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sinistra

Lotta di classe, repressione statale e violenza padronale

di Eros Barone

plotical pics 177[…] Ai nostri padroni, chiunque siano, / piace tanto la nostra discordia, / e finché ci disuniranno / resteranno i nostri padroni. / Avanti senza dimenticare / di che è fatta la nostra forza! / Che si mangi o che si abbia fame, / avanti senza dimenticare: la solidarietà! [...]

Bertolt Brecht – Hanns Heisler, Canto della solidarietà.

     1. I fatti, il potere e il diritto

La premessa da cui occorre partire è che vi è un riemergere del conflitto capitale-lavoro e di reazioni ad esso cui non eravamo più abituati dagli anni Sessanta del secolo scorso. Questo è il messaggio che ci invia la morte di Adil Belakhdim, un giovane e combattivo sindacalista del S.I. Cobas assassinato da un autista crumiro nel corso di un picchetto svoltosi davanti al magazzino della Lidl di Biandrate: ultimo anello, per ora, di una catena sanguinosa di azioni aggressive e repressive poste in essere dallo Stato e dai padroni contro le lotte dei lavoratori del settore della logistica. 1

Gli analisti ci dicono, dal canto loro, che la democrazia liberale borghese e lo stesso Stato costituzionale di diritto, sorti dalle ceneri della seconda guerra mondiale, stanno vivendo una crisi profonda, probabilmente irreversibile, determinata da più fattori: la globalizzazione imperialista, i mutamenti della tecnologia, la trasformazione securitaria dei rapporti sociali, i flussi migratori, l’impoverimento di massa e i nazionalismi. Sennonché questo tema cruciale – la crisi della democrazia liberale borghese – non è stato finora affrontato in maniera e in misura adeguate, come dimostra l’oscillazione interpretativa tra la categoria della ‘democrazia autoritaria’ (un ossimoro meramente descrittivo e scarsamente esplicativo) e la categoria della fascistizzazione (un approccio che tiene maggiormente conto delle trasformazioni economico-sociali, politico-istituzionali e ideologico-culturali in corso).

L’atteggiamento delle istituzioni e degli apparati repressivi va quindi assunto come il termometro più sensibile per misurare, dal punto di vista della prevenzione, repressione e neutralizzazione dei conflitti sociali, la temperatura crescente dei processi di riorganizzazione ed intervento dello Stato borghese sia a livello nazionale che a livello europeo. Nella panoplia dei dispositivi allestiti dalla legislazione governativa a questo scopo spiccano quindi, in primo luogo, i Decreti sulla sicurezza emanati dall’ex ministro dell’Interno, il leghista Salvini, non aboliti né ridimensionati dal governo Draghi e dalla Lamorgese, attuale ministro dell’Interno. Tali decreti sono contraddistinti, fra le altre cose, dalla riscoperta del picchetto non violento e del blocco stradale come reati.

 

2. Il ruolo dell’Unione europea e il cambiamento di paradigma

Un secondo dato di fatto è quello costituito dal ruolo dell’Unione europea rispetto al diritto di sciopero. Il punto di riferimento è, in questo caso, quello che si ricava dall’articolo 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che recita quanto segue: «I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno… il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero». 2

Contestualmente, la Carta prescrive che il diritto di sciopero sia esercitato in modo compatibile con “la libertà di stabilimento, di circolazione e di prestazione del servizio”, laddove questi diritti non sono pariordinati ma sovraordinati al diritto di sciopero. 3 Questi dati si inscrivono dunque in una dinamica involutiva e recessiva delle tutele sindacali che, a partire dagli anni Ottanta, ha sempre più caratterizzato il sistema giuridico delle relazioni tra il capitale e il lavoro salariato.

I dati di fatto, testé ricordati, sono infatti due campane che suonano a morto presso la Corte di giustizia europea, poiché corrispondono a due sentenze – la Laval e la Viking – che nel 2007 hanno stabilito: a) che «l’azione collettiva può essere esercitata solo se l’obiettivo è legittimo»; b) che tale azione deve rispettare un «principio di proporzionalità nel rapporto sciopero-obiettivo». 4 Così, se mediante il concetto di ‘legittimità’ viene introdotto un sindacato dell’autorità giudiziaria, ossia, come si è rilevato in precedenza, una valutazione di conformità dello sciopero ad un modello precostituito, mediante il cosiddetto principio di ‘proporzionalità’ si stabilisce perfino un’ulteriore valutazione sulla coerenza tra le modalità dell’azione sindacale e i valori che informano l’ordinamento dell’Unione europea.

Ma qual è stato il ‘turning point’ dei processi di riorganizzazione e di intervento dello Stato borghese, che sono stati poc’anzi richiamati? Esso va individuato nello sciopero dei lavoratori della logistica a Piacenza e nell’intervento della polizia avvenuto nei mesi scorsi in séguito alla duplice segnalazione della Cgil e dell’azienda Fedex-TNT. Orbene, in questa ennesima vertenza del settore della logistica emergono, oltre al ruolo miserabile della organizzazione locale del maggior sindacato confederale, due aspetti qualitativamente nuovi: i) la durezza della repressione poliziesca; ii) il ruolo inedito della repressione giudiziaria, poiché i giudici sono autorizzati a valutare la giustezza degli obiettivi e delle modalità di azione del sindacato. Se il primo aspetto segnala quella che abbiamo definito come crescita della temperatura nei processi di riorganizzazione e intervento dello Stato borghese, il secondo aspetto rovescia un caposaldo cui si è sempre attenuta la Corte costituzionale nelle sue sentenze sui conflitti di lavoro, ossia che l’apriori è rappresentato dalla dinamica sociale nel suo autonomo manifestarsi e la categoria giuridica da applicare ha un valore eminentemente regolativo e sanzionatorio a posteriori. A questa concezione e pratica giuslavoristica si contrappone ora una concezione ed una pratica alternativa, di carattere preventivo e limitativo, per cui l’Unione europea e la relativa Corte di giustizia dànno per scontato che l’unica finalità dello sciopero è il rinnovo del contratto collettivo di lavoro e che, al di fuori di essa, sono da considerare illegittimi lo sciopero di solidarietà, lo sciopero di protesta e lo sciopero di imposizione economico-politica. 5

Ma vi è un altro dato concernente il ruolo dei padroni della logistica, che ricorda quello degli agrari di un secolo fa: l’intervento dei “mazzieri” – oggi denominati con eufemistico anglicismo ‘bodyguard’ – contro i lavoratori in sciopero, questa volta in nome (non dell’ideologia fascista ma) dell’ideologia del “libero mercato”, come è accaduto a San Giuliano Milanese, a Tavazzano e a Prato. Il cambiamento di paradigma diviene infine evidente con i fatti di Piacenza e la relativa criminalizzazione dei picchettaggi ad opera della repressione giudiziaria: una dimensione che può sembrare riduttiva, ma che permette di illuminare le strategie repressive messe in campo contro i lavoratori immigrati, che rappresentano una frazione importante e combattiva della composizione di classe operaia. Non che tali strategie siano del tutto nuove, poiché è ancora ben vivo il ricordo della gragnuola di multe che si abbatté sui tranvieri genovesi che erano stati protagonisti di cinque giorni di sciopero contro la privatizzazione del trasporto pubblico nel 2013. Ed ecco quindi affacciarsi una riedizione aggiornata dell’epoca delle multe di leniniana memoria attraverso una combinazione, diretta specificamente contro i lavoratori immigrati, di misure preventive del tutto discrezionali, quali i fogli di via e la sorveglianza speciale, il cui obiettivo è quello di neutralizzare i conflitti nei rispettivi territori. 6

 

3. Quale solidarietà?

Un elemento essenziale per definire la solidarietà di cui oggi ha bisogno il movimento di classe consiste nel concepire il lavoro della solidarietà (a partire dalla difesa legale per giungere alle molteplici forme di articolazione del “soccorso rosso” in corrispondenza con le esigenze antirepressive delle diverse soggettività antagoniste) non come fine a se stesso, ma come “parte di un tutto”, quindi come forma di continuazione e sviluppo della lotta di classe (in questo senso solidarietà proletaria e militanza comunista rivoluzionaria si identificano). Questo però non significa svalutare la solidarietà nel suo significato più ampio, data l’importanza che essa riveste nei diversi fronti di lotta e nelle diverse situazioni sociali (si pensi alla manifestazione nazionale del 19 giugno contro i licenziamenti e la precarietà, che si è svolta a Roma e che ha fatto immediatamente séguito allo sciopero nazionale della logistica in cui ha perso la vita il compagno sindacalista). Questo genere di solidarietà è prezioso perché costituisce un primo e basilare livello di risposta alla disgregazione e alla concorrenza tra la forza-lavoro, alimentate sistematicamente dalla borghesia.

Vi è poi un ulteriore livello della solidarietà proletaria che trova la sua espressione come “lotta per il riconoscimento”, aspetto fondamentale della lotta di classe che dal terreno delle condizioni di vendita della forza-lavoro si proietta verso l’autonomia e, in prospettiva, verso l’egemonia. 7 Coniugare questi due livelli della solidarietà e renderli convergenti è il compito dei militanti comunisti sul terreno della lotta rivoluzionaria, contro e ben oltre la tendenza al vittimismo o all’innocentismo, che invoca dalla borghesia il rispetto delle sue leggi e la rinuncia, da parte dello Stato imperialista, alla strategia della controrivoluzione preventiva. Occorre allora essere coscienti che la repressione è un elemento imprescindibile dello scontro di classe e che essa, partendo dai livelli più bassi, è parte integrante delle tattiche diffuse di intimidazione poste in atto dalle forze reazionarie nei confronti di chiunque sia impegnato nel diritto al dissenso o nella difesa dei diritti umani. 8

 

4. Il significato di una categoria interpretativa: la fascistizzazione

Quando si trae dai dati di fatto che abbiamo passato in rassegna la conclusione che nella nostra società sia in corso un processo di fascistizzazione, si deve prestare attenzione a non incorrere in due distinti errori. Il primo errore è quello di limitare tale considerazione agli aspetti fenomenologici: una tendenza, questa, non a caso e significativamente incoraggiata dal Partito Democratico, intento ormai da tempo in un'opera di sfruttamento dell'immaginario antifascista tanto vacua quanto ipocrita, tutta fondata sulla rimozione, precedentemente portata avanti con successo dallo stesso centrosinistra per oltre vent'anni, della consapevolezza delle radici di classe del fascismo e dell'antifascismo e quindi del contenuto di trasformazione radicale dell'ordinamento sociale che quest'ultimo, se sincero e conseguente, assume in tutto il mondo ma particolarmente in Italia. Il secondo errore è invece quello di ricercare negli avvenimenti attuali le caratteristiche del processo che condusse storicamente all'avvento del fascismo, limitandosi però ad accostamenti tra le caratteristiche esteriori dei due fenomeni che, evidentemente, sono solo in parte coincidenti. 9

Se confrontiamo la situazione della prima metà del XX secolo con l'attuale, salta immediatamente all'occhio il tratto comune costituito dalla crisi strutturale del capitalismo. Il secondo elemento, però, e cioè un'alternativa rivoluzionaria minacciosa, è sostanzialmente assente. La crisi del capitalismo si colloca infatti nel contesto prodotto da un altro evento epocale, di segno opposto a quello rappresentato dalla Rivoluzione d’Ottobre: la caduta del Muro di Berlino e la fine del blocco socialista, cioè la vittoria della controrivoluzione.

