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il rasoio di occam

Sulla reificazione: nuove prospettive teoriche

Carlo Crosato

È possibile riarticolare il concetto di “reificazione”, scoprendone nuove dimensioni e aggiornando le vecchie? Una riconsiderazione di tale concetto avviene in Teorie della reificazione, volume curato da Alessandro Bellan per Mimesis

55Spesso la filosofia si è contraddistinta per l’utilizzo di un lessico divergente rispetto a quello quotidianamente utilizzato e per ragionamenti intorno a oggetti ritenuti assolutamente ovvi. Operando in questa maniera, essa ha però via via perso la propria centralità, spesso confusa con la poesia o con pratiche meditative. Un processo di marginalizzazione quanto mai notevole oggi, in un’epoca in cui è l’apparato economico e finanziario a determinare i fini delle attività: attività che, perciò, devono rispondere a esigenze in larga misura estranee alla riflessione filosofica.

Di questo processo, tuttavia, la stessa filosofia ha a lungo parlato, attraverso una lunga serie di concetti, tra cui quello di “reificazione”. Alla esplicitazione di quest’ultimo è consacrato Teorie della reificazione (a cura del recentemente scomparso Alessandro Bellan, edito da Mimesis, nel 2013). L’obiettivo generale del libro, infatti, è chiarire il significato della reificazione, depurarlo da letture fuorvianti e da incomprensioni che lo identificano con altri concetti – quali l’alienazione (altro termine centrale nel pensiero marxiano) e il feticismo (su cui la Scuola di Francoforte ha molto ragionato, specie per voce di Adorno e Horkheimer) –; inquadrare la dinamica reificante all’interno delle relazioni che l’uomo intrattiene con il mondo, precisando in modo quanto più intensivo possibile il campo d’interesse.

Ne emerge, così, un lavoro in cui a essere raccolti sono i numerosi interventi alternatisi in un periodo pluriennale nella sede del Dipartimento di Filosofia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, in occasione del seminario di Teoria Critica guidato da Lucio Cortella e Alessandro Bellan. L’esigenza espressa è quella di ripercorrere la nascita e lo sviluppo, in seno al pensiero occidentale, dell’idea della reificazione, a partire dalla teoria hegeliana e marxiana; ma ciò che si incontra confrontandosi con i saggi qui raccolti è qualcosa che forse supera le stesse intenzioni degli autori: una prosecuzione e una riattualizzazione del dibattito già animato a Francoforte, a quasi un secolo dall’opera lukácsiana che aveva per prima sfruttato la categoria marxiana della reificazione non tanto come voce di una dottrina o di una visione del mondo, quanto come strumento – descrittivo e critico al contempo – di lettura delle odierne trasformazioni sociali.

Compito di una discussione filosofica davvero consapevole è allora quello di chiarire che cosa sia la reificazione e come il suo concetto possa fungere da elemento fondamentale dell’apparato categoriale di descrizione e critica della realtà contemporanea (1); e, per quanto riguarda chi scrive e il nostro lettore, la domanda è, infine, quella relativa al contributo che il dibattito veneziano ha rappresentato per la riconsiderazione di questa tema (2).

 

1. Che cos’è reificazione?

In un epoca in cui lo spirito (in senso hegeliano) è guidato da un apparato tecnico-scientifico che impone i propri obiettivi, sovvertendo l’ordine teleologico tra mezzo e fine; in un’epoca in cui sono l’economia e la finanza le vere ispiratrici dei programmi di governo e le vere regolatrici dei rapporti intersoggettivi, è complesso introdurre un termine che riconsidera in modo critico ciò che oggi è considerato normale, indiscutibile e nient’affatto problematico: l’onnipervasività, immune da ogni istanza etica, del progresso tecnologico, e l’invadenza indiscussa e accettata dell’economia liberista e neoliberista, ci hanno assuefatti e gradualmente resi indifferenti al rovesciamento dei rapporti umani e dei rapporti dell’uomo con il mondo, organizzati attorno a “corpi mercificati” – vendibili, acquistabili, così come sono vendibili e acquistabili il loro tempo e le loro energie –, e a “merci personificate” – oggetti, cioè, che riescono a riconsegnare a chi le acquista il grado di riconoscimento che, in realtà, può derivare solo da un incontro con un altro uomo.

