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lacausadellecose

In morte di Rossana Rossanda

di Michele Castaldo

00057E4F rossana rossanda.jpgfdetail 558h720w1280pfhwc40c455Una comunista nebulosa

In occasione della scomparsa di Rossana Rossanda si è scatenato, da un lato, la solita, infame canea anticomunista della destra e del bieco centrismo, dall’altro, nella sinistra si ripete il solito balletto dei distinguo, della nostalgia e dei personalismi. Ora, il fanatismo nei confronti del personaggio, sia di rancoroso astio che di religiosa adesione, non forniscono elementi razionali di riflessione e non aiutano perciò a capire la storia della vita sociale in particolare di un secolo straordinario qual è stato il ‘900, con l’espansione della rivoluzione industriale e con essa il passaggio da una economia prevalentemente agricola a una pienamente industriale, quindi al suffragio universale e alla democrazia parlamentare ecc. ecc., per un verso, e con l’irruenza di classi oppresse e sfruttate come i contadini poveri e gli operai, per l’altro verso.

In queste note tralasciamo gli aspetti della personalità della Rossanda e cerchiamo di riassumere all’osso la questione:

cosa ha rappresentato il personaggio Rossanda, insieme ad altri militanti comunisti che sono rimasti in qualche modo fedeli a quella impostazione originaria? La contraddizione di fondo, cioè che il comunismo innanzitutto non è un modello prefabbricato una volta per tutte di rapporti sociali da applicare nelle varie circostanze, ma un processo, un movimento storico anticapitalistico, dunque non era, non è tuttora e non può essere un movimento positivista politico che si può sviluppare intorno a una classe per abbattere la classe al potere. Perché? Ma perché il potere capitalistico viene sì sussunto da una classe, che solo per comodità lessicale chiamiamo borghesia, ma si sviluppa nel più complesso dei rapporti degli uomini con i mezzi di produzione, obbedendo a meccanismi e leggi del tutto impersonali.

Ora la destra sociale, culturale e politica si esprime secondo i suoi criteri, per cui il comunismo sarebbe stato «Il più mostruoso sistema di oppressione mai realizzato dall’umanità», come scrive sul quotidiano Libero Iuri Maria Prado. Si tratta di un’affermazione livorosa che contraddice platealmente la storia, non fosse altro perché mentre nel paese più “democratico e liberale del mondo”, cioè gli Usa, la schiavitù razziale è durata per oltre 400 anni, come ultimamente ha ammesso Biden, il candidato democratico alla Casa Bianca, per le elezioni del 3 novembre, e la terra non è mai stata data ai contadini che la lavoravano da schiavi neri importati a forza, mentre nella tanto odiata Urss la terra fu tolta alla nobiltà e assegnata ai contadini pochi giorni dopo la rivoluzione.

Non ci va leggero neppure Marco Bascetta, intellettuale di sinistra, che nel suo articolo per la scomparsa di Rossana Rossanda sul Manifesto scrive: «Ed è proprio quel pensiero (di R.R.) […] a tenerci alla larga dalle sue più nefaste incarnazioni quali furono quelle mostruose superfetazioni dello stato e del lavoro salariato che caratterizzarono il cosiddetto socialismo reale», come dire che dagli amici mi guardi iddio e dai nemici mi guardo io.

Ma ovviamente per la destra liberale il comunismo avrebbe commesso una ulteriore mostruosità, quella cioè di collettivizzare le campagne; altrimenti detto: prima venne data la terra ai contadini e poi fu loro tolta attraverso una durissima e sanguinosa repressione. Ed erano talmente sanguinari i comunisti che addirittura mangiavano i bambini, stando a uno dei più odiosi aspetti della propaganda clerico-borghese italiana degli anni ’50 del secolo scorso.

Allora, a scanso di equivoci ed a costo di scandalizzare anche certi cosiddetti comunisti, diciamo che i due aspetti del problema, e cioè: uno, l’assegnazione della terra a chi da sempre l’aveva lavorata e desiderata e, l’altro, la collettivizzazione e la creazione di strutture comunitarie per la semina, i raccolti, la lavorazione dei raccolti agricoli e la distribuzione dei prodotti, tentavano di obbedire a una logica comunitaria piuttosto che individuale, liberale e liberista. Dunque da un punto di vista ideale si trattò di un tentativo di altissimo valore sociale, forse unico nel suo genere tentato nella storia moderna. Un tentativo che è stato sconfitto dall’irruenza del modo di produzione capitalistico che partito dall’Europa si andava espandendo a macchia d’olio in tutto il mondo come una marea montante, camminando sui morti.

Già prima che in Urss c’erano state avvisaglie in Francia, subito dopo la rivoluzione del 1789, con la sconfitta maturata nel profondo della società della legge sul maximum e la condanna al patibolo di Robespierre. L’Europa fu pervasa da una euforia generale per la rivoluzione industriale, che non ammetteva freni inibitori, che quel tentativo rappresentava. In modo particolare perché il confronto, da parte della Francia era con quell’Inghilterra che dava segni di straordinaria potenza. Sicché il “leninismo” in un modo, e lo “stalinismo” in un altro, si presentavano come una anomalia storica: il leninismo perché attraverso il “Comunismo di guerra” che con le squadre annonarie prelevava i raccolti agricoli, li centralizzava e li distribuiva, secondo un principio di equità; mentre lo “stalinismo” addirittura procedeva alla collettivizzazione delle terre, alla creazione di consorzi di semina, raccolti, lavorazioni e distribuzioni in stretto rapporto con l’industria trasformativa.

Ecco «il più mostruoso sistema di oppressione mai realizzato dall’umanità»! Era comunismo? Ognuno dia la risposta che vuole, ma con assoluta certezza possiamo dire che si trattava di un movimento reale del rapporto degli uomini con la terra, la produzione agricola e la sua distribuzione che modificava lo stato di cose presente – per parafrasare Marx - sia nei confronti delle decadenti strutture feudali che nei confronti dei rapporti di produzione che altrove procedevano per vie opposte. Sicché il comunismo non lo si può definire in astratto, ma solo nei reali rapporti degli uomini con i mezzi di produzione.

Stando al principio hegeliano che «la nottola s’alza sul far della sera », solo in presenza di un fatto possiamo tentare di definirlo. Sicché il motto di Rossana Rossanda, «il comunismo ha sbagliato ma non era sbagliato», non deve essere commisurato al valore delle libertà individuali delle persone, ma ai valori intrinseci dell’azione di uomini che richiamandosi agli ideali comunisti tentarono di applicarli ai rapporti reali con i mezzi di produzione, che rispondevano a valori opposti al liberismo.

La domanda, però, è: perché «il comunismo ha sbagliato»? e la risposta non la possiamo ricercare nell’errore individuale delle persone, nella loro disonestà, nella loro arbitrarietà, nella loro sete di potere. In questo modo non ne usciremmo e tutti i comunisti democratici occidentali che hanno tentato di fornire una risposta sul piano della democrazia e delle libertà individuali sono finiti per essere risucchiati dalle posizioni ideologiche e culturali della borghesia liberale.

In realtà l’Urss, all’indomani della Rivoluzione del ’17, più e prim’ancora che essere circondata dalle armate bianche occidentali, dalle quali si poteva difendere e si difese come nazione, era circondata da un modo di produzione che l’accerchiava come movimento storico dal quale era costretta a cedere ai meccanismi oggettivi che imperversavano e che le imponevano livelli di sviluppo sia sul piano qualitativo che quantitativo tali da dover rincorrere l’Occidente. Il tutto per affermare una semplice verità: i bolscevichi si trovarono a dover decidere in che modo gestire i due fattori storici dell’accumulazione in un’area arretrata dell’Europa dell’Est: privilegiare lo sviluppo dell’azienda agricola privata a scapito di un rallentamento dello sviluppo dell’industria, quella pesante in modo particolare, oppure subordinare tutte le attività, e dunque anche l’agricoltura, allo sviluppo dell’industria e quella pesante in modo particolare.

Insomma l’Urss non era l’unico paese al mondo e doveva correre e concorrere con lo sviluppo che in Occidente aveva avuto come “piedistallo” un’accumulazione originaria dovuta al colonialismo e alla schiavitù nera. Sicché i democratici occidentali, e per quel che ci riguarda da vicino gli italiani, farebbero bene a ripassare un poco la storia anziché parlare per dogmi ideologici, quando non a vanvera.

L’Urss fu costretta a sabotare la parola d’ordine di Bucharin «Arricchitevi» rivolta ai contadini e volgere il potere politico a sostegno dello sviluppo industriale, in modo particolare dell’industria pesante e bellica, anche perché le previsioni di un nuovo conflitto mondiale, che aveva come obiettivo l’Urss, le sue materie prime e il suo proletariato, non erano per niente sfumate, anzi.