Questa particolare condizione, in cui il vecchio sta morendo ma il nuovo non è nemmeno in gestazione 10 per assenza di antagonismo politico organizzato e con finalità rivoluzionarie, produce il fenomeno della “putrefazione dei processi storici” di cui la fascistizzazione delle relazioni sociali è il frutto. Pertanto dai due elementi analizzati - crisi strutturale del capitalismo e assenza di antagonismo organizzato -, uno convergente e uno radicalmente divergente rispetto al terreno di coltura che produsse storicamente il fascismo, si ricava una prima conclusione: l'unica minaccia immediata che incombe sul capitalismo contemporaneo sono i suoi stessi limiti strutturali e le conseguenze che il loro manifestarsi comporta. Un fenomeno autoritario, nella metropoli imperialista del nostro tempo, necessariamente erediterà la lezione del fascismo storico ma non la riprodurrà, nei suoi aspetti apertamente dittatoriali, se non in presenza dell'emersione di una soggettività politica capace di contendere il potere alla borghesia e di minacciarne il dominio.

Casi quali quello dell'Ungheria di Orbán, della Polonia, dei paesi baltici e dell’Ucraina offrono già le prove provate di come il genere di autoritarismo di cui necessita oggi il capitalismo non abbia bisogno di mettere in discussione apertamente caratteristiche abituali della "democrazia liberale" quali il multipartitismo. Occorre allora sottolineare che il fenomeno della fascistizzazione non si realizzerà, nella metropoli imperialista contemporanea, se non entro i confini dettati dalla compatibilità tra regimi politici nazionali e controllo economico e burocratico da parte delle istituzioni transnazionali. In assenza di un antagonismo politico e sociale soggettivamente organizzato, dunque, la borghesia è libera di perseguire i propri interessi e di fornire alla crisi economica la propria risposta, che nella fase storica che attraversiamo si riassume essenzialmente nella distruzione delle forze produttive e nell'accelerazione del processo di concentrazione e centralizzazione del capitale.

Sul piano politico, la fascistizzazione trova il suo corrispettivo nella trasformazione della Lega in un partito marcatamente autoritario a vocazione nazionale, ma attentissimo a offrire le dovute garanzie alle oligarchie finanziarie e alle istituzioni sovrannazionali pubbliche e private, La Lega ha riscosso infatti un crescente consenso negli strati popolari con una propaganda anti-sistema, pur rappresentando specifici settori capitalistici. Essa ha utilizzato inoltre il tema dell’immigrazione come strumento di costruzione di un legame etnocentrico, alimentando il nazionalismo con una strategia perfettamente riconducibile agli interessi di quei settori delle imprese italiane maggiormente penalizzati dal mercato unico europeo. Infine, ha monopolizzato il tema della sicurezza non solo per introdurre una ulteriore stretta repressiva sulle lotte sociali e sugli scioperi, ma soprattutto per sacralizzare, sul piano pratico e ideologico, la proprietà privata (e questa è la ragione principale per cui, orbitando anch’essi all’interno di questa decisiva sfera ideologica e dei relativi interessi economici, i partiti ‘di sinistra’ sono stati, sono e saranno del tutto incapaci di rappresentare un’alternativa alla Lega).

Per quanto riguarda taluni settori, anche rilevanti, del capitalismo italiano (energia, metallurgia, meccanica, grande distribuzione ecc.), questi settori hanno scelto di appoggiare la Lega e, in misura crescente, il partito neofascista Fratelli d’Italia, in quanto hanno bisogno della politica ultrareazionaria e di scissione sistematica del proletariato, perseguita da tali forze, per cercare di frenare l’inesorabile declino dell’imperialismo italiano e conservare i rapporti sociali esistenti, per intensificare lo sfruttamento e ridurre ulteriormente salari, diritti e spese sociali, per sopprimere le libertà democratiche degli operai, intimidire e attaccare le organizzazioni di classe e le forme di lotta più decise, impedendo, in coerenza con l’imperativo della controrivoluzione preventiva, che la ribellione proletaria e popolare si diriga contro le basi del sistema di sfruttamento.

Tralasciamo qui il caso penoso di un ‘partito-marmellata’ quale è il Movimento 5 Stelle, coacervo interclassista, più qualunquista che populista, espressione di un generico malcontento verso la cosiddetta “casta” dei politici, di cui ben presto ha finito col fare le spese a parti invertite, come accadde al suo omologo storico, il Fronte dell’Uomo Qualunque, fra la metà degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso. Pur presentandosi come forza di rottura col sistema, il Movimento 5 Stelle ha dimostrato infatti di essere totalmente incapace di condurre una lotta organizzata contro il regime borghese e perciò non è stato in grado di risolvere nessuno dei fondamentali problemi economici, sociali e politici del paese, cosicché dopo l’esperienza compiuta alla direzione o all’interno degli ultimi governi borghesi la sua intrinseca natura trasformista l’ha portato inevitabilmente a disintegrarsi diventando, nel migliore dei casi, il serbatoio di un nuovo, anche se scadente, personale di servizio per l’oligarchia finanziaria.

Tutt’altro che da tralasciare è invece il caso del partito neofascista Fratelli d’Italia, la cui crescita si sviluppa a ritmo esponenziale in corrispondenza con il ciclo reazionario che è proprio del nostro paese, in cui gioca un ruolo importante non solo il declassamento di vasti strati della piccola borghesia tradizionale, ma anche l’orientamento sempre più duramente antioperaio e brutalmente repressivo di nuovi strati della media e della grande borghesia: un ciclo reazionario che, in nome della progressiva limitazione dei diritti economici e sociali della classe operaia e all’insegna della equiparazione tra fascismo e comunismo, si dispiega anche e soprattutto a livello europeo.

 

5. L’intreccio perverso tra la ‘democratizzazione’ e la fascistizzazione

Da un punto di vista più ampio, è opportuno ed illuminante aggiungere che la fascistizzazione si configura anche come il contraccolpo generato da un altro processo: la ‘democratizzazione’ della proprietà privata. Non per nulla, dalla Thatcher in poi, in Europa la diffusione del neoliberismo è stata declinata come un grande progetto volto ad estendere a tutte le classi sociali l’accesso alla proprietà privata e a tutti gli àmbiti della vita la logica patrimoniale: la ‘democratizzazione’ della proprietà privata è stata quindi, nel contempo, un mezzo potente per imborghesire il corpo sociale e una strategia con cui i neoliberisti hanno compensato la progressiva distruzione di un’altra forma di proprietà – quella sociale – incarnata, in qualche misura, dai moderni sistemi di ‘welfare’.

Questa particolare angolazione analitica permette di radiografare meglio quel vasto settore della composizione sociale della fascistizzazione, il cui protagonista non è affatto l’‘escluso’ o il ‘penultimo’, bensì una sorta di ‘sotto-borghesia’ costituita da quei ceti che si sono arricchiti negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso grazie al cosiddetto “capitalismo molecolare” e sono poi rimasti esclusi dalla nuova accumulazione di ricchezza seguita alla crisi del 2007-2008. In Italia, per citare un caso paradigmatico, le modificazioni che hanno contrassegnato la funzione e il ruolo della Lega hanno corrisposto ai mutamenti intervenuti nel suo discorso politico e sociale con una tale fedeltà e simultaneità che si possono, da questo punto di vista, considerare esemplari. Per converso, diventa intelligibile il crescente consenso che l’ideologia reazionaria è andata riscuotendo presso i gruppi sociali più poveri, esclusi dalla politica di diffusione della proprietà: consenso che ha dato luogo, per dirla con Gramsci, alla formazione di un “blocco storico” specifico. Il fenomeno testé evocato – rappresentato dalla ‘sotto-borghesia’ e dal lato reazionario della proletarizzazione dei ceti medi – dimostra quindi che è sbagliato, in primo luogo, sottovalutare l’intensità raggiunta dalla crisi di egemonia delle classi dominanti e dalla crescita correlativa del loro “sovversivismo”, e, in secondo luogo, disconoscere la radicalità delle strategie che le classi dominanti sono disposte ad adottare per tentare di porvi un qualche argine.

