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comidad

I veri attori sono le lobby d'affari, non gli stati

di comidad

È davvero commovente lo zelo con il quale i nostri media e i nostri politici cercano di convincerci che Putin è un tipo poco raccomandabile. Magari i suoi supporter ancora credono che Putin abbia preso il potere in Russia, e lo abbia mantenuto per quasi un quarto di secolo, grazie alla sua qualità di essere il più lesto ad aiutare le vecchiette ad attraversare la strada. In realtà nessuno pensa che Putin sia uno stinco di santo e sono altri i motivi per cui è diventato popolare tra i cosiddetti “populisti” o “sovranisti”.

Le attuali oligarchie euro-americane sono sempre più sradicate e ostili nei confronti delle proprie popolazioni, che trattano come cavie e immondizia. Si parte da questo dato oggettivo, ma poi scatta nuovamente il senso di gerarchia, la reverenza culturale nei confronti delle classi superiori. Invece di constatare che queste bolle oligarchiche sono composte da cleptocrati parassiti e pupazzi animati dal movimento dei soldi, si prendono sul serio le distopie globaliste e transumaniste dei vari Forum di Davos, che sono in realtà prodotti dei loro addetti alle pubbliche relazioni, cioè pubblicità confezionata con materiali eterogenei.

Allo stesso tempo si sogna l’avvento di un messia del nazionalismo e del tradizionalismo, e lo si identifica con Putin a causa della criminalizzazione di cui è fatto oggetto dai media occidentali. Lo stesso Putin però fa di tutto per deludere coloro che lo ritengono una cima e un avversario dell’Occidente; infatti nelle ultime interviste ha più volte confessato di essersi fidato e di essere stato preso per i fondelli dalla Merkel e da Hollande nella vicenda degli accordi di Minsk, e di essere stato ancora raggirato nel 2022 da Macron durante le trattative di Istanbul. Ma probabilmente Putin non ha capito come funziona da noi. I leader politici nostrani non sono in grado di porsi il problema di ingannare o meno, poiché hanno la stessa capacità di comprensione e interlocuzione di un dispositivo automatico; persino la propaganda è una cosa troppo complessa per loro, per cui comunicano attraverso gli slogan sconnessi che gli vengono forniti dagli spin doctor.

In un discorso del 2021 la presidente della Corruzione Europea (pardon, Commissione Europea), Ursula von der Leyen, ha addirittura dichiarato di aver adottato il motto “I care” di don Lorenzo Milani come motivo ispiratore dell’Unione Europea. Secondo la von der Leyen infatti l’UE sarebbe stata l’unica a non tenere i mirabolanti vaccini soltanto per sé ma a esportarli anche verso i paesi poveri. La von der Leyen ovviamente non sapeva neppure chi fosse don Milani, e la sua icona le era stata fornita come testimonial pubblicitario per i vaccini. Ci fu qualcuno che commentò sarcasticamente che, dopo aver fatto trenta, tanto valeva che la von der Leyen facesse trentuno, e come spot lanciasse direttamente il Discorso della Montagna nella nuova versione Bergoglio: beati i poveri perché saranno vaccinati. Come ulteriore dimostrazione della sua benevolenza, la von der Leyen dichiarò che si sarebbe potuto discutere dell’ipotesi di sospendere i brevetti dei vaccini perché ognuno potesse produrseli a basso costo. Ovviamente non era vero nulla, ma faceva bello dirlo. L’oligopolio farmaceutico multinazionale ha salvato così i suoi profitti; ed era anche giusto, visto quello che Pfizer dichiara sul proprio sito internet, cioè che è costretta a spendere un sacco di soldi in lobbying per supportare quei politici che si dimostrino sensibili al verbo della “scienza”. In gergo questa forma di lobbying si chiama “partenariato politico”; solo per chiarire le idee a quei trogloditi retrogradi che, di fronte a questo traffico di soldi, potrebbero definirlo come corruzione legalizzata. Pfizer avrebbe potuto essere ancora più generosa e farci i nomi di chi sta sul suo libro-paga; ma è pretendere troppo dalla vita.

