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ospite ingrato

Per Renato Solmi

di Francesco Ciafaloni

Sabato 2 aprile al Centro Studi Sereno Regis di Torino ha avuto luogo una serata per ricordare Renato Solmi.

Sono intervenuti Tommaso Munari, Simone Scala con ampie e approfondite relazioni sul pensiero e il lavoro editoriale di Solmi, a cui hanno fatto seguito testimonianze di Francesco Ciafaloni, Giovanni Ramella, Cesare Pianciola, Enrico Peyretti. Hanno introdotto Enzo Ferrara e Massimo Cappitti, organizzatori della serata; Luca Baranelli ha dato inizio ai lavori con un breve e intenso saluto. Ringraziamo Francesco Ciafaloni, collaboratore del Centro Fortini, per aver fornito all’Ospite ingrato il testo del suo intervento, che ha messo lucidamente a fuoco l’eredità dello straordinario lavoro intellettuale di Renato Solmi.

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Cercherò di seguire l’esempio di Luca Baranelli: non commemorare ma proporre ricerche e attività di informazione e comunicazione.

Non parlerò delle opere del «giovane filosofo» che, in parte, ho scoperto solo leggendo i suoi interventi su «Discussioni» ripubblicati nella Autobiografia documentaria. Di quelle opere si sono occupate molto bene le due relazioni. Renato è morto l’anno scorso, non 60 anni fa. Dopo l’autore assertivo, sicuro di sé, il traduttore e prefatore, è venuto il redattore, il consulente gratuito, il professore di scuola secondaria. È venuto il Renato del dovere e del dolore, quello che abbiamo conosciuto noi. Anche del Renato giovane si può conoscere meglio l’ambiente.

Si tratta di capire meglio chi siano stati Renato Solmi e i suoi amici e collaboratori a Milano e Torino: il gruppo di giovani milanesi di cui Renato ha fatto parte (Michele Ranchetti, Delfino Insolera, Lorenzo Milani, Luciano Amodio); il gruppo di torinesi e circonvicini, redattori ed autori Einaudi; redattori ed autori dei «Quaderni piacentini»; redattori ed autori dei «Quaderni rossi»; traduttori; riviste ed autori inglesi, francesi, americani; di cui Renato ha fatto parte. Dei milanesi so quello che raccontava Michele Ranchetti (autore di un bell’intervento sul giovane Solmi reperibile in rete) di cui sono stato amico da quando l’ho conosciuto nel 1966, come consulente di Boringhieri, fino alla morte, che nel suo caso e per sua fortuna è stata rapida ed improvvisa. (Usava dire che ciò che fa paura non è la morte ma il morente. Suo fratello era stato morente a lungo e con dolore.) Certo non erano persone in cerca di carriera, né aziendale né personale, anche se Insolera ha avuto una carriera editoriale importante e fertile di idee e risultati. Per loro, come è necessario che sia, contavano i fini, non i passi avanti nella scala sociale. Si può dire che erano in condizione di permetterselo; che venivano da famiglie colte; che Ranchetti aveva casa in uno dei posti più belli del mondo (ancora adesso l’indirizzo di Verbarium, la serie di cui fa parte l’Autobiografiadocumentaria è in via di Giramonte, dietro piazzale Michelangelo); che Milano nel primo dopoguerra era piena di entusiasmi e speranze. Certo loro si sono spesi molto, molto fuori dei binari prefissati.

Ho conosciuto meglio il gruppo e l’ambiente di Torino, che mi ha accolto con generosità e amicizia nel ’66. Anche qui non contavano le aziende. I confini erano molto permeabili. Le idee, i fini, condivisi, contavano più dei risultati personali, ed anche dei risultati nel senso di realizzazioni.

Era difficile distinguere ciò che si faceva per la Einaudi, ciò che si faceva per i «Quaderni rossi», ciò che si faceva per i «Quaderni piacentini». Dei confini non ci importava gran che. Fa parte dei meriti, che c’erano, di Giulio Einaudi, che non importava gran che neppure a lui. C’erano figure ponte; collaboratori della Einaudi e di Renato, che non si possono dimenticare.

L’ambiente era intrecciato, con partecipazioni operaie, collaborazioni stabili con i valdesi, con gli insegnanti, con gli studenti, come si scopre anche dagli scritti di Renato. Va ricordato perché più importante degli altri Sandro Sarti, traduttore, studioso, religioso, che collaborò intensamente con Renato nella cura di testi americani e nella informazione sulla Nuova sinistra, il pacifismo, la resistenza dei soldati americani soprattutto durante la guerra del Vietnam. Fare ricerche sull’ambiente di Renato non dovrebbe rispondere al bisogno di guardarsi l’ombelico ma alla domanda sulle motivazioni e le risorse che tengono insieme gruppi sostanzialmente volontari dotati di capacità, anche insolite (non si incontrano tutti i giorni un filosofo di vaglia come Renato o un traduttore, militante politico, viaggiatore come Sandro) ma con poche risorse e fini molto alti.

Un ponte tra i temi di possibili ricerche e l’esempio da seguire, una traccia su quello che potremmo o dovremmo fare oggi, sono gli scritti di Renato (e le traduzioni di Sandro) sulla Nuova sinistra americana che sono il nucleo maggiore di scritti della maturità e che certo hanno svolto un ruolo nell’informazione di noi tutti, anche della mia, che all’epoca facevo l’ingegnere negli Stati Uniti e poi a Milano e non leggevo i «Quaderni piacentini». Si tratta di lavori accurati, rigorosi, ben scritti, senza fronzoli né retorica; lavori compilativi, in sostanza rassegne, traduzioni di articoli, capitoli di libri, recensioni, che però danno un quadro generale comprensibile, comunicante con le convinzioni di chi andava e tornava dagli Stati Uniti, con i nomi e le date che sono entrate a far parte dei classici letterari e cinematografici e della storia di quegli anni.

Non possiamo dire di star facendo un lavoro analogo per le aree di crisi che ci circondano. Molto si fa. Ma bisognerebbe fare di più. Gli ambienti intrecciati che si sono formati negli anni scorsi mi sembrano in difficoltà per la crisi economica e l’esaurirsi di molte associazioni.

Le speranze sono poche, ma, come diceva Guglielmo d’Orange, «Non c’è bisogno di sperare per intraprendere né di successo per perseverare».

Francesca Spano, militante valdese, «ebrea, cristiana, comunista», che salutava dicendo «Shalom!», in memoria di Sandro Sarti ha scritto: «Parlare di Sandro ha per noi il senso di attribuire valore alle “cose che non sono”, a quelle cose, come la sua vita, le sue scelte, il suo impegno che, per il fatto di non aver vinto o di “non avere avuto successo”, appaiono non essere».

Al di là dei costumi, del modo di vestire, dell’origine sociale, del rapporto con le bevande (Renato non beveva caffè, perché è un eccitante; Sandro aveva inventato e trasmesso a Vittorio Rieser il caffè corretto alla fonte, col rum messo nell’acqua e un velo di zucchero sul caffè), al di là dei costumi, dicevo, la stessa cosa si può dire di Renato: l’importanza delle cose che non sono dei fini, giusti, non raggiunti, lasciati a noi da raggiungere, e che sono la sua eredità più preziosa.

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