Come forse si è già intuito, la reificazione ci parla di una dinamica che non coinvolge solo l’ambito economico, come si potrebbe pensare in prima battuta: essa tocca tutti i lati dello spirito umano, modificando i rapporti che l’uomo intrattiene con se stesso, con gli altri esseri umani e con il mondo entro cui è chiamato a progettare un sistema semantico condiviso. Ne viene trasformata l’essenza stessa dell’uomo: essa è plasmata dalla violenza di processi di reificazione rilevabili e placabili solo mediante una consapevole e impegnata critica immanente, che riesca a liberarsi dagli accecanti pregiudizi di chi vive in prima persona un dato evento, senza però perderne di vista i contorni.

È, questo, il compito che Marx indica al dibattito filosofico intorno alla società capitalistica, entro cui i rapporti tra persone si trasformano in rapporti tra “cose”. Un compito raccolto nei primi decenni dello scorso secolo dal pensiero dialettico di Lukács: il pensatore ungherese, rileggendo l’analisi della merce condotta da Marx nel Capitale, ne estende il valore a tutta la società. Facendo propri alcuni degli esiti del pensiero weberiano e della più matura riflessione husserliana, Lukács può indicare come primo carattere peculiare della reificazione la riduzione della categoria umana della qualità a quella della quantità. Alle relazioni soggettive, insomma, vengono a sostituirsi delle relazioni oggettive che, oltretutto, tendono ad autonomizzarsi rispetto all’umano, arrivando addirittura a contrapporsi all’uomo stesso.

L’attualità e l’efficacia di un simile processo è quanto di più evidente, ovunque delle dinamiche che solo per un malinteso vengono ancora definite “umane” si contrappongano all’individuo: si pensi, come esempio, alle necessità avanzate dal “super-ente” impersonale del mercato, tanto forti da guidare la politica dei paesi, costringendoli a cedere parte della loro sovranità e facendo loro dimenticare gli individui concreti che in essi abitano. Per restare a questo nostro esempio, oggi il mercato – processo nato come scambio tra uomini – si è oggettivato a tal  punto da costituire un apparato autonomo rispetto all’uomo e, anzi, spesso contrapposto alle stesse esigenze dell’uomo concreto. «Le relazioni umane assumono la parvenza di relazioni fra cose, i soggetti viventi diventano oggetti inanimati, il nostro mondo sociale si manifesta come un ambiente naturale, in cui motivazioni, sentimenti e impegni morali prendono la forma di rapporti meccanici e causali, gli automatismi si sostituiscono alle volontà e alle intenzioni»1.

Le conseguenze di un simile ribaltamento dei rapporti umani sono facilmente rilevabili: la scomparsa dell’uomo come soggetto attivo; l’uomo è relegato a mero osservatore di simili dinamiche che subisce e sulle quali non può davvero intervenire: «diventa cosa ciò che non è cosa e non deve diventare cosa, perché è ciò che conferisce senso alle cose, perché la soggettività – comunque la si intenda –, la natura normativa e comunicativa delle relazioni intersoggettive, il carattere qualitativo della nostra esperienza, costituiscono la specifica forma umana di esistenza»2.

E, se per Lukács la vera chiave di lettura e modificazione di un simile ribaltamento è il ravvivamento di una coscienza di classe, che spinga – in senso contrario – verso il recupero del soggetto attivo, diversa sarà – quindici anni dopo – l’opinione di Horkheimer, secondo cui la “coscienza di classe” sarebbe un punto di vista troppo ristretto rispetto alla prospettiva della totalità, di cui davvero la critica sociale necessita: la soluzione delineata da Horkheimer, allora, pare quella del compito decisivo affidato all’intellettuale. Soluzione che, però, torna a sbilanciare la questione dalla parte della teoria, anziché dalla parte della prassi – concessione involontaria all’assolutismo hegeliano.

