Print Friendly, PDF & Email

cumpanis

Mario Draghi, uno dei Cavalieri dell’Apocalisse

di Fulvio Bellini

Bellini FOTO Editoriale.jfif Premessa: la storia non è finita nonostante Mario Draghi

Tra le varie forme di morfina che vengono date alla nostra società in stadio terminale, come appunto si fa con i malati di cancro per i quali le diffuse metastasi non danno più speranza di guarigione ma si applicano le cure palliative, vi è anche quella di convincere l’opinione pubblica che la storia sia giunta al suo epilogo, avendo “messo in tasca” la moneta d’oro perfetta: la democrazia parlamentare sul dritto ed il sistema liberista sul dorso del conio. Nel 1992 uno dei tanti maggiordomi del capitalismo trionfante, Francis Fukuyama, pubblicò il famoso saggio “La fine della storia e l’ultimo uomo”. Sosteneva questo erudito lacchè che la caduta del muro di Berlino rappresentava la volontà dell’umanità di tendere inesorabilmente ai sistemi politici ed ai principi della democrazia liberale, meta conclusiva della vicenda storica di ogni popolo della Terra. Chi ha scritto la sceneggiatura della commedia o del dramma, dipende da quale prospettiva la si vede, relativa all’ascesa alla Presidenza del Consiglio di Mario Draghi (e vedremo che non si tratta di sceneggiatori di Bruxelles ma di Washington) a mio avviso si sono ispirati almeno al titolo dello smentitissimo saggio di Fukuyama, creando un personaggio che rappresentasse contemporaneamente la fine per una certa vicenda politica italiana e l’ultimo uomo possibile al governo del Bel Paese. Per gli ideologhi stile Fukuyama, il concetto di fine della storia sottende anche l’esenzione dalla necessità di studiarla, essendo ormai inutile ragionare del nostro passato e dei suoi protagonisti.

Ma noi, per nostra fortuna, sappiamo chi è Fukuyama: una concierge con livrea e cappello che apre la porta delle vetture dei signori del capitalismo finanziario, e da questi è soavemente ignorato. La storia è ben lungi da essere finita, e dal passato possiamo trarre figure che, a mio avviso, possono essere di grande aiuto per capire “intimamente” chi sia Mario Draghi, cercando di andare oltre l’elezione a “santo subito”, fatta a reti unificate dai mass media di regime, ma anche quella di “uomo delle banche” oppure commissario dell’Unione Europea, che vedremo è solo una veste esteriore, che non spiega invece chi sia veramente quest’uomo che occupa una posizione particolarissima nel contesto degli uomini politici mondiali. Draghi è molto di più di un esponente del potere locale (non paragonabile ad un semplice Mario Monti, ad esempio) ma nella “gerarchia” internazionale si pone subito sotto il gotha del potere finanziario mondiale; egli può consigliare, ma in caso di bisogno deve obbedire alle direttive anche contro la sua volontà. Come ci può aiutare la storia a capire questo particolare uomo di potere, che apparentemente serve un padrone ma in realtà obbedisce ad un altro? Propongo la figura di Giulio Raimondo Mazzarino (1602-1661): italiano, principe della Chiesa, primo ministro nonché tutore del Re di Francia Luigi XIV. Il cardinale Mazzarino iniziò la sua carriera nella diplomazia pontificia fino a diventare nunzio in Francia (1634-1636), da quella posizione si fece apprezzare dal Cardinale Richelieu, e ne divenne poi successore alla guida del governo francese. Nella differenza tra la politica estera di Richelieu e di Mazzarino va ricercata la chiave di lettura che ci serve oggi per capire Mario Draghi. Il Cardinale Richelieu, principe della Chiesa cattolica, non esitò ad allearsi con i principi luterani tedeschi, ed ancor peggio con il terribile Re di Svezia Gustavo Adolfo, pur di sconfiggere i cattolici Asburgo d’Austria nella guerra dei Trent’anni (1618-1648), e quelli cattolicissimi di Spagna nel parallelo conflitto franco-spagnolo (1635-1659): per Richelieu la sincera fedeltà a Luigi XIII e gli interessi francesi precedevano in ogni caso quelli del Papa di Roma. Il Cardinale Mazzarino, anch’egli principe della Chiesa e primo ministro di Francia, ottenuta la pace con l’Imperatore (pace di Westfalia) riuscì a concludere la fine delle ostilità anche con il Re di Spagna (pace dei Pirenei), ricostruendo così il baluardo cattolico formato da Sacro Romano Impero, Francia e Spagna nei confronti della dilagante influenza delle chiese riformate in centro e nord Europa. Mazzarino si mostrava ufficialmente al mondo con le “insegne” di ministro del Re di Francia, ma era rimasto intimamente fedele alla politica della Curia Romana, riconoscendo in essa la fonte primordiale del proprio successo ma soprattutto perché ne condivideva i principi dottrinali e politici.