Quale fu l’illusione bolscevica? Quella di pensare che detenendo il potere politico si potesse controllare lo sviluppo economico tanto in agricoltura quanto in industria. La storia – cioè l’andamento impersonale dei fatti – ha dato torto ai bolscevichi e a quanti pensavano come i bolscevichi; perché, come Marx chiarisce bene nei Grundrisse, le leggi dell’economia sono impersonali e subordinano la volontà dell’uomo. Altrimenti detto: puoi per un periodo pretendere la consegna dei raccolti agricoli dai contadini, ma alla lunga i contadini troveranno il modo di sottrarsi al controllo delle squadre annonarie statali e commercializzare a nero, o magari anche corrompendo i funzionari dello Stato e puntare all’accumulazione e all’arricchimento, perché sono permeati da un vento, come la bora, che si leva forte e potente, quale il moto di produzione capitalistico che era irrefrenabile.

Sicché come Stato puoi anche mantenere la proprietà della terra dopo averla data in usufrutto, ma non è possibile controllare la semina, lo sviluppo e i raccolti se non c’è una volontà corrispondente da parte di chi la lavora. Dunque il motto di Rossana Rossanda «Il comunismo ha sbagliato ma non era sbagliato » evidenzia la discrepanza tra la volontà ideale del comunismo e la forza delle leggi oggettive del moto di produzione. Questo indipendentemente dalla volontà della Rossanda.

La domanda da porsi è: ha un senso sul piano storico porre in termini ideali i rapporti degli uomini con i mezzi di produzione? La risposta è SI, perché è l’insieme della vita sociale dell’umanità che procede per tentativi, e solo dopo aver sperimentato nella realtà determinati rapporti rispetto a determinate leggi, possiamo trarre la conclusione che il comunismo ha idealizzato dei rapporti oggettivi del moto-modo di produzione capitalistico nella sua fase ascendente.

La domanda successiva, osservando ancora quanto accaduto nell’Urss, è: aveva senso la collettivizzazione delle campagne dopo che era stata assegnata la terra ai contadini? Sì, aveva lo stesso senso del tentativo di controllare la semina e i raccolti agricoli, e coerentemente se tu contadino ti vuoi sottrarre a tutti i costi al potere politico che punta a uno sviluppo equilibrato tra agricoltura e industria, collettivizzo le terre e tutte le lavorazioni che riguardano le produzioni agricole. Ma si trattava di contrapporsi, ancora una volta a un’onda che avanzava in modo impetuoso, e per fermarla lo “stalinismo” dovette ricorrere a una dura repressione.

Chi si erge, a posteriori, a giudice della storia svolazzando con i se e i ma ideologici non rende un buon servizio alla comprensione della storia stessa, perché di essa vanno spiegate le cause più che le responsabilità individuali e personali, perché queste obbediscono a ruoli impersonali di forze “occulte”, cioè di interessi che si impongono nei confronti di altri interessi. E nell’Urss degli anni venti e trenta si imposero due forze convergenti: la preoccupazione di una nuova guerra di aggressione e la conseguente necessità di uno sviluppo dell’industria pesante a detrimento dell’arricchimento della categoria dei contadini privati. In questo modo va posta la questione per renderla comprensibile. Dunque i dubbi che Rossana Rossanda aveva erano più che legittimi, anche se non aveva tutti gli strumenti di comprensione delle impersonali leggi dell’economia.

 

L’Urss, la lotta operaia e il comunismo

C’è un secondo aspetto da esaminare con la dovuta attenzione, quello relativo alla repressione delle lotte operaie nell’Europa dell’Est, in modo particolare dalla fine della seconda guerra mondiale ai giorni nostri.

Verso la fine della Seconda guerra mondiale fu sancito un accordo a Yalta: le tre maggiori potenze vincitrici del conflitto si dividevano in due sfere di influenza, una guidata dagli Usa, l’altra dall’Urss. Negli anni successivi queste due sfere si mutarono in due blocchi, la Nato e il Patto di Varsavia, al primo facevano capo gli Usa, al secondo l’Urss.

Si trattava ovviamente di un accordo del tutto provvisorio e destinato a essere messo in discussione dalle leggi del mercato, che non conoscono confini E che non conoscessero i confini si evidenziò poco dopo in Germania, quando il governo dell’Est, fu costretto a costruire a Berlino un muro divisore tra Berlino est e Berlino ovest. Ma la forza del mercato e delle sue leggi a lungo andare avrebbero sbriciolato anche sul piano formale quel muro, cosa che accadde nel 1989.

Rispetto alla sua caduta non vi fu una seria riflessione fra i comunisti e si scompaginarono le loro file.

Al riguardo Rossana Rossanda, in una lunga intervista a M. D’Eramo, pubblicata su Micromega nel 2017, annotava: «Anch’io ero triste. Tuttora non considero positivo il giorno in cui è stata calata la bandiera rossa dalle torri del Cremlino; nessuno può sostenere che la situazione nell’ex Unione Sovietica sia veramente migliorata in senso democratico. Per la verità, andrebbero esaminati anche i limiti della critica di Berlinguer che non si spinse mai in fondo. In questo il Manifesto fu più serio. Per chi aveva vissuto il Sessantotto, era stato più semplice affermarsi in presenza di un’Unione Sovietica che tuttavia spaventava gli Stati Uniti e la destra di quanto non sia stato dopo ». Si trattava di una annotazione acuta per mille e più ragioni, una al di sopra di tutte: quella che la caduta del muro di Berlino sanciva la vittoria del “modello” capitalistico che gelava la schiena del proletariato occidentale che in qualche modo aveva guardato per oltre mezzo secolo all’Urss come ipotesi del sol dell’avvenire. Nei confronti di chi, a “sinistra” in Occidente gioì, va steso un pietoso velo.

Passiamo perciò a esaminare l’altra questione, quella del rapporto dei governi comunisti dell’Europa dell’Est con il proletariato, ovvero la classe operaia in nome della quale i comunisti dichiaravano di governare.

Per comodità espositiva citiamo alcune lotte operaie che in vari paesi dell’Est europeo provocarono l’intervento repressivo di apparati militari e polizieschi sia da parete dei governi locali che da parte dell’Urss. Interventi che lacerarono la coscienza di molti comunisti, di forze di sinistra e di sinceri democratici, in modo particolare in Occidente, fra cui certamente il gruppo che con Rossana Rossanda si organizzò attorno a il manifesto, rivista prima e quotidiano poi.

 1953 - I moti operai nella Germania dell'Est scoppiarono nel giugno del 1953 quando uno sciopero dei manovali edili si trasformò in una rivolta contro il governo della RDT. I tumulti a Berlino Est il 17 giugno vennero repressi da forze sovietiche in Germania.

1956 - Gli operai di Poznań, in Polonia, insorsero il 28 giugno 1956 al grido di "pane e libertà" contro il regime stalinista mantenuto dall'Unione Sovietica. La rivolta fu repressa nel sangue dai carri armati dell'Esercito Polacco comandati dal generale sovietico Konstantin Rokossovsky, allora ministro della guerra polacco. Gli operai uccisi dal generale sovietico (benché di origine polacca) furono almeno 100.

1956 - La rivoluzione ungherese del 1956, nota anche come insurrezione ungherese o semplicemente rivolta ungherese, fu una sollevazione armata di spirito anti-sovietico scaturita nell’allora Ungheria socialista che durò dal 23 ottobre al 10 – 11 novembre 1956.

1968 - La Primavera di Praga è stato un periodo di liberalizzazione politica iniziato in Cecoslovacchia il 5 gennaio 1968, quando lo slovacco Alexander Dubček divenne segretario del Partito Comunista di Cecoslovacchia, e terminato il 20 agosto dello stesso anno, quando un corpo di spedizione militare dell'Unione Sovietica e degli alleati del Patto di Varsavia invase il paese.

1970 - Gli scioperi polacchi del 1970 avvennero nelle regioni settentrionali della Repubblica Popolare di Polonia in seguito ad un improvviso aumento dei prezzi del cibo e di altri beni di consumo. I moti furono repressi dall'Armata popolare polacca e dalla milizia cittadina, provocando 42 morti e più di 1000 feriti.

1980 - Il Sindacato autonomo dei lavoratori "Solidarność" (Solidarietà) è un sindacato fondato in Polonia nel settembre 1980 in seguito agli scioperi nei cantieri navali di Danzica e guidato inizialmente da Lech Wałęsa (premio Nobel per la pace nel 1983 e successivamente presidente della Repubblica negli anni 1990-1995)

Le lotte degli operai che qui menzioniamo segnano praticamente il punto critico del comunismo, ovvero la difesa di un’area ritenuta socialista dall’ingerenza interna ed esterna del modo di produzione capitalistico. Su che cosa si incentrava la critica “rossandiana”? Esattamente sul fatto che il comunismo non si può imporre con la forza delle armi a detrimento proprio di quella classe per cui si pretende di governare.

