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bollettinoculturale

"Conversando sul lavoro - I limiti dello smartworking"

di Bollettino Culturale

Presentazione dell'incontro sul libro di Savino Balzano "Contro lo smartworking"

324hduuNel Capitale Marx analizza il settore dell'“industria domestica” che, non avendo più nulla in comune con l'antico artigianato, è diventato un “reparto esterno della fabbrica, della manifattura o del grande magazzino”, disperso nelle campagne e nelle città, e collegata da “fili invisibili” al capitale. Assumendo le differenze storiche e tecnologiche tra il settore nel periodo in cui scrive l'autore tedesco e quello attuale, è rilevante notare come le conseguenze di questo tipo di lavoro per il lavoratore fossero evidenti e possono aiutare l'analisi del lavoro a distanza:

“Lo sfruttamento di forze lavoro immature e a buon mercato assume aspetti più sfrontati nella moderna manifattura che nella vera e propria fabbrica, perché la base tecnica qui esistente, — sostituzione della forza muscolare con macchine e semplificazione del lavoro —, là manca in gran parte e, nello stesso tempo, il corpo femminile o ancora immaturo è lasciato senza il minimo scrupolo in balia degli influssi di sostanze venefiche ecc.; ed è più sfrontato nel cosiddetto lavoro a domicilio che nella manifattura, perché la capacità di resistenza degli operai diminuisce con la loro dispersione, perché tutta una serie di parassiti e predoni si inserisce fra il vero e proprio datore di lavoro e l’operaio, perché il lavoro a domicilio lotta dovunque con l’azienda meccanizzata o almeno manifatturiera nello stesso ramo di produzione, perché la miseria deruba l’operaio delle condizioni di lavoro più necessarie, lo spazio, la luce, la ventilazione ecc., perché l’irregolarità di occupazione aumenta, e infine perché, in questi ultimi rifugi di coloro che la grande industria e la grande agricoltura hanno reso «superflui», la concorrenza nel lavoro raggiunge necessariamente il massimo.”

Così, allo stesso modo in cui il lavoro a domicilio generava in quel momento tutto un contesto dannoso per il lavoratore, si comprende che lo smartworking, pur avendo in potenza valori socialmente riconosciuti come positivi, quali libertà e flessibilità, può contenere elementi perniciosi e orizzonti di sfruttamento ancora poco esplorati, come analizzato per bene nel libro da Savino Balzano.

Potremmo definire lo smartworking la modalità di lavoro con la quale il lavoratore fornisce servizi attraverso strumenti di comunicazione e informazione (notoriamente internet), geograficamente distanti dalla sede fisica della propria azienda. Lo smartworking è stato recentemente regolamentato dalla Legge 81/2017. Questa nuova modalità di lavoro, in quanto prestazione di servizi che avviene principalmente al di fuori dei locali dell’impresa attraverso l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ha preso velocemente piede grazie alla pandemia che stiamo ancora vivendo, differenziandosi dal precedente telelavoro introdotto in Italia alla fine degli anni ‘90. Tuttavia, il lavoro a distanza viene spacciato come una soluzione favorevole ai lavoratori da conservare anche in futuro poiché corrisponderebbe al loro desiderio di fluidità, flessibilità e modernizzazione del lavoro, oltre a evocare la promessa di una serie di benefici per quanto riguarda la conciliazione tra tempo di lavoro e tempo di vita (posto che sia ancora possibile fare una netta distinzione tra queste due dimensioni).

Seguendo l'esempio dell'introduzione delle macchine nel sistema produttivo all'inizio dell'Ottocento analizzato da Marx nel Capitale, si comprende come lo smartworking tenda a generare anche trasformazioni di grande impatto psicosociale per il lavoratore del XXI secolo. Tuttavia, a causa della fase iniziale di consolidamento che vive questa forma di lavoro, non è ancora possibile misurare tutti i suoi effetti soggettivi, sociali e organizzativi, sebbene siano ampiamente propagandati i vantaggi reciproci per il lavoratore e l’impresa.

Ad esempio: aspettative di risparmio di risorse e tempo, aumento della produttività (e quindi del profitto) ed evocazione anche di miglioramenti della qualità della vita. Lo smartworking sembrerebbe accontentare i desideri di entrambe le parti nel rapporto di lavoro.