 

Mario Draghi: Re Edipo della Democrazia cristiana

In che senso, allora, il cardinale Mazzarino ci aiuta a capire Mario Draghi? Anticipiamo la conclusione del ragionamento: Mario Draghi europeista convinto e salvatore dell’Euro sta a Mazzarino primo ministro di Francia come Mario Draghi uomo del capitale finanziario anglo-sassone sta a Mazzarino uomo della Curia Romana. In questi giorni non colpiscono affatto le grottesche agiografie, che hanno spesso oltrepassato i limiti del ridicolo, ma che rispondono ad una precisa linea, elargite con dovizia da quasi tutti i “giornalisti” maggiordomi nei confronti dell’ex banchiere centrale, bensì della pochezza di argomenti di coloro che hanno cercato di criticarlo: uomo delle banche nella maggioranza dei casi, uomo del Britannia nel caso di critiche leggermente più sofisticate. Queste valutazioni dimostrano che noi avversari di Draghi lo conosciamo veramente poco, e questo non ci deve stupire, accade quando un vero uomo di potere viene calato dall’alto in momenti particolarmente difficili. Ancora la figura di Mazzarino ci aiuta: Mario Draghi è sì un uomo potente, ma rimane pur sempre un “servitore” di alto lignaggio, non fa parte delle grandi “famiglie” che governano il capitalismo finanziario mondiale; Mazzarino era certamente uomo del Papa e del Re ma non era per nulla imparentato con i Borboni e con gli Asburgo. In altre parole, anche Mario Draghi prende ordini, non certo da Mattarella o da insignificanti partiti italiani, ma da qualcun altro al di sopra di lui, altrimenti non si spiega perché abbia accettato di fare il Presidente del consiglio in Italia. Allora chi da effettivamente “ordini” a Mario Draghi? Nello scorso mese di gennaio, vi sono stati molti articoli di commemorazione della nascita del Partito comunista d’Italia, ed alcuni di questi hanno trattato anche delle ragioni della fine del PCI. Oltre alle ragioni, si è posto in evidenza anche il ruolo attivo svolto da alcuni protagonisti di quella grande eutanasia politica, sulla quale hanno costruito le proprie carriere personali. Una generazione di Edipo (l’eroe della tragedia di Sofocle che uccise il padre), uniti nella FGCI degli anni settanta: Massimo d’Alema (1949), Piero Fassino (1949), Pier Luigi Bersani (1951), Walter Veltroni (1955) ed i loro accoliti a vario titolo. Oggi nessuno si sognerebbe di definire questi signori dei comunisti, mentre è corretto definirli, come loro stessi fanno, dei social-democratici. Piccoli politici di provincia che nella liquidazione del PCI non sono riusciti a trarre una carriera lontanamente paragonabile a quella dei loro emuli ex democristiani. Perché anche la Democrazia cristiana ha avuto i suoi Edipo, ma ad un livello nettamente superiore. Gli Edipo ex democristiani hanno ucciso ben tre “padri” in un solo colpo: la DC in quanto partito alla guida dell’industria pubblica, l’intera economia italiana tramite la liquidazione dell’IRI, ma soprattutto il sistema di economia mista la cui esistenza era divenuta insopportabile per il capitalismo nella sua virata finanziaria degli inizi degli anni novanta. Non è possibile paragonare la carriera di un D’Alema o di un Fassino a quella di Romano Prodi: due volte Presidente del Consiglio italiano e Presidente della Commissione Europea dal 1999 al 2004, sotto la cui guida fu introdotto l’Euro. Non è possibile paragonare le carriere di un Bersani o di un Veltroni a quella di Mario Draghi: direttore generale del Ministero del Tesoro, Governatore della Banca d’Italia, Governatore della Banca centrale europea dal 2011 al 2019 ed ora Presidente del Consiglio. Nel partecipare attivamente e convintamente alla svolta iper liberista dell’economia italiana, nel distruggere un modello economico che, ironia della storia, è stato uno dei modelli al quale si è ispirata l’economia cinese nella sua cavalcata trionfale di questi due decenni, Mario Draghi si è anche intimamente unito alla causa del capitalismo finanziario anglo-sassone. Nonostante i tentativi maldestri di vecchi democristiani di secondo piano come Bruno Tabacci d’indicare Draghi quale sodale del gruppo di Amedeo Goria, nulla è rimasto in Draghi di quell’esperienza scudocrociata. L’essere democristiano di Mario Draghi è come l’essere comunista di Piero Fassino: un ossimoro. Tutti loro hanno ucciso i rispettivi padri politici, e quindi non sono più “recuperabili”, nemmeno se lo volessero, a causa delle rispettive scelte politiche e storie personali.