Nondimeno, occorre precisare, sempre sotto questo profilo, che la questione qui evocata riguarda solo lateralmente fenomeni politici come Salvini o la Meloni, poiché il problema principale è quello concernente la dislocazione dei soggetti di tradizione liberale e socialdemocratica. A tale proposito, va detto senza ambagi che una parte significativa dei gruppi dirigenti e dei maggiori gruppi editoriali del nostro paese non rifugge affatto dall’idea di fare ricorso a misure più o meno controllate di ‘guerra civile’ pur di superare la ‘crisi di legittimità’ a cui è esposta. Questa disponibilità non nasce semplicemente dall’esigenza di sintonizzarsi con quello che è considerato come un “senso comune popolare”, né da un mero calcolo di natura elettoralistica. Quello che si delinea è infatti – come si è mostrato nei paragrafi precedenti - un progetto complessivo di ristrutturazione dei rapporti sociali in senso sempre più autoritario e sempre più repressivo. 11

E però l’assunto da cui occorre prendere le mosse per comprendere come si possa spezzare l’intreccio perverso tra la ‘democratizzazione’ e la fascistizzazione, che dà il titolo a questo paragrafo, consiste in ciò: che le classi lavoratrici sono l’unico strato sociale che abbia un interesse diretto alla salvaguardia della capacità del paese di produrre ricchezza. Questa realtà, chiaramente confermata dall’esperienza italiana della lotta di liberazione contro il nazifascismo e, segnatamente, dalla difesa armata delle fabbriche ad opera degli operai contro l’invasore tedesco, deve essere ovviamente occultata e rimossa per consentire al processo di concentrazione del capitale di tramutarsi in guerra economica perdurante per la svalorizzazione delle forze produttive nei paesi più disgregati del sistema imperialistico.

Al contrario, l’immaginazione politica dovrebbe ripartire proprio da qui per tendere a rompere la paranoia proprietaria: dalla memoria storica e dall’attualità socio-politica delle forme di appropriazione collettiva dei beni. Del resto, se il fascismo è il rovescio della soppressione sistematica delle alternative di vita, non ci sono fronti popolari, democratici o costituzionali che reggano, né l’antifascismo militante può da solo invertire la rotta: se si intende lottare per davvero contro la Santa Alleanza del potere e del denaro, vi è invece il bisogno di politicizzare la vita e di rilanciare l’idea del socialismo/comunismo.

 

6. La questione della forza

È questa la questione centrale che si porrà nei prossimi anni, a mano a mano che si andrà ricostituendo nel nostro paese il partito di classe. Fondamentale è allora la consapevolezza che la lotta rivoluzionaria per il socialismo/comunismo non si deciderà sul terreno dei diritti o delle elezioni, ma sul terreno della forza. Questa è la lezione che si ricava dal massacro del 19 giugno 1986, 12 dalla coraggiosa resistenza del popolo palestinese, dalla condizione dei prigionieri rivoluzionari sottoposti al carcere duro nel nostro paese e dall’arresto dei rifugiati politici italiani in Francia, dall’ignobile spettacolarizzazione dell’arresto di Battisti, dai compagni più attivi nelle lotte sociali e sul territorio e, infine, dai compagni operai – come Adil Belakhdim – uccisi dalla violenza padronale.

Perciò, mi piace concludere questo gruppo di considerazioni sulla fascistizzazione e sul nesso di implicazione tra la lotta di classe, la repressione statale e la violenza padronale, con la parola d’ordine che Giorgio Dimitrov lanciò al termine della sua autodifesa nel processo di Lipsia del 1933 per l’incendio del Reichstag, la colpa del quale, come è noto, venne addossata dai dirigenti hitleriani ai comunisti. Dimitrov, futuro segretario dell’Internazionale comunista, dopo aver dimostrato che i comunisti erano estranei all’incendio e che i veri colpevoli erano Hitler, Goering e Goebbels; Dimitrov, dicevo, ispirandosi tra l’altro ad una poesia di Goethe pronunciò queste parole: «Sì, chi non vuole essere l’incudine, deve essere il martello!». 13

Un monito che è anche una direttiva strategica per l’azione, una freccia segnaletica che deve essere tenuta ben presente da chiunque scelga di porsi sul terreno della lotta rivoluzionaria per l’emancipazione dal giogo capitalista ed imperialista, sul terreno della lotta rivoluzionaria per il socialismo/capitalismo.


Note
1 Per definire sul piano politico-sindacale la luminosa figura di questo operaio e dirigente sindacale di origine marocchina basti rammentare che il suo obiettivo, tenacemente ribadito e sistematicamente perseguito, era quello di “unire i lavoratori di tutte le nazionalità nelle lotte che portava avanti”.
2 Si veda sulla Rete al seguente indirizzo: https://fra.europa.eu/it/eu-charter/article/28-diritto-di-negoziazione-e-di-azioni-collettive.
3 Cfr. gli articoli 26, 45, 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (2009). Nella legislazione italiana l’esercizio del diritto di sciopero incontra, per ora, il solo limite della garanzia dei servizi pubblici essenziali (legge n. 146 del 12 giugno 1990, modificata e integrata dalla legge n. 83 dell’11 aprile 2000).
4 I testi delle due sentenze sono reperibili sulla rete ai seguenti indirizzi:
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62005CJ0341&from=SK e https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:62005CJ0438&from=PL.
5 Lo sciopero di imposizione economico-politica è rivolto essenzialmente ad ottenere o impedire un intervento su materie di immediato interesse dei lavoratori, ma è diretto, anziché contro l’imprenditore, verso gli organi politici, cioè il governo ed il parlamento.
6 È da notare il ruolo condizionante svolto dalla polizia quale ‘operatrice giuridica’ prima, durante e dopo i conflitti sociali in parola: ruolo che, espropriando la magistratura della sua funzione specifica, corrisponde pienamente alla centralità assunta dagli apparati repressivi e di controllo dello Stato borghese in questa fase di “cambiamento di paradigma”.
7 Sull’importanza pratica e ideale della “lotta per il riconoscimento” ha molto e giustamente insistito, in riferimento sia ai paesi capitalistici avanzati che a quelli dipendenti, lo studioso marxista Domenico Losurdo.
8 Mi sia consentito evocare, a proposito delle tattiche di intimidazione, una personale vicenda politico-giudiziaria con la Lega Nord, la quale nel 2006 mi querelò per diffamazione poiché avevo pubblicato nel quotidiano telematico di «VareseNews» un articolo intitolato I nipotini di Hitler in cui denunciavo, polemizzando in maniera argomentata e documentata con una militante leghista, le radici nazifasciste dell’ideologia della Lega. Questa vicenda, passata attraverso un decennio di processi ed una richiesta di risarcimento di 50.000 euro, si è conclusa nel 2017 con la mia assoluzione, ma anche – dati i livelli di solidarietà politica e, soprattutto, data l’assenza di un movimento e di un partito di classe per promuovere, organizzare e diffondere la solidarietà – con migliaia e migliaia di euro per le spese legali (gli avvocati compagni sono ormai una rarità!) e alcune pesanti conseguenze a carico dell’apparato cardiaco.
9 Circa il processo di trasformazione della democrazia liberale borghese in dittatura bonapartista e/o fascista ha ragionato con lucidità il politologo tedesco Reinhard Kuhnl in Due forme del dominio borghese: liberalismo e fascismo, Feltrinelli, Milano 1973.
10 A. Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana, Einaudi, Torino 1975, vol. I, p. 311. Il passo recita esattamente quanto segue: «La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati».
11 Non esiste più alcun margine per un’alleanza del movimento di classe con questi settori della borghesia, poiché il processo della fascistizzazione e il fascismo postmoderno che ne è il frutto si configurano, nel quadro della crisi mondiale dell’economia capitalistica e della sempre più aspra concorrenza interimperialistica, come “il cerchio di ferro che serve a tenere unita la botte sfasciata del capitalismo” (definizione, quest’ultima, che, pur risalendo al periodo del VI Congresso dell’Internazionale comunista, si attaglia perfettamente alla fase attuale in virtù del suo carattere morfologico).
12 Il 19 giugno viene celebrata in ogni parte del mondo la Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero per ricordare la rivolta dei prigionieri politici peruviani soffocata nel sangue dal governo socialdemocratico di Alan Garcia il 19 giugno del 1986. Quel giorno l’esercito e la marina militare uccisero, tra bombardamenti ed esecuzioni sommarie, circa trecento compagni e compagne del Partito Comunista Peruviano.
13 Il verbale dell’autodifesa di Dimitrov, di cui va consigliata vivamente la lettura perché è un capolavoro di oratoria politica marxista-leninista, è reperibile sulla Rete al seguente indirizzo: http://www.bibliotecamarxista.org/dimitrov/processo%20lipsia.htm.

Comments

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Eros Barone
Tuesday, 29 June 2021 22:59
Mi scuso per la duplicazione del medesimo commento, ma spesso i commenti che cerco di inserire non risultano immediatamente visibili nell'apposito spazio se non dopo varie visualizzazioni. Non so se questo accada anche ad altri. Comunque sia, segnalo questa disfunzione al coordinatore del sito.
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tonino
Wednesday, 30 June 2021 12:21
Caro Eros,
non credo che si tratti di una disfunzione, ma di un problema di cache del tuo browser.
Ciao,
tg
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Alfonso
Wednesday, 30 June 2021 13:54
Quando si dà la colpa al sistema, mai dimenticarsi che è il sistema che uno usa....
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Igor
Monday, 28 June 2021 15:11
Penso che la mia domanda nr. 2 sia inutile, cioè che la risposta di Eros Barone sia ovviamente affermativa. Ma l'ho fatta comunque per sicurezza.
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Igor
Monday, 28 June 2021 14:16
Mi interesserebbe avere da Eros Barone una definizione del concetto di proletario e un'attualizzazione del concetto di proletario. Nello specifico vorrei sapere se Eros Barone include (nella sua attualizzazione del concetto di proletario):
1) i precari con diritto di cittadinanza che vengono assunti saltuariamente per lavori mal pagati soprattutto nei servizi (esempi: chi consegna a casa cibo o altro; una badante; un/una commesso/a a tempo determinato di un negozio di elettronica o altro; etc.) ma che proprio in virtù del loro diritto di cittadinanza riescono comunque a vivere (alcuni anche discretamente) grazie alla famiglia e ai residui del welfarestate (servizi , assegni di disoccupazione etc.);
2) i precari, impiegati saltuariamente per lavori mal pagati, che non hanno diritto di cittadinanza e che quindi non possono nemmeno usufruire del welfarestate.

