconda critica appartengono soprattutto le categorie occidentali derivate e influenzate da esigenze economiche e politiche legate all’imperialismo. La maggior parte dei contributi in questo senso è ascrivibile quindi a una di queste due correnti opposte tra loro, entrambe inefficaci sia dal punto di vista epistemologico che da quello della prassi politica. Tali opposte concezioni si collocano infatti entrambe allo stesso livello trivializzante come apologia del sistema globale lacerato dal cosiddetto scontro di civiltà.

Per uscire dall’impasse che impedisce una corretta analisi del fenomeno e del significato dei fatti storici degli ultimi anni è necessario un salto di qualità che permetta una visione ampia del sistema mondiale cogliendone contraddizioni e limiti per definire la funzione delle guerre comprese quelle che chiamiamo “di religione”.

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sinistra

Un esempio di lotta antimperialista

La Repubblica Popolare Democratica di Corea

di Eros Barone

nordcorea kimIl testo che segue è un estratto del discorso che Ernesto Che Guevara tenne il 6 gennaio 1961 alla televisione cubana al rientro da un viaggio della delegazione cubana nei Paesi socialisti. Non risulta che sia stato pubblicato in Italia, sicché la traduzione è stata condotta sul testo pubblicato in rete nel sito dell’Esercito di Liberazione Nazionale colombiano, che mette a disposizione l’opera completa del rivoluzionario argentino.

 «Fra i Paesi socialisti che abbiamo visitato personalmente, la Corea è uno dei più straordinari. Forse è quello che più ci ha impressionato rispetto agli altri. Ha solo 10 milioni di abitanti e l’estensione di Cuba, un po’ meno, circa 110mila kmq; la stessa estensione territoriale della parte sud della Corea, però con la metà degli abitanti. È stata devastata a causa di una guerra così incredibilmente distruttiva che delle sue città non lasciò nulla, e quando uno dice niente è niente; è come i piccoli villaggi che gente come Merob Sosa e Sánchez Mosquera [due capi militari dell’esercito cubano nel periodo della dittatura di Batista] bruciava qui, e dei quali non rimaneva nient’altro che cenere. Così rimase, ad esempio, Pyongyang, che è una città di un milione di abitanti. Oggi non si vede un solo resto di tutta quella distruzione; tutto è nuovo. L’unico ricordo che resta sono, in tutte le strade, i buchi delle bombe che cadevano una dopo l’altra.

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cambiailmondo

Venezuela: Al revés, il mondo al contrario

di Pasqualina Curcio

venezuelaCentotrenta anni fa, dopo aver visitato il paese
delle meraviglie, Alice entrò in uno specchio per
scoprire il mondo a rovescio. Se Alice rinascesse
oggi (e in Venezuela), non ci sarebbe bisogno di
attraversare nessuno specchio; le basterebbe
guardare fuori dalla finestra (
Eduardo Galeano).

1. Il Venezuela è uno dei pochi paesi, se non l’unico, con un regime dittatoriale il cui dittatore esercita la tirannia dopo… aver lasciato l’incarico. Di più: essendo dittatore, organizza un auto-golpe: nel mese di gennaio 2017, l’Assemblea Nazionale, con il voto maggioritario della rappresentanza dell’opposizione al governo nazionale (la maggioranza del Parlamento è in mano all’opposizione dopo le ultime elezioni parlamentarie, ndr) ha deciso che il presidente Nicolás Maduro “aveva abbandonato l’incarico di Presidente”; un mese più tardi, gli stessi rappresentanti deputati convennero che eravamo in presenza di una dittatura guidata dal Presidente della Repubblica (lo stesso che secondo loro aveva lasciato l’incarico un mese prima).

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infoaut2

Sfidare la modernità capitalista

Cosa si è detto alla conferenza di Amburgo

di Infoaut

capitalist modernitySi è conclusa domenica scorsa la terza conferenza internazionale “Challenging Capitalist Modernity” (Sfidare la modernità capitalista) di Amburgo, appuntamento biennale che da sei anni riunisce i militanti del movimento curdo in Europa e quelli delle lotte sociali del vecchio e del nuovo continente. Dopo un saluto inziale del sociologo John Holloway dall’Università di Puebla, in Messico, una lunga serie di interventi ha avuto luogo, tra cui quelli di diverse donne curde e di Down Paley, particolarmente rilevante perchè ha ricordato come anche in America, e in particolare in Messico, sia in corso una guerra di fatto, al punto che il paese è secondo soltanto alla Siria e all’Iraq come numero di casi di morte violenta. Questo a causa di una guerra che il governo dice di condurre contro i “cartelli della droga”, o che i “cartelli della droga” conducono tra di loro, ma che Down ha spiegato essere essenzialmente una guerra contro la popolazione nell’ottica tutta capitalistica di “costruzione della paura” ed eliminazione cinica di un “surplus umano”, costituito dai giovani di una certa origine sociale nel paese.