 

Draghi: dai derivati al Quantitative Easing.

Accenneremo all’esordio di Mario Draghi sulla scena internazionale avvenuto con il famoso discorso del 1992 agli alti rappresentanti della comunità finanziaria internazionale sul panfilo Britannia di proprietà della regina d’Inghilterra Elisabetta II, dettaglio non trascurabile. L’interesse del gotha della finanza estera non era tanto rivolto al saccheggio delle industrie di Stato, compito delegato agli (im)prenditori indigeni, quanto ottenere l’assicurazione che la dissoluzione dei due partiti di massa DC e PCI avrebbe comportato la resa incondizionata dell’economia mista italiana alla versione più dura del liberismo, più simile possibile al modello sudamericano, sia sotto il profilo delle privatizzazioni selvagge, sia sotto il profilo dello smantellamento celere del Welfare State italiano. Mario Draghi diede queste garanzie, e gli anni novanta certificarono ai signori del denaro che l’uomo era di assoluta fiducia: il direttore generale del Tesoro era entrato alla corte dei signori del capitale finanziario angloamericano. Anche se i “lord” del denaro riuniti sul Britannia non erano interessati direttamente alle spoglie dell’IRI, chiesero comunque l’”omaggio” sotto forma di acquisto di prodotti finanziari derivati sui quali è sempre calato un certo mistero sul valore complessivo e sulle perdite subite dallo Stato italiano a favore delle grandi banche d’affari americane ed europee. Ogni tanto questo fiume carsico riemerge, ad esempio, nell’articolo de la Repubblica del 23 giugno 2013 “Tesoro, perdite potenziali di 8 miliardi. L’origine è nei derivati degli anni ’90” dove si racconta in modo estremamente tecnico delle pesanti perdite per lo Stato dovute alla stipula dei contratti Swap ed altri prodotti finanziari derivati effettuati dal Ministero del Tesoro negli anni ’90 (direttore generale Mario Draghi, appunto). Di quell’articolo citiamo però la conclusione: “Molti errori sono stati fatti negli anni Novanta per far entrare l’Italia nell’euro – racconta un funzionario governativo – e oggi si trasformano in più debito, nascosto dai conti ufficiali, in un’area molto grigia che al Tesoro solo poche persone sono in grado di comprendere e maneggiare”. Già negli anni novanta Draghi si stava segnalando come “sacerdote” del debito pubblico a favore del capitale finanziario, tanto da essere assunto “honoris causa” da Goldman Sachs nel gennaio 2002 direttamente alla carica di vice Presidente per le strategie europee dal quartier generale di Londra e, dal 2004 al 2005, membro del Comitato esecutivo del gruppo. In altre parole, se la definizione di uomo delle banche è banale e parzialmente errata, e uomo del capitale finanziario appare troppo generica, lo specifico collegamento tra Draghi e la grande banca d’affari newyorkese può dare maggiori punti di riferimento. Tutti i successivi incarichi istituzionali sono stati conferiti a Mario Draghi sapendo chi fosse e da dove venisse. La sua presenza ai vertici della Banca d’Italia tra il 2005 ed il 2011 e successivamente alla guida della Banca centrale europea tra il 2011 ed il 2019 è la presenza di un uomo che formalmente svolge un’attività nell’interesse delle istituzioni rappresentate, ma sostanzialmente obbedisce alle politiche dettate dall’establishment finanziario americano direttamente alla Federal Riserve ed indirettamente alla BCE tramite “il loro uomo a Francoforte”: Mario Draghi appunto. Per esempio, la politica del tasso ufficiale di sconto tenuto sotto l’1% allo scopo di creare capitale fittizio a favore della speculazione è stata adottata dalla FED a partire dal 2009, alla quale si è subito allineata la BCE di Draghi nel 2012. Non ci si stancherà mai di ribadire che il Quantitative Easing perseguito dalla Yellen, dalla Lagarde e da Draghi non ha nulla a che vedere con le promesse maggiori disponibilità finanziarie per le aziende e le famiglie. Costando il denaro troppo poco alle banche commerciali, esse sono costrette a prestarlo a tassi non remunerativi per coprire i rischi generali connaturati ai prestiti, come l’insolvenza parziale o totale; per questa ragione il sistema bancario eroga pochissima liquidità a famiglie ed imprese che hanno realmente bisogno di denaro (e quindi sono a rischio), mentre abbondante liquidità viene concessa a imprese e famiglie che non hanno necessità di denaro (e quindi sono solventi) e che spesso e volentieri li “girano” agli operatori finanziari per effettuare investimenti anche speculativi. Inoltre, l’aver smantellato le legislazioni bancarie degli anni Trenta, sia negli Stati Uniti che in Italia, le quali prevedevano la divisione rigida tra banche d’affari e banche commerciali, ha completato il quadro: le stesse banche commerciali, essendo appunto anche banche d’affari, girano una smodata liquidità alle società di “trading” finanziario le quali, a loro volta, alimentano il mercato di prodotti spesso fortemente speculativi come: contratti a termine, SWAP, opzioni. Mario Draghi appartiene a questo mondo e non ha nulla a che fare né con la tradizione dei grandi governatori della Banca d’Italia come Donato Menichella e Guido Carli, e neppure alberga in lui lo spirito dei padri dell’Europa come Jaques Delors.