In tutta onestà, va detto però che la critica di Rossana Rossanda era di tipo ideologico e concerneva il diritto di libertà da parte dei lavoratori che chiedevano migliori condizioni di vita e di lavoro. Legittima quanto si vuole, ma non riusciva ad affondare il coltello nella piaga, non riusciva cioè a capire che la causa di quelle repressioni andava ricercata nelle leggi del modo di produzione capitalistico. La ricostruzione post-bellica imponeva ritmi che i paesi dell’Est europeo, Urss compresa, per poterli reggere doveva comprimere lì, nella produzione di valore, dunque sul proletariato; per rilanciare l’accumulazione e entrare in competizione con le merci dei prodotti occidentali che premevano alle frontiere. Questo è l’aspetto storico, teorico e politico centrale per capire la natura di quelle repressioni.

Si può tollerare, o giustificare che un governo comunista reprima duramente, addirittura con i carri armati per le strade, una rivolta operaia contro il carovita? Certamente non è tollerabile. Ciò detto però non rimaniamo alla constatazione dei fatti senza fare lo sforzo di spiegare le cause che generarono i fatti stessi; non per assolvere o condannare i personaggi che i fatti posero in primo piano, ma per scoprire le forze oscure, gli interessi reali, cioè impersonali, che dirigevano la volontà degli uomini al governo che nell’Est si autodefinivano comunisti.

Per farlo esaminiamo una lotta che non si svolse in un paese dell’Est, ma in Italia, nel luglio 1962 a piazza Statuto a Torino, dove la lotta degli operai della Fiat tenne testa per una settimana alla polizia contro l’accordo separato che la Uilm aveva firmato per il Contratto Collettivo Nazionale e che discriminava i nuovi assunti che provenivano dall’Italia meridionale. Quella lotta fu condannata anche da settori del gruppo dirigente del partito comunista italiano e della stessa Cgil, fra i quali Sergio Garavini, tacciandola di vandalismo. La ragione è presto spiegata: il Pci, sull’onda della costruzione del socialismo in un solo paese nell’Urss staliniana, si faceva portatore di una via nazionale al socialismo. Ma essa non può indebolire le strutture produttive del proprio paese, perché deve reggere alla concorrenza, e nel 1962, nonostante il boom economico, il proletariato non poteva comportarsi come fattore di rottura nei confronti di un processo di accumulazione in modo particolare nei confronti dell’azienda pilota come era la Fiat di allora.

Se questa impostazione capitalistica era valida per l’Italia, paese colonialista e imperialistico, figurarsi per i paesi dell’Est europeo che erano usciti distrutti dalla seconda guerra mondiale. I comunisti si facevano carico di quelle necessità, ovvero di sviluppare l’accumulazione per rendere competitivo il proprio paese. Chi era destinato in primis a subire la pressione di quell’accumulazione? Il proletariato industriale, che produceva valore. E dunque, paradosso dei paradossi, per i comunisti dell’Est vigeva il principio che per sviluppare una società socialista, per il domani migliore il proletariato doveva essere la vittima sacrificale del presente.

È questa la questione che abbiamo di fronte. Se fosse giusto o sbagliato ci interessa poco, quello che invece ci preme capire è l’illusione che si nascondeva dietro un’azione politica di tipo ideologico per cui si prometteva il sol dell’avvenire per il futuro ai danni delle condizioni del proletariato nel presente. Posta in questi termini la questione il punto di vista “comunista” divergeva da quello liberale e/o borghese non sull’immediato, ma sulla prospettiva. Ma a chi ha fame oggi non puoi dirgli di lavorare oggi e promettergli che mangerà domani.

Ma era proprio la prospettiva a svanire perché si tendeva a rafforzare lo spirito competitivo di un’area, quella del Patto di Varsavia, non solo a danno delle condizioni degli operai, ma anche delle nazionalità contro quello che veniva presentato come il male assoluto, cioè l’Occidente capitalistico, che le masse guardavano con occhi diversi, e gli operai in modo particolare erano attratti dal capitale, dai capitalisti e dal sistema capitalistico come i girasoli guardano e sono attratti dal sole. Sicché la contraddizione era destinata a diventare sempre più divaricante. Difatti essa dopo l’89 divenne un fattore che scompaginò le file operaie in tutto l’Occidente.

Se prendiamo a esaminare la questione della Polonia degli anni ’80 del secolo scorso abbiamo la prova più evidente di quello che cerchiamo di dimostrare. E ci fa specie che Rossana Rossanda, mentre esalta le lotte studentesche e operaie in quanto spontanee /e/ si dichiari contro l’azione etrerodiretta (come dice nell’intervista che abbiamo citato) e non riconosce fino in fondo l’azione diretta e spontanea, dall’agosto 1980 in poi, dovuta alle condizioni di estrema povertà degli operai, in modo particolare dei cantieri navali di Danzica e Stettino, mentre assegna ad esse una eterodirezione della Chiesa cattolica, del papa polacco Karol Woityla eletto e nominato Giovanni Paolo II nel 1978.

C’è una palese contraddizione in quello che pensa Rossana Rossanda che si spiega solo perché lei da un lato non si rassegna all’idea che gli operai possano rivoltarsi contro il comunismo, mentre dall’altro lato non si capacita all’idea che un governo di comunisti possa reprimere la lotta operaia, proprio perché è coerente col suo credo: «il comunismo ha sbagliato, ma il comunismo non è sbagliato» e i suoi « dubbi laceranti sull’Urss » non la aiutavano a uscire dall’empasse metafisico nel quale si era cacciata: il comunismo non era e non poteva essere un modello da contrapporre al capitalismo, e volerlo sistematizzare/lo/ come tale nella storia ci ha condotti in un vicolo cieco dal quale non riusciamo a venire a capo. È questo il dramma. Detto in modo brutale, Rossanda come tanti altri comunisti non riescono a capire che il modo di produzione capitalistico è impersonale e obbedisce alle leggi dell’accumulazione del capitale ed a queste assoggetta gli uomini. Quando Rossanda afferma «Come ebbe a dire una volta Giorgio Amendola: “Noi comunisti siamo gente come gli altri”. Mi scandalizzò, non volevo assolutamente essere come gli altri» si sbaglia, perché si smaterializza e separa la volontà dalla materialità, come si separa l’anima dal corpo.

I comunisti sono uomini prodotti dagli eventi e in balia dei fattori oggettivi e non – come pensava Rossanda – uomini diversi dagli altri uomini. Con tutto il rispetto che le si deve si tratta di una impostazione lontana dal materialismo e da quello storico in modo particolare. Il suo stesso percorso dimostra che nel suo corpo, la sua anima, era afflitta dalle turbolenze storiche, come tante di altri militanti, e le sue posizioni sulla differenza tra democrazia occidentale e le “dittature” nei paesi “arretrati” non esaltano affatto il suo senso di comunista internazionalista.

 

Il comunismo e la questione nazionale

L’esempio della Yugoslavia è di una limpidezza esemplare: tante piccole nazionalità o comunità nazionali che dir si voglia, di antiche origini, dopo aver superato lo scoglio dell’occupazione coloniale, attratte dal vortice del movimento del modo di produzione capitalistico hanno voluto fare in proprio, hanno voluto cioè partecipare a pieno titolo – come comunità nazionale – all’accumulazione capitalistica, non solo senza la protezione del grande fratello, ma in competizione fra loro. Il caso del Kossovo è più emblematico che mai.

Si dirà: sì, ma i fattori esogeni hanno determinato la disgregazione della Yugoslavia come hanno determinato la dissoluzione dell’Urss.

Cerchiamo però di non mentire a noi stessi e di guardare la realtà per quella che è. Gli albanesi del Kossovo non furono importati dagli occidentali nel territorio un tempo serbo. Essi si offrirono alle fauci occidentali in cambio di una auspicata autonomia territoriale e di una partecipazione autonoma al mercato capitalistico. Non fecero la stessa cosa i croati, gli ucraini, i polacchi, i bielorussi e tutte le altre nazionalità della ex Urss? Tutti servi del mostro a stelle e strisce?

Com’è possibile che sul finire della seconda guerra mondiale ben sette nazionalità – Croazia, Slovenia, Serbia, Montenegro, Macedonia, Bosnia, Erzgovina, trovano un punto di incontro e di unità nazionale nella Jugoslavia per dissolversi dopo 40 anni di civile convivenza?

Fu dissolta solo da fattori esterni o questi coincisero con fattori interni? Serietà analitica e storica vuole che si prendano in esame entrambi gli aspetti, altrimenti si finisce per dipingere gli Usa, più potenti di quello che realmente sono e non si spiegherebbe poi l’attuale loro crisi.

La Polonia da quanto tempo ambiva alla propria indipendenza? Da quanto tempo i popoli dell’Ukraina rincorrono la propria indipendenza? La cosa si perde nella notte dei tempi. Potremmo continuare all’infinito e troveremmo sempre la combinazione dei due fattori, uno certamente esogeno, l’altro certamente endogeno.

