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sinistra

Obsoleti nell’UE gli inceneritori per rifiuti solidi urbani (R.S.U.)

di Luca Benedini

inceneritore3Viene qui riprodotto in buona parte, e aggiornato, un intervento – apparso una decina d’anni fa in una rivista locale – che si muoveva tra il campo giuridico, quello tecnico e quello ecologico focalizzandosi sulle prescrizioni dell’UE nel campo dei rifiuti, sui modi di ottimizzarle e sulle possibilità di migliorare ulteriormente la loro capacità di incidere sulla realtà corrente della produzione e del consumo. Dal momento che la realizzazione di inceneritori (o, come è divenuto di modo definirli, “termovalorizzatori”) costituisce ancora oggi un argomento capace di scatenare grandissime discussioni e addirittura di far cadere in pratica un governo, appare essere il caso di puntualizzare la questione, nelle attuali circostanze, con la maggiore precisione e affidabilità possibile.

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Nell’esauriente articolo Gli inceneritori per R.S.U. sono ormai obsoleti e fuorilegge, redatto da Luca Benedini, Fausto Fraccalini e Caterina Di Francesco e pubblicato nel mensile locale lombardo La Civetta dell’ottobre 2011, si leggeva quanto segue (che è totalmente valido ancora oggi né se ne prevede alcuna significativa variazione nel breve e medio termine):

«La gestione dei rifiuti in Italia e negli altri paesi dell’UE è regolata dalla legislazione europea: precisamente, dalla Direttiva 2008/98/CE del 19 novembre 2008, alla quale tutti gli altri livelli di legge devono adeguarsi.

L’art. 4 di questa direttiva stabilisce una precisa “gerarchia dei rifiuti”, in base alla quale negli Stati membri dell’UE va fatto il possibile per:

    1. ridurre i rifiuti (ad esempio, abbandonando l’“usa e getta”, facilitando il riuso dei prodotti ed estendendo il loro ciclo di vita);

    2. espandere il riutilizzo nell’ambito dei rifiuti che non si è potuto ridurre (facendo così in modo che prodotti – o componenti di prodotti – diventati rifiuti possano essere reimpiegati senza altri pretrattamenti);

    3. riciclare i rifiuti che non si è potuto ridurre o riutilizzare (cioè in pratica recuperare i materiali in essi contenuti, in modo da poterli destinare a nuovi impieghi);

    4. recuperare efficientemente energia dai rifiuti che non si è potuto ridurre, riutilizzare o riciclare (di solito ciò avviene mediante un inceneritore);

    5. infine, smaltire in maniera accurata la parte dei rifiuti che non è risultato possibile in alcun modo sottoporre a procedimenti di riduzione, di riutilizzo, di riciclaggio o di efficiente recupero energetico (è qui che vengono tipicamente in gioco le discariche).

«È una sequenza che era già prevista nelle precedenti direttive del 1975 e del 2006, eccetto per il fatto che nel 2008 è stato puntualizzato che il riutilizzo è preferibile al riciclaggio, mentre in precedenza queste due opzioni erano sostanzialmente equiparate tra loro.

In tutte queste operazioni, comunque, andrebbe pienamente salvaguardato il punto di vista ecologico. L’art. 13 prescrive infatti che “la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana” e “senza recare pregiudizio”, o “creare rischi”, all’ambiente. Non si può dimenticare, peraltro, che anche le versioni più progredite (e costose) realizzabili nel campo degli inceneritori e delle discariche mantengono nel tempo un complesso di effetti inquinanti e di rischi che non è certo trascurabile...

L’art. 4 precisa anche che la gestione dei rifiuti va effettuata “in modo pienamente trasparente” e in sintonia con la volontà dei cittadini, mediante la loro “consultazione e partecipazione”. E sottolinea che, nell’eventualità di contrasti tra aspetti particolari di tale gestione, si dovrebbe saper privilegiare la valutazione d’insieme: “Nell’applicare la gerarchia dei rifiuti [...] gli Stati membri adottano misure volte a incoraggiare le opzioni che danno il miglior risultato ambientale complessivo. [...] Gli Stati membri tengono conto dei principi generali [...] di precauzione e sostenibilità, della fattibilità tecnica e della praticabilità economica, della protezione delle risorse nonché degli impatti complessivi sociali, economici, sanitari e ambientali”.