Infine (ultime due domande collegati alle due precedenti) vorrei sapere se Eros Barone:
3) sia o meno d'accordo sul fatto che oggi, in alcuni Stati, non esistano "cittadini" proletari nel senso marxiano (ammesso che per Eros Barone "proletario in senso marxiano" indichi gli operai dell'industria, privi di qualsiasi quota di capitale e/o di qualsiasi quota di mezzi di produzione, e che sopravvivono unicamente grazie al salario corrisposto in cambio della forza-lavoro, senza ovviamente riuscire ad accantonare denaro da investire in senso capitalistico): penso ai cittadini della Svizzera, del Lussemburgo, di San Marino etc. etc.
4) se si, se è d'accordo, se per lui abbia senso attualizzare scolasticamente il concetto di "dittatura del proletariato" per questi Stati. (ricordando nel 1875, quando Marx parla di dittatura rivoluzionaria del proletariato, Marx pensa ad Inghilterra, Francia, Germania e Stati Uniti, e ricordando che nel 1875, nella metà del mondo, la forma "Stato" non esisteva nemmeno)
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Eros Barone
Tuesday, 29 June 2021 22:44
Caro Igor, la domande che hai formulato nel tuo commento sono importanti, giacché investono le basi stesse della teoria marxista-leninista e della strategia che ne discende. Comincio dalla prima, che è quella fondamentale, e cito, perché mi sembra la più chiara, la definizione del proletariato espressa da un operaio in una inchiesta sulla composizione di classe: «Senza di noi non si può fare niente, perché noi siamo quelli che costruiamo quello che poi la gente vede». Dopodiché, sono senz’altro d’accordo, in quanto, come ho detto, è una delle basi della teoria marxista-leninista, sulla definizione che tu richiami al punto 3 della tua domanda: il proletariato è la classe di chi non detiene mezzi di produzione e per vivere è costretto a vendere a qualcuno la propria forza-lavoro. Aggiungerei un’ulteriore distinzione, a livello di analisi della composizione tecnica, sociale e politica della composizione di classe, tra gli operai e i proletari, laddove i primi, per le note ragioni ampiamente illustrate dai classici del marxismo (concentrazione, tradizione di lotta, memoria storica, livelli di sindacalizzazione, ruolo svolto nella produzione della ricchezza ecc.) rappresentano la sezione centrale del proletariato. Le domande 1 e 2 riguardano invece una sezione specifica, ma crescente (soprattutto nei servizi), della composizione di classe del proletariato: il precariato. Si tratta di una sezione estremamente variegata e spezzettata, vista la molteplicità delle situazioni che la caratterizzano (alcune delle quali da te ben esemplificate). Si tratta, comunque, di una sezione molto corposa all’interno dei servizi, che occorre analizzare con attenzione sia per la su entità sia per la varietà delle figure lavorative che vi sono coinvolte e che la rendono più ‘riconoscibile’ di molte altre, dato che il loro lavoro è estremamente visibile e concentrato principalmente nelle città. È poi vero che l’accesso alle prestazioni sociali costituisce una rilevante differenza tra i lavoratori precari immigrati che hanno acquisito il permesso di soggiorno e quelli che vivono e lavorano (quando lavorano) in condizioni di clandestinità. Vorrei inoltre rammentare che lo sfruttamento del proletariato non dipende dal grado di miserabilità delle sue condizioni di lavoro, ma dall’entità del pluslavoro estorto (aspetto, questo, controintuitivo della teoria marxiana dello sfruttamento capitalistico, di cui quasi sempre non si tiene conto). In ogni caso, è vero che, dal punto di vista del conflitto capitale-lavoro, non tutti i proletari sono uguali. Quanto ho detto or ora conferma che anche nei paesi citati da Igor esiste, ai vari livelli, lo sfruttamento della forza-lavoro, naturalmente con una rilevante presenza dell’aristocrazia operaia connessa alla dimensione sovrannazionale e ai poli imperialistici, dimensione che influenza pesantemente la struttura e i rapporti tra le classi, e con tutti i condizionamenti legati alla storia specifica del movimento operaio e comunista di tali paesi. Infine, la teoria della dittatura del proletariato (se non ti piace il sintagma puoi usare espressioni più gentili come: potere della classe operaia, egemonia, direzione ecc., traendole dall’arsenale del revisionismo che, chiaramente, ‘ex definitione’ non può essere scolastico); la teoria della dittatura del proletariato è infatti la derivazione dialettica necessaria della teoria del plusvalore e costituisce il punto di sutura tra la critica dell’economia politica e il socialismo scientifico, esattamente come la teoria e la pratica della dittatura della borghesia, sempre meno mascherata dalla putrida sovrastruttura della democrazia liberale borghese, costituisce la derivazione lineare del profitto e della rendita capitalistici.
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Eros Barone
Tuesday, 29 June 2021 19:24
Caro Igor, la domande che hai formulato nel tuo commento sono importanti, giacché investono le basi stesse della teoria marxista-leninista e della strategia che ne discende. Comincio dalla prima, che è quella fondamentale, e cito, perché mi sembra la più chiara, la definizione del proletariato espressa da un operaio in una inchiesta sulla composizione di classe: «Senza di noi non si può fare niente, perché noi siamo quelli che costruiamo quello che poi la gente vede». Dopodiché, sono senz’altro d’accordo - in quanto, come ho detto, è una delle basi della teoria marxista-leninista - sulla definizione che tu richiami al punto 3 della tua domanda: il proletariato è la classe di chi non detiene mezzi di produzione e per vivere è costretto a vendere a qualcuno la propria forza-lavoro. Aggiungerei un’ulteriore distinzione, a livello di analisi della composizione tecnica, sociale e politica di classe, quella tra gli operai e i proletari, laddove i primi, per le note ragioni ampiamente illustrate dai classici del marxismo (concentrazione, tradizione di lotta, memoria storica, livelli di sindacalizzazione, ruolo svolto nella produzione della ricchezza ecc.) rappresentano la sezione centrale del proletariato. Le domande 1 e 2 riguardano invece una sezione specifica, ma crescente (soprattutto nei servizi), della composizione di classe del proletariato: il precariato. Si tratta di una sezione estremamente variegata e spezzettata, vista la molteplicità delle situazioni che la caratterizzano (alcune delle quali da te ben esemplificate). Si tratta, comunque, di una sezione molto corposa all’interno dei servizi, che occorre analizzare con attenzione sia per la su entità sia per la varietà delle figure lavorative che vi sono coinvolte e che la rendono più ‘riconoscibile’ di molte altre, dato che il lavoro di tali figure è estremamente visibile e concentrato principalmente nelle città. È poi vero che l’accesso alle prestazioni sociali costituisce una rilevante differenza tra i lavoratori precari immigrati che hanno acquisito il permesso di soggiorno e quelli che vivono e lavorano (quando lavorano) in condizioni di clandestinità. Vorrei inoltre rammentare che lo sfruttamento del proletariato non dipende dal grado di miserabilità delle sue condizioni di lavoro, ma dall’entità del pluslavoro estorto (aspetto, questo, controintuitivo della teoria marxiana dello sfruttamento capitalistico, di cui quasi sempre non si tiene conto finendo con l’identificare meccanicamente il ricco con lo sfruttatore e il povero con lo sfruttatto). In ogni caso, è vero che, dal punto di vista del conflitto capitale-lavoro, non tutti i proletari sono uguali. Quanto ho detto or ora conferma che anche nei paesi citati da Igor esiste, ai vari livelli, lo sfruttamento della forza-lavoro, naturalmente con una rilevante presenza dell’aristocrazia operaia connessa alla dimensione sovrannazionale e ai poli imperialistici, dimensione che influenza pesantemente la struttura e i rapporti tra le classi, e con tutti i condizionamenti legati alla storia specifica del movimento operaio e comunista di tali paesi. Infine, la teoria della dittatura del proletariato (se non ti piace il sintagma puoi usare espressioni più gentili come: potere della classe operaia, egemonia, direzione ecc., traendole dall’arsenale del revisionismo che, chiaramente, ‘ex definitione’ non può essere scolastico). Orbene, la teoria della dittatura del proletariato è la derivazione necessaria della teoria del plusvalore e costituisce il punto di sutura tra la critica dell’economia politica e il socialismo scientifico, esattamente come la teoria e la pratica della democrazia liberale borghese è, in tempi di fascistizzazione galoppante, la derivazione necessaria della dittatura del profitto capitalistico.
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Eros Barone
Tuesday, 29 June 2021 22:49
Due postille a questo scambio con Igor: I) quando ho evocato la teoria e la pratica della dittatura della borghesia, intendevo riferirmi alla putrida democrazia liberale borghese, ragione per cui eviterei di usare il termine di ‘democrazia’ che oggi è completamente svalutato (e si cade allora nel circolo vizioso per cui, se non vi si appone un aggettivo che la qualifichi, questo termine è del tutto privo di autonomia semantica, mentre continuando ad apporvi i più diversi aggettivi il termine si svaluta sempre di più). Igor, dal canto suo, propone il termine di “democrazia proletaria”, che ha però due rilevanti controindicazioni: la prima è che, come ha dimostrato il crollo del tasso di partecipazione alle elezioni amministrative in Francia (poco più di un terzo degli aventi diritto), la democrazia liberale borghese, che sulle elezioni si basa per acquisire e mantenere il consenso, è giunta al lumicino; la seconda è che il termine di “democrazia proletaria” è ancora più scostante per la percezione delle masse lavoratrici, oltre a ricordare una delle manifestazioni peggiori, almeno in Italia, dell’opportunismo e del trasformismo (si pensi alla parabola di un personaggio come Mario Capanna, leader per l’appunto di DP) tra anni Ottanta e anni Novanta. Che altro dire se non, seguendo la lezione del sommo Aristotele e coniugandola con quella di Marx e di Lenin, che “la democrazia è la forma più corrotta di governo”?
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Igor
Wednesday, 30 June 2021 00:34
Certamente non avevo in mente Mario Capanna. Ma devo dirti che la tua citazione conclusiva, se attribuita a Marx, mi permetto di prenderla più per una provocazione e non per una citazione letterale. Altrimenti non si spiegherebbe come mai (in una lettera del 1852 sul New York Daily Tribune), Marx sostenesse che nei paesi industrialmente più avanzati come l’Inghilterra o l’Olanda dove "il proletariato costituisce la larga maggioranza della popolazione", "il suffragio universale è l’equivalente del potere politico per la classe operaia". Ma soprattutto non si spiegherebbe come mai Marx, nel Manifesto, volesse esplicitamente conquistare la democrazia : "Il primo passo nella rivoluzione operaia è l’elevarsi del proletariato a classe dominante, la conquista della democrazia" - (K.Marx, Il Manifesto del partito comunista ).
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Eros Barone
Wednesday, 30 June 2021 16:01
Sì, è vero. Nel 1852 Marx riteneva che nei paesi da te citati esistessero le condizioni di una transizione (relativamente) pacifica al socialismo in virtù dello scarso sviluppo dell’apparato statale borghese, del forte sviluppo delle forze produttive moderne, dell’elezione diretta dei magistrati ecc. Posizione tattica che, dopo l’esperienza pratica della Comune di Parigi egli rettificò, individuando nella dittatura del proletariato “la forma finalmente scoperta dell’emancipazione sociale”. Spetterà poi a Lenin sviluppare l’analisi dell’imperialismo contemporaneo abbozzata da Engels, che lo porterà a definire la democrazia borghese “un paradiso per i ricchi e un inferno per i poveri”. Del resto, tralasciando qui la problematica della democrazia piccolo-borghese che meriterebbe un’analisi specifica (problematica che Marx ed Engels ebbero ben presente, perché dovettero farci i conti dentro e fuori della Lega dei comunisti prima, dentro e fuori della socialdemocrazia tedesca poi) e tornando al “Manifesto”, in esso i due autori usano una serie di formule che definiscono rigorosamente il significato della rivoluzione proletaria: “conquista del potere politico”, “conquista della democrazia”, “interventi dispotici nel diritto di proprietà e nei rapporti borghesi di produzione”. Dunque la rivoluzione implica insieme l’identità dialettica della ‘democrazia e del ‘dispotismo’. Il problema, che Marx ed Engels si limitano a formulare, è allora quello di come pensare questa unità contraddittoria. Deve però essere chiaro che l’intento degli autori non è quello di esprimere una duplice esigenza morale di giustizia, di diritto, di progresso e, nello stesso tempo, di efficacia politica, poiché qui essi praticano in modo intenzionale la negazione dell’opposizione metafisica tradizionale stabilita dalla filosofia politica borghese e piccolo-borghese tra il diritto e il fatto, la giustizia e la violenza, la forza e il diritto… la democrazia e il dispotismo. Sennonché una siffatta definizione della rivoluzione non è solo un momento della definizione della politica del proletariato (con la sua strategia, che fa della conquista del potere il punto decisivo, e la sua tattica, in parte lasciata alle circostanze), ma è anche una definizione politica della rivoluzione o, se si vuole, è la definizione della forma politica della rivoluzione. Ciò significa che, se ‘democrazia’ e ‘dispotismo’ sono ‘forme’, ossia quei sistemi politici che altrove Marx ed Engels chiamano ‘sovrastrutture’ sociali, questa identità vale, necessariamente, per ogni combinazione, anche contraddittoria, di tali forme, poiché non ha la sua ragione in se stessa, ma solo nel suo rapporto con una base materiale, quindi con una specifica combinazione tra le forze produttive e i rapporti di produzione. Insomma, il problema della democrazia si sdoppia nei due problemi delle forme politiche concrete necessarie alla rivoluzione (Comune, soviet, basi rosse ecc.) e in quello del rapporto tra di esse e la base materiale del processo rivoluzionario nella sua totalità.
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Igor
Tuesday, 29 June 2021 21:50
Grazie per l'esauriente risposta.
Poiché l'espressione "dittatura del proletariato" è marxianamente equivalente all'espressione "democrazia proletaria", tanto vale forse usare la seconda: oggi, nel 2021, mi sembrerebbe tatticamente più utile. Ma sono dettagli (o forse no, non lo so). Per rimane difficile, oggi, (e forse avrei dovuto inserirla come quinta e conclusiva domanda) dare un senso a questa democrazia proletaria delimitandola all'ambito nazionale. Credo che l'ambito continentale sia il minimo. Ma in ogni caso la tua risposta l'ho trovata teoreticamente esauriente.
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Igor
Tuesday, 29 June 2021 21:53
Per "me" rimane difficile, oggi,... (mi era scappato via il "me")
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Igor
Monday, 28 June 2021 13:41
Mi interesserebbe avere da Eros Barone una definizione del concetto di proletario e un'attualizzazione del concetto di proletario. Nello specifico vorrei sapere se Eros Barone include (nella sua attualizzazione del concetto di proletario):
1) i precari con diritto di cittadinanza che vengono assunti saltuariamente per lavori mal pagati soprattutto nei servizi (esempi: chi consegna a casa cibo o altro; una badante; un/una commesso/a a tempo determinato di un negozio di elettronica o altro; etc.) ma che proprio in virtù del loro diritto di cittadinanza riescono comunque a vivere (alcuni anche discretamente) grazie alla famiglia e ai residui del welfarestate (servizi , assegni di disoccupazione etc.);
2) i precari, impiegati saltuariamente per lavori mal pagati, che non hanno diritto di cittadinanza e che quindi non possono nemmeno usufruire del welfarestate.

