Lotta di classe, repressione statale e violenza padronale
di Eros Barone
[…] Ai nostri padroni, chiunque siano, / piace tanto la nostra discordia, / e finché ci disuniranno / resteranno i nostri padroni. / Avanti senza dimenticare / di che è fatta la nostra forza! / Che si mangi o che si abbia fame, / avanti senza dimenticare: la solidarietà! [...]
Bertolt Brecht – Hanns Heisler, Canto della solidarietà.
1. I fatti, il potere e il diritto
La premessa da cui occorre partire è che vi è un riemergere del conflitto capitale-lavoro e di reazioni ad esso cui non eravamo più abituati dagli anni Sessanta del secolo scorso. Questo è il messaggio che ci invia la morte di Adil Belakhdim, un giovane e combattivo sindacalista del S.I. Cobas assassinato da un autista crumiro nel corso di un picchetto svoltosi davanti al magazzino della Lidl di Biandrate: ultimo anello, per ora, di una catena sanguinosa di azioni aggressive e repressive poste in essere dallo Stato e dai padroni contro le lotte dei lavoratori del settore della logistica. 1
Gli analisti ci dicono, dal canto loro, che la democrazia liberale borghese e lo stesso Stato costituzionale di diritto, sorti dalle ceneri della seconda guerra mondiale, stanno vivendo una crisi profonda, probabilmente irreversibile, determinata da più fattori: la globalizzazione imperialista, i mutamenti della tecnologia, la trasformazione securitaria dei rapporti sociali, i flussi migratori, l’impoverimento di massa e i nazionalismi. Sennonché questo tema cruciale – la crisi della democrazia liberale borghese – non è stato finora affrontato in maniera e in misura adeguate, come dimostra l’oscillazione interpretativa tra la categoria della ‘democrazia autoritaria’ (un ossimoro meramente descrittivo e scarsamente esplicativo) e la categoria della fascistizzazione (un approccio che tiene maggiormente conto delle trasformazioni economico-sociali, politico-istituzionali e ideologico-culturali in corso).
L’atteggiamento delle istituzioni e degli apparati repressivi va quindi assunto come il termometro più sensibile per misurare, dal punto di vista della prevenzione, repressione e neutralizzazione dei conflitti sociali, la temperatura crescente dei processi di riorganizzazione ed intervento dello Stato borghese sia a livello nazionale che a livello europeo. Nella panoplia dei dispositivi allestiti dalla legislazione governativa a questo scopo spiccano quindi, in primo luogo, i Decreti sulla sicurezza emanati dall’ex ministro dell’Interno, il leghista Salvini, non aboliti né ridimensionati dal governo Draghi e dalla Lamorgese, attuale ministro dell’Interno. Tali decreti sono contraddistinti, fra le altre cose, dalla riscoperta del picchetto non violento e del blocco stradale come reati.
2. Il ruolo dell’Unione europea e il cambiamento di paradigma
Un secondo dato di fatto è quello costituito dal ruolo dell’Unione europea rispetto al diritto di sciopero. Il punto di riferimento è, in questo caso, quello che si ricava dall’articolo 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che recita quanto segue: «I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno… il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero». 2
Contestualmente, la Carta prescrive che il diritto di sciopero sia esercitato in modo compatibile con “la libertà di stabilimento, di circolazione e di prestazione del servizio”, laddove questi diritti non sono pariordinati ma sovraordinati al diritto di sciopero. 3 Questi dati si inscrivono dunque in una dinamica involutiva e recessiva delle tutele sindacali che, a partire dagli anni Ottanta, ha sempre più caratterizzato il sistema giuridico delle relazioni tra il capitale e il lavoro salariato.
