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La questione palestinese tra multipolarismo e decolonizzazione

di Nico Maccentelli

391726842 2396991384023898 7884086514140590990 n.jpgPiaccia o no ai nostri commentatori, veri aedi del suprematismo occidentale, gli eventi di questi giorni in Palestina collocano il conflitto israelo-palestinese dentro le dinamiche internazionali odierne. Le misure fasciste prese da Macron in Francia, che vietano le manifestazioni pro Palestina, punibili con l’arresto, dimostrano che le classi governanti atlantiste stanno comprendendo che il declino dell’impero americano davanti alle potenze emergenti in Asia e a modelli economico-sociali alternativi come in America latina, nel contesto dell’affermazione dei BRICS e dei processi di decolonizzazione come in Burkina Faso, Mali e Niger, ha forti ricadute in tutta la catena imperialista.

Piaccia o no a lor signori, e al netto di fatti specifici accaduti o esagerati o addirittura inventati nell’attacco della Resistenza palestinese nel Diluvio di Al Aqsa, Hamas e le organizzazioni di Resistenza rappresentano le aspirazioni alla liberazione dal colonialismo di insediamento razzista, suprematista e nazista del regime sionista, spacciato per “democratico” dai media occidentali e dagli agenti sionisti in Occidente. Una democrazia infatti è tale se tutta la popolazione che vive in un medesimo territorio ha i medesimi diritti, servizi e possibilità nella vita quotidiana e politica di un dato paese. Ma sappiamo bene che gli arabi non ce l’hanno né in Israele, né in quel simulacro di autorità palestinese che negli anni ha esercitato solo il compito di collaborazionista con i sionisti.

E proprio questo è il nodo della questione palestinese. L’esperienza di tre Intifade (1987, 2000 e 2015), del fallimento degli accordi di Oslo del 1993, lo sprezzante rifiuto di ottemperare alle risoluzioni ONU (1) e il conseguente stillicidio dell’oppressione su un intero popolo, hanno portato all’unica soluzione oggi possibile in quel contesto.

Non ci sono altre strade che la lotta armata per mettere Israele davanti alle sue responsabilità. Se Israele diverrà un posto invivibile e costantemente insicuro per una popolazione in prevalenza tenuta nell’ignavia e nelle credenze religiose a giustificazione dell’orrore colonialista, una trattativa seria e definitiva a rapporti di forza mutati sarà allora possibile. Del resto la lotta armata è riconosciuta come legittima dall’Assemblea Generale ONU stesso, adottata nella 90a plenaria del 3 dicembre 1982 riconoscendo

“… la legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dal dominio e dall’occupazione coloniale e straniera con tutti i mezzi disponibili, compresa la lotta armata”.

Non c’è che dire riguardo la vergognosa propaganda filo-sionista dei media di regime e dei maggiori partiti in una vulgata bipartisan, fatta di bandiere con la stella di David proiettate sui palazzi istituzionali. Eppure c’era più dignità di una politica estera attiva e su alcune questioni autonoma dal blocco USA negli anni della Prima Repubblica. Queste per esempio le posizioni di Craxi nel 1985, allora primo ministro al Parlamento.

E questa un’ottima analisi comparativa sulla dignità di allora e la vergogna servile di oggi.

Ovviamente, da un punto di vista politico antimperialista, questa posizione del tutto onorevole quanto diplomatica non basta. La legittimità della Resistenza armata in Palestina si pone e si è posta come opzione di una lotta di popolo strategica fondamentale per incidere sui rapporti di forza con Israele.

Quello che possiamo fare noi è manifestare per la Palestina e mi auguro che anche le piazze italiane si riempiano di sodali.

Detto questo, ogni manifestazione anche solo pacifista e diritto umanitaria ovviamente va in questa direzione.