Tuttavia, è sempre necessario considerare che la scienza e le sue invenzioni non sono elementi neutri o estranei a questioni politiche, sociali, culturali ed economiche. Marx ricorda che “il capitale, piegando al suo servizio la scienza, impone sempre docilità alla mano ribelle del lavoro.”

Pertanto, le tecnologie dell'informazione, così come le modalità di lavoro a distanza, sono elementi carichi di interessi e significati sociali, economici, politici e culturali. Ovviamente, quando si cerca di implementare nuovi valori o costumi in una data società, è consuetudine elogiare solo i benefici e le caratteristiche positive di questi nuovi elementi, ignorando o minimizzando i rischi e le problematiche da affrontare.

Pertanto, è necessario prestare attenzione al fatto che lo smartworking appare circondato da valori acclamati come totalmente positivi per entrambe le parti poiché possono facilmente oscurare nuove e pervasive modalità di estrazione del plusvalore. Quindi, nonostante i decantati elementi positivi dello smartworking, è importante sottolineare che la legislazione del lavoro italiana che lo regola è ancora carente e imprecisa, favorendo la comparsa di interpretazioni tendenziose in grado di promuovere il lavoro precario, con perdite che vanno oltre il rapporto di lavoro, raggiungendo la società nel suo insieme.

Quello che viene chiamato lavoro a distanza è un concetto così nebuloso e mal definito che difficilmente si può dire che esista in modo chiaramente delimitato e quantificabile. E quando questa nebulosità e incertezza coinvolge un sistema tendente allo sfruttamento del lavoratore, come nel caso del capitalismo, i rischi a cui è esposto diventano innegabili.

Questo contesto permeato da cambiamenti nel processo lavorativo, che tendono a mascherare lo sfruttamento attraverso la rivendicazione dell'autonomia dei lavoratori, comporta la deregolamentazione dei diritti del lavoro (che sono stati regolarmente erosi in varie parti del mondo), l'indebolimento della classe operaia, precarietà e delocalizzazione del lavoro e distruzione del sindacalismo di classe, con la formazione di un sindacato docile, corporativo e al servizio dell'impresa.

Sembra, quindi, che lo scenario lavorativo contemporaneo si stia muovendo verso quella che Ricardo Antunes chiama “uberizzazione” del lavoro – un inarrestabile modus operandi imprenditoriale, che cerca il profitto e l'aumento del valore del capitale attraverso forme di lavoro precario in espansione su scala globale. Pertanto, questa "uberizzazione" del lavoro, sommata alle lacune legislative e alle loro possibili conseguenze dannose, favorisce l'emergere di una serie di difficoltà legate al lavoro a distanza: individualizzazione dei compiti, isolamento sociale, perdita di azione collettiva, cattiva gestione del tempo, aumento del carico di lavoro, distrazione e interferenza familiare durante lo svolgimento del lavoro, con conseguenze sulla salute fisica e psichica del lavoratore.

Pertanto, sebbene lo smartworking sia stato acclamato per i vantaggi che apporta al lavoratore, è urgente considerare che l'incompletezza legislativa di questo nuovo fenomeno lavorativo può portare a richieste esorbitanti del datore di lavoro, che finiscono per esigere dal lavoratore una dedizione maggiore di quella richiesta nel lavoro in presenza. In questo senso, nonostante l'apparente flessibilizzazione dell'orario di lavoro, nello smartworking potrebbe verificarsi un'intensificazione del lavoro, come accadde nel XIX secolo, nel sistema manifatturiero inglese, quando la riduzione legale dell'orario di lavoro fece sì che il capitale trovasse nell'intensificazione del lavoro un modo alternativo per compensare questa conquista della classe operaia.

Inoltre, con la fusione tra l'ambiente di lavoro e quello domestico, i lavoratori possono incontrare difficoltà nell'organizzare la propria routine e stabilire limiti di tempo tra il lavoro e le attività di riposo, il che può comportare un aumento del tempo dedicato al lavoro, sottraendolo alla propria vita. Considerando che oggi l'idea di efficienza, produttività e non procrastinazione è estremamente valorizzata (Balzano nel libro fa degli esempi concreti molto interessanti sull’allungamento della giornata lavorativa non pagata che sottrae anche posti di lavori potenzialmente liberi) e considerando anche che i mezzi tecnologici attraverso i quali viene svolto lo smartworking sono costantemente accessibili, è molto probabile che il lavoratore sia stimolato ad essere costantemente coinvolto nell’attività lavorativa, riducendo drasticamente i tempi morti. C'è quindi una grande possibilità per il lavoratore di mettere a disposizione il suo tempo per lavorare in modo molto pernicioso.