È del tutto naturale che se si costituiscono nazionalità indipendenti e autonome, per entrare in concorrenza con le proprie merci nei confronti di un mercato agguerrito, bisogna accumulare e lo si può fare solo sfruttando al massimo il proprio proletariato fino ad affamarlo per divenire competitivi. È successo in Ungheria, nella Germania dell’Est, in Russia, in Polonia, in Romania.

Ma è successo anche in Medio Oriente, come in Iran per esempio, e nell’estremo Oriente, anche se non ce ne occupiamo in queste note. Attualmente sta succedendo nel continente africano, sempre con la duplice combinazione esogeno-endogeno. Si dirà: si, ma i fattori esogeni sono prevalenti, il che è vero, ma proprio l’Est europeo e l’Urss in modo particolare, hanno dimostrato che la specie umana è stata attratta dal “modello” capitalistico e dai suoi “valori”.

Tutti traditori del comunismo, tutti venduti al mostro Usa e all’Occidente? Ma se anche così fosse, ci dovremmo comunque chiedere perché quest’area difesa da parte dei comunisti dalle fauci dell’imperialismo poi si sgretola e viene attratta dai valori, odori e sapori occidentali, altrimenti manca l’anima della riflessione teorica e storica.

Sicché per tornare a Rossana Rossanda e non farla troppo lunga, lei si poneva una serie di problemi ai quali non poteva dare una coerente risposta. Il suo merito però fu quello di interrogarsi, ma le mancava l’anello fondamentale, quello del materialismo storico che definisce il modo di produzione capitalistico come moto impersonale degli uomini con i mezzi di produzione. Un moto che si è imposto su ogni altra ipotesi di relazioni sociali.

Concludiamo così dicendo che il comunismo non si può imporre con la forza della volontà e ancor meno con la volontà della forza: o si sviluppa dalle viscere dell’umanità, oppure il modo di produzione capitalistico, con le sue leggi del mercato e della concorrenza, contro la stessa volontà degli uomini che lo propugnano, lo rivoltano nel suo contrario.

Quale il paradosso dei nostri giorni? Mentre finalmente il moto-modo di produzione capitalistico è in una crisi sistemica e senza via d’uscita, per di più aggravato dalla pandemia che ha provocato, i comunisti guardano al passato piuttosto che cercare di attrezzarsi per il futuro.

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Alfonso
Saturday, 10 October 2020 18:29
Un paio di cosette da aggiungere al asado:
"I compagni dovrebbero fare lo sforzo di spogliarsi dei propri pensieri sulla storia e cercare di capire in che modo essa procedeva." Recentemente, proprio con l'esperienza di Morena in maniera diretta, e indirettamente con altri paesi latinoamericani, tutto il progetto transmoderno (del quale Dussel è il maggiore, ma non l'unico, rappresentante) di critica alla modernità precisamente spogliandosi dei propri (coloniali) pensieri sulla storia sta trovando verifica nella pratica sociale e politica. Un tentativo iniziato con la formazione di gruppi, aggregatisi poi in una coalizione politica, in un partito, e in una vittoria elettorale, giunti alla quale i quadri si sono posti il problema della mancanza di un movimento sociale, tutto da costruire secondo la loro valutazione. Molti anni fa, avevano reciso il cordone ombelicale con tutto il socialismo del secolo passato. Álvaro García Linera fu abbastanza chiaro con Pablo Iglesias: abbiamo messo una pietra sopra le speranze che dall'Europa arrivasse qualcosa di buono. E una cosa è dire 'contare sulle proprie forze' su ventiduemilionidichilometriquadrati, o con novecentomilionidipersone, altra cosa quando i bambini studiano su lavagne di fango (cito non il capo del Soviet di El Alto, ma Álvaro García Linera). La seconda cosetta me l'ha suggerita Anna, per il banale motivo che sono incontinente su particolari temi. Non saprei dire del predecessore del presente "tutela del giurisperito", ma conosco un anziano ex-militante di una formazione populista che, come dice Anna, prese il c...o per la banca dell'acqua. Insomma, Khamenei 'era proprio un ragazzo in gamba da giovane', poi chi sa cosa; e Bergoglio, da giovane gesuita non perdeva uno degli incontri di Dussel e compagni. Forse ha imparato qualcosa. Ma se ci si trovasse in un Soviet, lo votereste? Invitereste i compagni a sceglierlo? Grazie
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Don
Saturday, 10 October 2020 15:07
1. Il comunismo è la dottrina del proletariato internazionale. Stalin riducendolo a teoria nazionale lo ha svuotato del suo contenuto di classe e l'ha riportato a livello borghese.
2. Il Partito Comunista Russo è una sezione della Terza Internazionale; le decisioni della Terza Internazionale avrebbero dovuto essere vincolanti anche per lui. Invece il PC russo si è impadronito della direzione della Terza Internazionale con la teoria staliniana dello Stato Guida e perciò ha portato avanti una politica imperialistica grande-russa.
3. Invece di predicare la fratellanza e l'uguaglianza e di sforzarsi di eliminare o di diminuire i privilegi di classe, lo stalinismo ha allargato queste differenze attraverso cottimi, premi, benefici, ville, ecc. ed ha perciò fatto una politica borghese nell'interno del proprio paese.
4. Invece di aiutare le sollevazioni proletarie e di indirizzare le sollevazioni contadine dietro il proletariato in Cina ed in Spagna, ha obbligato i comunisti a mettersi al servizio della borghesia (in Cina al servizio di Ciang-Kai Shek ed in Spagna al servizio del governo repubblicano di Madrid) effettuando così una politica controrivoluzionaria.
5. Lo stesso è stato fatto con gli accordi di Yalta, mettendo il movimento par. tigiana agli ordini di Badoglio e Togliatti al servizio di Vittorio Emanuele III, mentre in Francia i comunisti venivano messi alla ruota di De Gaulle.
6. Per eseguire la politica dei punti 4 e 5 la classe al potere in Russia è stata costretta a camminare sopra i cadaveri dei bolscevichi (processi di Mosca del 1936 e del 1938).
7. Per effettuare una politica di collaborazione con la Germania di Hitler Stalin è stato costretta a far fu cilare tutto lo Stato Maggiore dell'Armata Rossa (processo di Tukacevsky).
8. Per quanto sopra detto la Russia di Stalin ha eseguito dal 1927 in avanti una politica di nazione borghese e Stalin è stato lo strumento dell'accumulazione primitiva in Russia, ossia lo strumento della creazione di un potente stato borghese. Egli Stalin ha fatto per la Russia quello che Cavour e Napoleone hanno fatto per l'Italia e per la Francia. Ossia ha consolidato le conquiste della rivoluzione borghese spazzando via definitivamente la sovrastruttura feudale della Russia, ed ha aiutato la crescita di una classe di intellettuali e dirigenti borghesi in un paese di analfabeti e semiasiatico.