I dati di fatto, testé ricordati, sono infatti due campane che suonano a morto presso la Corte di giustizia europea, poiché corrispondono a due sentenze – la Laval e la Viking – che nel 2007 hanno stabilito: a) che «l’azione collettiva può essere esercitata solo se l’obiettivo è legittimo»; b) che tale azione deve rispettare un «principio di proporzionalità nel rapporto sciopero-obiettivo». 4 Così, se mediante il concetto di ‘legittimità’ viene introdotto un sindacato dell’autorità giudiziaria, ossia, come si è rilevato in precedenza, una valutazione di conformità dello sciopero ad un modello precostituito, mediante il cosiddetto principio di ‘proporzionalità’ si stabilisce perfino un’ulteriore valutazione sulla coerenza tra le modalità dell’azione sindacale e i valori che informano l’ordinamento dell’Unione europea.
Ma qual è stato il ‘turning point’ dei processi di riorganizzazione e di intervento dello Stato borghese, che sono stati poc’anzi richiamati? Esso va individuato nello sciopero dei lavoratori della logistica a Piacenza e nell’intervento della polizia avvenuto nei mesi scorsi in séguito alla duplice segnalazione della Cgil e dell’azienda Fedex-TNT. Orbene, in questa ennesima vertenza del settore della logistica emergono, oltre al ruolo miserabile della organizzazione locale del maggior sindacato confederale, due aspetti qualitativamente nuovi: i) la durezza della repressione poliziesca; ii) il ruolo inedito della repressione giudiziaria, poiché i giudici sono autorizzati a valutare la giustezza degli obiettivi e delle modalità di azione del sindacato. Se il primo aspetto segnala quella che abbiamo definito come crescita della temperatura nei processi di riorganizzazione e intervento dello Stato borghese, il secondo aspetto rovescia un caposaldo cui si è sempre attenuta la Corte costituzionale nelle sue sentenze sui conflitti di lavoro, ossia che l’apriori è rappresentato dalla dinamica sociale nel suo autonomo manifestarsi e la categoria giuridica da applicare ha un valore eminentemente regolativo e sanzionatorio a posteriori. A questa concezione e pratica giuslavoristica si contrappone ora una concezione ed una pratica alternativa, di carattere preventivo e limitativo, per cui l’Unione europea e la relativa Corte di giustizia dànno per scontato che l’unica finalità dello sciopero è il rinnovo del contratto collettivo di lavoro e che, al di fuori di essa, sono da considerare illegittimi lo sciopero di solidarietà, lo sciopero di protesta e lo sciopero di imposizione economico-politica. 5
Ma vi è un altro dato concernente il ruolo dei padroni della logistica, che ricorda quello degli agrari di un secolo fa: l’intervento dei “mazzieri” – oggi denominati con eufemistico anglicismo ‘bodyguard’ – contro i lavoratori in sciopero, questa volta in nome (non dell’ideologia fascista ma) dell’ideologia del “libero mercato”, come è accaduto a San Giuliano Milanese, a Tavazzano e a Prato. Il cambiamento di paradigma diviene infine evidente con i fatti di Piacenza e la relativa criminalizzazione dei picchettaggi ad opera della repressione giudiziaria: una dimensione che può sembrare riduttiva, ma che permette di illuminare le strategie repressive messe in campo contro i lavoratori immigrati, che rappresentano una frazione importante e combattiva della composizione di classe operaia. Non che tali strategie siano del tutto nuove, poiché è ancora ben vivo il ricordo della gragnuola di multe che si abbatté sui tranvieri genovesi che erano stati protagonisti di cinque giorni di sciopero contro la privatizzazione del trasporto pubblico nel 2013. Ed ecco quindi affacciarsi una riedizione aggiornata dell’epoca delle multe di leniniana memoria attraverso una combinazione, diretta specificamente contro i lavoratori immigrati, di misure preventive del tutto discrezionali, quali i fogli di via e la sorveglianza speciale, il cui obiettivo è quello di neutralizzare i conflitti nei rispettivi territori. 6