«Fino a qualche anno fa queste prescrizioni tendevano a dare un considerevole spazio a inceneritori e discariche per RSU, a causa soprattutto dei limiti che erano ancora caratteristici della raccolta differenziata (non si dimentichi inoltre che l’incenerimento produce solitamente ampi scarti da smaltire in discarica). Negli ultimi anni, però, sono state messe finalmente a punto delle modalità di raccolta differenziata “porta a porta” che consentono sistematicamente risultati di grande efficacia e che, nel contempo, permettono che anche la frazione indifferenziata sia talmente “pulita” da rendere possibile, senza grandi difficoltà o grandi costi, un suo trattamento capace di trarre da essa un’ampia serie di materiali pienamente reinseribili nel ciclo produttivo. In questo modo si può ridurre praticamente a zero la quota di RSU da cui non si è riusciti a recuperare materiali ma da cui resta possibile recuperare energia, e si può minimizzare nel contempo la loro quota destinata alla discarica.

Per chiudere il cerchio e arrivare al loro completo riciclaggio, il passo decisivo che ancora manca è l’approvazione di leggi che prevedano che ogni prodotto disponibile sul mercato sia facilmente riciclabile (eventualmente grazie al fatto che, nei casi più complicati, le stesse aziende produttrici siano tenute ad occuparsi delle operazioni di smontaggio e riciclaggio dei loro prodotti)».

«Visto che le pubbliche istituzioni nazionali e locali sono generalmente miopi ed ecologicamente poco accorte, in tutta l’UE la ‘società civile’ dovrebbe dunque informarle del fatto che ormai gli inceneritori per RSU non solo hanno l’effetto di inquinare, di sprecare risorse e di costare in modo abnorme, ma sono anche obsoleti e sostanzialmente fuorilegge. Non uno solo di questi impianti andrebbe approvato nell’UE in futuro: in base alla Direttiva 2008/98/CE e alle tecnologie oggi disponibili, i piani per la gestione dei rifiuti non potrebbero che essere basati – oltre che su prevenzione e riutilizzo – su un’accurata raccolta ‘porta a porta’ (o su forme di raccolta equivalenti) e sulla realizzazione di impianti di trattamento».

Dal 2011 ad oggi è cambiato molto poco dal punto di vista giuridico in questo campo: la nuova Direttiva 2018/851 del 30 maggio 2018 ha integrato in modo ancor più ecologico la precedente Direttiva del 2008, così da rafforzare ulteriormente il riutilizzo e il riciclo dei rifiuti, favorendo il passaggio a una “economia circolare” in cui si privilegino in primo luogo i prodotti durevoli, riutilizzabili, riparabili ed eventualmente aggiornabili e in secondo luogo quelli i cui componenti possono essere riciclati dopo un disassemblamento di ciascun prodotto.

In tal modo, viene riconfermato e ulteriormente approfondito l’indirizzo europeo di una vera e propria “gestione integrata” dei rifiuti che sia pienamente sostenibile nel tempo (attraverso un’impostazione produttiva non consumistica e impianti di trattamento specializzati nel diretto recupero delle materie prime contenute nei prodotti in commercio), mirando a non produrre alcuna forma specifica di inquinamento.

Dal punto di vista tecnico, va sottolineato il fatto nodale che per il trattamento dei rifiuti sono stati aperti nell’UE numerosi impianti con una tale impostazione, a volte con tecnologie particolarmente evolute.

In particolare, in questi anni il riciclaggio più problematico è stato quello della plastica, e ciò a causa sia dei tanti tipi di plastica in commercio sia, indirettamente, dell’accumulo – soprattutto nei mari – di oggetti in plastica e di microplastiche tossiche entrate ampiamente ormai nelle catene alimentari sino agli esseri umani. Per ovviare in maniera veramente efficace a questi due aspetti occorre fare ancora – e in modo generalizzato – un ulteriore passo oltre il recente divieto dei prodotti “usa e getta” e oltre la progressiva sostituzione concreta che sta avvenendo per numerosi prodotti a base di plastica mediante il passaggio a dei materiali alternativi, come principalmente la carta e altre sostanze cellulosiche (anche nella forma dei poliaccoppiati, ormai pienamente riciclabili a partire dall’azione delle cartiere specializzate nella carta riciclata), il vetro, oppure – ma con molti “distinguo” – alcune delle cosiddette “bioplastiche” [1].