Nello smartworking, l'ambiente domestico è solitamente il luogo in cui vengono eseguite le attività lavorative. E questa mancanza di uno spazio fisico specificamente dedicato al lavoro tende a rendere difficile la distinzione tra momenti lavorativi e non lavorativi.

Nel lavoro in presenza, entrare e stare in un luogo fisico per lo svolgimento delle attività lavorative aiuta il lavoratore a delimitare non solo fisicamente, ma anche temporalmente, l'esecuzione del lavoro in un momento specifico della sua giornata. C'è una chiara delimitazione dello spazio in cui si svolgerà il lavoro e, soprattutto, del tempo che sarà dedicato ad esso. Nello smartworking, invece, la fusione tra casa e spazio lavorativo rende difficile anche differenziare la destinazione del tempo, che è qualcosa di più fluido e astratto.

Stare a casa significa anche essere al lavoro ed è molto probabile che ci sia confusione tra lo stare a riposo e il lavorare, tra lo stare a casa e l'indisponibilità al lavoro in qualsiasi momento della giornata. E questa semplice differenziazione comporta tutto un processo di risignificazione del lavoro, che non coinvolge più un luogo e un tempo predeterminati.

Un altro aspetto importante del lavoro a distanza è il fatto che venga svolto attraverso dispositivi tecnologici (tablet, notebook, cellulare), intensificando il collegamento costante del lavoratore al lavoro, poiché non solo invade la sua casa, ma lo accompagna anche in tutti i momenti della sua giornata, ovunque sia. Pertanto, il complesso compito di separare i momenti lavorativi e non lavorativi tende a diventare assurdamente doloroso, poiché l'accesso costante ai mezzi tecnologici consente di svolgere o accedere alle attività lavorative in qualsiasi momento e luogo, anche mentre si guarda la partita di calcio in televisione o durante una passeggiata nel parco.