3. Quale solidarietà?
Un elemento essenziale per definire la solidarietà di cui oggi ha bisogno il movimento di classe consiste nel concepire il lavoro della solidarietà (a partire dalla difesa legale per giungere alle molteplici forme di articolazione del “soccorso rosso” in corrispondenza con le esigenze antirepressive delle diverse soggettività antagoniste) non come fine a se stesso, ma come “parte di un tutto”, quindi come forma di continuazione e sviluppo della lotta di classe (in questo senso solidarietà proletaria e militanza comunista rivoluzionaria si identificano). Questo però non significa svalutare la solidarietà nel suo significato più ampio, data l’importanza che essa riveste nei diversi fronti di lotta e nelle diverse situazioni sociali (si pensi alla manifestazione nazionale del 19 giugno contro i licenziamenti e la precarietà, che si è svolta a Roma e che ha fatto immediatamente séguito allo sciopero nazionale della logistica in cui ha perso la vita il compagno sindacalista). Questo genere di solidarietà è prezioso perché costituisce un primo e basilare livello di risposta alla disgregazione e alla concorrenza tra la forza-lavoro, alimentate sistematicamente dalla borghesia.
Vi è poi un ulteriore livello della solidarietà proletaria che trova la sua espressione come “lotta per il riconoscimento”, aspetto fondamentale della lotta di classe che dal terreno delle condizioni di vendita della forza-lavoro si proietta verso l’autonomia e, in prospettiva, verso l’egemonia. 7 Coniugare questi due livelli della solidarietà e renderli convergenti è il compito dei militanti comunisti sul terreno della lotta rivoluzionaria, contro e ben oltre la tendenza al vittimismo o all’innocentismo, che invoca dalla borghesia il rispetto delle sue leggi e la rinuncia, da parte dello Stato imperialista, alla strategia della controrivoluzione preventiva. Occorre allora essere coscienti che la repressione è un elemento imprescindibile dello scontro di classe e che essa, partendo dai livelli più bassi, è parte integrante delle tattiche diffuse di intimidazione poste in atto dalle forze reazionarie nei confronti di chiunque sia impegnato nel diritto al dissenso o nella difesa dei diritti umani. 8
4. Il significato di una categoria interpretativa: la fascistizzazione
Quando si trae dai dati di fatto che abbiamo passato in rassegna la conclusione che nella nostra società sia in corso un processo di fascistizzazione, si deve prestare attenzione a non incorrere in due distinti errori. Il primo errore è quello di limitare tale considerazione agli aspetti fenomenologici: una tendenza, questa, non a caso e significativamente incoraggiata dal Partito Democratico, intento ormai da tempo in un'opera di sfruttamento dell'immaginario antifascista tanto vacua quanto ipocrita, tutta fondata sulla rimozione, precedentemente portata avanti con successo dallo stesso centrosinistra per oltre vent'anni, della consapevolezza delle radici di classe del fascismo e dell'antifascismo e quindi del contenuto di trasformazione radicale dell'ordinamento sociale che quest'ultimo, se sincero e conseguente, assume in tutto il mondo ma particolarmente in Italia. Il secondo errore è invece quello di ricercare negli avvenimenti attuali le caratteristiche del processo che condusse storicamente all'avvento del fascismo, limitandosi però ad accostamenti tra le caratteristiche esteriori dei due fenomeni che, evidentemente, sono solo in parte coincidenti. 9
Se confrontiamo la situazione della prima metà del XX secolo con l'attuale, salta immediatamente all'occhio il tratto comune costituito dalla crisi strutturale del capitalismo. Il secondo elemento, però, e cioè un'alternativa rivoluzionaria minacciosa, è sostanzialmente assente. La crisi del capitalismo si colloca infatti nel contesto prodotto da un altro evento epocale, di segno opposto a quello rappresentato dalla Rivoluzione d’Ottobre: la caduta del Muro di Berlino e la fine del blocco socialista, cioè la vittoria della controrivoluzione.
Questa particolare condizione, in cui il vecchio sta morendo ma il nuovo non è nemmeno in gestazione 10 per assenza di antagonismo politico organizzato e con finalità rivoluzionarie, produce il fenomeno della “putrefazione dei processi storici” di cui la fascistizzazione delle relazioni sociali è il frutto. Pertanto dai due elementi analizzati - crisi strutturale del capitalismo e assenza di antagonismo organizzato -, uno convergente e uno radicalmente divergente rispetto al terreno di coltura che produsse storicamente il fascismo, si ricava una prima conclusione: l'unica minaccia immediata che incombe sul capitalismo contemporaneo sono i suoi stessi limiti strutturali e le conseguenze che il loro manifestarsi comporta. Un fenomeno autoritario, nella metropoli imperialista del nostro tempo, necessariamente erediterà la lezione del fascismo storico ma non la riprodurrà, nei suoi aspetti apertamente dittatoriali, se non in presenza dell'emersione di una soggettività politica capace di contendere il potere alla borghesia e di minacciarne il dominio.