 

L’amministrazione Biden lo “richiama in servizio”.

Se facciamo mente locale alla crisi greca del 2015, l’allora governo Tsipras, oltre alla Commissione Europea ed a “solerti” governi nazionali, dovette fronteggiare un ineffabile trio: Christine Lagarde Presidente del Fondo Monetario Internazionale, Jenet Yellen Presidente della Federal Reserve e Mario Draghi Governatore della BCE. La Grecia provò sulla sua pelle cosa significa avere a che fare con queste persone di alto livello, colte, raffinate e decisamente Radical-Chic. Il 4 febbraio scorso Gianīs Varoufakīs, ministro delle finanze greco proprio nel 2015, ha rilasciato un’intervista a Radio Popolare parlando di Mario Draghi novello capo del governo italiano. Vediamo alcuni passaggi dell’intervista: “Umanamente Draghi è come tutti gli altri a Bruxelles e Francoforte, almeno per come lo ricordo all’Eurogruppo. Politicamente è al servizio dell’ordine finanziario. Tecnicamente è molto capace, e ha mostrato grandi capacità di capire cosa va bene e cosa no nella logica del servizio all’ordine finanziario e all’establishment.”; ancora: “Indubbiamente Draghi è intelligente e molto competente, molto bravo a raggiungere i suoi obiettivi. La grande tragedia del popolo italiano è che i suoi obiettivi sono nemici degli interessi della grande maggioranza degli italiani”; infine: “Come democratico, voterei sempre contro un tecnocrate come Mario Draghi, è essenziale che noi difendiamo il diritto delle persone di scegliere chi le governa. E oltre a questo devo dire che personalmente ricordo bene quando Draghi è stato decisivo nella chiusura dei bancomat in Grecia, così da impedire che il popolo greco decidesse liberamente nel referendum in cui si decideva la posizione da tenere nei confronti di Bruxelles. Penso che ogni democratico in Italia debba opporsi al suo governo”. Varoufakīs vede Draghi solo come uomo di Bruxelles e di Berlino, lo dice più volte, perché la sua drammatica esperienza politica lo ha determinato in questa opinione. Invece occorre fare un passo avanti nell’analisi. Nella crisi greca Draghi si mosse di concerto con Christine Lagarde e in modo ufficioso con la Yellen, queste tre persone sono legate anche da una forte amicizia, ma soprattutto i giudizi di Varoufakīs si possono girare indistintamente a tutti e tre. Il potere finanziario sta generando capitale fittizio negli Stati Uniti ed ha bisogno che anche la BCE si accodi, nonostante l’inevitabile opposizione dei paesi che operano con il capitale reale (produzione di merci e di servizi) capitanati dalla Germania. L’insediamento di Joe Biden alla casa bianca all’inizio del 2021 ha sancito la vittoria dell’alleanza tra il gruppo di potere bostoniano, coloro che governano Wall Street e la FED, e il gruppo di potere californiano, coloro che guidano l’industria areo-spaziale e bellica statunitense. E non poteva essere altrimenti: come dichiarava alla camera dei comuni nel 1904 William Palmer, Conte di Selborne e Primo Lord dell’Ammiragliato britannico, il potere imperiale si basa su due cose: le navi e la finanza. Dietro alle favole elettorali ad uso di mass media accondiscendenti, Il programma di Biden è costituito da una sola semplice enunciazione: far pagare agli altri il debito americano fuori controllo di 28.000 miliardi di dollari. Proposito facile a dirsi ma difficile a farsi. Non è tema di questo articolo affrontare la strategia che la Casa Bianca vuole usare per costringere il mondo ad accettare un dollaro privo di qualsiasi valore reale: possiamo solo accennare che per ora la strategia prevede di condurre guerre non militari (pandemia da Covid-19 e sue modifiche e varianti) ma che l’opzione bellica su vasta scala è sempre sul tavolo della stanza ovale. Sono pertinenti al tema che stiamo trattando due notazioni: gli Stati Uniti sono consci del grande pericolo che stanno correndo perseguendo la politica dell’iper-debito se non trovano in breve tempo uno sfogo per l’enorme massa di dollari circolanti; per fronteggiare tale pericolo nel mese di gennaio 2021 sono stati richiamati in servizio “i migliori”: Christine Lagarde, già presente come governatrice della Banca Centrale Europea, Jenet Yellen Segretaria al Tesoro americano e Mario Draghi Presidente del consiglio italiano. Si obbietterà che è solo un caso. Da come si sono avvicendati di gabinetti Conte II e Draghi I non sembra proprio.