Stalin è stato, è vero, lo strumento oggettivo dello sviluppo industriale della Russia. Ma è anche vero che in questo suo ruolo ha operato come lo strangolatore e l'affossatore della rivoluzione socialista russa e mondiale coprendosi dietro la grossolana e falsa teoria della costruzione del socialismo in un solo paese.
Ma se la borghesia russa ha scelto bene nel prendere un rivoluzionario bolscevico per raggiungere i suoi fini storici, ciò non cambia il fatto che Stalin - per adattarsi a questo ruolo - ha dovuto tradire i principi del comunismo internazionalista e mettere la sua firma sotto le sentenze di morte dei suoi ex-compagni di lotta. La carriera di Stalin è seminata di cadaveri di comunisti (comunisti russi, cinesi, spagnoli, tedeschi, iugoslavi, polacchi ed anche italiani). E sono questi morti, caduti sul giusto fronte della lotta di classe, che mettono Stalin tra i carnefici del proletariato, assieme a Cavaignac ed a Thiers
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michele castaldo
Saturday, 10 October 2020 09:42
La compagna Anna si interroga su Lenin e la rivoluzione in Russia e in Europa.
Molti comunisti sanno, o almeno dovrebbero sapere, che Lenin si educò alla socialdemocrazia di Kautski e al ruolo della classe operaia come fattore storico (da Marx del Manifesto) per la rivoluzione socialista e la dittatura del proletariato. Poi fu costretto a prendere in considerazione la lotta dei contadini quale fattore rivoluzionario contro la nobiltà, lo zarismo, il feudalesimo ecc. E rivolgendosi al suo partito disse: abbiamo sbagliato, dobbiamo correggere, i contadini sono parte attiva della rivoluzione. Lo poté e dové dire SOLO GRAZIE alle lotte dei contadini che si andavano scatenando sul finire del diciannovesimo secolo sempre più violente.
Ma proprio i contadini rappresentavano i due corni del problema: a) categoria (o classe) rivoluzionaria nei confronti della nobiltà; b) classe (o categoriE) controrivoluzionaria nei confronti del Comunismo. Tanto è vero che Rosa Luxemburg aveva ben messo in guardia Lenin dicendogli: questi saranno i tuoi aguzzini.
I personaggi che sono chiamati a confrontarsi in Russia con i due corni del problema si chiamano uno Lenin, due Stalin. Tutti gli altri sono di un livello inferiore che la storia gli ha assegnato, come per esempio Bucharin (grande studioso di economia) che vedeva solo un aspetto del problema: quello che senza l'arricchimento dei contadini non sarebbe stato possibile sviluppare l'industria pesante in Russia, mentre per i bolscevichi, e Stalin che in quel periodo li rappresentava, c'era il rovescio della medaglia: l'arricchimento dei contadini sarebbe stato a detrimento di uno di un'accumulazione delle finanze dello Stato per sviluppare l'industria pesante e in modo particolare quello bellico perché una nuova aggressione era dietro l'angolo.
Come si rapporta l'ideale comunista in una situazione così complicata? E' questa la questione che abbiamo di fronte se si vuole discutere con serietà. Altrimenti detto: Lenin non poté evitare di appoggiare senza condizione la rivolta dei contadini, sic et simpliciter. Stalin non poté che reprimere le loro aspettative a detrimento di uno sviluppo con caratteristiche obbligate, sic et simpliciter.
I compagni dovrebbero fare lo sforzo di spogliarsi dei propri pensieri sulla storia e cercare di capire in che modo essa procedeva. Questo è - almeno secondo me - il modo più corretto per capire anche in che direzione sta andando il modo di produzione capitalistico. Dopo l'Asia anche l'Africa sarà interamente capitalistica e industrializzata e avremo un mondo di concorrenti e merci che ineluttabilmente aggraverà ulteriormente l'attuale caos e si avvierà all'implosione aggravato da questa o da una ulteriore e successiva pandemia.
Detto in modo chiaro, e per quanto strano possa sembrare: L'ATTUALE MODO DI PRODUZIONE NON ARRIVERA' ALLA FINE DI QUESTO SECOLO.
Michele Castaldo
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Paolo Selmi
Friday, 09 October 2020 23:59
Caro Giacomo,

le domande che poni sono quelle a cui sto lavorando da anni. Sembra banale, ma per rispondere correttamente occorre sapere, prima ancora conoscere, prima ancora ricercare. Fino al 1861 nella Russia zarista c'era la servitù della gleba, e fino a trent'anni prima la stragrande maggioranza degli operai delle fabbriche russe erano servi della gleba trasferiti direttamente dai campi.

Sto lavorando ora a un pezzo sui sindacati in Urss e mi son reso conto che parlare delle loro fasi senza parlare degli stessi operai russi, della loro storia, è come parlare di tanti contenitori asettici. Parli di Taylorismo, giustamente. Quello che Alfonso altrettanto giustamente nota lo trovi qui, pubblicato per intero: https://iuo.academia.edu/PaoloSelmi
scorri sotto fino alle drafts e a "2+2=5" e hai l'intero file, refusi compresi di cui mi scuso in anticipo, perché solo ora li sto sistemando.

Potremmo parlare di Americanismo e Fordismo ma, a questo punto di Toyotismo, di kaizen (改善), i cui caratteri significano "cambiare, riformare" il primo (è lo stesso delle gaige 改革, delle riforme cinesi) e "buono, bene, meglio", il secondo. Quindi "cambiare per il meglio".

Potremmo parlare della differenza fra emulazione socialista e cottimismo.

Potremmo parlare di tante cose. Già sapere che domani mattina non devo alzarmi per andare al lavoro mi dispone diversamente dalle altre sere dove a quest'ora son più di là che di qua: mancherebbero solo due castagne e un bicchiere di vino... che aiutano ancor meglio la riflessione!

Le conclusioni a cui sono giunto nel mio pezzo sull'emulazione non te le ripeto qui. Il discorso va ben OLTRE la "semplice" accumulazione. Il discorso riguarda il COSA e il COME si produce, prima del QUANTO. Il discorso riguarda il DUPLICE RUOLO di PRODUTTORE e CONSUMATORE che, in un sistema a proprietà sociale dei mezzi di produzione e conduzione pianificata degli stessi, PUO' E DEVE ASSUMERE FORME E CONTENUTI DIVERSI da quello dove la produzione risponde ad altre logiche.

La DOMANDA nel nostro sistema capitalistico è DROGATA sin dal concepimento, sin da quando, nel latte in polvere delle multinazionali, caricano dosi massicce di zuccheri così che il bebé sputi poi quello materno perché, giustamente peraltro dal suo punto di vista, trova più gradevole quella cosa che sua madre si è trovata un giorno a dover scaldare in fretta e furia a bagnomaria perché non ne aveva abbastanza di suo e la pediatra non gli aveva consigliato la galega, che favorisce la montata lattea sia delle mucche che di tutti i mammiferi in generale.

Risultato: rinuncia a quella meraviglia del Creato, con la C maiuscola, perché ogni volta che ci penso poi davvero raccolgo la mandibola lasciata per terra da qualche parte, costituita dal latte materno; una miscela misteriosa che cambia da sola con il crescere del neonato, e che gli fornisce ESATTAMENTE ciò di cui ha bisogno, dalle sostanze nutritive agli anticorpi. Al punto che i latti in polvere sono denominati 1,2,3 ecc per tentare di IMITARNE, senza riuscirci, la diversa composizione nel corso delle fasi di crescita. Il risultato è come ascoltare Robert Gilmour dal vivo, o Jimmy Page, o l'appena dipartito Eddie Van Halen, o chi vuoi tu, e una cover band di ragazzi delle superiori che a malapena sanno mettere in fila tre accordi.

Ma il lattante sputa il primo e trangugia il biberon intero del secondo. Allo stesso modo i nostri acquisti sono influenzati da diversi fattori, che nella maggior parte dei casi hanno ben poco a che vedere con il SEMPLICE VALORE D'USO. Pensiamo di pancia, compriamo di pancia, buttiamo nella monnezza la differenza, in genere non ci rimane nulla. Se hai bimbi piccoli fai caso alle confezioni in cui sono contenuti i loro giochini. Devono affrontare migliaia e migliaia di km dentro a un container, pigiati a tappo, e resistere a numerosi sollecitazioni, urti, trazioni. Per questo sono reggiati, inseriti in involucri di plastica e coperti da cartoni con colori accattivanti. Tutta roba che, nel momento in cui "scartiamo il regalo" finisce buttata via. Producessimo più vicino a noi, avremmo bisogno di imballi molto meno ingombranti e inquinanti. Producessimo cose destinate per durare, avremmo molti meno rifiuti. Producessimo giocattoli veramente appassionanti per i nostri bimbi, e giocassimo con loro, non avremmo bisogno di sopperire ai nostri sensi di colpa e alle loro paturnie riempendo i loro angoli di gioco di plastica, destinata al consumo immediato e alla discarica subito dopo.

Stessa mentalità, quando si cresce, per i vestiti, per i telefonini, per la spesa al supermercato. Pensiamo di pancia, compriamo di pancia.

Allora, fatta la rivoluzione, possiamo tirare su un bel muro, come fecero i tedeschi. "Voi andate avanti a comprare di pancia, ad autodistruggervi, a rovinarvi con cibo zuccherato, carni gonfiate e tassi di colesterolo alle stelle, e noi seguiamo un'altra strada". Ma quanto possiamo durare? "Avremmo potuto stupirvi con effetti speciali, con colori ultravivaci... ma noi siamo scienza, non fantascienza": ti ricordi questa reclame degli anni ottanta di non so quale televisore? A me faceva morir dal ridere... Molto Bauhaus, l'essenzialità, la funzionalità, la perfezione nella celebrazione del valore d'uso, come la prima CONTAX, che faceva il millesimo di secondo negli anni trenta con settecento parti e componenti metalliche di quel miracolo d'ingegneria tedesca che era quell'otturatore a saracinesca. Ci sta tutto... ma quante CONTAX sono state vendute? Ti dico di più: il progetto delle CONTAX finì ai sovietici in riparazione dei danni di guerra nazifascisti. Insieme alle linee di produzione e agli ingegneri tedeschi (pacchetto completo!) per la costruzione delle prime TELEMETRO KIEV nella fabbrica ARSENAL, per l'appunto, di KIEV. La mia KIEV 4AM è di inzio anni OTTANTA. PER MEZZO SECOLO I SOVIETICI RIPRODUSSERO, CON QUALCHE VARIAZIONE, QUEL CAPOLAVORO DI TELEMETRO CHE ERA LA CONTAX! E fa ancora delle foto bianconero spettacolari, merito anche delle lenti che riproducono gli schemi ottici del Planar, del Tessar e di tutta la ottica tedesca, oltre a perfezionarne e svilupparne di nuovi.