Debbie Bookchin, figlia del pensatore politico statunitense Murray (uno degli ispiratori del pensiero confederalista di Abdullah Ocalan), ha ricordato le responsabilità occidentali nella strage della popolazione curda e dei suoi combattenti avvenuta tra il 2015 e il 2016 nel Kurdistan turco, a causa del legame tra Turchia e paesi Nato che provoca silenzio mediatico e censura su quegli avvenimenti.

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marx xxi

Il ritorno di Stranamore, e la complicità dei media

di Angelo d'Orsi

Riceviamo dal professor Angelo d'Orsi e volentieri pubblichiamo

Donald Trump riding the BombNo, non voglio prendermela con Donald Trump, e neppure con i suoi dottor Stranamore, pronti a saltare in sella ad ogni bomba lanciata sul nemico di turno; ed egli stesso incarnazione grottesca del personaggio, nella sua versione più volgare. Non voglio cedere al sarcasmo verso quella sinistra che nello scorso novembre espresse giubilo all’elezione del nuovo presidente Usa, qualcuno addirittura spintosi fino a considerarlo una sorta di Lenin americano (abbiamo avuto i “marxisti per Trump”…). Neppure con quegli “esperti” di politica e storia nordamericana che avevano decretato il “ritorno all’isolazionismo”. Gli Stati Uniti, al di là dei cambi di amministrazione, continuano ad essere ciò che da tempo immemorabile ciò che proclamano di essere: essi si sono auto-assegnati il ruolo di giudice-sceriffo, e insieme di bandito che non teme di essere colpito da sanzioni: recitano entrambe le parti, con totale indifferenza e sovrana disinvoltura. Dopo la “caduta del Muro”, venendo meno il contraltare sovietico, hanno accentuato la loro prepotenza e la loro arroganza, mentre l’intero Occidente, ossequiente, esaltava democrazia e libertà, e i governi “alleati”, a partire dalla Gran Bretagna, accompagnavano, plaudenti, ogni loro criminale impresa. Il parziale riequilibrio geopolitico internazionale, verificatosi negli ultimi anni, con il riemergere progressivo della Russia, la crescita, su ogni piano, della Cina, e l’affacciarsi di nuovi attori rilevanti (dall’India all’Iran), non ha per ora messo in crisi l’egemonia statunitense, anche se l’ha notevolmente scalfita e messa in forse.

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eunews

Siria, una guerra “made in USA”

di Thomas Fazi

L’attacco statunitense di venerdì è solo l’ultimo atto di una strategia di destabilizzazione che gli Stati Uniti portano avanti da anni

siria usaQuando si parla di Siria, ci sono due questioni che vengono surrettiziamente legate: la fine del conflitto e la rimozione di Assad. Secondo la narrazione dominante (anche a sinistra), il legame tra le due cose è ovvio: per porre fine al conflitto bisogna rimuovere Assad. Trattasi di una logica curiosa, però, per diversi motivi:

 

1. Assad, come il padre suo predecessore, è riuscito per diversi anni – anche ricorrendo a metodi brutali, è vero, ma lo stesso vale per tutti gli Stati mediorientali, inclusi quelli alleati dell’Occidente – a mantenere la pace (nonché un regime laico e multiconfessionale) in un paese che presenta un tessuto religioso estremamente complesso e frammentato.

 

2. Il conflitto attuale ha origine proprio nella strategia di “regime change” che da almeno quindici anni guida la politica statunitense nei confronti della Siria. Diversi cablogrammi classificati diffusi da WikiLeaks dimostrano che già nel 2006 – dunque ben cinque anni prima dell’insurrezione popolare del 2011 – gli Stati Uniti puntavano a destabilizzare «con ogni mezzo necessario» il regime di Bashar al-Assad.

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analisidifesa

Una cortina di gas per celare la capriola di Trump in Siria?

di Gianandrea Gaiani

Syria Rich 1 1Il gas nervino torna protagonista in Siria e ancora una volta più dei danni provocati sul campo di battaglia o tra i civili pesano gli effetti mediatici e politico-strategici. Da anni le armi chimiche sono diventate uno strumento più utile alle battaglie della propaganda che a quelle campali. Il presidente Barack Obama incautamente ne definì l’impiego da parte del regime di Bashar Assad il “filo rosso”, superato il quale gli Stati Uniti sarebbero intervenuti militarmente contro Damasco.

Dichiarazione che venne messa alla prova nell’agosto 2013 dalla strage di Ghouta, quartiere di Damasco in mano ai ribelli dove un attacco chimico compiuto con razzi provocò un numero di vittime variabile tra qualche centinaio e oltre 1.700, a seconda delle fonti. Basterebbe l’incertezza di questi numeri a evidenziare le difficoltà riscontrate da osservatori indipendenti non solo ad attribuire la paternità di quell’attacco ma anche a verificare il numero di vittime.