 

La crisi del governo Conte II ha obbligato tutti ad una scelta.

Varoufakīs ci ha descritto Mario Draghi uomo ambizioso, freddo e privo di scrupoli, dotato di una notevole preparazione che lo fa sentire naturalmente superiore ai propri interlocutori, quando non riconosce di essere tra pari, cosa che in Italia non accade. Certamente la sua carriera personale lo ha confortato in questa sua aristocratica opinione, se non fosse per qualche amnesia sul suo operato degli anni novanta. Per gli osservatori più avveduti, quindi, ha destato non poca sorpresa vederlo accettare l’incarico di Presidente del Consiglio, carica che, pur importante, non si addice affatto alla personalità dell’ex governatore della BCE, abituato al gotha del potere finanziario e politico del mondo. La nomina alla quale aspirava, e non era un mistero per nessuno, era quella di Capo dello Stato. La figura del Presidente della Repubblica italiana va qui opportunamente chiarita. Ci hanno sempre insegnato trattarsi di una figura per lo più notarile, simile a quella del Presidente della Repubblica tedesca. Nulla di più sbagliato. Il capo dello stato italiano è l’unica carica dotata di stabilità temporale nel nostro sistema politico: il mandato di sette anni è sempre rispettato (tranne il caso di Antonio Segni dimessosi per motivi di salute) ed a volte dura qualche anno di più (vedi il caso di Giorgio Napolitano). Sotto il mandato dell’attuale Presidente Sergio Mattarella, ad esempio, si sono succeduti quattro capi di governo (Renzi, Gentiloni, Conte, Draghi) e due diversi parlamenti (XVII e XVIII legislatura). Il Presidente della Repubblica è a capo delle Forze Armate e della Magistratura, incarica il Presidente del Consiglio e nomina i ministri. Un ulteriore dettaglio pertinente perché in politica la forma è anche sostanza: la residenza ufficiale del Capo dello Stato tedesco è Palazzo Bellevue a Berlino, edificio per soggiorni estivi dei principi Hohenzollern; la residenza del Capo dello Stato italiano è il Quirinale, palazzo di Papi e dei Re d’Italia. Allora perché Draghi ha accettato un incarico scomodo ed inadeguato al suo pedigree? A mio avviso perché non gli è stato chiesto da Mattarella, bensì direttamente da Washington, magari da Jenet Yellen per conto di Biden. L’establishment americano non poteva attendere le elezioni del Presidente della Repubblica del gennaio ‘22, occorreva che il trio si ricomponesse immediatamente al di qua ed al di là dell’Oceano. Mario Draghi ha dovuto scegliere: accettare un incarico scomodo, difficile e potenzialmente pericoloso per la sua corsa al Quirinale, oppure rifiutare un “invito” che gli arrivava direttamente dai suoi “signori”. Draghi ha accettato, e non poteva fare altrimenti dato il momento delicato per il capitalismo finanziario mondiale, ma è altresì evidente che ha posto delle condizioni, alcune delle quali possiamo intuire da quello che è poi accaduto: non essere coinvolto nel “colpo” al