Il mondo però andava avanti "con effetti speciali e colori ultravivaci". Le Nikon e le Canon andavano già di autofocus, di motorini elettrici montati sugli obbiettivi, sui corpi macchina (MA STIAMO PAZZIANDO??? ANCORA CON LA LEVA DI AVANZAMENTO PELLICOLA DA TIRARE COL POLLICE DOPO LO SCATTO??? ma come si permettono questi trogloditi...), creando dei mostri ingombranti, costosi e fragili. Ma il mondo andava avanti! E finché il muro resta su, puoi andare avanti. Ma se il muro cade, poi chiudi tutto dalla sera alla mattina. Ma tutto!

Saltando dalla sociologia alla fisica (da bar...), il muro crea quella DDP, quella differenza di potenziale, tipo diga e centrali idroelettriche a valle. Apri la diga, e la turbina gira. Butti giù il muro e tutti dicono: ecco, guardate quello che ci avete nascosto! Te lo do io "il montaggio analogico, l'occhio della madre!"

Quindi niente muro. E salviamo la povera "corazzata Potemkin"... Ma i conti con il lato oscuro della forza dobbiamo farli direttamente. Qui, sicuramente, la partecipazione del lavoratore/consumatore al processo produttivo ci viene incontro. L'emulazione socialista vista, quindi, come momento di crescita, di consapevolezza, di miglioramento del processo produttivo, del prodotto, della coscenza critica del produttore-consumatore. Con un occhio alla testa e uno alla pancia. Ma da protagonisti, questa volta, non più oggetto passivo. Questa la scommessa, questo il lavoro che mi sta portando via tempo ed energie. Anche se non ti nascondo che una bella schitarrata aiuta, ogni tanto, a schiarirsi le idee. Perché se Jimmy Page è Jimmy Page, è vero anche che Stairway to Heaven è di tutti! Anche di un Paolo Selmi qualunque che decide di riprendere l'arpeggio iniziale dopo vent'anni che non lo suona per vedere se le cimici finalmente scappano o si suicidano nelle lampade a incandescenza.

Scherzi a parte. La tua domanda non è impegnativa, di più. Ma vale la pena lavorarci sopra per risolverla.

Ciao!
paolo selmi
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AlsOb
Friday, 09 October 2020 21:33
La conclusione interpretativa personalistica e semplicistica di Michele Castaldo che affida esclusivamente alla potente Divina Provvidenza il compito di realizzare il nucleo teologico di Marx e il passaggio alla sfera spirituale superiore ha un pregio da non sottovalutarsi. Se le nebulose e i nebulosi sedicenti comunisti aderissero alla sua visione e si astenessero dall'ostinazione di voler interferire con fragili e immaginifiche categorie nell'umano e troppo umano mondo capitalistico di ordine inferiore eviterebbero di fare danni, di dare una mano al grande capitale e di svolgere il tradizionale caricaturale ruolo dei maggiordomi che sono convinti di essere statisti e di saperne di più di Stalin e Mao Zedong messi insieme.
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Alfonso
Friday, 09 October 2020 14:16
Caro Giacomo, riguardo la domanda che poni, c'è un lavoro disponibile proprio su questo sito, di Paolo Selmi al quale ti rinvio, che mantiene la tensione sul tema. Michele, dicevo nel mio primo commento, colpisce il toro in mezzo agli occhi , ma farne un principio di impossibilità non regge : come è possibile allora che il capitale risolve questo enigma ogni giorno e ogni notte, per chiunque venda ad esso la propria forza lavoro e quindi in miliardi di occasioni? Immaginiamo che tutti i capitalisti commettano suicidio (Grossman ironizzava su questo) e le orfane maestranze debbano fare in proprio, possiamo pensare che si trovino davanti a una inevitabilità? E di che tipo? Grazie
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Giacomo Casarino
Friday, 09 October 2020 11:55
Leggendo l'articolo di Michele Castaldo i'"impersonalità " del modo di produzione capitalistico sembra ergersi come una potenza incoercibile, quasi metafisica: Ma, dico un paradosso, a che pro prendere il potere? Se lo si prende, è per avviare una transizione, una trasformazione profonda ed ininterrotta dei rapporti sociali che scardini progressivamente il capitalismo di Stato che la Rivoluzione ha creato e promosso. La domanda mi pare questa : poteva questo processo di rivoluzionamento sociale e politico (i Soviet!) coesistere con i mutamenti indotti dalla industrializzazione? E, o meglio, esso non avrebbe dovuto postulare un'industrializzazione diversa da quella finora conosciuta (le tecniche non sono neutre)? In altri termini, la industrializzazione doveva necessariamente seguire i paradigmi tayloristici e dirigistici che Lenin aveva suggerito e che avrebbero ineluttabilmente prodotto nuove stratificazioni sociali e di potere ? Quello che Rossana nella citata intervista "imputa" a Lenin è di aver dichiarato la fine della Rivoluzione che viceversa, secondo lei, andava proseguita ed approfondita. Si può discutere sul fatto se le condizioni storiche lo potevano consentire o no, ma questo è il problema ineludibile. Posizione non materialistica? Mi sia consentito di dubitare, e comunque ad un certo grado di forzatura volontaristica il processo rivoluzionario non può sfuggire. Se questa poteva/doveva essere la prospettiva, il problema sollevato della concorrenza col perdurante (altrove) modo di produzione capitalistico non avrebbe potuto porsi.
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Alfonso
Thursday, 08 October 2020 18:03
Caro Michele, riguardo al principio empirico generale di impossibilità, propongo un randomised experiment, stile Lenin a Plekhanov ("non ci sognamo nemmeno di fare il socialismo, se vuoi farlo vattene a vivere con il tuo amico Kautsky"). Prendiamo due gruppi, come nella storia che segue:

«Io temo che il re mio signore, che ha stabilito quello che dovete mangiare e bere, trovi le vostre facce più magre di quelle degli altri giovani della vostra età e io così mi renda colpevole davanti al re». Ma Michele, essendo nato l’anno nel quale si disse che ‘tra oggi e domani c’è ancora una notte, e un’aurora’, disse al custode, al quale il capo dei funzionari aveva affidato anche Anania, Misaele e Azaria: «Mettici alla prova per dieci giorni, dandoci da mangiare legumi e da bere acqua, poi si confrontino, alla tua presenza, le nostre facce con quelle dei giovani che mangiano le vivande del re; quindi deciderai di fare con noi tuoi servi come avrai constatato». Egli acconsentì e fece la prova per dieci giorni; terminati questi, si vide che le loro facce erano più belle e più floride di quelle di tutti gli altri giovani che mangiavano le vivande del re. D'allora in poi il sovrintendente fece togliere l'assegnazione delle vivande e del vino e diede loro soltanto legumi.