In questo senso, il fatto che il lavoro sia sempre più svolto attraverso le tecnologie dell'informazione rende quasi impossibile separare il lavoro dal tempo libero e ci si aspetta sempre più che i dipendenti siano disponibili al lavoro in qualsiasi momento. Inoltre, i dispositivi tecnologici contengono una maggiore possibilità di sorveglianza rispetto alla persona fisica sul posto di lavoro, in quanto il tablet e, soprattutto, il cellulare accompagnano il lavoratore nella sua intimità domestica, libera da vincoli di orario. Ciò significa che è possibile utilizzare la tecnologia come sostituto della sorveglianza del datore di lavoro caratteristica dei sistemi di produzione precedenti. Resterebbe, quindi, la coercizione sul lavoro, anche se mascherata con richiami altisonanti alla libertà e flessibilità. Un problema di cui tenere conto è anche quello relativo all'effettivo svolgimento dell'attività lavorativa. Il fatto che siano svolte al di fuori dei locali del datore di lavoro compromette la supervisione dell'attività da parte dell’impresa e dai responsabili della sicurezza eletti dai lavoratori, che può finire con l’esporre il lavoratore a situazioni di maggiore vulnerabilità in termini di malattie professionali e infortuni sul lavoro. Vale a dire che il telelavoratore diventa l'unico responsabile del proprio ambiente di lavoro e del corretto svolgimento dell'attività. Inoltre, il fatto che l'esecuzione avvenga al di fuori dei locali del datore di lavoro potrebbe anche rendere difficile il riconoscimento del nesso di causalità tra lavoro, malattie professionali e infortuni sul lavoro, esonerando il datore di lavoro dalla propria responsabilità al verificarsi di tali eventi. Un'altra peculiarità del lavoro a distanza è legata a nuove caratteristiche che il contratto di lavoro può assumere, poiché il fatto che l'attività lavorativa venga svolta a domicilio e ad orari flessibili può favorire distorsioni e tentativi di deconfigurazione del rapporto di lavoro stesso. Pertanto, l'assenza di una routine lavorativa predeterminata e di uno spazio fisico, potrebbe facilitare i tentativi di caratterizzazione errata del contratto di lavoro, con un onere maggiore per il lavoratore. Quanto sopra mostra che i telelavoratori sono soggetti a una serie di rivoluzioni nella loro attività lavorativa e nel loro stile di vita, come è successo quando i macchinari sono stati introdotti nel sistema manifatturiero inglese nel XIX secolo. A quel tempo, gli studi di Marx dimostrarono che i costi ei risultati dell'introduzione della produzione meccanizzata erano a carico della classe operaia, dato che le macchine aumentavano il numero di "schiavi del lavoro" sottoposti a orari di lavoro intensificati e retribuzione insufficiente. In questo senso si avverte il rischio che il lavoro a distanza – così ben mimetizzato con le sue vesti di autonomia, flessibilità e modernizzazione – si mostri, a lungo termine, come un'altra forma di precarietà, che potrebbe portare ad un maggiore impoverimento del lavoratore. Considerando che l'operaio dei servizi genera plusvalore al capitalista, il plusvalore assoluto si riferisce al pluslavoro, il lavoro non retribuito che l'operaio fornisce al capitalista ed è incrementato all'aumentare della giornata lavorativa, senza aumento di salario. Il plusvalore relativo, invece, si ottiene attraverso l'aumento della produttività o l'intensificazione del lavoro, in cui l'operaio produce di più ma senza percepire un aumento proporzionale a questi miglioramenti della produzione. Negli studi ottocenteschi sull'industria manifatturiera inglese, attraverso l'accesso alle routine della fabbrica, alle regole a cui erano sottoposti gli operai e al salario medio pagato, l'identificazione delle quote di lavoro retribuito e del pluslavoro, nonché del plusvalore assoluto e relativo, era più diretto e relativamente facile da discriminare. Nell'ambito del telelavoro, invece, per una migliore comprensione delle sue dinamiche, è necessario analizzare i possibili cambiamenti nell'estrazione del plusvalore e nell'aumento della produttività, al fine di individuare gli interessi del capitalista nello scegliere questo tipo di lavoro, dato che, in un primo momento, si presenta come un modello vantaggioso per il lavoratore, in quanto non impiegato nell'ambiente tradizionale di lavoro e sottoposto al suo controllo, oltre a non dedicare tempo al pendolarismo. Il comfort della propria casa e la flessibilità dell'orario sono altri benefici addotti come motivazioni per adottare il lavoro a distanza senza arrecare danno al lavoratore, configurando uno scenario in cui vincono entrambe le parti: il dipendente, come spiegato sopra, e il datore di lavoro, che ridurrà i costi e gestendo più facilmente il personale. La storia contiene però casi che minano questo paradiso di equilibrio nel rapporto capitale-lavoro, come il caso dell'azienda italiana di abbigliamento Benetton, che negli anni '80 licenziò i suoi dipendenti della fabbrica e con i soldi del loro licenziamento l’azienda acquistò delle nuove macchine. Tuttavia, propose ai dipendenti di produrre interi prodotti o parti di essi nelle proprie case per poi rivenderli all'azienda. Le restrizioni erano che la materia prima doveva essere fornita dall'azienda e la produzione rivenduta esclusivamente ad essa, secondo la richiesta di Benetton. Se ci fosse stata poca domanda, l'operaio avrebbe lavorato poco mentre se la domanda fosse aumentata, l'orario di lavoro doveva stare al passo con le nuove richieste del mercato. E il prezzo, ovviamente, era determinato da Benetton. Con questo “gioco” l'azienda evitava di spendere per macchinari, materie prime in eccesso, manutenzione del posto di lavoro e supervisori, aumentando le vendite attraverso un sistema di produzione on demand. Al lavoratore non è più richiesto il viaggio giornaliero dalla casa alla fabbrica, con il rispettivo lavoro retribuito che garantiva le condizioni minime di riproduzione, ma si ritrovava ad essere ancora più soggetto alle oscillazioni della domanda, a volte con guadagni insufficienti, a volte con un carico di lavoro molto più alto del precedente. Questo caso non si qualifica come telelavoro, in quanto non richiede la mediazione del computer o simili, tuttavia, si configura come un germe della modalità di lavoro analizzate, avendo in comune il legame diretto "invisibile" con l'azienda e l'assoggettamento alle conseguenze esposte da Marx riguardo all'aumento dello sfruttamento capitalistico, all'indebolimento della classe operaia e all'instabilità della quantità di lavoro, oltre alla tanto decantata flessibilità.