In pratica, occorre indirizzarsi non più verso un riciclo generico delle plastiche tutte assieme (una modalità che dopo una prima fase incoraggiante ha faticato a trovare qualcosa di effettivamente utile da realizzare e quindi anche a coprire i propri costi operativi) [2], ma il più possibile verso il riciclo di ciascun tipo di plastica per conto suo. Sono già state messe a punto diverse tipologie di macchinari capaci di separare rapidamente e in modo automatico le varie plastiche anche se raccolte tutte assieme alla rinfusa [3], oltre al fatto che nel caso di una raccolta differenziata ben fatta potrebbe essere concepibile anche il fare intervenire una separazione manuale.

Viste anche le vigenti – e giuridicamente ineludibili – Direttive europee, si dovrebbe dunque procedere con decisione verso questo indirizzo, tenendo anche presente che un aiuto specifico che potrebbe facilitare il riciclo dei vari tipi di plastica potrebbe essere costituto, sul piano legislativo, dal regolamentare le plastiche in commercio (ovviamente previa consultazione delle industrie che ne sono produttrici o utilizzatrici) in modo da ridurne e standardizzarne i tipi disponibili sul mercato. Di questa semplificazione e razionalizzazione beneficerebbero certamente gli impianti attualmente dotati di macchinari come quelli già ricordati e, ancor più, i futuri impianti in cui si potranno installare ulteriori macchinari di tal genere.

Data anche la saggia tendenza attuale ad una crescente riduzione nell’uso complessivo di plastiche, si direbbe presumibilmente consigliabile e avveduto che gli impianti di trattamento attivi nel recupero delle plastiche – e quanto mai necessari sia oggi che nel prossimo futuro – siano attivi anche nel recupero di altre materie prime, così da non dipendere eccessivamente dal punto di vista operativo ed economico dal settore appunto delle plastiche, che appare esposto alla futura possibilità di consistenti oscillazioni di utilizzazione e di mercato, specialmente nel medio termine.

Alla luce delle tecnologie oggi disponibili e del quadro generale della “gestione rifiuti” delineato nelle Direttive europee, appare pertanto pienamente evidente che le concessioni pubbliche e gli investimenti pubblici nel settore dei rifiuti dovrebbero spostarsi definitivamente dalle discariche e dai “termovalorizzatori” ad una raccolta differenziata effettivamente accurata e agli impianti di trattamento destinati al recupero effettivo delle varie materie prime. E a questo proposito va rammentata di nuovo l’esigenza di trasparenza e di partecipazione che le Direttive sanciscono indiscutibilmente in tale gestione.