Casi quali quello dell'Ungheria di Orbán, della Polonia, dei paesi baltici e dell’Ucraina offrono già le prove provate di come il genere di autoritarismo di cui necessita oggi il capitalismo non abbia bisogno di mettere in discussione apertamente caratteristiche abituali della "democrazia liberale" quali il multipartitismo. Occorre allora sottolineare che il fenomeno della fascistizzazione non si realizzerà, nella metropoli imperialista contemporanea, se non entro i confini dettati dalla compatibilità tra regimi politici nazionali e controllo economico e burocratico da parte delle istituzioni transnazionali. In assenza di un antagonismo politico e sociale soggettivamente organizzato, dunque, la borghesia è libera di perseguire i propri interessi e di fornire alla crisi economica la propria risposta, che nella fase storica che attraversiamo si riassume essenzialmente nella distruzione delle forze produttive e nell'accelerazione del processo di concentrazione e centralizzazione del capitale.
Sul piano politico, la fascistizzazione trova il suo corrispettivo nella trasformazione della Lega in un partito marcatamente autoritario a vocazione nazionale, ma attentissimo a offrire le dovute garanzie alle oligarchie finanziarie e alle istituzioni sovrannazionali pubbliche e private, La Lega ha riscosso infatti un crescente consenso negli strati popolari con una propaganda anti-sistema, pur rappresentando specifici settori capitalistici. Essa ha utilizzato inoltre il tema dell’immigrazione come strumento di costruzione di un legame etnocentrico, alimentando il nazionalismo con una strategia perfettamente riconducibile agli interessi di quei settori delle imprese italiane maggiormente penalizzati dal mercato unico europeo. Infine, ha monopolizzato il tema della sicurezza non solo per introdurre una ulteriore stretta repressiva sulle lotte sociali e sugli scioperi, ma soprattutto per sacralizzare, sul piano pratico e ideologico, la proprietà privata (e questa è la ragione principale per cui, orbitando anch’essi all’interno di questa decisiva sfera ideologica e dei relativi interessi economici, i partiti ‘di sinistra’ sono stati, sono e saranno del tutto incapaci di rappresentare un’alternativa alla Lega).
Per quanto riguarda taluni settori, anche rilevanti, del capitalismo italiano (energia, metallurgia, meccanica, grande distribuzione ecc.), questi settori hanno scelto di appoggiare la Lega e, in misura crescente, il partito neofascista Fratelli d’Italia, in quanto hanno bisogno della politica ultrareazionaria e di scissione sistematica del proletariato, perseguita da tali forze, per cercare di frenare l’inesorabile declino dell’imperialismo italiano e conservare i rapporti sociali esistenti, per intensificare lo sfruttamento e ridurre ulteriormente salari, diritti e spese sociali, per sopprimere le libertà democratiche degli operai, intimidire e attaccare le organizzazioni di classe e le forme di lotta più decise, impedendo, in coerenza con l’imperativo della controrivoluzione preventiva, che la ribellione proletaria e popolare si diriga contro le basi del sistema di sfruttamento.