Tuttavia, per esercitare il ruolo di alternativa politica anticapitalista e antimperialista, tutto questo non basta. Ricostruire un’opposizione anticapitalista nei paesi a capitalismo avanzato e in particolare nel nostro, significa cogliere le dinamiche internazionali che ho prima sintetizzato all’inizio di questo articolo. Secondo la massima del bastonare il cane che affoga, va preso atto che il blocco atlantista a dominanza USA, con la messa in mora della dollarizzazione, il fallimento della guerra in Ucraina e le pressioni politiche che i paesi emergenti portano avanti in più quadranti del pianeta, occorre recuperare quella visione che ha animato i movimenti di lotta operai e studenteschi degli anni ’60 e ’70, del periodo del VietNam tanto per capirci: l’imperialismo va combattuto in casa e a sostegno dei processi attuali di decolonizzazione. Processi che non beneficiano più di un blocco socialista come un tempo, ma che trovano solide sponde nell’azione cinese e della Russia.

Un’apertura al sostegno del multipolarismo in questa ottica si rende necessario, anche se questo comporta uno scontro frontale e una prevedibile repressione da parte dei regimi capitalistici nei paesi a dominanza USA.

Ormai si sa che le operazioni di mostrificazione degli avversari globali e dei singoli paesi e movimenti esterni e interni sono all’ordine del giorno e segnano ogni passaggio politico: no vax, putiniani e la solita manfrina dell’antisemitismo e della collusione con il terrorismo. E purtroppo l’opposizione nostrana in questi ultimi decenni si è caratterizzata per seguire le narrazioni del mainstream, ponendo una pletora di dissociazioni che le rendeva accettabili al regime stesso. Si è arrivati con manifesti come quello del Brancaccio di qualche anno fa di Montanari e Falcone e l’odierno accrocchio elettoralistico di Santoro oggi, a espungere dal discorso pacifista o giustizialista sociale qualsiasi nemico concreto, preferendo un nemico astratto, concettuale, come l’ingiustizia, la guerra, la fame.

L’operazione che va fatta è invece quella di emersione delle posizioni politiche, per tagliare le catene che legano le opposizioni al sistema politico e mediatico generale.

La questione palestinese si colloca molto più direttamente rispetto a quella del Donbass (cancellata, rimossa dal mainstream con il solito criterio menzognero del prendere l’ultimo frame della vicenda), nella questione delle decolonizzazioni e nel conflitto internazionale tra unipolarismo atlantista, ossia tra imperialismo e multipolarismo, quest’ultimo con l’insieme dei paesi del sud del mondo.

A chi si pone su un piano anche diplomatico, di forza che interviene dall’opposizione per proporre soluzioni, non può non considerare tutta l’azione diplomatica cinese nel ridefinire un nuovo assetto di relazioni in Medio Oriente, come il successo della pace tra Arabia Saudita e Iran, il reintegro della Siria nella Lega Araba, processo che la Resistenza Palestinese con la sua offensiva ha suggellati facendo fallire il trumpiano accordo di Abramo. Non può non considerare il ruolo della Federazione Russa nello spingere per la soluzione dei due popoli e due stati (Lavrov).

Un fronte di opposizione non può limitarsi a reclamare genericamente la pace, ma deve entrare in queste dinamiche politiche comprendendo che a posizioni diverse per soggetti diversi, dalla Resistenza Palestinese alle potenze che spodestano gli USA nell’area, tutto converge per una soluzione ragionevole di quel conflitto e nel contempo crea le condizioni per un cambio di passo nei rapporti internazionali, passando dalla rapina colonialista all’autodeterminazione dei popoli. Un nuovo mondo che affiora e che non sarà certo rose e fiori e privo di contraddizione, ma entro il quale le forze del socialismo possono meglio agire per affermare le transizioni alla fine dello sfruttamento e dell’oppressione di classe.

Un movimento d’opposizione alla guerra dunque, non può esimersi dall’avere ben riconoscibile un nemico e una linea strategica per combatterlo. Non può esimersi dall’essere anticapitalista, anticolonialista e di sostegno ai processi politici internazionali che procedono verso il declino dell’impero atlantista a dominanza USA e all’affermazione del multipolarismo e delle sovranità popolari e nazionali dei popoli.