Dato che il concetto di telelavoro non è ben definito e rigoroso, e può assumere caratteristiche diverse nei diversi mestieri, prenderemo la seguente ipotetica situazione per illustrare il nuovo rapporto tra lavoro e capitale, che riteniamo sia utile, portando elementi comuni alla gamma dei lavori a distanza già presente oggi nel nostro paese: il lavoratore si occupa della vendita di servizi telefonici. Lavora per 8 ore, con 1 ora di pausa pranzo, oltre allo spostamento, che considereremo di 2 ore, cioè 11 ore dedicate all'occupazione, con 8 ore di lavoro effettivo. La produttività media di questi lavoratori in azienda è di 100 pacchetti di servizi venduti al giorno e il loro stipendio corrisponde a 20 di questi pacchetti. Supponiamo che il valore per la riproduzione della forza lavoro sia equivalente, in ore, a questi 20 pacchetti venduti, quindi 2 ore. Cioè, lo stipendio corrisponde al valore della forza lavoro necessaria e il plusvalore dell'azienda è di 80 pacchetti o 6 ore della giornata lavorativa del lavoratore. L'azienda decide di spostare metà di questo settore al lavoro da casa, tramite il telelavoro, in cui il contatto con il cliente verrà effettuato tramite un software specifico installato sul computer del lavoratore, che si occuperà della manutenzione della propria macchina e dell'accesso a internet. La nuova modalità è soggetta a un sistema di obiettivi in ​​cui, giornalmente, devono essere venduti 120 pacchetti di servizi, ovvero un aumento del 20% rispetto alla produttività media della precedente modalità di lavoro. Considerando, a titolo esemplificativo, che l'orario consentito per effettuare chiamate è dalle ore 8:00 alle ore 19:00, il venditore dispone di 11 ore “libere” da dividere tra lavoro e necessità personali. Ogni volta che accede, il sistema registra fino a quando non si disconnette, ovvero conta esattamente quante volte ha effettuato l'accesso e per quanto tempo è stato online, rendendo possibile tracciare una media mensile e giornaliera di quanto tempo effettivamente il lavoratore usa a casa per vendere un pacchetto di servizi. È molto probabile che il rapporto minuti/pacchetto sia più basso nel telelavoro, in quanto, gestendo individualmente il suo tempo, la sua "disponibilità" di venditore tende ad aumentare durante il tempo lavorato, e, vista la maggiore produttività, si riesce anche a vendere di più rispetto al lavoro in presenza.

Quanto alle conseguenze di questa situazione, il primo effetto è quello di ridurre "intervalli o bolle improduttive", quei momenti in cui il lavoratore non sta producendo al suo "massimo" (andare in bagno, conversazioni con i colleghi, pause non contabilizzate e altri umanamente indispensabili riposi), in quanto ora può "scegliere" di lavorare nei momenti di alta concentrazione. Il secondo effetto è l'istituzione di un nuovo riferimento di produttività: poiché i telelavoratori guadagnano più dei lavoratori in loco nello stesso periodo, l'azienda adotterà questo nuovo riferimento, chiedendo di più ai lavoratori in loco, cercando di aumentare la produttività intensificando il lavoro. È interessante notare che questa "pretesa" dei lavoratori ha assunto aspetti meno minacciosi, cioè è sempre meno un’imposizione di un caporeparto e più un discorso di competitività introiettato, spingendo questi lavoratori a sottomettersi e produrre di più per superare gli obiettivi stabiliti dall’azienda. Il terzo effetto è l'aumento del plusvalore assoluto: la giornata lavorativa è stata prolungata, seppur indirettamente, in quanto il lavoratore rimane, durante le pause, condizionato e in tensione tutto il tempo per guadagnare di più durante il periodo in cui effettivamente lavora (diversamente dalle 11 ore che il lavoratore dedica alla propria attività in presenza, in quanto 2 ore saranno dedicate al trasporto). Il quarto risultato è l'aumento del plusvalore relativo: la diminuzione del rapporto minuti/vendite intensifica la produttività e il valore relativo al lavoro retribuito si riduce, non essendoci aumento di salario.

Questo può essere visto come un plusvalore straordinario per il capitalista, considerando che la prospettiva è che altre aziende adotteranno il sistema fino a quando non riusciranno a bilanciare questo iniziale vantaggio. Il quinto effetto è la diminuzione dei costi e conseguente aumento del profitto: sospensione del pagamento dei buoni di trasporto, riduzione dei consumi di elettricità, acqua, internet..., eliminazione degli incarichi di supervisione e controllo che erano solo spese dell'azienda per il mantenimento della forza lavoro, il capitale costante. L'ultimo effetto è l'assegnazione di nuove funzioni al lavoratore che ora deve mantenere la propria macchina, garantire l'accesso ininterrotto a Internet, installare e richiedere supporto per il software...