 

2. Il passo avanti nel libro

L’obiettivo di ogni teoria critica che discuta il fenomeno della reificazione è ovviamente quello di delineare un’idea di società libera dal dominio dell’oggettivo sul soggettivo, della “cosa” sull’umano. La domanda che allora si impone è: che cos’è l’umano? Chi è l’uomo?

Se, con Lukács, possiamo dire che la riflessione dialettica non può lasciare tutto così com’è, se con lui dobbiamo cercare una via per rilevare ciò che alla reificazione si oppone, per salvare ciò che va salvato, dobbiamo, allora, chiederci in che cosa consista il contributo offerto dal dibattito veneziano, compendiato da Bellan.

Il contributo veneziano costituisce un passo in avanti allorché interroga non solo i pensatori che tradizionalmente sono intesi essere i principali investigatori di simili processi, ma tutti quegli autori che riflettono intorno alla reificazione: quello veneziano è un contributo che sottolinea, allora, la possibilità di riattualizzare l’argomento, ponendolo a tema anche al di fuori delle classiche coordinate marxiane entro cui l’aveva assestato Lukács. E questo, non per ridisegnare i contorni di una essenza umana regressivamente metafisica, ma per ricostruire una diagnosi unitaria, che comprenda processi che «oggi trovano per lo più una spiegazione differenziata»3. Questo è il punto di partenza degli interventi che troviamo in questa raccolta: il rifiuto di parlare della reificazione come di una patologia del collettivo, entro cui l’individuo cede parte della propria libertà, riducendosi a mero ingranaggio della macchina globale, in favore di uno sgravio di responsabilità; la consapevolezza che rassegnarsi a una simile visione sarebbe un accettare incondizionatamente un presunto spirito del tempo, senza la possibilità di intervenire attivamente. Proprio la passività a cui induce la stessa reificazione.

Della reificazione, allora, si è discusso – e si continua a discutere – non come un peccato contro la morale, quanto invece come di qualcosa che investe l’essere sociale moderno. Essere sociale prodotto di una deformazione difficilmente rilevabile dagli individui che ne partecipano: «chi reifica non è certo colpevole di farlo, né gli può essere additata una qualche responsabilità sociale»4. Nel concreto questa moderna natura sociale è rinvenibile in un oblio della natura comunicativa dei rapporti intersoggettivi.

I saggi raccolti nella prima parte di questo volume, danno un quadro della genesi della riflessione classica intorno al concetto di reificazione: si considerano – con Ranchio – la diagnosi e la critica hegeliane dei fenomeni dell’alienazione e dell’oggettivazione, cui farà poi riferimento la Scuola di Francoforte. Il problema che da Hegel i pensatori successivi mutueranno è quello della contraddizione di una società che si propone come garante dell’autonomia degli individui, ma che al contempo «impedisce ai singoli soggetti di rapportarsi riflessivamente e criticamente alle norme che costituiscono l’istituzione medesima»5, costringendo tali soggetti sociali a un semplice adattamento irriflessivo alle connessioni che le istituzioni impongono. In un simile compito è, inoltre, inclusa l’incombenza di specificare e distinguere la nozione di reificazione e quella di oggettivazione; incombenza di cui, per altro, si incaricano i partecipanti al dibattito veneziano, andando oltre alcuni limiti dell’originaria riflessione lukácsiana, come torneremo a dire.

Si passa, poi, a rileggere i pensatori che alla reificazione hanno dedicato esplicitamente il loro pensiero; primo fra essi Marx, il quale – scrive Petrucciani –, riprendendo in chiave economico-politica le indicazioni di Hegel, denuncia il rischio che «la vita sociale ed economica degli individui» sia «sottratta al loro controllo» e venga invece «governata da leggi o dinamiche, che si impongono sopra la loro testa e su cui essi nulla possono»6. Si impone allora la domanda circa la possibilità di rendere libero l’uomo moderno: come proporre la libertà a un soggetto sociale che non si avvede di esserne stato privato? Si può “imporre” la libertà?