Tralasciamo qui il caso penoso di un ‘partito-marmellata’ quale è il Movimento 5 Stelle, coacervo interclassista, più qualunquista che populista, espressione di un generico malcontento verso la cosiddetta “casta” dei politici, di cui ben presto ha finito col fare le spese a parti invertite, come accadde al suo omologo storico, il Fronte dell’Uomo Qualunque, fra la metà degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso. Pur presentandosi come forza di rottura col sistema, il Movimento 5 Stelle ha dimostrato infatti di essere totalmente incapace di condurre una lotta organizzata contro il regime borghese e perciò non è stato in grado di risolvere nessuno dei fondamentali problemi economici, sociali e politici del paese, cosicché dopo l’esperienza compiuta alla direzione o all’interno degli ultimi governi borghesi la sua intrinseca natura trasformista l’ha portato inevitabilmente a disintegrarsi diventando, nel migliore dei casi, il serbatoio di un nuovo, anche se scadente, personale di servizio per l’oligarchia finanziaria.
Tutt’altro che da tralasciare è invece il caso del partito neofascista Fratelli d’Italia, la cui crescita si sviluppa a ritmo esponenziale in corrispondenza con il ciclo reazionario che è proprio del nostro paese, in cui gioca un ruolo importante non solo il declassamento di vasti strati della piccola borghesia tradizionale, ma anche l’orientamento sempre più duramente antioperaio e brutalmente repressivo di nuovi strati della media e della grande borghesia: un ciclo reazionario che, in nome della progressiva limitazione dei diritti economici e sociali della classe operaia e all’insegna della equiparazione tra fascismo e comunismo, si dispiega anche e soprattutto a livello europeo.
5. L’intreccio perverso tra la ‘democratizzazione’ e la fascistizzazione
Da un punto di vista più ampio, è opportuno ed illuminante aggiungere che la fascistizzazione si configura anche come il contraccolpo generato da un altro processo: la ‘democratizzazione’ della proprietà privata. Non per nulla, dalla Thatcher in poi, in Europa la diffusione del neoliberismo è stata declinata come un grande progetto volto ad estendere a tutte le classi sociali l’accesso alla proprietà privata e a tutti gli àmbiti della vita la logica patrimoniale: la ‘democratizzazione’ della proprietà privata è stata quindi, nel contempo, un mezzo potente per imborghesire il corpo sociale e una strategia con cui i neoliberisti hanno compensato la progressiva distruzione di un’altra forma di proprietà – quella sociale – incarnata, in qualche misura, dai moderni sistemi di ‘welfare’.
Questa particolare angolazione analitica permette di radiografare meglio quel vasto settore della composizione sociale della fascistizzazione, il cui protagonista non è affatto l’‘escluso’ o il ‘penultimo’, bensì una sorta di ‘sotto-borghesia’ costituita da quei ceti che si sono arricchiti negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso grazie al cosiddetto “capitalismo molecolare” e sono poi rimasti esclusi dalla nuova accumulazione di ricchezza seguita alla crisi del 2007-2008. In Italia, per citare un caso paradigmatico, le modificazioni che hanno contrassegnato la funzione e il ruolo della Lega hanno corrisposto ai mutamenti intervenuti nel suo discorso politico e sociale con una tale fedeltà e simultaneità che si possono, da questo punto di vista, considerare esemplari. Per converso, diventa intelligibile il crescente consenso che l’ideologia reazionaria è andata riscuotendo presso i gruppi sociali più poveri, esclusi dalla politica di diffusione della proprietà: consenso che ha dato luogo, per dirla con Gramsci, alla formazione di un “blocco storico” specifico. Il fenomeno testé evocato – rappresentato dalla ‘sotto-borghesia’ e dal lato reazionario della proletarizzazione dei ceti medi – dimostra quindi che è sbagliato, in primo luogo, sottovalutare l’intensità raggiunta dalla crisi di egemonia delle classi dominanti e dalla crescita correlativa del loro “sovversivismo”, e, in secondo luogo, disconoscere la radicalità delle strategie che le classi dominanti sono disposte ad adottare per tentare di porvi un qualche argine.
