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intelligence for the people

Navalny, un problema per Putin più da morto che da vivo

di Roberto Iannuzzi

Caduto nel dimenticatoio dopo il suo arresto, Navalny è tornato a essere per l’ultima volta, con la sua scomparsa improvvisa, un’arma da scagliare contro il Cremlino

L’improvviso decesso dell’oppositore russo Alexei Navalny, a un mese dalle elezioni presidenziali che si terranno a metà marzo, certamente non è avvenuta in un momento propizio per il presidente russo Vladimir Putin.

Da vivo, Navalny non avrebbe avuto alcuna influenza sullo svolgimento delle elezioni. A differenza di quanto lasciato intendere dai media occidentali, Navalny non è mai stato particolarmente amato dai russi.

Nel luglio 2013, allorché partecipò alla competizione elettorale per la carica di sindaco a Mosca, ottenne il 27,24% dei voti. Ma nei sondaggi presidenziali curati dal Centro Levada (istituto certamente non affiliato al Cremlino, tanto che nel 2016 venne classificato come “agente straniero” dal ministero della giustizia russo), quello che la stampa occidentale ha sempre dipinto come “il rivale di Putin” non ha mai superato il 10%.

In un sondaggio condotto dall’istituto nel maggio 2021, egli figurava al quarto posto nell’ipotetica classifica elettorale, dietro all’eccentrico Vladimir Zhirinovsky, esponente della destra populista e nazionalista, e a Gennady Zyuganov, storico leader del partito comunista, con una percentuale intorno al 2%. Putin svettava con un gradimento del 56%.

Dovendo scontare una pena estesa a 19 anni (la sua prima condanna, per appropriazione indebita, risale al 2013), e trovandosi in una colonia penale nel circolo polare artico, difficilmente Navalny avrebbe avuto la benché minima voce in capitolo nelle presidenziali del mese prossimo.

Invece la Munich Security Conference, importante evento annuale che si stava svolgendo in Germania in coincidenza con la sua morte improvvisa, ha fornito alla moglie dell’oppositore russo, Yulia Navalnaya, che proprio lì si trovava, ed a politici occidentali di spicco come le vicepresidente USA Kamala Harris, un palcoscenico internazionale dal quale condannare la morte di Navalny e attribuirne la colpa al governo di Mosca, sotto i riflettori dell’intera stampa occidentale.

La morte di un uomo che era ormai irrilevante sulla scena politica russa si è così trasformata in una bomba mediatica alimentata dall’Occidente, che offusca la probabile rielezione del leader del Cremlino.

Difficile quindi immaginare che sia stato Putin a ordinare la sua uccisione. Mentre non si può escludere che Navalny sia morto a seguito di un progressivo deterioramento di salute, visto che le condizioni della sua detenzione non erano una passeggiata, e che il suo fisico aveva già subito un misterioso avvelenamento nell’agosto del 2020.

Nella sua carriera politica, Navalny aveva espresso idee spesso contradditorie, passando da posizioni visceralmente nazionaliste e xenofobe (in particolare contro gli immigrati provenienti dal Caucaso e dall’Asia centrale) al neoliberismo classico.

Insomma, egli era una specie di istrionico leader anti-sistema che in Occidente sarebbe stato bollato come “populista” dalle élite al potere, le quali tuttavia erano ben liete di sostenerne uno allorché si trattava di dar fastidio al Cremlino.

Pur presentandosi come una figura anti-establishment, Navalny aveva corteggiato esponenti dell’oligarchia russa, dopo aver ottenuto nel 2010 una borsa di studio in America all’Università di Yale – considerata una “incubatrice di leader globali” – anche grazie ai buoni uffici di Garry Kasparov, ex campione di scacchi divenuto successivamente attivista anti-Putin.

Per questa e altre ragioni, in Russia Navalny era visto come un asset dei servizi segreti occidentali. Il movimento giovanile Alternativa Democratica (DA!) da lui fondato nel 2005, aveva ricevuto fondi dal National Endowment for Democracy, secondo un cablo diplomatico pubblicato da Wikileaks.

Il suo controverso e misterioso avvelenamento da Novichok (un agente nervino) nel 2020, proprio mentre Stati Uniti e Gran Bretagna stavano tentando di bloccare in ogni modo il completamento del gasdotto Nord Stream 2 che avrebbe rifornito la Germania di gas russo, rappresentò solo uno degli innumerevoli episodi che contribuirono a deteriorare i rapporti fra Mosca da un lato, e Washington e le capitali europee dall’altro.

Il diretto coinvolgimento del governo russo in questo avvelenamento tuttavia non è mai stato dimostrato, mentre appare evidente che la figura di Navalny (il quale grazie ai media occidentali è divenuto più popolare in Occidente che in Russia) abbia rappresentato in questi anni un pretesto utilizzato dai governi europei e da Washington per inasprire lo scontro con Mosca.

Caduto nel dimenticatoio dopo il suo arresto avvenuto subito dopo il suo rientro in Russia nel gennaio 2021, Navalny è tornato a essere per l’ultima volta, con la sua morte, un’arma da scagliare contro il Cremlino.

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