Infine (ultime due domande collegati alle due precedenti) vorrei sapere se Eros Barone:
3) sia o meno d'accordo sul fatto che oggi, in alcuni Stati, non esistano "cittadini" proletari nel senso marxiano (ammesso che per Eros Barone "proletario in senso marxiano" indichi gli operai dell'industria, privi di qualsiasi quota di capitale e/o di qualsiasi quota di mezzi di produzione, e che sopravvivono unicamente grazie al salario corrisposto in cambio della forza-lavoro, senza ovviamente riuscire ad accantonare denaro da investire in senso capitalistico): penso ai cittadini della Svizzera, del Lussemburgo, di San Marino etc. etc.
4) se si, se è d'accordo, se per lui abbia senso attualizzare scolasticamente il concetto di "dittatura del proletariato" per questi Stati. (ricordando nel 1875, quando Marx parla di dittatura rivoluzionaria del proletariato, Marx pensa ad Inghilterra, Francia, Germania e Stati Uniti, e ricordando che nel 1875, nella metà del mondo, la forma "Stato" non esisteva nemmeno)
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Eros Barone
Tuesday, 29 June 2021 21:50
Caro Igor, la domande che hai formulato nel tuo commento sono importanti, giacché investono le basi stesse della teoria marxista-leninista e della strategia che ne discende. Comincio dalla prima, che è quella fondamentale, e cito, perché mi sembra la più chiara, la definizione del proletariato espressa da un operaio in una inchiesta sulla composizione di classe: «Senza di noi non si può fare niente, perché noi siamo quelli che costruiamo quello che poi la gente vede». Dopodiché, sono senz’altro d’accordo, in quanto, come ho detto, è una delle basi della teoria marxista-leninista, sulla definizione che tu richiami al punto 3 della tua domanda: il proletariato è la classe di chi non detiene mezzi di produzione e per vivere è costretto a vendere a qualcuno la propria forza-lavoro. Aggiungerei un’ulteriore distinzione, a livello di analisi della composizione tecnica, sociale e politica della composizione di classe, tra gli operai e i proletari, laddove i primi, per le note ragioni ampiamente illustrate dai classici del marxismo (concentrazione, tradizione di lotta, memoria storica, livelli di sindacalizzazione, ruolo svolto nella produzione della ricchezza ecc.) rappresentano la sezione centrale del proletariato. Le domande 1 e 2 riguardano invece una sezione specifica, ma crescente (soprattutto nei servizi), della composizione di classe del proletariato: il precariato. Si tratta di una sezione estremamente variegata e spezzettata, vista la molteplicità delle situazioni che la caratterizzano (alcune delle quali da te ben esemplificate). Si tratta, comunque, di una sezione molto corposa all’interno dei servizi, che occorre analizzare con attenzione sia per la su entità sia per la varietà delle figure lavorative che vi sono coinvolte e che la rendono più ‘riconoscibile’ di molte altre, dato che il loro lavoro è estremamente visibile e concentrato principalmente nelle città. È poi vero che l’accesso alle prestazioni sociali costituisce una rilevante differenza tra i lavoratori precari immigrati che hanno acquisito il permesso di soggiorno e quelli che vivono e lavorano (quando lavorano) in condizioni di clandestinità. Vorrei inoltre rammentare che lo sfruttamento del proletariato non dipende dal grado di miserabilità delle sue condizioni di lavoro, ma dall’entità del pluslavoro estorto (aspetto, questo, controintuitivo della teoria marxiana dello sfruttamento capitalistico, di cui quasi sempre non si tiene conto). In ogni caso, è vero che, dal punto di vista del conflitto capitale-lavoro, non tutti i proletari sono uguali. Quanto ho detto or ora conferma che anche nei paesi citati da Igor esiste, ai vari livelli, lo sfruttamento della forza-lavoro, naturalmente con una rilevante presenza dell’aristocrazia operaia connessa alla dimensione sovrannazionale e ai poli imperialistici, dimensione che influenza pesantemente la struttura e i rapporti tra le classi, e con tutti i condizionamenti legati alla storia specifica del movimento operaio e comunista di tali paesi. Infine, la teoria della dittatura del proletariato (se non ti piace il sintagma puoi usare espressioni più gentili come: potere della classe operaia, egemonia, direzione ecc., traendole dall’arsenale del revisionismo che, chiaramente, ‘ex definitione’ non può essere scolastico); la teoria della dittatura del proletariato, dicevo, è la derivazione dialettica necessaria della teoria del plusvalore e costituisce il punto di sutura tra la critica dell’economia politica e il socialismo scientifico, esattamente come la teoria e la pratica della dittatura della borghesia è la derivazione lineare necessaria, in tempi di fascistizzazione galoppante, del profitto e della rendita capitalistici.
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Pantaléone
Monday, 28 June 2021 09:38
Non ci sono " verità " in agguato nell'ombra.

L'essere generico sarà il nostro lavoro collettivo di emancipazione umana nella sua totalità!