governo Conte, avere un’ampia e malleabile maggioranza parlamentare, avere il massimo supporto possibile da parte di tutti i principali mass media. Anche il suo interlocutore in questa vicenda, il Presidente Sergio Mattarella, ha dovuto fare una scelta difficile tra i due centri di potere che lo hanno stimato ed aiutato nella sua carriera politica, e che ora sono avversari: gli Stati Uniti ed il Vaticano. E la partita che Mattarella si appresta a giocare nel 2021 per influenzare l’elezione del suo successore si presenta quanto mai ardua. Abbiamo spiegato perché Mario Draghi non è un democristiano, anche se i nostri giornalisti maggiordomi provano a farcelo credere. Il vero democristiano e uomo della Curia era Giuseppe Conte; Mattarella una scelta di campo, a mio avviso, l’ha sorprendentemente fatta: Il Vaticano. Vediamo perché si è giunti a questa conclusione. Mattarella ha saputo del diktat proveniente da Washington subito dopo l’insediamento di Joe Biden, e magari se lo immaginava anche prima. L’evidenza che l’attacco al governo Conte veniva direttamente dagli Stati Uniti lo ha avuto vedendo chi era il “killer incaricato”: Matteo Renzi, personaggio politico che già nel 2014 veniva pubblicamente accusato da Ferruccio de Bortoli, allora direttore del Corriere della Sera, di essere un massone conclamato. Nonostante tutto Mattarella tenta di salvare il governo Conte, concedendogli sette giorni, dal 26 gennaio al 3 febbraio, inventandosi un incarico esplorativo dato al Presidente della Camera Fico, per trovare voti al Senato. Conte i voti per varare il suo terzo gabinetto li stava pure trovando, facendo decisamente arrabbiare gli americani, che decisero di uscire allo scoperto, avvertendo tutti gli attori politici che Renzi agiva in loro nome. Questo è il significato politico dell’altrimenti inspiegabile, e decisamente surreale, incontro del 30 gennaio 2021 tra un parlamentare italiano qualsiasi, senza nessun incarico istituzionale, per di più coinvolto in una crisi di governo, con il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman. Al contrario di quello che ci hanno raccontato i giornali italiani, Fatto Quotidiano in testa, descrivendo Renzi come un isolato, megalomane politico, animato solo da irrazionali ambizioni personali, l’ex Presidente del Consiglio si era rivelato pubblicamente come un esponente che agiva all’interno di un’operazione politica e d’intelligence al massimo livello internazionale. Ed a Roma, dove il Vangelo è letto e meditato da secoli, fu chiaro a tutti che Renzi era come Giovanni Battista, il suo compito era preparare l’avvento del messia del Capitale fittizio. I voti per il governo Conte non arrivarono più, e Mattarella, sconfitto, fece capire che la caduta del governo Conte era un’operazione studiata e supportata, dando l’incarico a Mario Draghi subito dopo aver ricevuto il Presidente Fico, recitando un comunicato inusualmente perentorio, ed evidentemente “seccato”.