NOTE:
1. Queste sono tutte le risoluzioni ONU calpestate da Israele dal 1947 a oggi:
– Assemblea Generale risoluzione 194 (1947): profughi palestinesi hanno il diritto di tornare alle loro case in Israele;
– Risoluzione 106 (1955): Condanna Israele per l’attacco a Gaza;
– Risoluzione 111 (1956): condanna Israele per l’attacco alla Siria, che ha ucciso cinquanta-sei persone;
– Risoluzione 127 (1958): raccomanda a Israele di sospendere la sua zona “no man” (di nessuno) a Gerusalemme;
– Risoluzione 162 (1961): chiede a Israele di rispettare le decisioni delle Nazioni Unite;
– Risoluzione 171 (1962): indica brutali violazioni del diritto internazionale da parte di Israele nel suo attacco alla Siria;
– Risoluzione 228 (1966): censura Israele per il suo attacco a Samu in Cisgiordania, allora sotto il controllo giordano;
– Risoluzione 237 (1967): chiede con urgenza a Israele di consentire il ritorno dei profughi palestinesi;
– Risoluzione 242 (1967): l’occupazione israeliana della Palestina è illegale;
– Risoluzione 248 (1968): condanna Israele per il suo attacco massiccio su Karameh in Giordania;
– Risoluzione 250 (1968): chiede a Israele di astenersi dal dispiegamento militare (parata) a Gerusalemme;
– Risoluzione 251 (1968): deplora profondamente il dispiegamento militare (parata) israeliano a Gerusalemme, in spregio della risoluzione 250;
– Risoluzione 252 (1968): dichiara nulli gli atti di Israele volti a unificare Gerusalemme come capitale ebraica;
– Risoluzione 256 (1968): condanna del raid israeliano sulla Giordania e delle palesi violazioni del diritto internazionale;
– Risoluzione 259 (1968): deplora il rifiuto di Israele di accettare la missione delle Nazioni Unite per valutare l’occupazione dei territori;
– Risoluzione 262 (1968): condanna Israele per l’attacco sull’aeroporto di Beirut;
– Risoluzione 265 (1969): condanna Israele per gli attacchi aerei di Salt in Giordania;
– Risoluzione 267 (1969): censura Israele per gli atti amministrativi atti a modificare lo status di Gerusalemme;
– Risoluzione 270 (1969): condanna Israele per gli attacchi aerei sui villaggi nel sud del Libano;
– Risoluzione 271 (1969): condanna Israele per la mancata esecuzione delle risoluzioni delle Nazioni Unite su Gerusalemme;
– Risoluzione 279 (1970): chiede il ritiro delle forze israeliane dal Libano;
– Risoluzione 280 (1970): condanna gli attacchi israeliani contro il Libano;
- Risoluzione 285 (1970): richiesta dell’immediato ritiro israeliano dal Libano;
– Risoluzione 298 (1971): deplora il cambiamento dello status di Gerusalemme ad opera di Israele;
– Risoluzione 313 (1972): chiede a Israele di fermare gli attacchi contro il Libano;
– Risoluzione 316 (1972): condanna Israele per i ripetuti attacchi sul Libano;
– Risoluzione 317 (1972): deplora il rifiuto di Israele di ritirarsi dagli attacchi;
– Risoluzione 332 (1973): condanna di Israele ripetuti attacchi contro il Libano;
– Risoluzione 337 (1973): condanna Israele per aver violato la sovranità del Libano;
– Risoluzione 347 (1974): condanna gli attacchi israeliani sul Libano;
– Assemblea Generale risoluzione 3236 (1974): sancisce i diritti inalienabili del popolo palestinese in Palestina all’autodeterminazione senza interferenze esterne, all’indipendenza e alla sovranità nazionale;
– Risoluzione 425 (1978): chiede a Israele di ritirare le sue forze dal Libano;
– Risoluzione 427 (1978): chiede a Israele di completare il suo ritiro dal Libano;
– Risoluzione 444 (1979): si rammarica della mancanza di cooperazione con le forze di pace delle Nazioni Unite da parte di Israele;
– Risoluzione 446 (1979): stabilisce che gli insediamenti israeliani sono un grave ostacolo per la pace e chiede a Israele di rispettare la Quarta Convenzione di Ginevra;
– Risoluzione 450 (1979): chiede a Israele di smettere di attaccare il Libano;
– Risoluzione 452 (1979): chiede a Israele di cessare la costruzione di insediamenti nei territori occupati;
– Risoluzione 465 (1980): deplora gli insediamenti di Israele e chiede a tutti gli Stati membri di non dare assistenza agli insediamenti in programma;