La risposta pare volerla fornire Lukács, nei termini già prima ricordati: solo con una consapevole coscienza di classe si può pervenire a una vera teoria del riconoscimento capace di «mostrare il paradosso di un’individualità decretata come essenziale e che invece è reale-effettiva solo nel suo esser tolta»7.

Altre le risposte alla questione della reificazione fornite dai pensatori più strettamente francofortesi: Benjamin – la cui riflessione intorno al feticcio e a una “escatologia” messianica è curata da Tassinari8 –; ma soprattutto Adorno e Horkheimer, i quali, pur non occupandosi tematicamente dell’argomento che ci sta a cuore, riescono a legare strettamente la nozione di reificazione con quella dello spirito: «è intorno alla nozione di spirito che la reificazione come processo prende significato» come dimensione che investe, poi, dalla relazione intrapersonale, anche la relazione interpersonale e il rapporto con la natura – scrive Testa9. Si configura, allora, nella Dialettica dell’illuminismo, la necessità di una rinnovata relazione con il corpus, dalla quale sola può derivare una più chiara «prospettiva da cui devono essere inquadrate le altre forme di reificazione»10.

Esplorando, poi, luoghi filosofici che classicamente non sono stati reputati essere gravitanti attorno al tema della reificazione – questo uno degli aspetti di assoluta novità del dibattito veneziano –, nella seconda parte del volume, la discussione si sofferma – con Mora – sul punto di vista di Simmel, il quale indica l’esigenza di guardare ai fenomeni che caratterizzano il sociale moderno non più in una prospettiva utopica, quanto in una prospettiva quasi fenomenologica, capace di vedere nella «cultura oggettiva» ciò che specifica l’uomo: «la sua capacità di trasformare i progetti dello spirito soggettivo in forme stabili e oggettive»11. Un’insuperabilità, quella evidenziata da Simmel, da cui tentano di smarcarsi Husserl e Heidegger: il primo – del cui pensiero scrive Giannasi –, rintracciando il punto di leva della reificazione nel modello naturalistico, che guarda all’uomo come oggetto di sperimentazione e osservazione oggettivante12; il secondo – di cui relaziona Galanti Grollo –, estendendo la denuncia husserliana al modello coscienzialistico, entro cui ancora si muove Husserl: «la presenza dell’oggetto, o meglio, il coglimento di qualcosa in quanto oggetto rappresenta una tentazione irresistibile […], la quale si riverbera sulla vita stessa, sul soggetto che comprende se stesso nella forma dell’oggettività»13.

È, infine, affidato alla terza parte dell’opera l’intento di inserire la questione della reificazione nei contesti più attuali e concreti di riconoscimento, comunicazione e diritto. E, forse, è soprattutto in questa sezione che i maggiori limiti dell’idea di reificazione di Lukács vengono superati, prima fra tutti l’equivalenza perpetrata dal pensatore ungherese tra oggettivazione e reificazione. L’idea di reificazione proposta da Lukács, infatti, ponendosi all’origine di una discussione molto ricca e risentendo parecchio dell’influenza weberiana, pretendeva di estendersi a ogni situazione di innovazione sociale che tendesse a neutralizzare il riconoscimento della soggettività, per istituzionalizzarlo in maniera permanente. In altri termini, tutto il processo weberiano di razionalizzazione della società moderna cadrebbe sotto il dominio della reificazione, tale processo richiedendo un certo grado di oggettivazione dei rapporti partecipativi fondanti la società moderna. Si comprende allora quale sia il limite principale di considerare equivalenti l’oggettivazione e la reificazione, primo fra tutti l’impossibilità di uscire da una soggettività insuperabile perfino nei rapporti sociali di politica e giustizia. Fra i progressi proposti dal dibattito veneziano sul tema, dunque, va segnalata questa specificazione, oltre il pensiero lukácsiano, di che cosa sia l’oggettivazione e di che cosa – più specificamente – sia invece la reificazione. Questo progresso è reso possibile dall’uscita dal soggettivismo in cui rimaneva invischiata la riflessione del filosofo ungherese; e, cosa più importante, permette di considerare il tema della reificazione non più sotto una luce soggettivistico-individualistica – ovvero secondo una prospettiva destinata a ridimensionare la considerazione da dedicare a ogni progresso dell’oggettività nello sviluppo sociale –, bensì sotto la più preziosa prospettiva intersoggettiva e del riconoscimento. Le tappe, con cui questa missione è eseguita, sono tre e, a nostro avviso, mirano proprio a evitare l’errore di Lukács, da un lato, tentando di comprendere dove sia indispensabile l’apertura al riconoscimento e dove, invece, sia persino buono l’atteggiamento oggettivante; dall’altro, cercando di orientare la riflessione sul contesto della relazione di riconoscimento intersoggettivo e politico anziché su quello ermeticamente soggettivo.