Note
[1] Nel complesso, le bioplastiche sono molto meno vantaggiose di quanto si tenda a pensare comunemente sull’onda dell’entusiasmo diffuso tra la popolazione dai loro produttori. Alcune delle loro controindicazioni: molte bioplastiche hanno bisogno del compostaggio industriale (a temperature particolarmente alte, attorno ai 55-60 gradi centigradi) per poter essere degradate; se non vengono appunto compostate in quel modo, anche molte di esse tendono a dar luogo nel tempo sia ad accumuli duraturi – come i “soliti” prodotti in plastica – sia ad effetti tossici analoghi a quelli delle microplastiche; per poter essere realizzate, molte bioplastiche sottraggono all’umanità sostanze alimentari e quindi tendono ad accrescere fenomeni estremamente problematici come fame e carestie; e via dicendo.
[2] Per le imprese private impegnate in questa attività ne sono derivati ovviamente dei crescenti problemi di redditività. Uno degli effetti concreti di tutta questa situazione è che negli scorsi anni si è sviluppata una deliberata, semplicistica, sbrigativa e frettolosa tendenza – ben poco regolare dal punto di vista normativo – ad inviare direttamente all’incenerimento la plastica, anche quando proveniente da una raccolta differenziata sostanzialmente ottimale. Colpisce la lentezza che si è avuta nel comprendere che bisognava passare da un’unica lavorazione della plastica nel suo stato misto alla separazione tra le varie plastiche. I grossi interessi economici in gioco nell’incenerimento (un’attività che, una volta approvata e avviata in una località, di fatto opera solitamente in una privilegiatissima – e redditizia – situazione di monopolio) hanno costituito indubbiamente uno dei fattori sotterranei che hanno favorito e continuano a favorire questa estrema lentezza...
[3] I principali metodi automatici di separazione delle plastiche si basano sull’uso di vari liquidi aventi tra loro diversa densità, di centrifughe o di varie metodologie di tipo ottico. Cfr. p.es. gli articoli Liberiamoci dalla plastica, a cura di Riccardo Oldani (Focus, settembre 2018), e, in rete, C’è plastica e plastica, una tecnica rivoluzionaria consentirà di aumentarne il riciclo (“https://ambiente.tiscali.it/greeneconomy/articoli/tecnica-rivoluzione-riciclo-plastica/”, 10 gennaio 2022).
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Il presente articolo è apparso nel numero di gennaio 2023 di Il Senso della Repubblica (rivista mensile on-line), col titolo Inceneritori per rifiuti solidi urbani: obsoleti nell’UE. Oltre al titolo, gli unici cambiamenti qui apportati riguardano aspetti di tipo grafico-impaginativo. Per contatti con l’autore: “This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.”.

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Un “commento politico a margine”

Si può aggiungere che non solo è caduto un governo inciampando soprattutto su un progetto di “termovalorizzatore” – voluto a tutti i costi a Roma dalla maggioranza del Pd (mentre altri esponenti del partito erano decisamente contrari, come ad esempio il presidente stesso della regione Lazio, Zingaretti) – ma i modi di questa caduta hanno anche praticamente consegnato in anticipo per i successivi 5 anni l’Italia a un governo di destra. Ciò in quanto, da un lato, su quel progetto si è spezzata pressoché inevitabilmente la fragile alleanza politica che si era costituita nel centro-sinistra e, dall’altro lato, il segretario del Pd Letta, dopo essere subentrato nella segreteria allo stesso Zingaretti un paio d’anni fa, aveva sùbito fatto sapere di essere favorevole – ovviamente anche come segretario del Pd, non solo come semplice cittadino – al mantenimento di un sistema elettorale ampiamente o totalmente maggioritario in Italia (al contrario di Zingaretti, che parallelamente al suo contemporaneo premier Conte si era impegnato per un sistema proporzionale “intelligente”, come ad esempio quello in uso in Germania).

Come chiunque ormai sa, il maggioritario premia le coalizioni più ampie e questo vale anche per il sistema misto proporzionale-maggioritario (con liste corte bloccate e senza alcuna possibilità degli elettori di esprimere preferenze) che è in vigore in Italia dal 2017, dopo essere stato approvato grazie ai voti dei parlamentari principalmente di Pd, FI e Lega: il cosiddetto Rosatellum, dal nome del suo principale proponente, un esponente del Pd renziano. Era dunque totalmente ovvio che alle elezioni (anticipate) dell’autunno scorso avrebbe vinto nettamente la destra, alla luce dei sondaggi politici effettuati nei mesi precedenti e dell’ignominiosa esplosione della coalizione di centro-sinistra, in contrasto con la tenuta della coalizione di destra.... In altre parole, prima sulla legge elettorale e poi su quell’inceneritore il mondo politico del nostro paese – o meglio, la dirigenza lettiana del Pd, con la collaborazione soprattutto di Iv, Lega e FI e del premier Draghi, che le hanno tenuto pienamente bordone in tutte queste vicende – si è giocato deliberatamente e consapevolmente il 2022 della politica italiana e i seguenti 5 anni di quest’ultima (Lega e FI, però, erano in un certo senso “giustificati” dal fatto di essere future componenti dell’ipotizzato governo di destra...).