Nondimeno, occorre precisare, sempre sotto questo profilo, che la questione qui evocata riguarda solo lateralmente fenomeni politici come Salvini o la Meloni, poiché il problema principale è quello concernente la dislocazione dei soggetti di tradizione liberale e socialdemocratica. A tale proposito, va detto senza ambagi che una parte significativa dei gruppi dirigenti e dei maggiori gruppi editoriali del nostro paese non rifugge affatto dall’idea di fare ricorso a misure più o meno controllate di ‘guerra civile’ pur di superare la ‘crisi di legittimità’ a cui è esposta. Questa disponibilità non nasce semplicemente dall’esigenza di sintonizzarsi con quello che è considerato come un “senso comune popolare”, né da un mero calcolo di natura elettoralistica. Quello che si delinea è infatti – come si è mostrato nei paragrafi precedenti - un progetto complessivo di ristrutturazione dei rapporti sociali in senso sempre più autoritario e sempre più repressivo. 11
E però l’assunto da cui occorre prendere le mosse per comprendere come si possa spezzare l’intreccio perverso tra la ‘democratizzazione’ e la fascistizzazione, che dà il titolo a questo paragrafo, consiste in ciò: che le classi lavoratrici sono l’unico strato sociale che abbia un interesse diretto alla salvaguardia della capacità del paese di produrre ricchezza. Questa realtà, chiaramente confermata dall’esperienza italiana della lotta di liberazione contro il nazifascismo e, segnatamente, dalla difesa armata delle fabbriche ad opera degli operai contro l’invasore tedesco, deve essere ovviamente occultata e rimossa per consentire al processo di concentrazione del capitale di tramutarsi in guerra economica perdurante per la svalorizzazione delle forze produttive nei paesi più disgregati del sistema imperialistico.
Al contrario, l’immaginazione politica dovrebbe ripartire proprio da qui per tendere a rompere la paranoia proprietaria: dalla memoria storica e dall’attualità socio-politica delle forme di appropriazione collettiva dei beni. Del resto, se il fascismo è il rovescio della soppressione sistematica delle alternative di vita, non ci sono fronti popolari, democratici o costituzionali che reggano, né l’antifascismo militante può da solo invertire la rotta: se si intende lottare per davvero contro la Santa Alleanza del potere e del denaro, vi è invece il bisogno di politicizzare la vita e di rilanciare l’idea del socialismo/comunismo.
6. La questione della forza
È questa la questione centrale che si porrà nei prossimi anni, a mano a mano che si andrà ricostituendo nel nostro paese il partito di classe. Fondamentale è allora la consapevolezza che la lotta rivoluzionaria per il socialismo/comunismo non si deciderà sul terreno dei diritti o delle elezioni, ma sul terreno della forza. Questa è la lezione che si ricava dal massacro del 19 giugno 1986, 12 dalla coraggiosa resistenza del popolo palestinese, dalla condizione dei prigionieri rivoluzionari sottoposti al carcere duro nel nostro paese e dall’arresto dei rifugiati politici italiani in Francia, dall’ignobile spettacolarizzazione dell’arresto di Battisti, dai compagni più attivi nelle lotte sociali e sul territorio e, infine, dai compagni operai – come Adil Belakhdim – uccisi dalla violenza padronale.
Perciò, mi piace concludere questo gruppo di considerazioni sulla fascistizzazione e sul nesso di implicazione tra la lotta di classe, la repressione statale e la violenza padronale, con la parola d’ordine che Giorgio Dimitrov lanciò al termine della sua autodifesa nel processo di Lipsia del 1933 per l’incendio del Reichstag, la colpa del quale, come è noto, venne addossata dai dirigenti hitleriani ai comunisti. Dimitrov, futuro segretario dell’Internazionale comunista, dopo aver dimostrato che i comunisti erano estranei all’incendio e che i veri colpevoli erano Hitler, Goering e Goebbels; Dimitrov, dicevo, ispirandosi tra l’altro ad una poesia di Goethe pronunciò queste parole: «Sì, chi non vuole essere l’incudine, deve essere il martello!». 13
Un monito che è anche una direttiva strategica per l’azione, una freccia segnaletica che deve essere tenuta ben presente da chiunque scelga di porsi sul terreno della lotta rivoluzionaria per l’emancipazione dal giogo capitalista ed imperialista, sul terreno della lotta rivoluzionaria per il socialismo/capitalismo.
non credo che si tratti di una disfunzione, ma di un problema di cache del tuo browser.
Ciao,
tg