 

Consultazione e formazione del gabinetto Draghi: il governo a due livelli

Sono personalmente convinto che il gabinetto Draghi che abbiamo sotto gli occhi non era assolutamente nella mente dell’ex banchiere centrale. Nelle intenzioni di Draghi vi era una compagine molto tecnica, popolata da uomini di sua fiducia, dove la presenza di politici, semmai ci fosse stata, avrebbe dovuto essere marginale per numero e peso politico. Sono altresì convinto che Draghi era persuaso che l’”ordine di servizio” ricevuto dai vari partiti, ognuno con il proprio canale e la propria “crittografia”, da parte dell’intelligence USA, era sufficiente per ottenere la fiducia ed una sostanziale carta bianca. L’ex banchiere centrale aveva perfettamente ragione se osserviamo il comportamento dei vari partiti che hanno tutti fatto notevoli mutamenti d’indirizzo nel giro di poche ore; innanzitutto Movimento 5 Stelle e Lega da un “no” d’impulso la sera dell’incarico ad un sì più o meno convinto la mattina seguente. Al di là delle prime impressioni, due elementi hanno caratterizzato le consultazioni di Mario Draghi: un assoluto riserbo ed un’altrettanta segretezza sui nomi dei ministri. Un’idea del modo in cui l’ex banchiere centrale ha condotto questi colloqui l’abbiamo avuta dai leader di partito che gli sono parati di fronte, ed un quadro eloquente, dove si intuisce lo sfottimento dietro le parole, ce lo ha fornito lo stesso Beppe Grillo: “Mi aspettavo il banchiere di Dio… invece mi sono trovato davanti un grillino”, ed ancora: “Mi chiama elevato… io lo chiamo supremo, ha anche il senso dell’umorismo, non me lo aspettavo”. Il sospetto che questi incontri siano stati un’autentica farsa è più che lecito. Le consultazioni di Draghi sono state all’insegna dell’aristocratico scherno, tanto che ogni leader di partito, alla fine dell’incontro, ha avuto la sensazione di parlare con un proprio iscritto, tutto intento ad ascoltare, prendere appunti e condividere le idee dell’interlocutore. Allora perché tanto riserbo e segretezza sulla lista dei ministri? La risposta ce la da il Corriere della Sera del 21 febbraio: “Draghi sceglierà i ministri con Mattarella: sarà seguito «alla lettera» l’articolo 92 della Costituzione”. Ovviamente i giornali ci danno la versione idilliaca della collaborazione, ma la composizione del governo non può che smentire tale visione. Il gabinetto Draghi è costituito da due livelli: uno superiore formato dai “migliori” e stretto intorno al silente capo, ed uno inferiore composto da politici provenienti dal parlamento e, ma non vi è nulla d’immorale e nemmeno d’importante in questo, selezionati usando il manuale Cencelli. Ed il tanto vituperato Giuseppe Conte? Di lui non vi è traccia, e non poteva essere diversamente, ma 9 ministri arrivano dal suo governo, e non sono nemmeno i peggiori se si scorrono quelli di fresca nomina. Siamo certi che questi nomi fossero graditi a Mario Draghi? Vista la sua successiva opera di bonifica da esponenti “contiani”, conclusasi con il siluramento di Domenico Arcuri il 1 di marzo, i dubbi sono leciti. Il governo Draghi è quindi costituito da un livello superiore, che seguirà lo stile del Presidente del Consiglio, cioè un incedere da oligarchi, che si dotano di propri strumenti di elaborazione dell’azione di governo indipendenti. Questi sono gli uomini, oltre a Draghi (che ha già assunto come suo consigliere economico un paladino del liberismo “sudamericano” come Francesco Gavazzi), che gestiranno 209 miliardi del Recovery Fund: Daniele Franco, Roberto Cingolani, Vittorio Colao (che ha già affidato all’americana McKinsey & Company la riscrittura del Recovery Plan), Marta Cartabria (vicina all’ultra destra cattolica di Comunione e Liberazione), Patrizio Bianchi e Maria Cristina Messa. Per tutti loro le regole d’ingaggio sono “serietà”, riserbo e credo nel liberismo nella sua versione più dura e selvaggia. Vi è un secondo livello, frutto del compromesso con il Presidente Mattarella, formata da esponenti politici dei partiti di maggioranza, che avranno il compito di essere i volti delle decisioni impopolari, come successo in occasione della presentazione dell’ennesimo DPCM sulle misure di restrizione delle libertà personali, presentate dagli impresentabili ministri Speranza (ma chi è quel matto che avrebbe accettato il suo posto) e Gelmini.