Nel libro “Marcia su Roma e dintorni” Emilio Lussu raccontava delle sue vicissitudini con una squadraccia di fascisti. In un tafferuglio uno di quegli squadristi aveva rubato a Lussu il portafogli e, quando questi tentava di riaverlo indietro, i fascisti si compattavano gridando: “A chi l’Italia? A noi!”. Inutilmente Lussu cercava di chiarire che non si trattava dell’Italia ma solo del suo portafogli. Allo stesso modo, nel caso dei vaccini il grido “A chi la scienza? A noi!” è stato usato per tacitare e umiliare chiunque cercasse di precisare che non c’entrava l’immunologia ma solo di capire come sono distribuiti i soldi. È un fatto che oltre trent’anni di tagli di spesa alle strutture sanitarie durevoli hanno coinciso con le crescenti spese in prodotti effimeri come i vaccini, infilando nella categoria “vaccino” anche altri farmaci. Per vendere il prodotto la pubblicità ha solleticato il senso di superiorità di una parte dell’opinione pubblica, quella che si crede in confidenza con la “scienza”. Tra l’altro gli idolatri della scienza e dei vaccini vivono di pensiero magico e non sanno neppure distinguere tra vaccino e campagna vaccinale. Il fatto che un vaccino, o cosiddetto tale, risulti efficace nella sperimentazione di laboratorio, non vuol dire che lo sia se riprodotto a miliardi di dosi. Più il processo produttivo è incrementato, accelerato e allargato, più è difficile garantire che lo standard del prodotto sia lo stesso. Non è un caso che nei talk show a parlare di vaccini siano stati sempre chiamati virologi, immunologi, infettivologi e persino “costituzionalisti”; mai ingegneri. Mica vorrai contagiare gli spettatori con un po’ di pensiero concreto?

Da una parte quindi ci sono quelli che hanno dalla loro la scienza, la benevolenza, la legge e per questo possono gestire i soldi senza renderne conto; mentre dall’altra parte ci sono coloro che devono fidarsi, pagare e basta, altrimenti sono degli ignoranti, dei terrapiattisti e dei complottisti. La stessa von der Leyen ha riproposto questo schema asimmetrico e squilibrato anche in altre circostanze, come nel caso dell’attuale attacco israeliano a Gaza. La von der Leyen ha infatti dichiarato che Israele ha il diritto di difendersi dopo quello che è accaduto il 7 ottobre, raccomandandosi però di non ammazzare troppi civili palestinesi.

La “versione israeliana” sui fatti del 7 ottobre viene quindi presa per buona acriticamente, senza verifica; poi si affida la sorte dei civili palestinesi alla benevolenza israeliana. D’altra parte una “versione israeliana” dei fatti del 7 ottobre non esiste neppure, dato che si tratta di pura narrativa mediatica e non è stata avviata nessuna inchiesta da parte di autorità israeliane. A distanza di mesi solo un quotidiano straniero, il “New York Times”, ha cominciato una raccolta di testimonianze sui presunti stupri e sgozzamenti da parte di Hamas; un’inchiesta non molto rigorosa, poiché da un lato dà preventivamente per scontata e indiscutibile la narrativa sui crimini di Hamas, dall’altro lato però ammette che prove a riguardo, a tutt’oggi, non ce ne sono.

Anche coloro che inorridiscono davanti ai massacri perpetrati dagli israeliani a Gaza però non osano mettere in dubbio la narrativa sul presunto “pogrom” del 7 ottobre. Si vede che c’è qualcosa in Israele che ispira fiducia anche oltre le evidenze contrarie. Sarà per questa fiducia che tutti sentono l’irresistibile bisogno di mandare soldi. Secondo il quotidiano “Times of Israel” dal 2014 l’Unione Europea ha supportato la ricerca tecnologica in Israele finanziando centinaia di progetti con oltre un miliardo e trecento milioni di dollari.

Per la famosa “Israel Lobby” americana, l’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), il 7 ottobre è stato una grande occasione per incentivare la raccolta di fondi e per estorcere altro denaro pubblico statunitense da inviare in Israele. Sul sito dell’AIPAC una delle cose più interessanti da notare è la capacità di autopromuoversi da parte di questa cosca d’affari, La lobby AIPAC dichiara infatti di essere riuscita a far eleggere il 98% dei candidati che ha sostenuto elettoralmente con donazioni e anche con attività propagandistiche, che consistono nell’affibbiare l’etichetta infamante di antisemita a chiunque non voglia finanziare Israele. L’AIPAC è una lobby talmente danarosa e potente che potrebbe sorgere un dubbio, e cioè che essa non sia una longa manus israeliana, bensì che Israele sia in realtà solo una colonia dell’AIPAC. I veri attori in campo oggi non sono gli Stati ma le lobby d’affari, che tengono gli Stati solo come impalcatura per mungere denaro pubblico.

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