Non c'è nessuna diaspora, nessun Sanhedrin di essere generico alla periferia dell'umanità alienata che condurrà una carica finale decisiva!

Il comunismo non viene da un partito...
È un movimento della totalità e viene dalla totalità del movimento!
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Pantaléone
Monday, 28 June 2021 09:35
Il n’y a pas de “véridiques” tapis dans l’ombre.

L’être générique sera notre oeuvre collective d’émancipation humaine en sa totalité !

Il n’y pas de diaspora, ni de de sanhédrin de l’être générique à la périphérie de l’humanité aliénée qui mèneront une dernière charge décisive !

Le communisme ne vient pas d’un parti…
Il est mouvement de la totalité et vient de la totalité du mouvement !
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Pantaléone
Sunday, 27 June 2021 20:04
Il reale dice sempre un potere un addomesticamento un dominio un imperium.
Il potere di alienazione attraversa il reale, e quindi il discorso delle iées che dicono il reale, se non coglie le contraddizioni sociali che dicono il reale, produrrà un sistema neutro "il reale è questo", senza capire che in questa falsa neutralità c'è una vera oggettività delle contraddizioni sociali che fanno, che il reale non è mai neutro.
L'Ideologia tedesca è il testo che ci permette di passare dalla critica della politica alla critica della religione, dalla sacra famiglia dei manoscritti del 1844 a questo gigantesco manuale pratico di lotta di classe che ci porta alle gundrisses al kapital.
Dall'ideologia tedesca Marx ed Engels sanno che è necessario abolire la filosofia abolire l'ideologia, che è necessario abolire la politica abolire la religione e che tutto questo si risolve nella critica dell'economia politica verso l'abolizione del sistema salariale, verso la distruzione dello stato e del denaro.

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Pantaléone
Sunday, 27 June 2021 09:54
Se si dovesse suonare la quinta sinfonia di Beethoven a un papuano della Nuova Guinea 100 anni fa, sentirebbe solo un suono, perché è fondamentalmente di un'altra cultura e la sua mente non è stata formattata.
Allo stesso modo, un musicista che suona il violino e viene lasciato nella foresta probabilmente morirà di fame.
Tutto questo lo sappiamo, ma vorrei insistere sul fatto che è molto complicato immaginare una comunità che non poggi sulle categorie di base del capitalismo (salariato, denaro-stato) e ovviamente non si tratta di tornare alla caverna.
Ma se lasciamo che queste categorie rimangano, non è possibile alcuna liberazione dalla dominazione.
Queste categorie abolite gli umani saranno inclini a fare comunità se vogliono rimanere in vita.
E fondamentalmente, ciò che ha più valore in termini di godimento dell'esistenza sono le relazioni interumane, non la proprietà privata.
L'essere umano è fatto per questo, l'inclinazione dell'uomo all'uomo e dell'uomo all'amore e l'amore al godimento dell'essere nel mondo.

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Eros Barone
Sunday, 27 June 2021 07:23
Mi è stato chiesto che cosa intendo con lo stenogramma “socialismo/comunismo”. Rispondo: tale stenogramma sta ad indicare l’obiettivo dell’abbattimento rivoluzionario dello Stato borghese e dell’instaurazione della dittatura proletaria quale condizione storicamente necessaria per la costruzione di una società socialista. Del resto, tutti gli avvenimenti di questi ultimi decenni confermano in pieno l’analisi marxista della realtà del mondo contemporaneo che il movimento comunista internazionale aveva condotto con strenua coerenza e profonda intelligenza delle cose, fino all’apparire sulla scena del revisionismo moderno rappresentato nella ex Urss da Krusciov e da Gorbaciov, in Italia da Togliatti, da Berlinguer e da Occhetto, in Cina da Deng Xiaoping. Trova piena conferma il giudizio formulato nel 1928 dal VI Congresso dell’Internazionale Comunista: siamo nell’epoca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria; il mondo contemporaneo sta vivendo un’epoca di guerre e di rivoluzioni, che si succederanno l’una all’altra inesorabilmente, fino alla vittoria finale del comunismo su scala mondiale. Da questo punto di vista, è stata la Rivoluzione d’Ottobre a segnare l’inizio di una nuova epoca storica, dimostrando che la classe operaia può, con i suoi alleati, dar vita a una nuova formazione economico-sociale che ponga fine allo sfruttamento capitalistico e apra la strada alla costruzione di una società senza classi. Vi sono quindi dei punti – a partire dal rifiuto delle concezioni riformistiche, parlamentaristiche, elettoralistiche, e dalla necessità storica della dittatura del proletariato come forma di transizione alla società socialista/comunista – che non possono essere messi in ombra in nome delle peculiarità nazionali. Ovunque ciò sia stato fatto, e mi riferisco anche alle recenti esperienze definite con l’espressione del “socialismo del XXI secolo”, le sconfitte sono avvenute l’una dopo l’altra. Questo è dunque il significato dello stenogramma “socialismo/comunismo” e questa è la prospettiva in cui si inscrive la lotta rivoluzionaria per il socialismo/comunismo. Infine, riguardo alla classica definizione di Lenin sulla democrazia liberale borghese quale miglior involucro ‘del’ capitalismo, è bene sapere che la esatta traduzione è: miglior involucro ‘per’ il capitalismo. È a partire da questa rettifica che va impostato tutto il ragionamento sulle “due forme del dominio borghese” e, quindi, su quel processo di fascistizzazione che trova oggi il suo vettore nell’ideologia del “libero mercato” e nella correlativa dittatura del profitto.
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Pantaléone
Sunday, 27 June 2021 09:12
Ottima sintesi e spiegazioni chiare, sempre ottime analisi! La dittatura del proletariato (dittatura solo per il capitale) per il proletariato è una liberazione.
Grazie Eros, torno alla tua pubblicazione con più attenzione.
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Pantaléone
Saturday, 26 June 2021 10:40
Parce que le damné prolétariat, à sur l'échine, non seulement l'horreur capitliste et son inversion, mais de plus également tout le cortège des constructeurs de système, qui dans leurs subjectivité narcissiques, n'imaginent même pas qu'il puisse exister autre chose que le capitalisme éternel !
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Alfonso
Saturday, 26 June 2021 12:06
Già, chi li spingeva a farlo? Spingitori di costruttori, su Rieducational Channel
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Pantaléone
Saturday, 26 June 2021 14:50
Mio caro compagno, non parleremo di alienazione e reificazione.
Quello che si dovrebbe sottolineare è il seguente, perché Benito, è stato prima arrestato da un commando inglese, probabilmente sotto il controllo dell'MI6, poi assassinato da un partigiano.
Poi tutta la farsa in piazza Loreto.
Cosa aveva da dire sulla partecipazione dei proprietari del capitale, sul suo socilaismo arretrato?
Nell'era moderna non mancano le persone che vengono eliminate prima di poter parlare.
I proprietari del capitale sono mafiosi, che restituiscono le leggi secondo i loro interessi, anche se la legge è loro.
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Pantaléone
Saturday, 26 June 2021 10:29
Resta da definire ciò che l'autore intende per socilismo/comunismo, pur mantenendo le categorie di base intrinsecamente legate al dominio, quando si tratta del fascismo, conosciamo l'ammirazione sfrenata di Churchil o della borghesia bancaria e il suo lavoro subdolo per il nazismo.
La democrazia è lo spazio necessario per la circolazione del valore.
Ancora più perverso è il ruolo contemporaneo della classe capitalista e il suo spettacolo di deviazione delle lotte, attraverso la fabbricazione di particolarismi, che sono solo vicoli ciechi, dove il proletariato è sempre la vittima.
A est del muro di Berlino, la controrivoluzione è andata avanti per 70 anni, è stata solo la fine di un capitalismo di stato.
La crisi dopo la caduta del muro ha assunto una dimensione maggiore nel cosiddetto mondo libero.
Infine, il socialismo è sempre stato un rinnovatore e quindi controrivoluzionario del capitalismo.
Marx/Lassale

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Alfonso
Friday, 25 June 2021 07:13
Eppur....eppur.... Vi chiedo, compagni... Perché tradurre Being come Existenz? Perché trattare Marx come se non sapesse (da Hegel, quello che i ragazzi dei Politecnici ci avevano bruciato la casa) che Essere ed Esistere non sono affatto la stessa cosa? Che anzi un regime esiste, ma non è, quindi che non porta nessuna determinazione viva? Perché, di contrappasso, tradurre Existenz come Being in "Nella produzione sociale della loro.., gli uomini entrano in precisi rapporti"? Perché fermare la Kritik al profitto, quando ogni contabile di lorsignori sa che solo alla schiuma della merda deve prestare attenzione (la schiuma della merda ha un termine preciso in inglese, e viene usato per indicare i crumiri), quel miserabile sovra-profitto nel quale si dibatte l'imperialismo? Forse perché altrimenti ci si potrebbe montare la testa, si potrebbe svelare che quei giochini contabili fatti con il sangue operaio e che chiamano profitti sono al di sotto delle condizioni medie della accumulazione? E che la ricchezza, piano ma comunque piano, si può? Grazie
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Paolo Selmi
Friday, 25 June 2021 08:36
Perché occorre lasciare spazio di manovra alla "gente senza pudore", come la chiama il compagno autore del primo lavoro riportato in spalla a questo sito.
Perché finché non si farà chiarezza sarà sempre possibile fare il gioco delle tre carte, sarà possibile avvallare un CCNL della logistica che fa pietà e, al contempo, "stare con Adil", oppure piangere lacrime di coccodrillo per un lavoratore licenziato, oppure mettere lavoratori in CIG per tirare su quattro soldi in più anche se il lavoro, nel frattempo, è aumentato e, fra carichi di lavoro sempre più assurdi, aumentano le anche le vittime di incidenti sul lavoro. E' fra le pieghe, a volte inesistenti (e si creano per l'occasione!), delle parole, che si commettono le peggiori porcherie.

Invece, il povero Adil ci metteva la faccia, e alla fine ci ha rimesso la vita. Ed è quest'ultimo l'unico motivo per cui Draghi, Orlando, Letta, Landini hanno detto qualcosa; altrimenti due manganellate, qualche nome nuovo sul taccuino del poliziotto della digos, e nessuno avrebbe detto nulla.