Suona vecchia? Mah, solo qualche migliaio di anni! Grazie
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Franco Trondoli
Thursday, 08 October 2020 11:13
A mio parere si può vedere, sul blog, anche l'interessante articolo di Mattia Gambilonghi su Marxismo oggi, dove si analizza acutamente il dibattito Rossanda/Magri sul partito. Secondo me, Rossanda, gia allora, dimostra tra le righe, di non essere proprio all'oscuro della questione del moto impersonale del modo di produzione del Capitale. Vedi la giusta consapevolezza delle posizioni di Rosa Luxemburg. Forse non ne è arrivata ad una più precisa esplicitazione pubblica. Certo io non posso sapere cosa ne pensasse negli ultimi anni della sua vita, ma il problema del fallimento del Movimento Operaio tutto nel Novecento, teorico e pratico, gli era ben presente ovviamente. Solo chi cerca di agire sbaglia. Mi sembra che il problema di che cosa fare rimanga drammaticamente in campo. Anche e proprio perché, l'impersonalita' del modo di produrre e vivere Capitalistico riduce tutti all'impotenza. Cordiali Saluti
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michele castaldo
Thursday, 08 October 2020 07:06
Il fatto che si discuta o si commentino articoli su Rossana Rossanda significa che la sua figura qualche problema l'ha posto. Dunque merito al merito e volgiamo le spalle ai sapientoni delle scomuniche.
Ciò premesso, ripeto quanto commentato con Alfonso: il sottotitolo doveva essere "UNA NEBULOSA COMUNISTA" piuttosto che una "una comunista nebulosa" perché in questione è il rapporto tra ideale comunista con la realtà della lotta di classe. R.R. ha avuto il merito del dubbio, la voglia di interrogarsi quando i conti non tornavano. Perché se si interviene addirittura con i carri armati nei confronti della lotta operaia in nome della quale si pretende di governare, QUALCHE PROBLEMA TEORICO, POLITICO E PRATICO c'è. Lei se l'è posto il problema e non ha fornito la risposta perché NON C'E' una risposta, perché durante il moto-dodo di produzione capitalistico c'è stato, c'è e ci sarà obbligatoriamente la lotta degli sfruttati e degli oppressi. Si tratta di una lotta comunista? Si, nel senso che comunità della società si ribellano nei confronti di un potere dominante.
La domanda però è un'altra: può il movimento degli oppressi e sfruttati organizzarsi per rivoluzionare in nome del comunismo il moto-modo di produzione? La risposta che la storia ha dato E' NO. E le ragioni di questo NO risiedono nel fatto che il capitalismo non è un modello retto da persone, no, ma un movimento storico dove il CAPITALE non è un oggetto che può passare dalle mani di una classe a un'altra, ma è un movimento IMPERSONALE con leggi obbligate e procede fino alla sua compiutezza per poi implodere.
Questo io ricavo dallo studio del Capitale di Marx, dall' Accumulazione del capitale di Rosa Luxemburg e da Il crollo del capitalismo di H. Grossmann.
Sicché l'azione di quanti vengono attratti dalla lotta degli oppressi e sfruttati, e lo fanno in nome di una causa comune, cioè del comunismo, consiste nella difesa strenua degli interessi di questi, senza l'illusione di poter GOVERNARE DIVERSAMENTE LE LEGGI DELL'ACCUMULAZIONE CAPITALISTICA. E quando hanno tentato di farlo, TENTATIVO NOBILE, BENINTESO, sono stati travolti dagli IMPERSONALI MECCANISMI.
E' complicato, lo so, ma questo è.
Michele Castaldo
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Franco Trondoli
Wednesday, 07 October 2020 21:13
A mio parere, nessuno ha potuto e può dirsi "sono comunista". Semmai comunisti si diviene o si diverrà. Chissà. Se Rossana Rossanda è stata o vissuta come in una "nebulosa comunista", allora immaginiamo tutti gli altri che si sono o si professano comunisti !. Un po' di indulgenza per favore !. Cerchiamo di non fare i giudici. Chi ne è capace e ne ha la forza, guardi avanti. Lì sono i problemi. Certo, il "Capitalismo" è un moto modo impersonale dei rapporti che gli uomini hanno con i mezzi di produzione, ma anche dei rapporti che hanno tra di loro. L'impersonalita' ha il suo corso storico. Ma i rapporti tra gli uomini sono nell'istante di tempo. Quindi le questioni sono molto complicate. Rossanda non è stata a veder passare il tempo storico. Si è "sporcata le mani" dentro il "suo" tempo. Nel modo che ha potuto e saputo fare. Non sono state molte e molti quelli che lo hanno fatto con la sua libertà e la sua passione per le persone anche come singolarità. Io gli sono grato.
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Anna
Wednesday, 07 October 2020 15:17
E’ difficile commentare questo articolo, perché assembla dei ragionamenti che, se isolati, li trovo condivisibili, ma formano un tutt’uno che poggia su delle premesse che non mi convincono (o forse fraintendo). Il pensiero di Marx non può essere normativo (come d’altronde l’autore, Michele Castaldo, riconosce con altre parole); il suo impianto dialettico apre la prassi politica alla contingenza e la teoria si compie nella stessa prassi. Ma ciò non si traduce in un volontarismo fine a se stesso, slegato da tutto, che libera la prassi in qualsiasi direzione riducendo il pensiero marxiano all’anticapitalismo. Se fosse così, si potrebbe strumentalizzare Marx per legittimare il fascismo o la rivoluzione islamica dell’ayatollah Khomeyni. La lotta di Marx contro il suo nemico (la borghesia, il modo di produzione capitalista) è una lotta che muove dall’interno dello stesso sistema (mi pare che Michele Castaldo sia d'accordo), ma non condotta con il martello; una lotta che condivide l’orizzonte del nemico, un nemico da superare per poter salvare i principi (di matrice illuminista) che quello ha stravolto. In termini marxiani classici , la base materiale necessita di essere sviluppata fino al punto in cui essa possa semplicemente negare la propria brutale e invadente presenza e andarsene via in buon ordine dalla coscienza, come un servo che soddisfi con discrezione ogni bisogno rimanendo invisibile. E’ solo a valle, e non a monte, di questo processo, che, marxianamente, può avvenire la transizione alla “prima fase” del comunismo. Lenin lo sapeva, e sapeva che il suo tentativo fosse un grande azzardo : la Russia come anello debole della catena imperialistica; la Rivoluzione Russa come scintilla che incendia il mondo. Com’è noto, il mondo non prese fuoco. Ciò, a mio avviso, non depone contro il tentativo del grande azzardo ; ma, come spiegò Lukács, Lenin non riconobbe neppure per un istante nel conseguente “comunismo di guerra” la vera forma di transizione alla “prima fase” della società comunista. Il resto, la degenerazione dispotica, volontarista, bonapartista e antiproletaria, che ne seguì, conferma, sempre a mio avviso, quanto detto.
Una postilla : le nazioni e le nazionalità, comprese quelle balcaniche, non hanno antiche origini ; sono costruzioni politiche dinamiche, conseguenza della divisione assiale del lavoro su scala internazionale, le cui “antiche origini” vengono narrate con funzione simbolica per “nazionalizzare le masse” ( G.Mosse).
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Alfonso
Wednesday, 07 October 2020 11:27
Questa immagine (e bisogna immaginare) del cuore oltre l'ostacolo mi ricorda una poesia del Don Ata, "con un horizonte abierto que siempre está más allá, y esa fuerza pa' buscarlo con tesón y voluntad, cuando parece más cerca es cuando se aleja más." Anche parlare del 1492, e sono d'accordo che 'conquero ergo sum' fonda il 'cogito ergo sum', mi ricorda un contributo di Juan José Bautista Segales, in un seminario di Enrique Dussel, riguardo l'altro, nello specifico un ragazzo Maya: attenzione, diceva, che nel momento in cui ti neghi come soggetto è l'altro che interagisce da soggetto con te. Insomma, per niente facile. Gianni Marchetto ricordava i giorni di Piazza Statuto, 'ci vedevamo questi ragazzi arrivare in sede, con quelle magliette strane, e neanche capivamo come parlavano'. E Marchetto, e probabilmente Dado Morandi meglio di lui, di formazione ne capisce. Forse che Marx non doveva affrontare lo stesso guado? Scrive dispense per operai, quelli finalmente capiscono feticismo, sussunzione, persino perequazione; poi arrivano le nuove leve, e devi ricominciare, neanche da zero, da prima di zero. Per fortuna, all'epoca qualcuno faceva da ponte, e ovviamente l'imberbe chiedeva subito 'che è sto metodo?' 'è la dialettica' 'e che vuol dire?' 'guarda, è semplice, tu vedi qualcosa, la rivolti come un calzino, e quello è il vero, ti appare verde, tutto è meno che verde'. Per chiudere, in morte di Van Hallen, those were good times. Grazie
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michele castaldo
Wednesday, 07 October 2020 08:25
Caro GianMarco,
innanzitutto ti ringrazio per il lusinghiero giudizio sul mio mio modo di scrivere, in secondo luogo aggiungo che il sottotitolo dell'articolo - come ho già detto ad Alfonso - doveva essere Una nebulosa comunista, ma il mio correttore di bozze, nonché amico e compagno, ha corretto cambiando il soggetto.
In realtà io volevo intendere come SOSTANTIVO-SOGGETTO in discussione una nebulosa intesa come questione storica impersonale del rapporto tra l'ideale comunista e il movimento reale della lotta di classe.
Ciò detto vengo alla tua osservazione e cioè se la Rossanda avesse o meno assimilato la tesi sulla IMPERSONALITA' della storia. In tutta franchezza ritengo di NO e non solo lei, ma la gran parte dei teorici del comunismo compreso il Marx del Manifesto.
Tanto è vero che la Rossanda in età avanzata s'era messa a studiare di economia, che non è un caso.
Un conto è BUTTARE IL CUORE OLTRE L'OSTACOLO, tutt'altra cosa sono le leggi impersonali di un movimento storico che dura dal 1492 e che finalmente si avvia verso la conclusione anche se - purtroppo - in modo catastrofico.
Tu come me facciamo parte di quella stranissima comunità che ha buttato il cuore oltre l'ostacolo e si è battuta contro le infamie di questo modo di produzione.
Ma capire fino in fondo in che MODO funziona è tutt'altra cosa. E la Rossanda era dibattuta in questa NEBULOSA come pochi in Italia.
Michele Castaldo
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GianMarcoMartignoni
Tuesday, 06 October 2020 22:56
Caro Castaldo, leggo con piacere quanto scrivi, perchè a differenza di molti dogmatici sai articolare bene il tuo pensiero e quindi risulti assai convincente nell'esposizione delle tue tesi.Permettimi però di dubitare che la Rossanda non avesse presente il moto impersonale del modo di produzione capitalistico, stante il suo rapporto con tanti studiosi marxisti dell'epoca ed in particolare un certo Louis Althusser. Il suo contributo è stato certamente notevole soprattutto sul piano formativo per le nuove generazionil,Io, che sono entrato in fabbrica in qualità di apprendista nel 1974, ha trovato nei suoi articoli e nei suoi libri tanti spunti e indicazioni che mi hanno permesso di crescere sul piano dell'autonomia culturale ; senza la quale, come ben sai ,sei di fatto sussunto alla logica del capitale..
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AlsOb
Tuesday, 06 October 2020 22:09
Che fosse parecchio e inutilmente nebulosa e confusionaria, e non solo lei, non vi sono dubbi, che Dio l'abbia in gloria.
In merito alla conclusione a energia rivoluzionaria spirituale appare un progresso rispetto al fatalismo teleologico mondano ma il grado di affidamento sulla Divina Provvidenza va probabilmente oltre la misura che Marx e la sua sofisticata teologia accetterebbero. Marx è spiritualista limitatamente al rapporto e declinazione cristologici, non secondo il sentimentalismo intuitivo o superstizioso o alla Ratzinger (che opportunamente ha cessato di fare il Papa).
Altrimenti ovviamente non si sarebbe preso la briga di studiare esotericamente e essotericamente certi fenomeni.
Quanto alla previsione sentimentalistica che l'attuale capitalismo del fittizio sarebbe in crisi sistemica e senza via di uscita non è categorialmente molto fondata. Anzi
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michele castaldo
Tuesday, 06 October 2020 14:44
Caro Alfonso,
il sottotitolo del mio articolo doveva essere "una nebulosa comunista", ma il mio correttore di bozze, nonché carissimo amico e compagno, l'ha corretto invertendo il soggetto. Il motivo è presto spiegato: la nebulosa riguarda il modo di vivere l'ideale comunista rispetto alla realtà in movimento. Dunque il soggetto è del tutto impersonale, come poi cerco di spiegare nello scritto.Difatti il titolo è In morte di Rossana Rossanda, cioè si coglie l'occasione per ridiscutere questioni estremamente importanti sia teoriche che politiche.
Purtroppo non siamo abituati a ragionare in questo modo e ci perdiamo nell'importanza delle "personalità".
Ti ringrazio di averlo letto e dell'appunto fatto.
Michele Castaldo
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Alfonso
Tuesday, 06 October 2020 10:58
Molto bello. Le problematiche toccate sono nel vivo, e vanno alla radice. Ho bellissimi ricordi di via San Valentino, ma Rossanda non l’ho mai incontrata, quindi preferirei osservare silenzio. Ma siccome vengono toccati temi sui quali ‘ogni viltà convien che qui sia morta’, alcune note sullo scritto in quanto tale vanno messe in gioco.