Quindi, tralasciando, per ora, la discussione sull'ontologia del telelavoro, notiamo che non c'è rivoluzione nel rapporto capitale-lavoro, dato che restano le categorie di plusvalore assoluto e relativo, intensificazione della giornata lavorativa e produttività. Le differenze rispetto al lavoro in presenza sono dovute alle modalità di estrazione del surplus e all'organizzazione e controllo del lavoro. Differenze che portano a nuove proprietà nel rapporto del lavoratore con la macchina, oltre a conseguenze diverse sulla salute e sulla soggettività del lavoratore.

La costituzione della soggettività umana avviene attraverso il lavoro. Pertanto, i cambiamenti che coinvolgono il lavoro implicano effetti soggettivi sulla sua esecuzione e sullo stile di vita del lavoratore. Poiché la soggettività umana è intesa come sintesi individuale e singolare che si costruisce a partire da esperienze sociali, storiche e culturali, si comprende che le nuove modalità con cui viene svolta l'attività lavorativa incidono anche sulla stessa identità del lavoratore. Nel telelavoro il rapporto uomo-macchina assume contorni complessi e globali, in quanto il modo in cui i lavoratori affrontano le tecnologie dell'informazione come mezzo di lavoro influenzerà direttamente la loro soggettività e il loro stile di vita. Pertanto, quando il lavoratore è sottoposto ad un rapporto di lavoro mediato da macchinari, come nel caso del telelavoro, i limiti all'uso dei dispositivi, l'instaurazione - o meno - di momenti e spazi fisici delimitati, la sottomissione o autonomia rispetto alla macchina sono problemi che sorgono nel lavoro quotidiano e che devono essere affrontati regolarmente. Pertanto, i telelavoratori affrontano la sfida di gestire il proprio rapporto con i dispositivi tecnologici come mezzo di lavoro libero da vincoli temporali e spaziali. A differenza dei macchinari dell'industria dell'Ottocento, le risorse tecnologiche contemporanee non servono esclusivamente a fini di lavoro e nemmeno subiscono restrizioni fisiche o temporali, in quanto non sono confinate allo spazio della fabbrica. Al contrario, invadono l'ambiente domestico e accompagnano il lavoratore in ogni momento, fungendo da risorsa di intrattenimento e da strumento di lavoro. Di qui l'evidente difficoltà del lavoratore a stabilire limiti tra lavoro e non lavoro, tra momenti di svago e adempimento dei propri doveri. Questa confusione genera inevitabilmente oneri psicologici che incidono sulla salute e sulla vita del lavoratore. Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione hanno influito a tal punto sulla divisione spaziale e temporale del lavoro che, per molti lavoratori, i confini tra lavoro e vita privata formano un groviglio confuso. Date queste problematiche, il telelavoro impone al lavoratore di confrontarsi con i problemi della macchina, confrontandosi costantemente con i processi decisionali riguardanti l'utilizzo di questi dispositivi tecnologici: sia per lavoro o tempo libero, sia in qualsiasi spazio fisico e in qualsiasi momento della sua giornata, in modo regolamentato o indiscriminato.

E questo rapporto lavoratore-dispositvi tecnologici permea l'intero problema del lavoro, raggiungendo la soggettività del lavoratore e incidendo sul suo modo di vivere. Pertanto, comprendere il modo in cui l'uomo si rapporta alla macchina e comprendere l'impatto psicosociale di questa relazione è essenziale per comprendere gli effetti reali del telelavoro nella sua interezza. Tenuto conto di ciò, risulta evidente che i promettenti risultati del lavoro a distanza, più che un effetto automatico di questa nuova modalità di lavoro, vanno visti nel suo rapporto con il complesso processo di adattamento dell'uomo alle nuove tecnologie, perché, al di là delle funzione, le innovazioni tecnologiche coinvolgono elementi umani, sociali, politici, economici e culturali che ne costituiscono la sostanza e che contano nell'imprevedibilità in grado di generare ulteriori cambiamenti nel loro disegno iniziale. Occorre quindi fare in modo che i telelavoratori mantengano il loro potere discrezionale, non devono essere solo “incorporati come appendici vive di un meccanismo morto”, come è successo con i lavoratori che hanno sperimentato l'introduzione delle macchine nel XIX secolo.

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