Tutto passa sotto traccia, come quel continuare, quotidianamente, a rafforzare il legame fra democratizzazione della proprietà e fascistizzazione che è il secondo capisaldo importante di questo lavoro di Eros. Tu guarda solo questo processo, che è vero, perché sta esattamente succedendo questo. Robe che i "revisionisti" degli anni Novanta erano dei dilettanti allo sbaraglio. Un processo che, man mano che si consolida, fa terra bruciata intorno a noi, rielabora argomenti "nostri" in una maniera che poi ce li rende inutilizzabili. E ci fa sprofondare sempre più nello sfasciume, con quella vetta che sembra sempre più "utopica"... ecco, nel momento in cui passa quest'ultimo pezzo di lavoro ideologico, con magari un lavoro di spalla rossobruno dove, tutto sommato, si è trattato di un equivoco, il socialismo è questa cosa qui e non quella cosa lì su cui si sono scornati per decenni milioni di militanti... invano! ecco, il cerchio sarà chiuso.

Ma ogni tanto qualche corto circuito accade. Qualcosa va storto. A me accade spesso. Spero che accada nel grande, qualcosa che vada così storto che sia impossibile soffocarlo sotto tonnellate di retorica, ipocrisia. L'ultima volta mi è accaduto qualche giorno fa. Sono iscritto al canale gosteleradio (la rai sovietica) e sul tubo pubblicano dalle "teche" materiali molto interessanti. Uno, datato 1988, riproduceva uno spettacolo televisivo dove alla fine si esibiva un gruppo fra i miei preferiti di quell'epoca: i Pesnyari. Quelli che avevano fatto in originale la canzone che la Cinquetti aveva fatto in italiano (Erano giorni... che parla d'altro peraltro, in originale...). Incuriosito, vado e leggo "Rasgovor s tovariscem Lenina" (Dialogo col compagno Lenin): in pieno 1988! Mentre l'uomo con la voglia in fronte stava smontando tutto! Stava dicendo che si era trattato di un equivoco, anche lì...
Con gli strumenti di oggi, approfondisco il corto circuito e lascio che mandi in pappa tutto quello che stavo facendo. E risalgo facilmente alla poesia di Majakovskij. E trovo anche una traduzione in italiano, che a occhio mi sembra anche accurata. E che oggi dedico a tutti quelli che vedono gente senza pudore, neppure di fronte ai morti, e provano lo stesso schifo.

“Conversazione con il compagno Lenin”.

In un ammasso di fatti,
in un subbuglio d’avvenimenti
se n’è andato il giorno,
pian piano è annottato.
Nella stanza siamo in due:
io
e Lenin,
in fotografia
sulla parete bianca.
La bocca spalancata
in un teso discorso,
irti
i peli
dei baffi,
nelle rughe della fronte
è serrato
un umano,
un grande pensiero
nella grande fronte.
Probabilmente,
sotto di lui
sfilano a migliaia…
Una selva di bandiere…
una vegetazione di braccia…
Mi levo in piedi,
illuminato di gioia:
vorrei
andare,
acclamare,
fare un rapporto!
“Compagno Lenin,
vi riferisco
non per dovere d’ufficio,
ma con l’anima.
Compagno Lenin,
l’infernale lavoro
sarà
compiuto
e ormai si compie.
Illuminiamo,
rivestiamo il povero
e chi
è stato spogliato,
l’estrazione
aumenta
di minerale e carbone.
Ma insieme a questo,
certamente,
molte,
molte e varie
sono
le assurdità e le canaglie.
Si è stanchi di respingere,
di strappare coi denti.
Molti,
senza di voi,
hanno preso la mano.
Moltissimi
mascalzoni
d’ogni sorta
vanno
in giro
per la nostra terra.
Non hanno
numero
e nome,
un’intera
schiera di tipi
che cresce.
Kulaki e burocrati,
leccapiedi,
settari
e ubriaconi,
incedono
pettoruti,
fieri,
tutti impugnature
ed emblemi.
Certo noi,
tutti
li piegheremo,
ma piegare
tutti
è tremendamente difficile.
Compagno Lenin,
per le fumose fabbriche,
per le terre,
coperte
di neve
e di stoppie,
col vostro
cuore,
compagno,
col nome vostro
pensiamo,
respiriamo,
lottiamo
e viviamo!”
In un ammasso di fatti,
in un subbuglio d’avvenimenti
se n’è andato il giorno,
pian piano è annottato.
Siamo in due nella stanza,
io
e Lenin:
in fotografia
sulla parete bianca.

Vladimir Majakovskij, 1929

Questa la canzone
https://www.youtube.com/watch?v=j7tbXVKr61M

I russi riescono, probabilmente per motivi legati al gregoriano da cui si sono distaccati di poco e alla pratica millenaria di salmodiare tutto per due ore di fila, a cantare anche le poesie. A volte veramente con risultati notevoli.

Un abbraccio
Paolo
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Alfonso
Friday, 25 June 2021 21:03
Paolo, questa di Majakovskij me la sono cercata, n'è? Majakovskij 1929, Marx 1880...sembra proprio che tutte le determinazioni siano poste. Sembra che solo la testimonianza viva. E oggi stiamo passando l'interregno dove un qualunque essere umano, adulto, nel pieno possesso delle proprie facoltà, amministri la morte. Ai tempi di Bava Beccaris, uno sgherro regio non riusciva a fare del cavallo un boia (ben ricostruito in Novecento), e le compagne lo sapevano persino meglio dei compagni. Domani, nessun robot alla guida di un automezzo self-driven sceglierà morte. A differenza di un umano, il robot non si lascia confondere. Come un umano, però, e come un cavallo attua secondo causalità: se colpisce, è perchè qualcuno lo ha programmato per farlo, e quel qualcuno è assassino.
Quando si ipotizza lo scenario della macchina self-driven, il dilemma bambino-precipizio appare interrogarci nel profondo: come mi sarei comportato in questa precisa circostanza? E ognuno è certo (certezza e verità, ancora Hegel) che sceglie precipizio, suicidio sicuro. Se non ci sei, però, non lo sai veramente.
Una indagine di mercato, prima del lancio del prodotto, troverebbe che il 99,9% non comprerà mai un'auto che uccida innocenti passanti. Lo 0,01% non saprebbe. Bene, in questa fase dello stato presente delle cose, il capitale trova il margine sufficiente tra quelle due percentuali per scommettere che qualche cliente opterà altrimenti, ovvero uccide. Tra uccidere sicuramente e una probabilità altissima ma non assoluta di morire, e ogni soluzione intermedia tra la incolumità personale garantita e il disintegrarsi del proprio mondo, si autonomina assassino.
Cosa c'entra con Majakovskij? Ivan Susanin era il meno sveglio del villaggio. Non era buono a nulla, si perdeva sempre. Non è che sbagliava a volte, per cui lo si potesse considerare inaffidabile. Nel suo sbagliare, era preciso: a un bivio neanche rifletteva, andava dritto sicuro, era inutile perder tempo a cercare la soluzione al problema perchè comunque avrebbe sbagliato. E guidò questa armata, e più ne cadevano più avanzava verso il successo della battaglia (una guerra non poteva vincerla, ma a far danni era imbattibile), e più insulti e bestemmie gli piovevano addosso più avvilito e depresso marciava, e più sapeva che non avrebbe rivisto il villaggio perchè tornare vivo, oltre a indovinare la strada, significava aver fallito persino il fallimento. Dietro di lui, cadevano e cadevano. Eppure, la determinazione era la stessa: farsela tutta, 'sta maledetta scorciatoia. E quando sembrava mancasse poco, ancora un passo. Madadayo.
Ivan Susanin
"I vote shorcut" https://youtu.be/EGhkSR6sqhk
Grazie
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Alfonso
Friday, 25 June 2021 21:57
Sigismund si disse, come Talbot che pure si pensava intelligente, "Contro la stupidità, neanche gli dei possono nulla".
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Pantaléone
Friday, 25 June 2021 08:10
Essere = Diventare

1 Essere
2 Invarianza comunista
3 Diventare
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Eros Barone
Thursday, 24 June 2021 22:58
Due commenti che valgono come ricompensa morale per tutte le ore di lavoro politico e di ricerca passate ad elaborare e a stendere l’articolo. Grazie, Alfonso! Permettimi soltanto di tradurre in italiano il magnifico passo dell’intervista di John Swinton a Karl Marx, che tu hai citato in inglese.

«Levandosi al di sopra del confuso brusio degli anni e delle epoche, oltre i discorsi del giorno e le immagini della serata, affiorò alla mia mente una domanda sulla legge ultima dell’esistenza per la quale avrei voluto una risposta da parte di quel saggio. Durante una pausa di silenzio, mi rivolsi al rivoluzionario e filosofo con queste fatidiche parole, emerse dalle profondità del linguaggio e scandite al culmine dell’enfasi: “Che cos’è?”. Sembrò che la sua mente si distraesse mentre guardava il mare che tumultuava davanti a noi e la moltitudine che si agitava sulla spiaggia. “Che cos’è?”, avevo chiesto, e in tono profondo e solenne egli rispose: “La lotta!”. Per un attimo mi parve di aver udito l’eco della disperazione, ma forse era la legge della vita».