La crisi, che vide Usa, Francia e Gran Bretagna pronti a bombardare Damasco, venne risolta dall’intervento di Mosca che si fece garante dello smantellamento dell’arsenale chimico di Bashar Assad poi trasferito nel porto italiano di Gioia Tauro e distrutto a bordo di una nave speciale statunitense sotto l’egida dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac).

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mondocane

La notte dei morti viventi – Il giorno dell'orso dormiente

di Fulvio Grimaldi

stato profondoIl farloccone ignorante e sbruffone eletto a presidente degli USA da un popolo dissanguato dai necrofili che lo hanno governato nell’ultimo quarto di secolo, lo sprovveduto agonizzante sotto i colpi revanscisti degli orchi spodestati, ha dato il suo  colpo di coda. Colpo di un animale sfiancato che prova a sopravvivere superando in ferocia i suoi cacciatori e offrendogli in pasto la vita della Siria e, forse, dell’umanità. Coda subito sorretta, con indomito spirito di inservienti di forca, dal branco di botoli ringhianti europei, perdutamente devoti a chi li tiene alla catena da sempre e che, finalmente, possono tornare a riconoscersi in un padrone che li aveva disorientati sembrando disposto a privarli del piacere della frusta. In ogni caso, colpo di coda che parte da lontano, che il suo titolare lo sapesse o meno. Una roba come il sinistro-destro metro S.Pietroburgo-Tomahawk sulla Siria non la si improvvisa.

Torna in gola e ci strozza il sospiro di sollievo che il mondo aveva tirato all’idea che gli uni contro gli altri armati avrebbero messo insieme quella buona volontà che, dal 1945, gli Usa si erano impegnati a eliminare muovendo guerra dopo guerra, attuando colpo di Stato dopo colpo di Stato, promuovendo dittatore dopo dittatore, innescando destabilizzazione su destabilizzazione, lanciando contro tutto e tutti il maglio incontrastabile del terrorismo.

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manifesto

Un copione consolidato

Tommaso Di Francesco

0091Avvengono secondo un copione consolidato, gli attacchi ordinati da Trump nella notte scorsa sulla base aerea siriana di Khan Sheikhou. Come da modello balcanico – vedi la strage inventata di Racak per l’intervento «umanitario» Nato in Kosovo nel 1999 – e con lo «stile» del governo israeliano del quale ancora non abbiamo smesso di contare le vittime civili per i suoi attacchi aerei su Gaza nel 2009.

I 59 missili Tomawak lanciati sulla Siria rompono l’ equilibrio di una saga immaginifica. Perché è tornata l’America, anzi questa è l’America. A smentire il povero Alan Friedman che dovrà scrivere almeno un altro libro.

Perché la davano per persa, l’America. Con un Trump descritto come filo-Putin, quindi addirittura anti-Nato, naturalmente tenendo fissa la barra degli interessi strategici verso Israele e l’Arabia saudita; ma deciso nella lotta contro l’Isis.

Invece con un dietrofront repentino, a pochi giorni dalla dichiarazione rilasciata all’Onu dalla rappresentante Haley che «la fuoriuscita di Assad non è più la priorità», subito dopo la strage di Khan Sheikhou ha ripreso la rotta che già fu di Bush per l’Iraq del 2003: ha autorizzato il capo del Pentagono «cane pazzo» Mattis all’azione di guerra. Senza il parere dell’Onu e del Congresso Usa, con il veto russo alla condanna unilaterale di Assad, e di fronte alla richiesta di una indagine internazionale indipendente.

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contropiano2

“Non c’è alcuna vera guerra al terrorismo islamico da parte di Usa e Ue”

di Redazione Radio Città Aperta

Stavolta gli Usa hanno attaccato la Siria. Ne parliamo con Fulvio Scaglione, giornalista, da anni vicedirettore di Famiglia Cristiana.

170316202633 donald trump mohammad bin salman of saudi arabia exlarge 169 720x300Buongiorno Fulvio, grazie per essere con noi.

Grazie a voi, buongiorno a tutti.

 

Ci siamo svegliati questa mattina con l'attacco, con i 59 missili statunitensi lanciati sulla Siria e quindi con una guerra che è un po' più vicina ancora?

No, io non credo che questo sia il prologo di una terza guerra mondiale, come molti dicono e anche con qualche legittima preoccupazione. Penso invece che sia l'ennesima recita, l'ennesima messa in scena di questa guerra che da sei anni; oltre ad essere un grottesco incredibile massacro, è anche una rappresentazione. Io credo che i russi fossero avvisati di questa operazione americana, che è un'operazione molto mirata, condotta per fare, in realtà, il minimo dei danni e per non dare l'idea che si tratti di una rappresaglia indiscriminata. Credo che questa operazione non sia stata varata da Trump per le ragioni dichiarate.