A loro volta, i “5 Stelle” hanno avvertito per tempo che quel progetto romano e la sua ipotizzata procedura istituzionale (non solo pochissimo democratica, ma anche ai limiti della legalità) andavano troppo intensamente contro i loro princìpi. Normalmente in una situazione politica del genere si trova un compromesso, si salva il governo e si elaborano altre strade per valutare il progetto in questione: ogni partito di una maggioranza ha evidentemente il diritto di opporsi – spiegando perché – a qualche provvedimento in corso di definizione, tanto più se si tratta di un progetto molto controverso e strettamente locale, anziché palesemente convincente e di portata nazionale. In questo caso sono stati gli altri membri importanti della maggioranza, non certo i “5 Stelle”, a comportarsi in maniera anomala, anormale e sostanzialmente ingiustificabile dal punto di vista della prassi politica: in breve, quando è emerso che la grande maggioranza dei “5 Stelle” riteneva talmente offensivo il progetto romano di inceneritore da non poter votare in Parlamento a favore del variegato provvedimento contenente una scappatoia istituzionale che dava a tale progetto una “corsia privilegiata”, gran parte della maggioranza di governo ha proseguito con l’idea di porre la fiducia su quel provvedimento e si è incredibilmente opposta a qualsiasi soluzione alternativa, esprimendo evidentemente la sua preferenza – politicamente ai limiti dell’assurdo – per la rottura del governo e per le elezioni anticipate piuttosto di un normalissimo compromesso di maggioranza come se ne fanno tanti in qualsiasi governo e in qualsiasi paese (e tanto più, per l’appunto, su controverse questioni di tipo locale).... Ai “5 Stelle”, dunque, è accaduto di essersi lasciati intrappolare in una vera e propria “imboscata politica” da parte dei partiti di destra e di centro.

Per inciso, resta comunque vero che a Roma gli anni della “giunta Raggi” (imperniata sui “5 Stelle”) sono stati dal punto di vista della gestione dei rifiuti una sorta di disastro, ma lo erano stati anche i decenni precedenti, al punto che in pratica si può dire che tutti i partiti numericamente importanti a Roma negli ultimi decenni si sono dimostrati del tutto incapaci di mettere in atto quell’efficace raccolta differenziata che innumerevoli località stanno concretizzando da parecchio tempo in Italia e in numerosi altri paesi (resta da vedere – e verosimilmente lo sapranno abbastanza bene le associazioni ambientaliste e i comitati ecologici di Roma – quanto ciascuno di tali partiti abbia voluto oppure subìto questo risultato, a fronte dei marcati interessi economici collegati per esempio alle discariche, al traffico di rifiuti, al loro trasporto e ora anche al progettato e ovviamente costosissimo inceneritore...). E pure questa attuale proposta di inceneritore avanzata dal Pd non fa che prolungare ulteriormente quell’incapacità, anche perché quando fra alcuni anni l’impianto dovrebbe entrare in funzione dovrà pur avere qualcosa da bruciare.... Quindi, perché sviluppare a Roma un’efficace raccolta differenziata se si concentrano invece le energie progettuali cittadine su un inceneritore pronto a bruciare innumerevoli quantità di rifiuti, alla faccia delle Direttive dell’UE...?

Un fatto estremamente espressivo che contribuisce ad illuminare con più chiarezza la caduta del governo Draghi è che solo dopo le ultime elezioni la Confindustria ha strombettato che riteneva assurdo il progetto di flat tax sventolato dalla destra già da alcuni anni. Se ha evitato di parlarne prima delle elezioni ma ne ha parlato subito dopo, evidentemente la Confindustria non considera intelligente e adeguata la flat tax, ma nello stesso tempo non voleva danneggiare elettoralmente la destra criticando questo suo progetto fiscale prima che la gente andasse a votare.... In altre parole, è palese che già prima delle elezioni la Confindustria gradiva un governo di destra, anche se si rendeva conto che non era affatto una coalizione all’altezza in campo economico.... Evidentemente, quando nel 2022 o anche prima la Confindustria e presumibilmente tanti singoli esponenti delle élite economiche hanno fatto capire in un modo o nell’altro a una serie di politici che avrebbero gradito un governo di destra, parecchi di quei politici sono stati pronti ad ascoltare e a conformarsi a quel desiderio, anche se non erano di destra e quindi sapevano che quasi certamente in quel governo non ci sarebbero entrati.