Grazie, Paolo, per la contestualizzazione che hai fornito con il tuo commento! La storia delle lotte che ha attraversato il settore della logistica nell’ultimo decennio, l’attitudine al conflitto anche duro che gli operai hanno dimostrato, le vittorie anche in termini di aumenti retributivi e di garanzie normative che sono state ottenute in una fase che resta caratterizzata dall’attacco del padronato alla classe operaia, hanno rivelato le potenzialità conflittuali di questo settore. Già Marx aveva considerato i destini dei lavoratori di questo comparto come strettamente intrecciati a quelli degli operai di fabbrica, perché anche i primi, in quanto anello di congiunzione fra il mondo della produzione e quello della circolazione, erano necessari ai fini della valorizzazione delle merci. Oggi la natura di questa interconnessione non è cambiata, ma in termini quantitativi il loro ruolo è certamente più rilevante che in passato, quando la base della produzione aveva una dimensione più ristretta. La globalizzazione ha quindi accentuato il ruolo chiave della logistica e ciò si riscontra particolarmente nel nostro paese. Ma vi è di più, perché la grande forza delle vertenze nella logistica è stata quella di individuare la propria controparte nelle grandi imprese della produzione (come la Granarolo) o della produzione/circolazione (come l’Ikea e la Lidl), dando vita ad una vera e propria scuola, nuova ed incisiva, della lotta di classe, basata sulla generalizzazione rapida ed efficace del conflitto. E la reazione sanguinosa del padronato, insieme con la repressione poliziesca e giudiziaria che la precedono e la seguono, è un sintomo inequivocabile della svolta in corso a livello del processo di fascistizzazione. Il profitto non si tocca, costi quel che costi: questo è il messaggio.
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Alfonso
Thursday, 24 June 2021 20:29
E se fossero le condizioni del problema, e non il problema, che attanagliano? E portando avanti questa contraddizione, se alle condizioni 'ni le va ni le viene' di attanagliare, ma a trovarsi attanagliato è l'essere umano, che se non lottasse per vivere non proverebbe la tenaglia?
Scusate, ma non ho la forza di cercarla in italiano.....
Over the thought of the babblement and rack of the age and the ages, over the talk of the day and the scenes of the evening, arose in my mind one question touching upon the final law of being, for which I would seek answer from this sage. Going down to the depth of language, and rising to the height of emphasis, during an interspace of silence, I interrogated the revolutionist and philosopher in these fateful words, “What is [the final law of being]?” And it seemed as though his mind were inverted for a moment while he looked upon the roaring sea in front and the restless multitude upon the beach.

What is?” I had inquired, to which, in deep and solemn tone, he replied: “Struggle!

At first, it seemed as though I had heard the echo of despair; but, peradventure, it was the law of life.
Intervista di John Swinton a Karl Marx, pubblicata sul New York Sun il 6 Settembre 1880,
Grazie.
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Paolo Selmi
Thursday, 24 June 2021 23:36
Ops questo commento è rimasto aperto per un'ora prima di essere inviato, e nel frattempo Eros avevi già trovato la traduzione in italiano. Scusate entrambi la ridondanza non voluta.
Ciao!
paolo
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Paolo Selmi
Thursday, 24 June 2021 23:30
Ciao Alfonso,

Trovata la traduzione in italiano dell'intero articolo. Il pezzo che riporti è stato reso così:

Al di sopra del caos e del brusio che caratterizzano la nostra epoca come ogni epoca, a coronamento delle discussioni avute durante il giorno e delle scene viste in serata, si era fatta strada nella mia mente una domanda riguardante la legge ultima dell’esistenza alla quale desideravo che il saggio che avevo di fronte offrisse una risposta. Tuffandomi quindi negli abissi del linguaggio e innalzandomi a un tempo fino alle vette del massimo trasporto, durante una pausa di silenzio interrogai il rivoluzionario e il filosofo pronunciando le gravi parole «Cos’è?». La sua mente mi è parsa allora quasi capovolgersi, almeno per un attimo, mentre osservava il ruggire del mare di fronte a sé e la folla irrequieta sulla spiaggia. «Cos’è?», avevo chiesto, ed egli ha risposto, in maniera assorta e grave: «La lotta!». In un primo momento mi è sembrato di udire l’eco della disperazione ma, forse, era solo la legge della vita.

http://materialismostorico.blogspot.com/2015/03/lintervista-di-swinton-marx-del-1880.html

Senza dubbio direi... ma c'è modo e modo di declinarla. Uno dei modi migliori è la lotta di un bambino contro i suoi capitomboli per imparare a muoversi sugli arti inferiori. Uno dei modi peggiori è essere travolti da un camion che forza il picchetto dove stavi tu coi tuoi compagni. "Sul ring si sale per vincere o per perdere, non per farsi massacrare". A questo proposito gli sport da combattimento sono abbastanza eloquenti: da un lato, le discipline estremo-orientali dove al rispetto dell'avversario si accompagna l'assoluto divieto di fargli del male, controllando rigorosamente il colpo, la proiezione, la leva articolare, lo strangolamento. Dall'altro c'è quella carneficina, quella macelleria chiamata MMA. lotta qui e lotta lì, ma non è la stessa cosa.

Ciao
Paolo
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Paolo Selmi
Thursday, 24 June 2021 19:09
E però l’assunto da cui occorre prendere le mosse per comprendere come si possa spezzare l’intreccio perverso tra la ‘democratizzazione’ e la fascistizzazione, che dà il titolo a questo paragrafo, consiste in ciò: che le classi lavoratrici sono l’unico strato sociale che abbia un interesse diretto alla salvaguardia della capacità del paese di produrre ricchezza.

Caro Eros,

Come notava qualche compagno, forse su queste stesse pagine di sinistrainrete.info, fuori dai nostri confini ci chiamano PIIGS. Destinati per la maggior parte di noi a ingrassare le fila di un esercito di manodopera di riserva europeo, questa volta. A fare da camerieri a una borghesia europea (e, per una specie di proprietà transitiva che Biden vorrebbe ripristinare, americana): borghesia europea che solo IN PARTE è distribuita ANCHE sul nostro territorio. Borghesia italiana a cui, fondamentalmente, questa situazione va bene! Loro sopravvivono, e il resto camerieri, magari SPA di lusso, ma camerieri, sulla falsariga di come a Cipro fanno gli oligarchi russi, solo in maniera meno pacchiana (e anche su questo comincio a nutrire qualche dubbio…).
Dici bene, quindi, ed è un passaggio che forse giova ripetere, e ripetere: “le classi lavoratrici sono l’unico strato sociale che abbia un interesse diretto alla salvaguardia della capacità del paese di produrre ricchezza”.

Altro, quindi, che “sparizione” della classe operaia, fine del lavoro, eccetera. Scordiamoci queste cose. E scordiamoci anche di altri percorsi pseudoalternativi, avanzati – anche in buona fede, per l’amor del cielo – da qualcuno di noi: fare da camerieri alla borghesia cinese anziché a quella europeo-americana non è la soluzione. Ma questo è un difetto che da “Franza o Spagna eccetera eccetera” ci tiriamo dietro da secoli…

“Produrre ricchezza” significa, anzi tutto, tornare a “produrre”. Abbiamo le competenze, abbiamo le risorse, abbiamo la tecnologia. Abbiamo politecnici che sfornano ogni anno specialisti che prendono il largo… ma questa non è una sconfitta di questo capitalismo putrido… nooo, ci mancherebbe! “Fa tutto parte del piano”… Lasciamola fare ancora, la nostra borghesia, i nostri politici arraffoni, i chierici assoldati a ogni livello per decantare le lodi di questo bolide che, mentre si sta andando a schiantare contro il muro a tutta velocità, continua a perdere pezzi… (ma “la produzione è aumentata”!)
Un esempio fra tutti… il 110%. Ennesimo giochetto per far entrare tanti soldi nelle tasche di pochi. Un “cappotto” ora costa PIU’ del doppio di quello che costava un anno fa, con scostamenti di oltre 10.000 euro anche solo per un centinaio di metri quadri. Tanto chissenefrega… io ti faccio il preventivo gonfiato, tu non lo guardi neanche perché non paghi, firmi e io incasso! E tutti a buttarsi li, il nostro capitalismo “edile”… quello che fai il buco e riempi il buco così dai da lavorare! Quello che fa ripartire… si ma chi? Ancora una volta i cinesi! Ma non perché sian cattivi o che cosa… ma se fino all’altro ieri tutti aspettavano il container per vendere i materiali edili… oggi cosa è cambiato da allora???? Nulla! Proprio nulla! E allora i soldi del 110% per “far ripartire” son già finiti in quel container in import, ovvero nelle tasche del capitalista cinese che lo riempie… ed è tutto fermo! Perché gli ordini dei materiali edili son tutti fermi, perché le navi ritardano, perché i pesci grandi si sono già accaparrati tutto, persino i ponteggi si fan fatica a trovare… perché si noleggiano, ma se io noleggio a te poi non ne ho per noleggiarli a un altro, e quell’altro resta fermo!!! Ma i politici che fanno queste genialate senza neanche provare, dico solo provare, a vincolarle a una produzione che crei occupazione locale… ci sono o ci fanno? Ma non è un fallimento del nostro capitalismo, no… ci mancherebbe! Quello per cui “ogni collaboratore (oggi ci chiamano così… oltre il danno la beffa) licenziato è una sconfitta”, come sentivo dire dal presidente di confindustria in televisione.

E, in tutto questo, il quadro sconfortante che emerge è che “il vecchio sta morendo ma il nuovo non è nemmeno in gestazione”: una putrefazione continua, che ci porta sempre più in basso, perché c’è sempre un “più in basso di così”… e che paradossalmente mentre sprofondiamo ci fa vedere un’asticella, quella che dobbiamo raggiungere e superare, quella costruzione del socialismo per cui solo mezzo secolo fa ci sembrava essere solo una questione di COME, più che di SE, sempre più alta e inarrivabile.

E come quando si frana nello sfasciume abbiamo bisogno di picchiare il bastone da qualche parte, puntellare e fermarci, alzare quindi lo sguardo e ripartire a puntare alla vetta, allo stesso modo qui occorre trovare il modo di arrestare la caduta. Ma non solo, altrimenti il terreno continuerà a franarci da sotto i piedi. Arrestare la caduta e toglierci da questo sfasciume, ritrovare la strada e puntare dove proprio indichi, ovvero la produzione, una produzione finalmente socializzata, che faccia da base per una soluzione complessiva, uno sguardo finalmente a 360 gradi, sui problemi sociali, culturali, non solo economici, che ci attanagliano.

Dimitrov era un grande. Persino da morto. I miei amici bulgari mi raccontavano che ci vollero tre tentativi consecutivi con il suo Mausoleo imbottito di tritolo per cominciare a farlo tremare. Neanche a buttarlo giù. Solo tremare. Il martello non voleva tornare a essere incudine!

Un caro saluto.

Paolo Selmi
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