"tutti i comunisti democratici occidentali che hanno tentato di fornire una risposta sul piano della democrazia e delle libertà individuali sono finiti per essere risucchiati dalle posizioni ideologiche e culturali della borghesia liberale": forse parli di ambienti che io conosco poco, ma in fabbrica, nelle lotte, ho incontrato tanti e tante che hanno dovuto fare di necessità virtù, e per portare in qualche modo avanti la propria militanza non potevano permettersi di evadere (forse un termine improprio...) da una risposta sul piano della democrazia e delle libertà individuali. Non mi riferisco solo a chi ci ha lasciato in questi anni, che magari teneva ancora un codino alla Münchhausen per potersi tirare fuori dal proprio tempo (io non ho più il codino, ci son rimasti due capelli due!), ma penso anche all'estremo opposto, come Giorgio Cremaschi, immarcescibile.

"le leggi dell’economia sono impersonali e subordinano la volontà dell’uomo": nel dibattito Plekhanov-Lenin, rivoluzione con o senza i contadini, Kautsky fece da giudice e concesse ai bolscevichi che avrebbero potuto fare una rivoluzione con i contadini ma questa alleanza li avrebbe bloccati alla attuazione del programma contadino. I bolscevichi risposero 'quindi possiamo fare la rivoluzione': il farlocco Kautsky aveva dato carta bianca a un popolo di giocatori di scacchi.

"il moto di produzione capitalistico che era irrefrenabile": se poni questo come tuo principio empirico di impossibilità, non regge. Un po' come There Is No Alternative, ripreso anche in un altro post (https://sinistrainrete.info/societa/18767-aldo-zanchetta-il-grande-reset-dopo-la-pandemia.html), certo che non c'è alternativa tra imperialismo e socialismo, essendo questione di vita o di morte per la stragrande maggioranza dell'umanità, e la morte non è mai una alternativa.

Riguardo la Polonia, Rossanda era compagna di Karol, e forse aveva accesso a informazioni non alla portata di tutti. Sempre a proposito della Polonia, e del rapporto tra settori, Jacek Kuroń e Karol Modzelewski misero in evidenza che la pianificazione in ogni replica del modello sovietico generava sistematicamente un travaso di risorse a svantaggio del settore di produzione di mezzi di consumo, e che questo avrebbe portato alla fine delle economie di piano. Ben prima di loro, negli anni '60 prima di emigrare in Cile, Franz Hinkelammert aveva prodotto analisi lungimiranti su questo aspetto.

“Ma a chi ha fame oggi non puoi dirgli di lavorare oggi e promettergli che mangerà domani”: colpisci il toro in mezzo agli occhi, questo problema (da non confondere con le condizioni del problema) si pone all’alba, anzi all’aurora della presa del potere. Tornando alla metafora del contadino che tu correttamente usi, gli studi antropologici ci dicono che per qualche milione di anni homo sapiens sa che quando scheggia una pietra per tagliare erba sta mangiando, e che per qualche decina di migliaia di anni sa che quando costruisce un silos per proteggere il grano che raccoglie oggi per sussumere pane ‘l’anno che verrà’, sta mangiando. Fino allo stato di cose presente, il valore era la promessa a garantire la vita. Lo vedo un po’ deperito, e tu?

Se ci assumiamo le nostre responsabilità, e proprio per questo possiamo parlare di storia degli umani, ogni generazione portato della generazione che la precede, una la causa, uno il fattore, endogeno per chi vive il processo rivoluzionario, per chi porta il movimento come necessità, esogeno per chi lo soffoca. Da una astronave, interpretando il mondo da lontano, quello che accade all'interno di un confine appare effetto della forza esercitata al limite, e una potenza comparabile si presenta all'esterno. Terra terra, questi facitori di budini che ci circondano provano con l'Associazione Internazionale dei Lavoratori alla Comune (centocinquanta anni il 18 marzo, e hanno un peso gli anni suoi), poi ogni partito socialista dell'Internazionale Operaia attua come rappresentante del capitale totale della propria nazione, fino ai bolscevichi all'Ottobre. Poi, il dado è tratto, nessuno dei partecipanti ai lavori della Internazionale Comunista (e il confronto Stalin-Bordiga, c’era un post su questo sito in proposito, lo mette in risalto), dubita che le questioni interne al paese dei Soviet siano per l’umanità tutta, che la distinzione tra fattori esogeni ed endogeni sia operativa, da vedere volta per volta nello specifico.

Riguardo la accumulazione socialista, c'è stato qualcuno, o forse molti, che ha tirato due righe su Preobrazhenskiĭ concludendo che accumulare a partire da ‘arricchitevi’ avrebbe fornito una base asfittica per l’accumulazione, quindi che solo da un settore potevano arrivare risorse ‘senza alcuna contropartita’. Ma non solo il pluslavoro si trova senza alcuna contropartita, e come Marx avvertiva neoricardiani di sinistra suoi contemporanei, anche se espropri la terra facendone proprietà dello Stato, a qualcuno la rendita la devi pagare. Forse, ma solo forse, una regola metastorica “vale” in certe circostanze: l’umanità si pone problemi solo quando se ne presenta la soluzione….il futuro si proietta sul presente….un po’ di poesia.

"È del tutto naturale che se si costituiscono nazionalità indipendenti e autonome, per entrare in concorrenza con le proprie merci nei confronti di un mercato agguerrito, bisogna accumulare (passim)" Non si tratta di un processo naturale, ma di un prodotto storicamente determinato, che appartiene a una fase dello sviluppo dell'umanità. Capisco che lo chiami 'naturale' ironicamente, ma visto che eri severo fino a quel punto....

"i comunisti guardano al passato piuttosto che cercare di attrezzarsi per il futuro": non solo possiamo elaborare ipotesi e schemi a 'pianificare il passato per progettare il futuro', ma ci sono in giro lavori sulla pianificazione e in particolare sulla sorevnovànie che non mollano, che yes we can, e Hay que caminar soñando. O per dirla con Galeano, "¿Entonces para qué sirve la utopía? Para eso, sirve para caminar."
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