La prima di queste tappe è per lo più di attinenza morale, e riguarda il pensiero di Sartre, dalla cui fenomenologia “conflittuale” dei rapporti intersoggettivi non si può prescindere14. La seconda tappa è costituita dal pensiero politico di Habermas, il quale ambisce a introdurre, nella riflessione critica, la componente normativa, indicando nella comunicazione libera la via emancipativa per la società moderna15: la discussione intorno alla reificazione – rileva con chiarezza Gregoratto – subisce con Habermas una svolta, per cui non è tanto la perdita della soggettività a essere lamentata, quanto piuttosto la perdita di rapporti comunicativi autentici (processo che Honneth chiama l’“oblio del riconoscimento”16). La tappa conclusiva è una riflessione intorno alle forme oggettivanti del complesso giuridico – la cui componente etica non può mai essere prescissa, pena la deriva reificante.

Carlo Crosato è dottorando in filosofia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.
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1 L. Cortella, Formazione e scomposizione di una teoria. Storia e prospettive del concetto di reificazione, in A. Bellan (a cura di), Teorie della reificazione, Mimesis, Milano 2013, p. 17.
2 Ibidem.
3 A. Bellan, Teorie della reificazione o reificazione della teoria?, in Id. (a cura di), Teorie della reificazione, cit., p. 11.
4 L. Cortella, Formazione e scomposizione di una teoria. Storia e prospettive del concetto di reificazione, in A. Bellan (a cura di), Teorie della reificazione, cit., p. 41.
5 F. Ranchio, Reificazione e seconda natura: le origini hegeliane di un’idea, in A. Bellan (a cura di), Teorie della reificazione, cit., p. 69.
6 S. Petrucciani, Aspetti e problemi della reificazione in Marx, in A. Bellan (a cura di), Teorie della reificazione, cit., p. 88.
7 A. Bellan, Sul concetto di reificazione in Storia e coscienza di classe, in Id. (a cura di), Teorie della reificazione, cit., pp. 117-118.
8 Cfr. V. Tassinari, Epifanie della reificazione: Benjamin e il feticismo, in A. Bellan (a cura di), Teorie della reificazione, cit., pp. 119-142.
9 I. Testa, ‘Corpus’. Reificazione e anamnesi della natura, in A. Bellan (a cura di), Teorie della reificazione, cit., p. 150.
10 Ivi, pp. 155-156.
11 F. Mora, Teoria della forma e stili di vita, in A. Bellan (a cura di), Teorie della reificazione, cit., p. 190.
12 M. Giannasi, Epistemologia della reificazione, in A. Bellan (a cura di), Teorie della reificazione, cit., in particolare pp. 206-211.
13 S. Galanti Grollo, Una fenomenologia della ‘tentatio’, in A. Bellan (a cura di), Teorie della reificazione, cit., p. 221.
14 Cfr. A. Bellan e L. Cortella, Il riconoscimento come reificazione, in A. Bellan (a cura di), Teorie della reificazione, cit., pp. 241-278.
15 Cfr. F. Gregoratto, Patologie comunicative. Per una teoria della reificazione a partire da Jürgen Habermas, in A. Bellan (a cura di), Teorie della reificazione, cit., pp. 279-301.
16 Ivi, p. 283.
 

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