 

Il 2021 sarà l’anno dei grandi conflitti: i cavalieri dell’Apocalisse

Se non accettiamo la lettura squisitamente internazionale della nascita del governo Draghi, e che tale nascita ha visto una forte “resistenza” nel Presidente della Repubblica, non si può correttamente apprezzare quanto di politicamente incredibile sia la compagine di governo e soprattutto la maggioranza che lo sostiene. In queste analisi occorre sempre ricordare di non introdurre mai categorie morali come “bene” e “male”. Non si tratta di affermare che il governo Conte era “buono” oppure “migliore”, ma il fatto che fosse un governo che si facesse ispirare dalla linea della Curia romana, in questo momento storico, dava all’Italia un residuale e minimo ruolo internazionale. Dal punto di vista di sovranità politica, Il governo Draghi sancisce l’uscita di scena dell’Italia dal novero delle nazioni di secondo livello (i paesi dell’Unione Europea, il Giappone) per retrocedere ai paesi di terzo livello, fortemente controllati da Washington (Messico, Brasile, Argentina). Prendiamo come esempio l’ultima “sceneggiata” sui vaccini anti-covid. Le big pharma americane ed inglesi hanno dettato i contratti di acquisto all’Unione Europea, hanno preso in giro i governi, stanno vendendo i vaccini al miglior offerente, sia esso governo che mercato nero. Travolti da un’orgia speculativa, le multinazionali del farmaco dominano incontrastate nel paradiso del liberismo senza regole. Bloccando l’esportazione di poche migliaia di dosi in Australia, il loro sacerdote Mario Draghi ricorda che le truffe si fanno con metodo e misura; è un richiamo all’ordine di un uomo potente. Perché lo ha fatto? Per proteggere le Big Pharma dalla vera questione politica posta dal vaccino russo Sputnik. Mentre le corporation del farmaco americane ed inglesi privatizzano i brevetti del vaccino anti Covid-19, ottenuti da studi finanziati con soldi pubblici, e prendono a schiaffi commissione europea e stati membri, l’Ungheria ha autorizzato la somministrazione di 2 milioni di vaccini russi, l’Austria sta trattando con Mosca e, incredibile, la Repubblica di San Marino ha iniziato la sua campagna vaccinale con lo Sputnik, vietata ai cittadini italiani: se sei un sanmarinese sarai vaccinato nei prossimi giorni, se sei un romagnolo sarai vaccinato in un futuro non definito. Mario Draghi comunque non si occuperà in prima persona dei vaccini, del Recovery Fund (delegando al suo cerchio magico ed alla McKinsey le modalità per far “gestire” alle banche d’affari americane ed in via subordinata a Confindustria i miliardi europei); l’ex banchiere centrale dovrà partecipare all’elaborazione della grande strategia internazionale per trovare sfoghi per la massa di dollari in Europa, in Russia, oppure in Cina, tramite nuove guerre non militari, e se fosse necessario, come appare sempre di più, anche con guerre atomiche. L’Italia esce definitivamente dalla scena politica internazionale, ridotta al suo storico ruolo di campo di battaglia di altre potenze, come il Vaticano. Esperti di letture sacre, anche se a torto collo, non possono non vedere in Joe Biden, Mario Draghi, Jenet Yellen e Christine Lagarde i quattro cavalieri dell’Apocalisse del XXI secolo: Conquista militare, Violenza e Stragi, Carestia, sono stati anticipati lo scorso anno da Morte e Pestilenza. Questo è il risultato della “sospensione” degli accordi di Bretton Woods del 1975. La moneta non è più misura di valore in quanto non contiene e non rappresenta un metallo prezioso, come sempre accaduto nella sua storia millenaria (rame, argento, oro); non è più riserva di valore a causa dell’enorme e sconosciuto contenuto inflazionistico insito nel dollaro anche se non espresso; rimane mezzo di scambio unicamente per motivi politici, dove rifiutare il biglietto verde significa generare il principale casus belli che si possa avere. I cardinali di Roma sanno che tutto questo ha delle conseguenze anche per la loro antica organizzazione, che vi sono momenti dove non si può fare finta di nulla, perché non è possibile trovare un accomodamento con il potente di turno: è successo con i longobardi, con gli eretici, con le chiese riformate, con Bonaparte, ed ora con gli Stati Uniti.

Add comment

Submit