– Risoluzione 467 (1980): deplora vivamente l’intervento militare di Israele in Libano;
– Risoluzione 468 (1980): chiede a Israele di annullare le espulsioni illegali di due sindaci palestinesi e di un giudice, e di facilitare il loro rientro;
– Risoluzione 469 (1980): deplora vivamente la mancata osservanza da parte di Israele dell’ordine del Consiglio di non deportare i palestinesi;
– Risoluzione 471 (1980): esprime profonda preoccupazione per il mancato rispetto della Quarta Convenzione di Ginevra da parte di Israele;
– Risoluzione 476 (1980): ribadisce che la richiesta di Gerusalemme da parte di Israele è nulla;
– Risoluzione 478 (1980): censura Israele, nei termini più energici, per la sua pretesa di porre Gerusalemme sotto la propria legge fondamentale;
– Risoluzione 484 (1980): dichiara imperativamente che Israele rilasci i due sindaci palestinesi deportati;
– Risoluzione 487 (1981): condanna con forza Israele per il suo attacco contro l’impianto per la produzione di energia nucleare in Iraq;
– Risoluzione 497 (1981): dichiara che l’annessione israeliana del Golan siriano è nulla e chiede che Israele revochi immediatamente la sua decisione;
– Risoluzione 498 (1981): chiede a Israele di ritirarsi dal Libano;
– Risoluzione 501 (1982): chiede a Israele di fermare gli attacchi contro il Libano e di ritirare le sue truppe;
– Risoluzione 509 (1982): chiede ad Israele di ritirare immediatamente e incondizionatamente le sue forze dal Libano;
– Risoluzione 515 (1982): chiede ad Israele di allentare l’assedio di Beirut e di consentire l’ingresso di approvvigionamenti alimentari;
– Risoluzione 517 (1982): censura Israele per non obbedire alle risoluzioni ONU e gli chiede di ritirare le sue forze dal Libano;
– Risoluzione 518 (1982): chiede che Israele cooperi pienamente con le forze delle Nazioni Unite in Libano;
– Risoluzione 520 (1982): condanna l’attacco di Israele a Beirut Ovest;
– Risoluzione 573 (1985): condanna vigorosamente Israele per i bombardamenti in Tunisia durante l’attacco alla sede dell’OLP;
– Risoluzione 587 (1986): prende atto della precedente richiesta a Israele di ritirare le sue forze dal Libano ed esorta tutte le parti a ritirarsi;
– Risoluzione 592 (1986): deplora vivamente l’uccisione di studenti palestinesi all’università di Bir Zeit ad opera di truppe israeliane;
– Risoluzione 605 (1987): deplora vivamente le politiche e le prassi israeliane che negano i diritti umani dei palestinesi;
– Risoluzione 607 (1988): chiede ad Israele di non espellere i palestinesi e di rispettare la Quarta Convenzione di Ginevra;
– Risoluzione 608 (1988): si rammarica profondamente del fatto che Israele ha sfidato le Nazioni Unite e deportato civili palestinesi;
– Risoluzione 636 (1989): si rammarica profondamente della deportazione di civili palestinesi ad opera di Israele;
– Risoluzione 641 (1989): continua a deplorare la deportazione israeliana dei palestinesi;
– Risoluzione 672 (1990): condanna Israele per le violenze contro i Palestinesi a Haram Al-Sharif/Temple Monte;
– Risoluzione 673 (1990): deplora il rifiuto israeliano a cooperare con le Nazioni Unite;
– Risoluzione 681 (1990): deplora la ripresa israeliana della deportazione dei palestinesi;
– Risoluzione 694 (1991): si rammarica della deportazione dei palestinesi e chiede ad Israele di garantire la loro sicurezza e il ritorno immediato;
– Risoluzione 726 (1992): condanna fermamente la deportazione dei palestinesi ad opera di Israele;
– Risoluzione 799 (1992): condanna fermamente la deportazione di 413 palestinesi e chiede ad Israele il loro immediato ritorno;
– Risoluzione 1397 (2002): afferma una visione di una regione in cui due Stati, Israele e Palestina, vivono fianco a fianco all’interno di frontiere sicure e riconosciute;
– Risoluzione dell’Assemblea generale ES-10/15 (2004): dichiara che il muro costruito all’interno dei territori occupati è contrario al diritto internazionale e chiede a Israele di demolirlo.

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