Possono esserci addirittura delle condivisioni strategiche in questo. Ad esempio, se in un paese i partiti di centro non riescono più ad accalappiare tanti elettori e quindi a pesare in modo marcato nel Parlamento, è evidente che se quei partiti vorranno partecipare a un governo dovranno collaborare con dei partiti di un’altra area. E, quando una notevole percentuale degli elettori vota per partiti che le élite economiche considerano scocciatori e rompiscatole, è possibile che certi partiti di centro trovino grandi difficoltà a trovare delle altre formazioni politiche che risultino sia numericamente sufficienti per la formazione di un governo, sia gradite a tali élite, sia non in contrasto con i “princìpi ufficiali” del partito in questione (princìpi che in qualche modo il partito deve pur rispettare, per non perdere totalmente di senso di fronte ai propri elettori...).

Da tanti segnali, appare estremamente chiaro che in Italia la Confindustria e le maggiori élite economiche – che ovviamente si sovrappongono in buona parte l’una con le altre – non gradiscono né le formazioni politiche dell’area della sinistra, né i Verdi, né i “5 Stelle” (cosa che in effetti non ha nulla di strano, essendo del tutto corrispondente alle indicazioni che emergono dalla plurisecolare e storicamente quanto mai avveduta teoria marx-engelsiana della “lotta di classe” ...). In tal modo, quando dal comportamento dell’elettorato e dai sondaggi politici è apparso chiaro che alle elezioni previste nel 2023 il Pd e gli altri partiti di centro per cercare di formare un governo avrebbero dovuto allearsi – prima o dopo delle elezioni stesse – proprio con quelle tipologie di formazioni politiche, qualche esponente delle élite in questione deve aver scambiato qualche chiacchierata con dei dirigenti di partiti di centro e aver detto loro più o meno: “Ma insomma, benché voi abbiate in gran parte con noi ottimi rapporti, a noi non fa affatto piacere vedervi al governo con quella schiera di rompiscatole, e del resto anche per voi è una bella fatica stare al governo con loro e doverveli sorbire quotidianamente nei Consigli dei ministri, nei ministeri, ecc..... Allora, per qualche anno alzate bandiera bianca, mettetevi sostanzialmente in disparte e lasciate vincere qualcun altro che può permettersi di governare senza doversi alleare con quei rompiscatole...”.

Come si racconta che Garibaldi abbia fatto col re dopo l’“impresa dei Mille” (magari in cambio dell’assicurazione che ci sarebbe stata una monarchia costituzionale in tutta Italia), anche questi dirigenti devono aver detto “obbedisco” (magari in cambio di qualche trattamento di favore in un modo o nell’altro, nel presente o nel futuro).... E comunque è vero che un politico di centro, se si rende conto che un governo imperniato potentemente sul centro non è numericamente possibile, potrebbe aderire davvero all’idea che è meglio un governo di destra che un governo di centro-sinistra, anche se lui non potrà farne parte. Ovviamente non lo potrà dire pubblicamente (perché molto difficilmente il suo elettorato gradirebbe la cosa), ma potrebbe esserne davvero politicamente convinto....

Qualunque sia la specifica sfumatura psicologica predominante in ciascuno dei politici collegati in questi ultimi anni alla dirigenza del Pd, appare essere stato sostanzialmente questo quello che è successo. Del resto, già durante il secondo governo Prodi (2006-2008) la dirigenza del Pd lavorò in maniera pressoché instancabile prima per opporsi alle aspirazioni dei suoi alleati di sinistra, con i quali era stata messa in piedi l’Unione e ai quali venne letteralmente impedito di concretizzare i principali aspetti del programma pre-elettorale che l’intera Unione aveva approvato ufficialmente, e poi per far naufragare il governo stesso dandone pubblicamente la colpa ad altri e spianare la strada a un successo berlusconiano nelle successive elezioni anticipate. Niente di nuovo sotto il sole, dunque....

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